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Sarmizegetusa Regia, cuore mistico e astronomico di un impero scomparso

Tra le vette dei Carpazi meridionali, nel cuore del Parco naturale Grădiștea, si cela un luogo capace di evocare suggestioni che vanno oltre la semplice storia: Sarmizegetusa Regia è la testimonianza viva di una civiltà fiera e combattiva, quella dei Daci, che qui aveva stabilito la propria capitale già intorno al 100 a.C.
A oltre 1200 metri di altitudine, in un contesto naturale che sembra proteggere e custodire i segreti di un passato lontano, la città rappresentava il centro politico, militare e religioso di un regno destinato a scontrarsi con la potenza di Roma.

Il suo destino cambiò nel 106 d.C., quando l’imperatore Traiano, dopo due campagne militari sanguinose e decisive, sconfisse il re Decebalo. Fu la fine di un’epoca e l’inizio dell’assimilazione della Dacia nell’immenso mosaico dell’Impero Romano. Da quel momento, Sarmizegetusa Regia perse gradualmente il suo ruolo, sostituita da una nuova fondazione urbana, la Colonia Ulpia Traiana Augusta Dacica Sarmizegetusa, costruita più a valle per rispondere alle esigenze di Roma.

Il fascino di una civiltà scomparsa

Camminare oggi tra i resti di Sarmizegetusa Regia non significa soltanto ammirare le mura, gli altari e i basamenti, bensì immergersi in una realtà dove religione, astronomia e politica si erano legate in maniera indissolubile: i Daci avevano saputo costruire un sistema difensivo imponente, ma soprattutto un centro cerimoniale da cui traspare una profonda conoscenza del cielo e dei suoi cicli. Templi circolari e rettangolari, enigmatiche strutture in pietra e spazi sacri ancora avvolti nel mistero lasciano intuire un rapporto tra l’uomo e il cosmo che oggi non possiamo che osservare con meraviglia.

Non stupisce che il sito sia stato dichiarato Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO: il suo valore risiede nella straordinaria importanza storica nonché nella capacità di restituire un’atmosfera sospesa, quasi fuori dal tempo.

L’esperienza della visita

Panorama del sito archeologico di Sarmizegetusa Regia, Romania

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Il suggestivo sito archeologico di Sarmizegetusa Regia

Raggiungere Sarmizegetusa Regia non è un’impresa da poco, ma proprio la difficoltà aggiunge fascino alla visita. Dal centro di Hunedoara, celebre per il maestoso Castello dei Corvino, occorre affrontare una strada tortuosa che si arrampica tra boschi e vallate, fino ad addentrarsi nel Parco naturale. Gli ultimi chilometri mettono alla prova con carreggiate più strette e impegnative, ma alla fine si arriva a un parcheggio nel verde, punto di partenza dell’avventura.

Da lì si prosegue a piedi, affrontando un sentiero in salita di circa un chilometro. La strada, lastricata in porfido, è ampia e sicura, e anche chi non è allenato può percorrerla senza troppa fatica. L’ascesa in un bosco di faggi ha qualcosa di iniziatico: è come se il cammino stesso fosse parte integrante dell’esperienza, una sorta di rito di passaggio che prepara lo spirito all’incontro con le vestigia di un impero scomparso.

Quando finalmente si varcano le mura della cittadella, ci si trova davanti a un paesaggio che alterna silenzi profondi a radure luminose, dove un tempo si innalzavano templi e altari. La pavimentazione in pietra conduce alla zona sacra, cuore religioso della capitale, mentre intorno si possono ancora riconoscere le tracce delle fortificazioni che la resero un baluardo quasi inespugnabile.

Un luogo di silenzio e mistero

Ciò che rende indimenticabile la visita a Sarmizegetusa Regia è senza dubbio l’atmosfera. A differenza di altri siti archeologici più noti e affollati, qui domina la quiete: pochi visitatori, il fruscio delle foglie mosse dal vento, i raggi di sole che filtrano tra gli alberi, tutto contribuisce a creare un’aura magica. È facile lasciarsi trasportare dall’immaginazione e pensare a come dovesse essere la vita in questa città sacra, tra cerimonie solenni, osservazioni astronomiche e strategie militari per difendere l’indipendenza del popolo dei Daci.

Il silenzio che avvolge le rovine sembra custodire ancora oggi i segreti di un mondo perduto.

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Come visitare la Tomba di Tutankhamon nella Valle dei Re

La Tomba di Tutankhamon si trova nella Valle dei Re in Egitto, dove sono conservate le tombe di altri grandi faraoni. Tra tutte quelle che si possono visitare è sicuramente la più magnetica. Quando si visita la Valle dei Re non è detto che si possa entrare sempre nelle stesse tombe perché vengono aperte a rotazione. Qui si trovano la tomba di Ramses IV, la tomba di Ramses IX, la tomba di Merneptah, la tomba di Ramses VI, la tomba di Ramses III, la tomba di Tausert-Sethnakht, la tomba di Sethi I, la tomba di Thutmosi III, la tomba di Amenhotep II, la tomba di Thutmosi IV, la tomba di Horemheb e infine la tomba di Tutankhamon.

Sono tutte meravigliose, con splendidi affreschi colorati alle pareti, geroglifici da interpretare e storie da raccontare. Ma nessuna sprigiona il fascino della leggendaria Tomba di Tutankhamon.

Perché visitare la Tomba di Tutankhamon

Il mistero che da sempre avvolge Tutankhamon è ciò che attira maggiormente rispetto a tutti gli altri faraoni dell’Antico Egitto. Il suo breve regno (morì a soli 18 anni) e il tesoro custodito nella sua tomba, cercato per secoli dai tombaroli nella Valle dei Re e trovato finalmente dall’archeologo inglese Howard Carter nel 1922, poco più di un secolo fa, una leggenda anch’egli nel mondo dell’archeologia, lo resero immortale. Il faraone Tutankhamon, giusto per collocarlo storicamente, visse durante la XVIII dinastia del Nuovo Regno Egizio, uno dei periodi più splendidi dell’Antico Egitto. Tutankhamon visse tra il 1341 e il 1323 a.C.. La data di nascita è stata calcolata intorno al 1341 a.C. anche se seocndo alcune fonti lo collocano tra il 1342 e il 1340 a.C..

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@SiViaggia – Ilaria Santi

L’ingresso della Tomba di Tutankhamon

Cosa si trova oggi nella Tomba di Tutankhamon

Il Tomba di Tutankhamon si trova tra quelle degli altri faraoni nella Valle del Re e, se non si legge l’iscrizione all’esterno del cancello d’ingresso, non la si distingue dalle altre. L’ingresso è una porta simile a tutte le altre. Si scende una ripida scala e si percorre un breve corridoio spoglio – altre tombe sono riccamente decorate, invece – che conduce a un’anticamera dove, un tempo, erano ammassati il trono, alcuni mobili e i cocchi. Poi si entra nella vera e propria camera funeraria che contiene ancora oggi il sarcofago in quarzite il quale conteneva a sua volta altri quattro sarcofagi di legno dorati (oggi conservati nel Museo Egizio del Cairo e presto nel nuovo Grand Egyptian Museum (GEM) nella Piana di Giza.

