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Saponara, tra memoria antica e spirito autentico

Tra i monti Peloritani e il mare che bagna la costa nord-orientale della Sicilia si nasconde Saponara, un borgo che sembra emergere dalla trama di un antico racconto. Con origini che risalgono all’anno Mille, ha vissuto epoche di potere, dominazioni feudali, terremoti e rinascite, conservando nell’impianto urbano e nelle pietre il riflesso di secoli di storia.

Sorto attorno a un castello, di cui oggi restano affascinanti ruderi, ha mantenuto intatta la sua vocazione panoramica e strategica. Qui il tempo scorre lento, tra vinedde lastricate, chiese silenziose, fontane seicentesche e riti che si tramandano da generazioni. Si tratta di una meta che sorprende, che custodisce leggende e tradizioni ancora vive, che sa parlare con il cuore a chi lo visita.

Dove si trova

Saponara sorge in provincia di Messina, a pochi chilometri dal capoluogo, incastonato a 180 metri di altitudine sulle pendici settentrionali dei monti Peloritani. Si affaccia sul corso del torrente Cardà, poco prima che si unisca al Perarella per formare la fiumara omonima. Il paesaggio che lo circonda è dolce ma selvatico, plasmato da colline, ulivi, acqua e pietra, di quei silenzi che raccontano più delle parole.

Cosa vedere: il Castello di Saponara

Dominando dall’alto l’abitato, il castello medievale di Saponara è ormai poco più di un rudere, ma basta raggiungerlo per comprendere tutta l’importanza che rivestì in passato.

Eretto su una collina a oltre 300 metri di quota, sebbene non accessibile all’interno, continua a sorvegliare con fierezza il borgo e i suoi dintorni. Delle mura rimangono tracce in pietra e laterizio, i resti di una torre e di un baluardo quadrangolare. Da lassù, il panorama si apre fino al mare e l’atmosfera sa di vento, di memoria e di sentinelle invisibili.

La Chiesa Madre di San Nicola di Bari

Cuore spirituale del paese è la Chiesa Madre di San Nicola di Bari, che nei secoli ha attraversato terremoti, restauri e rifacimenti senza mai perdere l’autenticità. Al suo interno, tra altari marmorei, affreschi e opere lignee, si respira una devozione radicata e profonda. Colpisce subito lo splendido affresco della Madonna del Rosario, incorniciato da una struttura lignea che ospita anche i Misteri, realizzata dal pittore Giuseppe Crestadoro.

Al centro della chiesa spicca il Crocifisso ligneo, un’opera imponente incorniciata da sei edicole scolpite, che raccontano momenti salienti del Vangelo. L’opera, arricchita da un ciborio ligneo con angeli adoranti e un piccolo rosone simbolo del dominio divino, è firmata dallo scultore Salvatore Anastasi. All’esterno, il campanile e la piazzetta Matrice, incorniciata da un tipico bar siciliano, invitano a una sosta lenta, magari con una granita in mano e lo sguardo sulle casette.

Il Quadrittu e la devozione per l’Immacolata

A Saponara, la fede è una tradizione viva, che si esprime con forza nella Festa del Quadrittu, una processione mariana che affonda le radici in un gesto di ribellione popolare: furono i carbonai, gente semplice ma determinata, a rivendicare il diritto di portare in spalla l’effigie sacra, un gesto simbolico che segnava la distanza dai notabili locali.

La festa, che culmina l’8 dicembre con la processione dell’Immacolata Concezione, è uno dei momenti più sentiti dell’anno: la statua lignea policroma, conservata nella chiesa a lei dedicata (un tempo intitolata a Santa Caterina d’Alessandria) è molto amata dai saponaresi.

La Fontana del Bottesco

Da piazza Immacolata, salendo tra le strette vinedde, si raggiunge uno degli angoli più suggestivi di Saponara ovvero la Fontana del Bottesco, un’antica sorgente risalente al Seicento dove scorre l’acqua limpida che disseta. Poco distante ecco anche il lavatoio pubblico, altro luogo simbolo della quotidianità di una realtà non così lontano.

La sorgente, oltre a rappresentare un bene comune, è legata al nome stesso del paese. Saponara, infatti, deriva dalla pianta di Saponaria officinalis, un’erba un tempo utilizzata come detergente naturale. Acqua, pietra, tradizione e cura: la fontana racchiude tutto questo, e invita a fermarsi, ad ascoltare, a riconoscere la semplicità come forma di bellezza.