L’ultimo sarcofago era quello che conteneva la mummia di Tutankhamon che è ancora oggi conservata nella tomba e che, i meno scaramantici, possono ammirare (altrimenti bisogna chiudere gli occhi perché lo spazio è piccolo ed è impossibile non vederla). la mumia non è un bel vedere, diciamolo. Scura, rinsecchita e piccola. Le pareti della sala dove si trova il sarecofago e la mummia sono adornate da bellisismi dipinti colorati.

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@SiViaggia – Ilaria Santi

La mummia del faraone Tutankhamon conservata nella sua tomba nella valle dei Re

Annessa alla camera funeraria si trova quella che era la camera del tesoro, ambita da tutti gli archeologi e non solo. È qui dentro che Carter trovò gli oggetti preziosi appartenuti a Tutankhamon e che resero così celebre questo faraone.

I tesori della Tomba di Tutankhamon

La camera del tesoro di Tutankhamon fu definita la scoperta del secolo. Era così ricca di oggetti preziosi quando Carter la trovò che impiegarono dieci anni fotografarli, restaurarli e a catalogarli. Tra gli oggetti c’erano provviste di cibo in più di cento ceste di foglie di palma intrecciata, contenitori di terracotta, di pietra, di quarzo dipinto, due contenitori d’argento e uno d’oro, utensili e bellissime lampade in alabastro ridipinto, scatole e cofani intarsiati, imbarcazioni, armi e carri da guerra, bastoni e mazze d’ebano, avorio e oro, amuleti (soprattutto scarabei, che nell’Antico Egitto racchiudevano profondi significati religiosi e magici) e preziosissimi gioielli in oro elettro – una lega d’oro, argento e bronzo -, ferro, con ametiste, alabastro, cornalina, lapislazzuli, quarzo, steatite, turchese. Nella tomba c’erano anche 413 statuette che rappresentavano degli ushabti, coloro che avevano il compito di servire il faraone dopo la morte.

Perché la Tomba di Tutankhamon è così speciale

Rispetto alle tombe di altri faraoni, infatti, quella di Tutankhamon era apparentemente insignificante e Carter, e altri prima di lui, avevano setacciato il deserto palmo a palmo senza mai trovarla. Invece, era nascosta sotto le rovine di un antico villaggio, probabilmente servito agli operai che lavoravano alle tombe dei Ramses V e Ramses VI. All’apparenza era ancora sigillata, tuttavia un’indagine più accurata dimostrò che i sigilli erano successivi e che quindi molto probabilmente l’ingresso o la tomba stessa erano stati già violati in precedenza. La tomba in sé non ha nulla di rilevante, anzi, dà quasi l’impressione di essere stata costruita in fretta per la morte prematura del faraone.

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@SiViaggia – Ilaria Santi

La camera funeraria completamente affrescata nella Tomba di Tutankhamon

La leggenda della maledizione della Tomba di Tutankhamon

Poco dopo l’apertura della tomba avvenuta nel novembre del 1922 da Carter e dal suo finanziatore, Lord George Herbert Carnarvon, alcuni giornali iniziarono a parlare di un’iscrizione maledetta, che avrebbe avvertito chiunque avesse disturbato il sonno del faraone. In realtà, nella tomba non è stata trovata alcuna iscrizione. La leggenda fu alimentata dai media dell’epoca per creare mistero e sensazionalismo. Lord Carnarvon morì pochi mesi dopo, nell’aprile 1923, a causa di una infezione di una puntura di zanzara infettata da un taglio da rasoio. La stampa collegò subito la sua morte alla “maledizione”. Altri decessi di persone collegate alla spedizione alimentarono la voce. Tuttavia, molti dei presenti all’apertura della tomba (compreso Howard Carter) vissero ancora per decenni. Carter morì nel 1939, ben 17 anni dopo. Ma ancora oggi gli scaramantici preferiscono starne alla larga.

Quanto costa e come arrivare alla Tomba di Tutankhamon

Per visitare la tomba di Tutankhamon è necessario prima di tutto acquistare il biglietto d’ingresso per la valle dei re che costa 13 euro a cui aggiungere il biglietto solo per la tomba che costa 12 euro. La Valle dei Re, dove si trova anche la tomba, è vicina a Luxor che dista solo 14 km. Solitamente vengono organizzati tour con bus, ma è possibile raggiungerla in autonomia con un taxi.

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L’archeologo inglese Howard Carter con un assistente davanti al sarcofago di Tutankhamon nel 1922
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I migliori negozi di souvenir al mondo secondo il Financial Times

Il Financial Times ha recentemente stilato una lista dei negozi di souvenir più interessanti e raffinati al mondo, luoghi in cui l’acquisto di un oggetto diventa un’esperienza culturale, creativa e talvolta artigianale.

Dall’Europa all’Asia, dai prodotti gastronomici all’artigianato tessile, la curiosa selezione propone negozi che vanno oltre il souvenir turistico tradizionale: di quali si tratta.

L’eleganza scozzese di The Fife Arms

Tra le Highlands scozzesi, il villaggio di Braemar custodisce un luogo dove il concetto di souvenir assume un carattere raffinato e identitario: il negozio The Fife Arms.

Qui, infatti, non si trovano semplici gadget, ma oggetti che incarnano l’essenza stessa della Scozia: whisky di malto selezionato, decanter lavorati con cura artigianale, coperte in tweed e tartan che raccontano la tradizione tessile locale, fino ad arrivare a canne da pesca in fibra di carbonio con particolari tappi in sughero, sormontati da un cardo, simbolo nazionale.

A Vida Portuguesa: il fascino senza tempo del Portogallo

A Lisbona e Porto, A Vida Portuguesa ha saputo ribaltare l’idea stessa di negozio di souvenir poiché il turismo si fonde con la vita quotidiana: scaffali ricchi di artigianato tradizionale, tessuti, poster d’epoca e persino conserve di pesce, confezionate con grafiche rétro che evocano il passato.

Ogni oggetto è pensato non solo per attrarre i visitatori, ma per sedurre anche i residenti, offrendo loro prodotti dal design intramontabile. È una filosofia che rifiuta la “banalità del souvenir commerciale” e propone al contrario un modo per portare a casa l’anima autentica del Paese.

Parigi tra tipografia, cioccolato e haute couture

Nella capitale francese, la lista del Financial Times individua più di un indirizzo d’eccezione.

GiftShop, a pochi passi dal Palais-Royal, propone un assortimento che fa la gioia degli amanti delle arti grafiche e della cucina: dai bicchieri tipici dei bistrot, ai piatti con i bordi rossi che evocano i locali storici della città, fino ai coltelli artigianali Le Liadou. È un omaggio al vivere parigino, tra gastronomia e stile.

Non distante, nel cuore di Place Vendôme, resiste invece un nome storico: Charvet. Dal 1838 l’atelier di camiceria su misura veste personalità di spicco e continua a proporre cravatte di seta, pantofole in pelle scamosciata e accessori raffinati.

A completare la selezione parigina, Patrick Roger rappresenta l’eccellenza della cioccolateria. In Boulevard Saint-Germain, le tavolette di cioccolato e le praline raggiungono standard altissimi, mentre le specialità stagionali come le frittelle pasquali dimostrano la creatività e la qualità artigianale della storica cioccolateria dove trovare piccole opere d’arte commestibili a partire da undici euro, che confermano Parigi come capitale del gusto raffinato.

Il tocco italiano: Lis Furlanis in Friuli

Tra i luoghi segnalati non poteva mancare l’Italia. A Gonars, in Friuli, Lis Furlanis porta avanti un’arte tutta particolare: la produzione di espadrillas realizzate con materiali riciclati, dal velluto al denim, fino ai tessuti jacquard.

Da oltre dieci anni queste calzature rappresentano un esempio di sostenibilità e creatività artigianale, capaci di conquistare non solo i turisti, ma anche chi cerca un prodotto unico, legato al territorio.

Ucraina: Gunia Project e la forza della tradizione

A Kiev e Leopoli, il Gunia Project si distingue come uno dei primi spazi a reinterpretare l’artigianato popolare ucraino in chiave moderna.

Fondato da due designer, il negozio offre gioielli realizzati a mano, ceramiche con figure angeliche ispirate all’arte sacra e tessuti ricavati da motivi etnografici recuperati da archivi museali. Durante la guerra, il gallo (divenuto simbolo di resilienza) è stato trasformato in un segno artistico da indossare, per rendere ogni creazione un frammento della storia e della cultura del Paese.

Londra: musei, cravatte e botteghe d’altri tempi

La capitale britannica si conferma un punto di riferimento per i souvenir di qualità. Al Victoria and Albert Museum, il negozio non è un’appendice secondaria ma parte integrante dell’esperienza: sciarpe, gioielli e persino originali bottoni in ceramica conquistano turisti di ogni età.

A Covent Garden, invece, il London Transport Museum si rivolge a famiglie e bambini con un’ampia gamma di gadget ispirati alla segnaletica vintage della metropolitana.

Non meno affascinante è la boutique di Drake’s in Savile Row, famosa per le cravatte di seta arrotolate a mano, simbolo dell’eleganza britannica, o le botteghe storiche di Bloomsbury come L Cornelissen & Son, specializzata in pigmenti e materiali per artisti, e James Smith & Sons, celebre per gli ombrelli fatti a mano dal 1830.

Dall’Oriente a Tokyo

Il viaggio tra i migliori souvenir al mondo si conclude in Giappone, con due luoghi simbolo della cartoleria.

Kyukyodo, fondata nel XVII secolo e per anni fornitrice della Casa Imperiale, propone incensi, biglietti augurali e raffinati ornamenti di carta. Itoya, invece, rappresenta la modernità con ben nove piani dedicati a penne, quaderni e strumenti di scrittura.

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Alla scoperta di Monte Sant’Angelo, il cuore spirituale del Gargano

Monte Sant’Angelo non è un borgo qualsiasi ma una suggestiva cittadina che da secoli accoglie pellegrini provenienti da ogni angolo d’Europa, attratti dal fascino del culto micaelico. Infatti, secondo la tradizione, qui apparve l’Arcangelo Michele in una grotta che divenne presto meta di devozione, santuario nazionale dei Longobardi e tappa obbligata lungo le vie dei Crociati diretti a Gerusalemme. Non stupisce, quindi, che santi, papi, re e semplici fedeli abbiano percorso le sue strade con lo stesso spirito di ricerca e speranza.

Il borgo, il più elevato del Gargano con 843 metri d’altezza, domina dall’alto lo sperone roccioso su cui sorge. Lo sguardo si perde da un lato verso la vastità del Tavoliere delle Puglie e dall’altro verso il Golfo di Manfredonia, in un panorama che sembra non avere confini. Monte Sant’Angelo è oggi sede del Parco Nazionale del Gargano e fa parte del Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO, un riconoscimento che ne sottolinea il valore storico, culturale e spirituale.

Il cuore del borgo batte intorno al Santuario di San Michele Arcangelo, ma la sua anima si riflette anche nei vicoli medievali, nelle case bianche del Rione Junno e nelle mura imponenti del castello, testimone delle dominazioni che si sono susseguite nei secoli.

Il mistico Santuario di San Michele Arcangelo

Il Santuario di San Michele Arcangelo è senza dubbio il simbolo del borgo e la sua ragione d’essere. Dichiarato Patrimonio dell’Umanità UNESCO, è un punto di riferimento per milioni di pellegrini ogni anno. La basilica si sviluppa su due livelli: quello superiore, con il portale romanico e il campanile, e quello inferiore, che conduce alla grotta delle apparizioni.

Percorrendo la scenografica scalinata angioina, ci si ritrova in un ambiente che sembra sospeso nel tempo. Le porte bronzee, fuse a Costantinopoli nel 1076 su commissione del nobile amalfitano Pantaleone, introducono a un luogo intriso di fede, dove gli altari e le immagini sono realizzati direttamente nella roccia, quasi a fondere natura e sacralità. Al centro troneggia la splendida statua marmorea di San Michele, opera di Andrea Sansovino, e poco distante la cattedra vescovile del XII secolo, scolpita in pietra, che aggiunge ulteriore solennità all’ambiente.

Visitare il Santuario non significa solo ammirare un monumento di inestimabile valore artistico, ma anche percepire l’intensità di secoli di preghiere, speranze e promesse custodite tra quelle mura e quelle rocce.

Santuario di San Michele Arcangelo a Monte Sant'Angelo, Puglia

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Il suggestivo Santuario di San Michele Arcangelo

Tappe da non perdere oltre al Santuario

Tuttavia, una visita a Monte Sant’Angelo non si esaurisce con il Santuario. Il borgo custodisce infatti angoli di rara suggestione che raccontano un passato vivo e vibrante.

Il quartiere medievale Rione Junno

Se il Santuario rappresenta il cuore spirituale del borgo pugliese, il Rione Junno ne incarna l’anima popolare e autentica.

È il quartiere più antico e caratteristico di Monte Sant’Angelo, un dedalo di viuzze strette in cui le casette bianche si rincorrono una accanto all’altra come in un presepe. Abitazioni di appena trenta metri quadrati che un tempo ospitavano famiglie numerose, oggi raccontano la vita semplice e laboriosa di chi abitava queste strade.

Passeggiare nel Rione Junno vuol dire respirare un’atmosfera d’altri tempi, tra i profumi della cucina tradizionale che ancora si diffondono dalle finestre e le vedute che si aprono all’improvviso sul paesaggio garganico.

Qui si trovano anche il Complesso di San Pietro, con la Chiesa di Santa Maria Maggiore in stile romanico pugliese e la suggestiva Tomba di Rotari, e il Museo Tancredi META, che raccoglie le arti e le tradizioni locali, per un’immersione totale nella cultura del Gargano.

Il Castello Normanno-Svevo-Angioino-Aragonese

Imponente e affascinante, il Castello di Monte Sant’Angelo veglia sul borgo da secoli, trasformandosi e adattandosi alle esigenze dei popoli che vi si sono succeduti. Ogni dominazione ha lasciato un segno indelebile: i Normanni edificarono la torre dei Giganti e la torre Quadra, mentre Federico II di Svevia aggiunse la preziosa Sala del Tesoro.

Gli Angioini lo utilizzarono soprattutto come carcere, conferendogli un aspetto severo e austero. Ma è con gli Aragonesi che la fortezza assunse la fisionomia più vicina a quella attuale: il torrione a forma di mandorla e il fossato antistante il portale furono costruiti per rafforzare le difese contro gli attacchi nemici.

Oggi il castello, dalle mura possenti e le torri che svettano verso il cielo, oltre a essere un notevole monumento storico, è anche un luogo che permette di abbracciare con lo sguardo tutta la bellezza del Gargano.