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Savoca, il borgo siciliano dove il cinema non è mai andato via

Savoca, piccolo borgo di appena 1750 abitanti arroccato tra i colli della costa ionica, è diventato celebre in tutto il mondo per essere stato uno dei set principali del capolavoro di Francis Ford Coppola, Il Padrino. Eppure, la sua magia non si esaurisce nel ricordo cinematografico e la sua essenza è plasmata da stradine lastricate, case in pietra lavica, agrumeti e silenzio, in una dimensione sospesa tra la terra e il cielo, tra i profumi della campagna e lo splendido Golfo di Taormina, che da qui si raggiunge in pochi minuti.

Passeggiare a Savoca è un po’ come viaggiare nel tempo, tra palazzi nobiliari dimenticati, chiese barocche, ruderi che dominano la vallata e bar che hanno fatto la storia del cinema.

Dove si trova Savoca

Savoca si trova in provincia di Messina, incastonata nella Valle d’Agrò, a circa 40 chilometri da Messina e 20 da Taormina. Un borgo di collina con lo sguardo sul mare, che vive al ritmo delle stagioni e conserva ancora oggi il fascino delle piccole comunità.

Cosa vedere a Savoca: la Porta della Città

Ad accogliere chi entra nel cuore del borgo ecco la Porta della Città, uno degli ultimi resti delle antiche fortificazioni normanne che un tempo proteggevano Savoca.

Il monumentale arco in pietra arenaria, risalente al XII secolo, è ciò che rimane della cinta muraria originaria che cingeva il paese, accessibile da due ingressi principali: uno nel quartiere San Giovanni e l’altro nel quartiere San Michele. Solo quest’ultimo si è conservato fino ai giorni nostri, testimone silenzioso di un’epoca di conquiste, dominazioni e leggende.

Il Castello di Pentefur, tra leggenda e pietra viva

Su uno dei due colli su cui si estende Savoca, sorgono i ruderi del Castello di Pentefur, avvolto dal mistero. Le sue origini si perdono nel tempo, forse tardo-romane, forse bizantine, ma fu nel XII secolo, sotto il regno di Ruggero II di Sicilia, che venne riedificato per diventare residenza estiva dell’Archimandrita di Messina.

Oggi del castello rimangono solo tracce: un mastio quadrangolare, resti di mura merlate, ambienti interni ormai spogli, ma carichi di memoria. Dall’alto, si scorge tutto il territorio e si comprende la funzione difensiva della struttura, un tempo collegata visivamente a un sistema di torri lungo la costa tra cui Torre Catalmo, Torre dei Saraceni, Torre del Baglio e molte altre.

La Chiesa di San Michele, arte sacra tra gotico e barocco

Edificata intorno al 1250, la Chiesa di San Michele è uno dei monumenti più significativi del borgo. Dichiarata monumento nazionale nel 2002, ha attraversato secoli di storia trasformandosi con essi: nata come luogo di culto per la liturgia in rito greco, venne ampliata nel 1400 con due portali in stile gotico-siculo-chiaramontano, elementi che ancora oggi ne impreziosiscono la semplice facciata a capanna.

All’interno, custodisce veri e propri tesori artistici: un affresco del 1701 raffigurante il Battesimo di Cristo nel Giordano, antichi dipinti dei santi Cosma e Damiano, altari barocchi, un pulpito ligneo del Settecento, e persino le tombe di notabili locali.

La Chiesa di San Nicolò: arte, memoria e il mito de Il Padrino

La Chiesa San Nicolò a Savoca, Sicilia

Fonte: iStock

Suggestiva veduta della Chiesa San Nicolò

Affacciata su un profondo dirupo e abbracciata da un panorama che lascia senza fiato, la Chiesa di San Nicolò è uno dei luoghi simbolo di Savoca, tanto da essere conosciuta nel mondo per aver fatto da sfondo a una delle scene più celebri del film Il Padrino. È proprio sulla sua scalinata che Michael Corleone esce dalla chiesa al fianco di Apollonia, nel giorno delle nozze. Ma questa chiesa, ben prima del cinema, era già parte del tessuto più profondo della storia savocese.