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Scopri i luoghi di Jay Kelly, il film con George Clooney e Adam Sandler

In Concorso all’82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia Jay Kelly, il nuovo film di Noah Baumbach che vede protagonisti George Clooney e Adam Sandler. “Ogni posto in cui Jay Kelly si muove riflette uno stato d’animo, un dubbio, una verità che emerge”, ha detto Baumbach.

Accanto a Clooney e Adam Sandler, un ensemble di star internazionali e italiane: Laura Dern, Alba Rohrwacher, Riley Keough, Billy Crudup, Greta Gerwig, Jim Broadbent, Eve Hewson, Patrick Wilson, Emily Mortimer e molti altri. Jay Kelly debutterà nelle sale il 19 novembre 2025.

Di cosa parla il film

La trama segue Jay Kelly, una star del cinema che si mette sulle tracce della figlia più giovane durante un viaggio in Italia. L’itinerario europeo diventa lo specchio di un percorso psicologico: un uomo sospeso tra ciò che appare e ciò che è, che si interroga senza sosta sul significato della propria identità.

“Se racconti una storia su un attore, inevitabilmente parli di identità, di performance e della ricerca di sé”, ha spiegato Baumbach. “In fondo è lo stesso processo che affrontiamo tutti nella vita, ogni volta che ci chiediamo quanto l’immagine che mostriamo agli altri corrisponda a chi siamo davvero”.

Dove è stato girato

Le riprese, iniziate nel maggio 2024, hanno trasformato l’Italia in un vero palcoscenico esistenziale. All’inizio del film, il personaggio di Sandler osserva: “La morte è sempre così sorprendente, specie a Los Angeles”. È come se la città californiana avesse costruito una barriera invisibile contro la consapevolezza della fine, piena di strategie e distrazioni che ti impediscono di pensarci davvero.

Ma il viaggio in Italia cambia subito prospettiva: la prima tappa dei protagonisti è un cimitero, un confronto diretto e inevitabile con la mortalità. Da quel momento per Jay non c’è più scampo: il paesaggio italiano lo inghiotte, lo costringe a misurarsi con qualcosa di immensamente più grande di lui. Un mondo non addomesticabile come Hollywood, ma al tempo stesso spettacolare, intenso e di struggente bellezza.

Monticelli d’Ongina, provincia di Piacenza in Emilia-Romagna

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Monticelli d’Ongina, in provincia di Piacenza

Dalla Bassa Piacentina, con la linea ferroviaria Piacenza-Cremona e i paesaggi rurali di Monticelli d’Ongina e Caorso, fino alla Stazione Centrale di Milano, dove Clooney e Adam Sandler hanno girato una scena tra i viaggiatori ignari con una quarantina di comparse vestite Anni 90, le location italiane accompagnano il passaggio del protagonista. Dal mondo patinato di Hollywood a un contesto più terreno e inevitabilmente legato alla memoria e alla mortalità.

“Abbiamo girato in studio, a Los Angeles, e poi ci siamo avventurati all’esterno e abbiamo assorbito l’energia delle riprese in esterni. Siamo stati a Parigi, poi in Toscana con un favolosa troupe italiana. Los Angeles è il posto di Jay, una città aziendale e molto mondana. E l’Italia ha così tanta storia e storia religiosa, ed è stato interessante pensare a queste due città come contrappunti nella storia, e anche cosa questo potrebbe significare o rappresentare per Jay in base a dove si trova in quei punti della storia. Mark e Linus Sandgren ed io, ne abbiamo parlato molto dal punto di vista del design e della fotografia” ha raccontato Baumbach.

Arezzo, tra le location del film Jay Kelly con Clooney

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Arezzo, tra le location di Jay Kelly con Clooney

Girare in questi luoghi è stato fondamentale: non puoi interpretare la fragilità di un uomo senza immergerti in scenari che ti mettono alla prova”, ha detto Clooney a Venezia. La Toscana ha offerto scorci densi di storia e simbolismo: il Teatro Petrarca di Arezzo, la cantina di Argiano a Montalcino – antica villa rinascimentale che ospitò persino Carducci – e i luoghi iconici di Pienza, tra cui Palazzo Piccolomini e piazza Pio II.

Toscana, dove Clooney ha girato alcune scene del fil Jay Kelly

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Toscana, tra le location del film Jay Kelly

A completare il percorso, Montecatini Terme, Pitigliano e altri borghi dell’aretino. “In Italia Jay si perde nel paesaggio: è un mondo più grande di lui, incontrollabile, ma anche spettacolare e bellissimo”, ha commentato Baumbach.

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Navigare il mondo a impatto zero: la crociera più lunga e sostenibile

Il futuro del turismo marittimo sembra puntare verso una svolta radicale: viaggiare senza lasciare tracce sul clima. A muovere questo passo in avanti è Havila Voyages, compagnia norvegese che ha annunciato l’intenzione di sperimentare già dall’autunno quella che potrebbe essere la crociera a impatto zero più lunga mai realizzata.
Il progetto, frutto della collaborazione con HAV Group, prevede un itinerario di 12 giorni lungo la storica rotta costiera che collega Bergen a Kirkenes, per un totale di 9.260 chilometri.

La scelta di investire in soluzioni innovative non è casuale: la domanda di viaggi più rispettosi dell’ambiente cresce con rapidità, così come la pressione sull’industria crocieristica, spesso accusata di essere tra le più inquinanti del settore dei trasporti.

Biogas e batterie: la combinazione vincente

Il cuore della sperimentazione è la combinazione di biogas e batterie di grande capacità. Secondo quanto dichiarato dall’amministratore delegato Bent Martini, l’azienda sta lavorando con i fornitori per garantire che i serbatoi della nave vengano riempiti completamente di biogas, un combustibile rinnovabile prodotto dai rifiuti organici. Questo, insieme ai pacchi batteria già presenti a bordo, permetterebbe di affrontare l’intero percorso senza emissioni dirette di gas serra.

Al momento, le navi di Havila riescono a navigare per circa quattro ore consecutive solo grazie all’alimentazione elettrica. L’obiettivo del test è dimostrare che la neutralità climatica può essere raggiunta anche su tratte lunghe e complesse.

La compagnia punta a trasformare l’intero itinerario Bergen–Kirkenes–Bergen in un viaggio a emissioni zero entro il 2030, fissando così una nuova pietra miliare per il settore.

Cosa significa davvero “emissioni zero”

Parlare di crociere a impatto zero richiede una precisazione. La neutralità climatica si ottiene quando le emissioni generate vengono compensate o bilanciate con azioni equivalenti, come progetti di assorbimento della CO₂. Tuttavia, Havila intende andare oltre: l’obiettivo non è compensare, ma eliminare del tutto le emissioni durante la navigazione.

Il biogas, in quanto derivato da materiale organico, rappresenta una fonte energetica che non aggiunge nuova CO₂ in atmosfera, mentre le batterie consentono di immagazzinare energia pulita da utilizzare nei tratti più sensibili dal punto di vista ambientale. una simile strategia, se portata a termine con successo, permetterebbe di ridurre drasticamente l’impatto ambientale delle crociere, offrendo un modello replicabile anche in altri contesti marittimi.

Un settore sotto pressione

Negli ultimi anni, le compagnie di navigazione sono finite nel mirino di governi e associazioni ambientaliste a causa dell’alto livello di emissioni. Secondo l’International Council on Clean Transportation, una nave da crociera emette in media circa 250 grammi di anidride carbonica per passeggero-chilometro, un valore nettamente superiore a quello di un volo a lungo raggio (80 grammi), di un treno nazionale (41 grammi) o di un traghetto (19 grammi).

Tali numeri hanno alimentato il dibattito pubblico e spinto il settore a cercare soluzioni più sostenibili, non solo per rispondere alle critiche, ma anche per mantenere la propria competitività in un mercato in cui i viaggiatori sono sempre più attenti alla sostenibilità delle loro scelte.

Non a caso, Havila non è l’unica compagnia a investire nella decarbonizzazione. La storica rivale Hurtigruten ha annunciato il varo di una nave a zero emissioni entro il 2030, equipaggiata con un pacco batterie da 60 megawatt. In parallelo, il colosso Viking sta collaborando con i cantieri italiani Fincantieri per costruire la Viking Libra, la prima nave da crociera alimentata a idrogeno, che dovrebbe essere consegnata già l’anno prossimo.

La sfida delle normative e degli investimenti

Secondo Martini, la tecnologia per una navigazione a impatto zero è già disponibile. Il vero ostacolo, però, riguarda la volontà politica e la capacità delle aziende di sostenere gli investimenti necessari. Da qui l’appello alle autorità norvegesi per introdurre regolamentazioni più severe che spingano l’intero settore ad accelerare la transizione.

L’idea è che la rotta costiera Bergen–Kirkenes possa diventare un laboratorio a cielo aperto per la navigazione sostenibile, un esempio da seguire per altre nazioni e settori industriali. “Le opportunità esistono” ha affermato Martini” ma serve la volontà di trasformarle in realtà”.

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Scoperte a Mendik Tepe: l’archeologia riscrive l’inizio della storia

Nel territorio della Mezzaluna Fertile, una regione che ha segnato la nascita dell’agricoltura e delle prime comunità stanziali, un nuovo sito archeologico sta attirando l’attenzione della comunità scientifica internazionale: si tratta di Mendik Tepe, tumulo preistorico nel distretto di Eyyübiye a Şanlıurfa, in Turchia sudorientale, che potrebbe cambiare di molto la narrazione dell’inizio della storia umana.

Fino ad oggi, il primato del “punto zero della civiltà” era attribuito a Göbekli Tepe, con gli imponenti pilastri a forma di T datati intorno al 9600 a.C. Tuttavia, gli indizi emersi da Mendik Tepe suggeriscono che questo sito possa essere addirittura più antico, e gettare nuova luce sulle origini dell’architettura monumentale e delle prime società organizzate.

Gli scavi internazionali e la scoperta del tumulo

L’interesse per Mendik Tepe nasce da un’intuizione dell’archeologa Fatma Şahin, che per prima individuò il tumulo nei pressi del villaggio di Payamlı. Oggi il sito è al centro di una campagna di scavi condotta dal Professor Douglas Baird dell’Università di Liverpool, in collaborazione con il Museo Archeologico di Şanlıurfa e il British Institute of Archaeology.

Gli studiosi coinvolti nel progetto sottolineano come le strutture rinvenute non siano semplici repliche di quelle già conosciute in altri siti della regione, ma presentino caratteristiche proprie, capaci di aprire nuove prospettive sulla nascita della cultura neolitica.

Baird stesso ha evidenziato come gli edifici di Mendik Tepe rivelino tratti distintivi che li collegano a Göbekli Tepe e Karahantepe, pur distinguendosi per originalità e, forse, per maggiore antichità.

Architetture tra vita quotidiana e ritualità

Uno degli elementi più affascinanti di Mendik Tepe è la varietà delle strutture portate alla luce.

Non è, infatti, un sito esclusivamente rituale, come spesso viene descritto Göbekli Tepe, bensì di un insediamento complesso e polifunzionale: alcuni edifici di piccole dimensioni sembrano destinati alla conservazione o alla preparazione degli alimenti, a testimonianza di una gestione comunitaria delle risorse.

Le costruzioni di medie dimensioni, con una larghezza di circa quattro o cinque metri, potrebbero aver avuto la funzione di abitazioni comuni, segno di un’organizzazione sociale già definita. Ancora più enigmatiche sono le grandi strutture in pietra, lavorate con cura, che lasciano pensare a luoghi di culto o cerimonia.

Una simile compresenza di spazi domestici e sacri rafforza l’idea di una comunità capace di integrare la quotidianità con la dimensione simbolica e spirituale.

Più antico di Göbekli Tepe?

Veduta aerea degli scavi effettuati a Mendik Tepe in Turchia

Photo by Cebrail Caymaz/Anadolu via Getty Images

Veduta aerea degli scavi effettuati a Mendik Tepe

L’aspetto che più colpisce gli archeologi riguarda la cronologia del sito: le prime analisi comparative con altri tumuli della regione, come Çakmak Tepe, suggeriscono che Mendik Tepe possa risalire a un periodo ancora precedente rispetto a Göbekli Tepe.

Se tali ipotesi venissero confermate dalle datazioni al radiocarbonio, la nascita delle prime architetture monumentali si collocherebbe ancora più indietro nel tempo, ridisegnando la linea di confine tra preistoria e storia.

Un dettaglio rilevante è la differenza stilistica delle pietre verticali, che qui non assumono la classica forma a T, ma presentano varianti più semplici e rudimentali, un elemento che potrebbe testimoniare una fase di transizione nella sperimentazione costruttiva delle prime comunità sedentarie.

Mendik Tepe all’interno della rete di Taş Tepeler

Il tumulo non è un caso isolato, ma parte integrante del vasto progetto archeologico Taş Tepeler, che comprende oltre dodici siti distribuiti nell’area di Şanlıurfa: i siti, tra cui Sayburç e Çayönü Tepesi, formano un mosaico unico di testimonianze che documentano la diffusione delle prime pratiche agricole, dei rituali comunitari e delle forme embrionali di urbanizzazione.

Mendik Tepe, con le sue peculiarità architettoniche, sembra essere un tassello indispensabile per comprendere la varietà e l’interconnessione delle culture neolitiche nella regione: la scoperta conferma che la nascita della civiltà non fu un processo lineare, ma il risultato di una pluralità di esperimenti sociali e architettonici.

Una chiave per comprendere la nascita della civiltà

La posta in gioco è alta. Gli studiosi ritengono che i reperti di Mendik Tepe possano contribuire a chiarire questioni fondamentali: come gli esseri umani abbiano trasformato la caccia e la raccolta in un’economia agricola stabile, come abbiano progettato i primi spazi comunitari, e quale ruolo abbiano avuto i rituali nella coesione sociale. Ogni pietra ritrovata e ogni struttura ricostruita rappresentano un tassello nella lunga transizione che ha portato i nostri antenati a diventare costruttori di città e fondatori di civiltà.

Gli scavi a Mendik Tepe sono ancora in corso e la comunità scientifica attende con impazienza i risultati delle analisi più approfondite.

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Agia Pelagia, il cuore segreto della costa nord di Creta

Agia Pelagia è una delle località più amate della costa settentrionale di Creta, una baia incantevole che sorge a circa venti chilometri dal capoluogo Heraklion. Nonostante la vicinanza alla città principale, mantiene un’atmosfera raccolta e autentica, perfetta per chi cerca un punto di partenza strategico per esplorare l’isola senza rinunciare al fascino di un villaggio sul mare.

La sua posizione, sul lato opposto del golfo rispetto a Hersonissos e Malia, la rende in qualche modo la loro “gemella occidentale”, ma con un carattere meno caotico e più intimo.