Viene costruita nel XIII secolo con forme sobrie e affreschi in stile bizantino. Solo nel Seicento, dopo un rimaneggiamento importante, assume l’impianto architettonico che possiamo ammirare: una struttura maestosa ma austera, con linee che richiamano una fortezza. La facciata, scandita da poderose parastre e suddivisa in due ordini, è sormontata da un parapetto merlato che la rende unica. Al centro, spicca un raffinato busto marmoreo quattrocentesco di Santa Lucia, che osserva con sguardo fermo il viavai discreto del borgo. Accanto, svetta la torre campanaria, arricchita da un orologio.

All’interno, si aprono eleganti tre navate, separate da colonne di granito con capitelli scolpiti, e impreziosite da altari marmorei di grande pregio. Ma il vero tesoro è la raccolta di opere d’arte salvate dalle chiese crollate per frane nel corso dei secoli. Tra queste, spiccano la tavola trecentesca di San Michele Arcangelo, una tela di Gaspare Camarda del 1623 raffigurante la Madonna del Parto, un simulacro in argento di Santa Lucia realizzato nel 1666, e una statua lignea di San Vincenzo Ferreri, scolpita nella seconda metà del Settecento da Filippo Quattrocchi.

Non meno significativa è la cripta, visibile solo in parte a causa del crollo avvenuto nel 1943, ma che per secoli ha accolto le spoglie dei savocesi più umili. Sotto la piazzetta antistante, infatti, esistono ancora ossari nascosti, memoria tangibile del legame profondo tra la chiesa e la vita quotidiana della comunità.

La Chiesa Madre Maria Assunta in Cielo, cuore spirituale del borgo

C’è un punto in Savoca in cui lo sguardo si alza e si ferma, ammirato, sulla solenne facciata della Chiesa Madre Maria Assunta in Cielo, l’edificio sacro più importante del borgo, la matrice che vanta secoli di fede, arte e memoria. La sua origine risale al 1130, quando venne edificata su una struttura preesistente. Da allora ha resistito al tempo, divenendo Monumento Nazionale.

All’esterno, la facciata a doppio spiovente è ritmata da tre portali, il centrale dei quali, decorato con motivi fogliacei in stile rinascimentale, spicca per la sua eleganza. Ma è l’imponente campanile a catturare l’attenzione, con le finestre monofore del Quattrocento e un orologio rarissimo, che tuttora segna il tempo secondo l’antica Hora Italica.

L’interno è pura armonia architettonica: tre navate, colonne monolitiche, capitelli romanici finemente scolpiti. Sette altari impreziosiscono l’ambiente, tra cui l’altare maggiore in marmo, datato 1795. Tutt’intorno, un susseguirsi di affreschi medievali, pitture cinquecentesche, il magnifico soffitto a capriate lignee e la presenza storica della cattedra dell’Archimandrita di Messina.

Convento e Cripta dei Cappuccini, silenzio e memoria

Sopra un colle che veglia l’intero abitato, da non perdere è il Convento dei Cappuccini che, costruito tra il 1603 e il 1614, conserva la struttura originale: al piano terra si trovavano la biblioteca, il refettorio e la cucina, mentre al piano superiore le venti celle ospitavano i frati. Il convento era autosufficiente, grazie a un ampio orto oggi trasformato in Parco comunale, e accoglie ancora alcuni affreschi secenteschi realizzati da frate Gaetano La Rosa.

Ma è nel sottosuolo, proprio sotto la piazzetta antistante la chiesa, che si nasconde la parte più suggestiva e inquieta del complesso: la Cripta dei Cappuccini: trentasette corpi mummificati, appartenenti all’aristocrazia e alla borghesia savocese, riposano in nicchie o bare aperte, vestiti con abiti d’epoca. Patrizi, notai, medici, poeti, religiosi, persino tre bambini e una nobildonna.

Accanto alla cripta, la Chiesa di San Francesco d’Assisi si presenta con una semplice facciata a capanna, un portale in pietra e un interno raccolto, dove risaltano due altari (uno in marmo, l’altro in legno) che raccontano la devozione francescana.

Palazzo Trimarchi e il Bar Vitelli, cinema e identità

Palazzo Trimarchi, celebre Bar Vitelli de Il Padrino a Savoca

Fonte: iStock

Il celebre Bar Vitelli de Il Padrino

Nel centro del paese, Palazzo Trimarchi si distingue per le linee eleganti e i balconcini in pietra intagliata. Edificio nobiliare, costruito tra la fine del Seicento e i primi del Settecento, fu una delle residenze più prestigiose dell’antica Savoca. Appartenuto all’influente famiglia dei Trimarchi, è ormai noto in tutto il mondo per un motivo che nulla ha a che fare con la nobiltà, ma tutto con la potenza del cinema.