Come arrivare

Raggiungere Agia Pelagia è molto semplice. La maggior parte dei visitatori arriva in aereo a Heraklion, e in poco più di venti minuti di auto si ritrova al cospetto del paesaggio marino della baia. Chi atterra invece all’aeroporto di Chania deve mettere in conto un tragitto più lungo, circa centocinquanta chilometri, che tuttavia si rivela un percorso panoramico tra le campagne e le montagne cretesi.
In ogni caso, la scelta migliore resta sempre noleggiare un’auto: Creta è troppo grande e sorprendente per essere esplorata solo in scooter, e avere un mezzo a disposizione significa libertà totale di movimento.

Tale centralità permette ad Agia Pelagia di essere un vero crocevia: da qui Rethymno si trova a soli sessanta chilometri, mentre Ierapetra, porta d’accesso all’estremità orientale, dista poco più di centoventi.

Spiagge da sogno tra scogliere e baie protette

La spiaggia principale, pur non essendo molto ampia, è il cuore pulsante di Agia Pelagia, dove il mare assume tonalità che variano dal turchese al blu intenso, mentre la fila di ombrelloni disponibili diventa “terreno di conquista” già dalle prime ore del mattino. Nonostante lo spazio ridotto e la presenza di imbarcazioni che limitano l’area balneabile, l’atmosfera resta rilassata, e il contatto diretto con il piccolo villaggio rende l’esperienza davvero piacevole.

Poco distante ecco Mononaftis, spiaggia raccolta e scenografica, lunga meno di cento metri ma con un fascino insuperabile: gli ombrelloni di paglia che punteggiano la battigia le conferiscono un’aria quasi caraibica, mentre le acque turchesi e profonde attraggono nuotatori e appassionati di snorkeling. In estate può essere molto affollata, ma il suo spirito resta quello di un luogo accogliente e vivace.

Chi preferisce ambienti più tranquilli può dirigersi verso Psaromoura, una caletta di sassolini, riparata dai venti e amatissima dai locali, dove la trasparenza dell’acqua è sorprendente, quasi ipnotica, e il piccolo chiosco sulla spiaggia diventa il punto ideale per rinfrescarsi dopo una nuotata.

Se l’obiettivo è il comfort, allora la spiaggia sabbiosa di Kladissos è la scelta perfetta: con i ristoranti affacciati direttamente sul mare, regala un mix di relax e gusto. Da un lato le sdraio e gli ombrelloni a prezzi accessibili, dall’altro un lounge bar che diffonde musica soft e trasforma la baia in un rifugio raffinato.

Infine, a pochi chilometri, si apre la meravigliosa baia di Lygaria, probabilmente la più popolare della zona. Protetta da alte scogliere che riparano dal vento, vanta ampi spazi e servizi ben organizzati, ideali per famiglie e coppie. La facilità di parcheggio e l’acqua sempre calma la rendono ottima per una giornata di mare senza pensieri.

Mare cristallino nella baia di Agia Pelagia a Creta

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Mare cristallino nella baia di Agia Pelagia

Oltre il mare: cosa fare e vedere nei dintorni

Agia Pelagia non è solo spiaggia e relax. La sua vicinanza a Heraklion permette di alternare giornate di mare a momenti di scoperta culturale. In meno di mezz’ora ci si ritrova davanti alla maestosa fortezza veneziana che domina il porto della città, oppure si passeggia tra i vicoli del centro storico assaporando il ritmo vivace della capitale. Poco distante, il Palazzo di Cnosso invita a un tuffo nell’antichità minoica, tra miti e leggende che riportano alla luce la storia più antica d’Europa.

Chi vuole invece vivere l’anima più selvaggia di Creta può spingersi verso sud. In circa un’ora di macchina si raggiungono le spiagge di Kommos e Matala, celebri per gli scenari spettacolari e per l’atmosfera bohémien che ancora aleggia tra le grotte scavate nella roccia.

E per chi conosce già Creta, soggiornare ad Agia Pelagia può persino evocare un senso di familiarità: i panorami della baia, infatti, ricordano quelli del golfo di Mirabello, tra Agios Nikolaos ed Elounda: è come vivere un déjà-vu, dove il mare, le montagne e la luce si fondono in una cornice che sembra sospesa tra realtà e memoria.

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Bayeux, la perla normanna tra Medioevo e memoria storica

Nel cuore della Normandia, Bayeux appare come una piccola meraviglia sospesa tra passato e presente. Durante la Seconda Guerra Mondiale, fu miracolosamente risparmiata dalla furia dei bombardamenti, un destino che le ha permesso di conservare intatto tutto il suo fascino antico.

Passeggiando tra le vie medievali, ci si ritrova immersi in un’atmosfera senza tempo, tra canali animati dai mulini ad acqua, eleganti chiese ed edifici storici che raccontano secoli di storia. Una delle particolarità più sorprendenti di Bayeux è l’assenza quasi totale di periferie e zone industriali: l’abitato si mantiene armonioso, compatto e autentico, come se la modernità avesse deciso di fermarsi alle porte della città.

Ma il vero tesoro che l’ha resa celebre in tutto il mondo è il suo straordinario arazzo medievale, una testimonianza artistica unica che le ha valso il riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità UNESCO.

Come arrivare

Raggiungere Bayeux è semplice e offre diverse alternative, ideali per chi arriva dall’Italia o da altre città europee. Gli aeroporti di riferimento sono quelli di Parigi: Beauvais, Orly e Charles de Gaulle, da cui è possibile noleggiare un’auto e mettersi in viaggio verso la Normandia. La distanza dalla capitale francese è di circa 270 chilometri e il percorso in auto dura poco più di tre ore, lungo l’autostrada A13.

Chi preferisce viaggiare in treno può affidarsi alla linea ferroviaria Parigi Saint-Lazare – Cherbourg: in circa due ore i convogli regionali ad alta frequenza conducono nella cittadina normanna.

Infine, c’è anche l’opzione autobus: i Flixbus collegano Bayeux con Parigi Bercy Seine, mentre i Busverts propongono rapidi collegamenti tra la capitale e le principali città della Normandia.

Cosa vedere a Bayeux

Piccola e raccolta, ma traboccante di fascino, Bayeux è una meta imperdibile in Normandia, a soli dieci chilometri dal mare e non lontana dalle celebri spiagge dello sbarco.

Il centro storico è un gioiello medievale che sorprende con scorci davvero pittoreschi: mulini ancora attivi che si affacciano sul fiume Aure, case a graticcio dai colori vivaci e palazzi rinascimentali che punteggiano vicoli stretti e suggestivi.

L’Arazzo di Bayeux

Il capolavoro che ha reso celebre la città nel mondo intero è la Tapisserie de Bayeux, un’opera monumentale che con ben 68 metri di lunghezza in lino dipinto racconta una delle vicende chiave dell’XI secolo: la conquista dell’Inghilterra da parte dei normanni. È un racconto epico e al tempo stesso minuzioso, che intreccia battaglie, intrighi, tradimenti e trionfi, con una precisione narrativa degna di un cronista dell’epoca. Sui nove pannelli che compongono l’arazzo compaiono oltre 600 personaggi, 500 animali, 200 cavalli e decine di elementi naturali e architettonici che danno vita a un affresco impareggiabile.

L’audioguida disponibile accompagna alla scoperta dei dettagli nascosti della tela, capace di trasportare indietro nel tempo fino al 1066, anno della battaglia di Hastings. Scampato alla furia nazista, l’arazzo venne nascosto negli scantinati del Louvre durante l’occupazione, per poi essere restaurato e infine restituito alla città che lo custodisce gelosamente nel suo museo.

La Tapisserie de Bayeux

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Il celebre arazzo

La Cattedrale di Bayeux

Pochi luoghi riescono a trasmettere la solennità del Medioevo come la maestosa Cattedrale di Bayeux, consacrata nel 1077 alla presenza di Guglielmo il Conquistatore e della regina Mathilde. Capolavoro di architettura gotica normanna, si impone con la grandiosa facciata, scandita da cinque portali, e con l’alternanza di archi romanici e gotici che ne sottolineano l’evoluzione stilistica.

All’interno, le grandi vetrate colorate proiettano bagliori cangianti sulle navate, creando giochi di luce di rara suggestione. Da non perdere la cripta, con i dipinti quattrocenteschi perfettamente conservati, una finestra intatta sull’arte medievale.

Accanto alla cattedrale, un simbolo della storia moderna: uno degli ultimi Alberi della Libertà, platani piantati nel 1797 in ogni comune francese per celebrare gli ideali della Rivoluzione.

Il Memoriale della Battaglia di Normandia

Bayeux occupa un posto speciale nella memoria del Novecento: fu infatti la prima città francese ad essere liberata nel giugno del 1944, dopo lo sbarco in Normandia: il Memoriale della Battaglia di Normandia racconta una pagina drammatica e fondamentale della storia europea tramite reperti originali, documenti e testimonianze che ricostruiscono le operazioni militari. Sul piazzale antistante il museo si possono ancora ammirare veicoli militari d’epoca, che rendono tangibile l’atmosfera di quei giorni.

Accanto al memoriale sorgono due luoghi di profonda commozione: il Reporter Memorial, dedicato ai giornalisti caduti in ogni parte del mondo per difendere la libertà di stampa, e il British Military Cemetery, che custodisce oltre 4000 tombe di soldati del Commonwealth.

Il Museo del Barone Gérard

Per chi ama l’arte e la storia, il MAHB – Museo d’Arte e Storia Baron Gérard è una tappa irrinunciabile. Allestito nell’ex palazzo episcopale, dona un affascinante percorso alla scoperta dello sviluppo artistico europeo, dalla preistoria al XX secolo. Le 45.000 opere della collezione, suddivise in quattordici tappe cronologiche, permettono di spaziare dall’antichità al Medioevo, fino al Settecento e oltre.

Ciò che rende unico il museo è l’approccio innovativo: le sale sono pensate per coinvolgere e sorprendere, e rendere l’esperienza accessibile a tutte le età. Emblematico è lo spazio dedicato al Settecento, con le scenografie giocose e le poltrone “volanti”, capaci di trasportare in un viaggio tanto culturale quanto immaginifico.

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Egitto, come visitare Abu Simbel, consigli e trucchi per godersi al meglio il sito

Abu Simbel è uno dei siti archeologici più belli, interessanti e maestosi dell’Antico Egitto, capolavoro assoluto dell’architettura faraonica. La sua storia, anche recente, è a dir poco affascinante. Una visita a questo luogo merita assolutamente, tanto che viene proposto come escursione, anche extra e da fare in giornata, durante le crociere sul Nilo e a chi trascorre una vacanza sulle spiagge del Mar Rosso. Se siete in procinto di partire per uno di questi viaggi, mettete Abu Simbel tra le vostre priorità. La prima volta che ho fatto la crociera non l’avevo incluso per via dei costi aggiuntivi e neppure tutte le volte che sono stata sulle spiagge egiziane. Ma me ne sono sempre pentita. Alla fine, ci sono andata. Ed ecco perché non dovete fare il mio stesso sbaglio.

L’escursione ad Abu Simbel

Come ho detto, Abu Simbel viene abbinato alle crociere sul Nilo o ai soggiorni mare in Egitto, in entrambi i casi il viaggio è molto lungo. Solitamente è un’escursione fuori programma, anche se qualche tour operator la inserisce già in partenza e quindi è compresa nel pacchetto. Come tappa della crociera, solitamente si parte da Assuan dove la nave fa sosta lungo il Nilo mentre i passeggeri sbarcano e il tempo di percorrenza in pullman è di circa tre ore e mezza mentre in aereo 8ad Abu Simbel c’è un piccolo aeroporto dove volano compagnie di linea) il volo dura 45 minuti. Dalle spiagge del Mar Rosso invece la distanza è di circa 650-750 km a seconda di dove si parte ed è una vera mazzata. Ma già che ci siete fatelo ugualmente.

Il consiglio migliore ovviamente è quello di prevedere un pernottamento e non di fare la visita in giornata perché si ammortizza il viaggio (almeno per quanto riguarda la durata) che diventa così meno stancante e, al contempo, si gode al massimo dell’esperienza di visita di quello che, forse, è il tempio (o i templi, perché in realtà sono due) più bello che questa civiltà così evoluta, misteriosa e interessante ci abbia lasciato. Sì, perché restando anche la sera non soltanto si potranno visitare i tempi di Ramses II e della regina sua sposa Nefertari con tutta calma, ma si potrà tornare anche la sera per lo spettacolo di suoni e luci che rende questi maestosi templi scavati nella roccia incredibilmente maestosi.

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@SiViaggia – Ilaria Santi

L’immagine che si ha davanti quando si arrriva ad Abu Simbel-egitto

Cosa vedere ad Abu Simbel

Il complesso monumentale di Abu Simbel che si staglia nel bel mezzo del deserto (ricordatevi di portare con voi acqua, cappello, crema solare e vi consiglio anche un ventaglio e una bomboletta spray di acqua vaporizzata) rappresenta l’apoteosi del regno di Ramses II, con la realizzazione di due templi in onore di AmonRa, Ptah, Harmakhis e di se stesso, oltre al tempio minore realizzato in onore di Nefertari, sua sposa.

Si trova sulle sponde del Lago Nasser l’immenso lago artificiale venutosi a creare in seguito alla costruzione della Diga di Assuan. Se vi capita di trovarvi ad Abu Simbel all’ora del tramonto potete godere dello spettacolo dei templi che s’affacciano sulle acque del lago. La visita di Abu Simbel può durare dalle due alle tre ore, ma se decidete di restare fino al tramonto o addirittura per lo spettacolo di Suoni e Luci serale allora ci resterete tutta la giornata. In caso di escursione in giornata, nel primo pomeriggio si riparte per Assuan.

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@SiViaggia – Ilaria Santi

Il Tempio di Ramses II con le colossali statue

Il Tempio di Ramses II

Il tempio fu scavato in una montagna della sponda occidentale del Nilo tra il 1290 e il 1224 a.C.. Rimase sommerso dalla sabbia per secoli, fino alla sua scoperta, del tutto accidentale, avvenuta nel 1813. La facciata è a dir poco monumentale. Una breve rampa di scale porta dal cortile anteriore alla terrazza di fronte alla facciata tagliata nella roccia dove, a guardia dell’ingresso, si stagliano quattro colossali statue alte 20 metri che rappresentano Ramses II seduto sul trono rivolte verso il fiume. Sopra la porta della sala si trova la figura del Dio sole dalla testa di falco; la grande sala è sorretta da otto colonne alle quali sono appoggiate altre statue di faraone la cui immagine è effigiata anche nei rilievi alle pareti; il soffitto della sala è ornato di avvoltoi simbolo di Osiride.