Nel 1971, al piano terra di Palazzo Trimarchi, vennero girate alcune delle scene clou de Il Padrino. È qui che Michael Corleone si ferma per chiedere la mano di Apollonia. Ancora oggi, il piccolo locale esiste, conservato come un tempo, ed è conosciuto da tutti come il Bar Vitelli. Gli interni sono un museo informale: fotografie, cimeli, locandine, tutto racconta il legame tra Savoca e quel film entrato nella leggenda. Fermarsi qui per una granita al limone o un caffè freddo è un piccolo rito che unisce racconto e realtà, finzione e memoria.

La Chiesa del Calvario: silenzio, riti e panorami che parlano al cuore

Da vedere anche la Chiesa del Calvario, che sorge sulla cima dell’omonimo colle e domina il paesaggio con una vista indimenticabile sull’Etna, sulla costa ionica e sull’intero borgo.

La chiesa, dedicata alla Beata Vergine dei Sette Dolori e della Santa Croce, venne edificata nel XVIII secolo sui resti di un antico eremo abitato un tempo dai monaci basiliani provenienti dall’abbazia dei Santi Pietro e Paolo d’Agrò, a Casalvecchio Siculo. In questo luogo appartato, dove l’aria profuma di erbe selvatiche e di salsedine lontana, i monaci trovavano rifugio per la preghiera e la meditazione.

Nel 1735, furono i monaci Gesuiti a lasciare un’impronta forte: qui edificarono le stazioni della Via Crucis, segnando il colle con i passi della Passione. Da allora, la Chiesa del Calvario è divenuta il cuore dei riti legati alla Settimana Santa, che si svolgono con solennità e partecipazione collettiva.

Davanti alla chiesa si erge un grande arco in pietra, dall’aspetto nobile e misterioso, che si ritiene appartenesse a un’antica struttura e che oggi accoglie chi giunge fin quassù, come una soglia tra il visibile e l’invisibile.

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Il Dasht-e Lut è un deserto infernale: è il più caldo della Terra

Non è un posto molto conosciuto ma vanta un primato: è il deserto più caldo della Terra. Stiamo parlando di Dasht-e Lut, il luogo in cui ogni granello di sabbia potrebbe raccontare storie di fuoco e silenzio. Non si tratta di un’esagerazione, il luogo incredibile in Iran è una sorta di inferno a cielo aperto, una distesa spietata che sa però affascinare e incantare. Non si trovano ombra, acqua o rifugi naturali ma è presente la natura più cruda e primordiale.

Cosa significa il nome Dasht-e Lut

Il nome Dasht-e Lut, in farsi, significa “deserto vuoto”. E non è solo un modo di dire: questa sterminata area dell’Iran sud-orientale è priva di acqua, vegetazione e quasi di vita. Ma è proprio in questo vuoto che si sprigiona la sua forza brutale e magnetica.

Questa meraviglia è un vero e proprio laboratorio naturale che permette di studiare i cambiamenti climatici, un regno di sabbia e pietra che si trasforma e ogni giorno è diverso dall’alto grazie alle correnti di aria che soffiano forti in determinati periodi dell’anno.

Dash-e Lut, il deserto più caldo al mondo

Dasht-e Lut è il deserto più caldo del pianeta e si trova in Iran. Le temperature sono eccessive, basti pensare che durante l’estate si sfiorano i 70 gradi. Non parliamo solo di aria calda, qui è il suolo stesso a “bruciare” sotto il sole impietoso. La NASA ha rilevato più volte picchi termici da capogiro eppure, nonostante di giorno il caldo sia infernale, nella notte le temperature scendono vertiginosamente addirittura sotto lo zero. Il risultato? Un’escursione termica tanto incredibile quanto spettacolare.

Cosa vedere nel Dasht-e Lut in Iran

Fonte: iStock

Visitare il Dasht-e Lut, il deserto più caldo sul pianeta

Non è solo il caldo a rendere speciale questo luogo; da giugno ad ottobre i venti si fanno intensi e attraverso le raffiche si modellano nuovi paesaggi dando vita a lastre e canaloni profondi chiamati “kalouts”. Ovviamente non possono mancare le dune che regalano un mood lunare, quasi alieno. Non a caso è stato inserito tra i Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO. Visitarlo non è una cosa per tutti, il clima è davvero impegnativo però la sensazione di essere su un alto pianeta incanta molti turisti coraggiosi che ogni anno scelgono di visitarlo.

Dove si trova il deserto Dasht-e Lut e come raggiungerlo

Il deserto Dasht-e Lut si trova nella parte sudorientale dell’Iran e tocca le province di Kerman, Sistan e Baluchestan. Il punto migliore per iniziare la sua esplorazione è da Kerman, una città che sa sorprendere per molti aspetti. Tra bazar antichi, giardini lussureggianti e un’architettura desertica dà modo di partire per questo viaggio straordinario.

Lasciandosi alle spalle Kerman ci si dirige verso il villaggio di Shadad, accesso ufficiale al Lut. Bastano poco più di due ore d’auto per iniziare a vivere la magia con una strada che si assottiglia sempre più fino a perdersi tra le dune di sabbia. Per proseguire servirà tenere la direzione Afghanistan ma suggeriamo di evitare di muoversi in solitaria; meglio farsi accompagnare da una guida esperta su un veicolo 4×4 potente.

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Venezia con i bambini: gli itinerari imperdibili

Venezia è stupore a primo sguardo, meraviglia a ogni passo e magia a ogni ora del giorno. È una città in cui le strade sono d’acqua, in cui la fretta non può esistere e che cattura e affascina come poche altre località al mondo.

Ed è anche il posto ideale da raggiungere con i bambini che rimarranno stupiti di vedere come la fantasia possa trasformarsi in realtà.

Essendo ricca di tesori da scoprire, e anche molto turistica, è una città impergnativa e gli itinerari di una vacanza a Venezia con i bambini vanno ragionati con attenzione, però ci sono alcune location che meritano e che sono imperdibili.

Venezia: itinerario con i bambini nel centro città

Per raggiungere Venezia con i bambini c’è solo una cosa da sapere: non si deve aver paura di camminare, perché pur muovendosi spesso con i battelli per andare da un luogo all’altro, è anche vero che per girare il centro della città si deve camminare e non poco.

La prima cosa da fare? Salire su un vaporetto e transitare lungo Canal Grande, la scenografia iconica che merita di essere osservata da più punti di vista: dall’acqua, attraversandolo mentre ci si dirige verso il punto di partenza del nostro itinerario, e poi a piedi.

Il giro più classico prevede la partenza da piazza San Marco, forse tra i punti più celebri di Venezia, con la sua imponente cattedrale, il campanile e il Palazzo Ducale. Qui vale la pena prendere qualcosa nel caffè storico della città e ammirare tutti gli edifici che si affacciano in questo spazio di grandissime dimensioni. Vicinissimo a questa location merita una visita il Ponte dei Sospiri, non solo per la sua bellezza ma anche per la storia: nato per collegare Palazzo Ducale alle Prigioni nuove, è lì che venivano fatti transitare i prigionieri che si dice sospirassero attraversandolo.

Da piazza San Marco ci si può immergere in quel dedalo di strade e ponti che è il centro storico di Venezia, si può girare senza meta, per assaporare un po’ della meraviglia di questo centro urbano così speciale, oppure si possono stabilire delle tappe ben precise come la Scala Contarini del Bovolo, il teatro La Fenice e il ponte di Rialto, che attraversa il Canal Grande e che regala una vista memorabile.

In base al tempo che si ha si può scegliere di visitare la cattedrale, il palazzo Ducale, oppure entrare nel museo che ospita la Peggy Guggenheim Collection, in un bellissimo palazzo affacciato su Canal Grande: un vero e proprio viaggio nell’arte moderna. Ai piedi del suggestivo ponte dell’Accademia, poi, si trovano le Gallerie dell’Accademia che permettono di scoprire di più sull’arte della zona nei secoli che vanno dal XIV al XVIII.

Venezia, piazza San Marco

Fonte: iStock

Venezia, piazza San Marco con i bambini

Arte e architettura (e non solo): a Venezia un viaggio magico nel futuro

Venezia è anche Biennale, istituzione culturale che organizza diversi appuntamenti. Tra questi le mostre di arte e di architettura. E cosa c’è di più straordinario da fare con i bambini se non lasciare che la fantasia e l’ingegno prendano forma sotto i loro occhi regalando visioni intriganti?

In anni alterni si svolgono o una o l’altra, si tratta di una favolosa opportunità per conoscere architetti, designer e artisti da tutto il mondo. In genere viene ospitata da maggio a novembre. Non solo questi due settori, però, infatti vi è anche quella del cinema – ad esempio – che si svolge ogni anno ed è l’occasione per immergersi nel mondo fantastico e affascinante della settima arte.