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@SiViaggia – Ilaria Santi

L’interno del Tempio grande di Ramses II ad Abu Simbel

La camera più interna del tempio è il Sacro santuario che contiene le rappresentazioni delle quattro divinità sedute nei loro troni scavati nella parete. All’interno sono rappresentate scene di guerra, in particolare la battaglia di Qadesh, combattuta da Ramses II (1279-1213 a.C.) contro il re ittita Muwatalli nella valle dell’Oronte. Il tempio è stato costruito in modo che ogni 22 febbraio e 22 ottobre, anniversario dell’incoronazione e della nascita di Ramses, all’alba il sole attraversi tutte le stanze e giunga a illuminare Hamon e il Faraone, lasciando però Ptah (dio dell’oscurità) nell’ombra.

Il Tempio di Nefertari

Il tempio dedicato alla dea Hathor e alla regina Nefertari, moglie prediletta di Ramses II, è anch’esso scavato nella roccia. Le sei statue, quattro di Ramses e due di Nefertari (alte uguali, cosa rarissima in quanto solitamente le regine venivano rappresentate più piccole, simbolo dell’amore del faraone per la regina), che si stagliano davanti alla soglia affiancate da altre più piccole a rappresentare i principi e le principesse. Le colonne della sala interna hanno capitelli raffiguranti Hathor e i rilievi alle pareti rappresentano il faraone vittorioso e la sua sposa al cospetto degli dèi, ma ci sono anche scene religiose e familiari. Il tempio conserva anche la statua di una mucca, simbolo della dea Hathor, che fuoriesce per metà dalla parete. Il biglietto d’ingresso per visitare Abu Simbel costa 14,50 euro.

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@SiViaggia – Ilaria Santi

Il Tempio di Nefertari ad Abu Simbel

Lo spettacolo serale Suoni & Luci

Tutte le sere, al calar del sole, viene organizzato il suggestivo spettacolo di Suoni e Luci che racconta la storia dei templi, proiettando effetti luminosi sulle due colossali facciate. Lo show di Sound & Light inizia alle 20 e alle 21 (ce ne sono due), dura circa 40 minuti e costa 17 euro. L’audio è disponibile in tutte le lingue e viene scelto di volta in volta in base alla lingua parlata dalla maggioranza degli spettatori di quello spettacolo. Quindi, se ci sono tanti italiani, viene rappresentato nella nostra lingua ed decisamente meglio.

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@SiViaggia – Ilaria Santi

Lo spettacolo di Suoni & Luci sulla facciata dei tempio di Ramses II ad Abu Simbel

L’incredibile storia di Abu Simbel

Non è solo l’imponente complesso di Abu Simbel ad affascinare e a lasciare a bocca aperta i visitatori, ma anche la sua incredibile storia. Come ho accennato, i templi furono costruiti nel XIII secolo a.C., durante il regno del faraone Ramses II per celebrare, come spesso accadeva nell’Antico Egitto, la potenza del re e il suo culto divino, per onorare gli dèi, ma, in questo caso, anche per intimidire i vicini nubiani, mostrando la forza militare e religiosa dell’Egitto. Infatti, Abu Simbel sorse proprio al confine con la Nubia e si trovava, allora, sulle rive del Nilo. Ora non è più così perché è ubicato sulle rive del Lago Nasser. Ed è qui che la storia più recente lascia di stucco. Ve la riassumo.

Dopo il declino dell’Antico Egitto, avvenuto fondamentalmente con l’arrivo dei romani, i templi furono in gran parte dimenticati e, nei secoli, coperti dalla sabbia del deserto. Fu solo nel 1813 che l’esploratore svizzero Johann Ludwig Burckhardt segnalò il sito e, pochi anni dopo, l’italiano Giovanni Belzoni riuscì a entrare nel tempio principale. Circa 150 anni dopo la grandiosa scoperta, però, il governo egiziano, per risolvere il problema della siccità e contrastare le piene del Nilo che, più che salvare le coltivazioni le distruggevano, decise di costruire una grande diga. La famosa Diga di Assuan fu realizzata negli Anni ’60 e fu un’opera a dir poco grandiosa. Peccato che a farne le spese fu proprio il sito di Abu Simbel perché, con la formazione del Lago Nasser (dal nome dell’allora leader egiziano Gamal Abdel Nasser che volle realizzare l’opera), i templi rischiavano di essere sommersi.

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@SiViaggia – Ilaria Santi

Il Lago Nasser su cui s’affaccia il complesso di Abu Simbel

Fu grazie all’intervento dell’Unesco che i due templi furono salvati, con un’opera altrettanto colossale, grazie alla quale oggi Abu Simbel è il sito che tutto il mondo può vedere. In pratica, tra il 1964 e il 1968 fu avviata una delle più grandi imprese ingegneristiche della storia: entrambi i templi furono completamente smontati, numerati e ricostruiti più in alto. Furono tagliati in migliaia di blocchi di pietra del peso anche fino a 30 tonnellate ciascuno. E tutto questo immane lavoro “solo” per spostare il Tempio di Ramses II e quello di Nefertari 65 metri più in alto e 200 metri più indietro. Ma l’opera a dir poco pazzesca servì per salvarli e portali fino a noi affinché ne potessimo godere.

Naturalmente, oggi, Abu Simbel è un patrimonio dell’Unesco e, oltre a essere un luogo di culto dell’Antico Egitto, è anche un simbolo della genialità del popolo egizio che già allora aveva grandi nozioni di astronomia. Ma rappreenta anche la perfetta fusione tra archeologia e ingegneria moderna. Insomma, il sito di Abu Simbel è una delle attrazioni più visitate di tutto l’Egitto, insieme alle Piramidi e alla Valle dei Re.

Come arrivare ad Abu Simbel

Abu Simbel si trova nel profondo Sud dell’Egitto ed è raggiungibile con il pullman o in aereo. In entrambi i casi, di solito si parte la mattina presto, con il bus perché il viaggio per raggiugere il sito è lungo, con l’aereo perché si vola andata e ritorno quasi sempre in giornata. Con il bus si deve attraversare il deserto, oltrepassando il tropico del Cancro. Da Assuan dista 280 km. In aereo il volo dura circa 45 minuti e l’aeroporto si trova nei pressi dei templi. La compagnia di bandiera EgyptAir ed AirCairo di solito operano un paio di voli al giorno tra Assuan e Abu Simbel. Se si arriva dal Cairo o da Luxor è necessario fare uno scalo perché non ci sono voli diretti.

Per dovere di cronaca, ad Abu Simbel si può arrivare anche in nave e, secondo chi l’ha fatto, l’esperienza è spettacolare. Infatti, ci sono crociere che proseguono da Assuan ad Abu Simbel lungo il Lago Nasser e che durano 3-4 giorni. Durante il viaggio si visitano anche altri templi nubiani (Kalabsha, Amada, Wadi es-Sebua). Il viaggio è consigliato a chi può permetterselo, sia dal punto di vista del tempo sia del costo, ma è ancora più spettacolare.

Una volta giunti nei pressi del sito, un sentiero ad anello in mezzo alla sabbia del deserto conduce ai templi e permette di fare tutto il giro a 360 gradi. C’è anche la possibilità di spostarsi a bordo dei golf cart (a pagamento, ma costano poco).

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@SiViaggia – Ilaria Santi

Il tempio di Nefertari illuminato di notte è pura magia