Quindi quando si programma un viaggio a Venezia con i bambini è bene pensare anche di portarli a visitare i vari padiglioni, suddivisi per Paesi del mondo, e fare il pieno di meraviglia. Per loro non è per nulla stancante, ma è un’occasione di divertimento anche perché non sanno cosa potranno vedere e come potranno essere stupiti in ogni luogo in cui entreranno.

Le due mostre si tengono nei Giardini e nell’Arsenale: i primi sono stati realizzati da Napoleone a inizio Ottocento e ospitano diversi padiglioni nati dall’ingegno di celebri architetti, costruzioni che già da sole meritano la visita.

L’Arsenale è, invece, un ex complesso di cantieri che dal 1980 è uno dei luoghi espositivi della Biennale.

Entrambe le location si possono raggiungere con i traghetti oppure con una camminata da piazza San Marco transitando anche lungo la Riva degli Schiavoni. C’è anche un parco esterno alla Biennale per sostare e lasciare che i bambini giochino in libertà.

Venezia Biennale Architettura 2025

Fonte: Ansa

Venezia, alla scoperta delle mostre della Biennale con i bambini

Le isole di Venezia da vedere con i bambini

Venezia è anche isole e non c’è avventura più divertente da vivere con i bambini di quella di raggiungerne qualcuna per vedere di più di questa città.

Una di queste è la Giudecca, posta proprio d’innanzi a piazza San Marco, la distanza che le separa è di soli due chilometri e vi sono tante cose da vedere e da fare. Come una visita alla chiesa del Santissimo Redentore, la chiesa delle Zitelle e quella di San Giorgio Maggiore, tutte e tre nate dall’ingegno di Andrea Palladio.

In particolare nel periodo tra la fine di agosto e i primi di settembre vale la pena arrivare fino al Lido di Venezia, dove si svolge la mostra del cinema, che è divertentissima da raggiungere affittando un mezzo alternativo come un risciò. Inoltre vale la pena raggiungerla per vivere l’atmosfera elettrica di un evento internazionale pieno di vip, come attori e registi. Qui ci sono delle belle spiagge, ma anche location interessanti da scoprire come la chiesa di San Nicolò.

Un’altra delle isole che meritano una visita con i bambini è Murano con le sue casette colorate che si affacciano sul canale e le creazioni in vetro che sono una delle sue caratteristiche più note in tutto il mondo. Vale la pena visitare il Museo del Vetro e girare alla scoperta delle tante meraviglie di questa isola.

Queste tappe di un itinerario a Venezia con i bambini si possono fare in circa tre – quattro giorni, considerando che non si può programmare un tour serrato, ma che vanno inserite delle pause tra una location e l’altra. Inoltre, tutto dipende da quanto tempo si desidera dedicare a ogni luogo. Da tener conto anche degli spostamenti in traghetto.

Venezia: Murano con i bambini

Fonte: iStock

Venezia, alla scoperta di Murano con i bambini
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Gran Pajatén riemerge dalla giungla: oltre 100 strutture archeologiche svelano i misteri dei Chachapoya

Nel cuore del Parco Nazionale Río Abiseo, avvolto dalle nebbie perenni delle Ande nord-orientali, un segreto millenario è tornato alla luce. A Gran Pajatén, antico e misterioso sito della civiltà Chachapoya, sono state recentemente individuate più di 100 nuove strutture archeologiche. Questa scoperta epocale, la più significativa nella regione dagli anni ’80, sta rivoluzionando la comprensione di una delle culture precolombiane più affascinanti del Perù.

Immerso in una foresta tropicale dove l’accesso è ancora oggi rigidamente limitato per proteggere un ecosistema fragile e unico al mondo, Gran Pajatén è rimasto per secoli nascosto sotto una vegetazione fittissima, come sospeso nel tempo. Questo luogo leggendario, spesso definito “la città nella nebbia“, offre ora nuove risposte – e ancora più domande – sull’organizzazione sociale, l’architettura e la visione del mondo dei Chachapoya, il misterioso popolo che sfidò l’Impero Inca.

La scoperta: un tesoro invisibile nella foresta

Tra il 2022 e il 2024, un team del World Monuments Fund (WMF) ha condotto un’approfondita campagna di esplorazione e conservazione a Gran Pajatén, servendosi delle più moderne tecnologie di rilevamento. Grazie a strumenti avanzati come il LiDAR (laser scanner aereo e terrestre), fotogrammetria e analisi morfologiche del terreno, i ricercatori hanno mappato oltre 100 nuove strutture precedentemente nascoste dalla fitta vegetazione.

nuove strutture scoperte a Gran Pajatén

Fonte: ufficio stampa

Lavori di conservazione del basamento nord dell’Edificio 1 a Pajatén, Perù

Si tratta di un salto straordinario rispetto alle sole 26 strutture documentate negli anni ’80. Il sito, oggi Patrimonio dell’Umanità Unesco per la sua importanza culturale e ambientale, si rivela non più come un complesso isolato, ma come parte di una rete articolata e gerarchica di insediamenti preispanici. Gran Pajatén, scoperto originariamente negli anni ’60, è sempre stato un simbolo enigmatico della civiltà Chachapoya del Perù, con i suoi edifici circolari in pietra decorati da fregi geometrici e figure umane in rilievo. Ma questa nuova indagine ha ampliato drasticamente la sua portata, rivelando connessioni con altri siti della regione come La Playa, Papayas e Los Pinchudos, attraverso un’antica rete viaria in parte ancora visibile.

Perché questa scoperta è importante

Questa rivelazione ha implicazioni storiche, culturali e tecnologiche di grande rilievo. Innanzitutto, ridefinisce il ruolo di Gran Pajatén all’interno del mondo Chachapoya: non più un singolo centro cerimoniale, ma parte di un sistema più complesso, connesso e gerarchizzato. Le nuove strutture indicano una presenza umana che potrebbe risalire anche a prima del XIV secolo, suggerendo un utilizzo del territorio molto più esteso e articolato.

In secondo luogo, la scoperta è un esempio virtuoso di archeologia sostenibile. L’impiego di tecnologie non invasive ha permesso di esplorare e documentare il sito senza danneggiare l’ecosistema delicatissimo del parco. Gran parte del sito resta infatti inaccessibile ai turisti proprio per preservarne la biodiversità unica.
Infine, il progetto ha incluso anche importanti interventi di conservazione fisica, come il rinforzo delle strutture e il restauro parziale di alcuni muri perimetrali, utilizzando tecniche compatibili con i materiali originari.

Questo lavoro servirà da modello per futuri progetti di tutela in aree simili. Per i viaggiatori interessati al tema, è consigliato visitare una mostra gratuita al Museo de Arte de Lima (MALI) aperta fino al 18 giugno dove sono presentate le nuove scoperte attraverso ricostruzioni digitali immersive e materiali inediti sul popolo della “foresta nebulare“.

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I luoghi romantici di Serendipity: un viaggio a New York tra destino e magia

Serendipity non è solo un film, è un invito a lasciarsi sorprendere dalla vita. Diretto da Peter Chelsom nel 2001, racconta l’incontro di Jonathan Trager e Sara Thomas in un centro commerciale durante la corsa ai regali di Natale. I due si litigano l’ultimo paio di guanti neri di cashmere e scatta la scintilla che li porta a trascorrere qualche ora insieme prima di lasciarsi e riprendere le rispettive vite. Sara crede che il destino li riunirà, ma John è più scettico. Visitare i luoghi del film non è solo un omaggio al cinema, ma un’esperienza romantica, dolce e carica di emozioni. La grande mela è la vera protagonista silenziosa di Serendipity, la commedia romantica che ha fatto sognare milioni di spettatori in tutto il mondo. Se anche voi avete creduto, almeno una volta, nel potere del destino, potete seguire questo itinerario tra i luoghi simbolo del film con John Cusack e Kate Beckinsale.

Dove è stato girato

Sebbene la maggior parte delle riprese si sia svolta a New York, altre location cruciali di Serendipity sono state San Francisco, in California, e Toronto in Canada. In Canada, gli interni sono stati girati agli Showline Studios, ora Studio City Toronto, mentre alcune scene sono state girate nella pittoresca Uxbridge, una cittadina a 65 chilometri da Toronto. Ma torniamo nella Grande Mela.

Serendipity 3 New York

Fonte: Letizia Rogolino

La gelateria Serendipity 3 a New York

La gelateria dove tutto ebbe inizio

Il viaggio non può che iniziare da Serendipity 3, l’eccentrica e iconica gelateria nel cuore dell’Upper East Side dove Jonathan e Sara si incontrano per la prima volta. Qui, tra pareti kitsch, luci soffuse, lampadari vintage e dolci ipercalorici, i protagonisti condividono la celebre frozen hot chocolate, diventata da allora un vero cult per i fan. John e Sara condividono un dessert in questo locale di New York aperto nel 1954 da Stephen Bruce. Sara dice a John: “Serendipity. È una delle mie parole preferite“. John le chiede: “Davvero? Perché?” Lei risponde: “È un suono così bello per quello che significa: un caso fortuito. Solo che io non credo molto agli incidenti. Credo che il destino sia dietro a tutto”. L’indirizzo esatto è 225 E 60th St, New York, NY Per arrivarci, prendete la linea 4 della MTA e scendete alla fermata 59th St Lexington Ave. Il ristorante è a 4 minuti a piedi da questa fermata a passo medio.

Bloomingdale’s: lo shopping del destino

La magia del caso prende forma tra gli scaffali affollati del grande magazzino Bloomingdale’s, dove Jonathan e Sara si contendono un paio di guanti di cashmere, gli ultimi rimasti. Il pubblico assiste allo scintillio tra i due protagonisti con un delizioso scambio di battute accompagnato da un romantico scambio di sguardi. È il classico incontro casuale che cambia tutto. Questo storico department store è ancora oggi uno dei simboli dello shopping newyorkese. Per arrivarci, prendete la linea MTA M101 e scendete alla fermata 3rd Ave/5th St. Bloomingdale’s è a tre minuti a piedi da qui.

Bloomingdale's

Fonte: iStock

Bloomingdale’s a New York

Wollman Rink: romanticismo sul ghiaccio

Una delle scene più tenere di Serendipity si svolge sulla Wollman Rink, la pista di pattinaggio aperta dal 1949 immersa nel cuore di Central Park che regala un contrasto unico tra natura e skyline: da un lato alberi e sentieri innevati, dall’altro i grattacieli di Midtown che si accendono al tramonto. Qui, circondati dalle luci della città e dalla neve, i due protagonisti si avvicinano, ignari che le loro strade si separeranno… solo per poco. Questa pista è famosa anche per essere stata utilizzata come location per Limitless, Love Story, Nemiche amiche, Autunno a New York e August Rush. Per raggiungerla basta prendere la M1 della MTA e scendere alla fermata 5th Avenue/E 63rd St, poi camminare per un minuto.

The Waldorf Astoria: eleganza e nostalgia

L’elegante Waldorf Astoria è uno degli hotel più famosi di Manhattan al 301 di Park Avenue e fa da sfondo al momento in cui Jonathan cerca disperatamente di ritrovare Sara. Le sue sale sontuose raccontano l’eleganza senza tempo della città, perfette per una fuga romantica. Aperto nel 1931, ha ospitato star del cinema, presidenti americani, monarchi e artisti. Con il suo stile art déco e i dettagli sontuosi, è un luogo che racchiude decenni di storia e fascino. È stato anche il set di Prova a prendermi, Il Padrino III, I Tenenbaum, Profumo di donna, Il grande Gatsby, Un amore a Manhattan e altri film. Il modo più veloce per arrivarci è prendere la linea 7 della MTA fino a Grand Central – 42nd St, e camminare per 8-10 minuti.

The Loeb Boathouse

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The Loeb Boathouse a New York

The Loeb Boathouse: un angolo poetico a Central Park

Meno centrale nel film ma comunque suggestivo, il Loeb Boathouse è il luogo dove Jonathan va a cercare indizi su Sara. Un punto perfetto per fermarsi a prendere un caffè o noleggiare una barca a remi sul laghetto, apparso anche nella serie tv Sex and the City. Si tratta del simbolo perfetto della serendipità, quella fortuna inaspettata che nasce quando segui il cuore.

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Il mistero del lago subglaciale di Vostok

Esistono luoghi incredibili sul nostro pianeta, dove il fascino della loro unicità convive con il mistero. Uno di questi è sicuramente il lago più anomalo che ci sia: non è come tutti i laghi, con una distesa d’acqua dolce più o meno grande sulla cui superficie si riflette il paesaggio circostante. E non è nemmeno visitabile, perché si trova a quasi 4mila metri di profondità.

Si chiama lago Vostok ed è il più grande dei 70 bacini lacustri subglaciali che si trovano sotto la calotta di ghiaccio dell’Antartide, negli abissi della Terra, sotto strati di ghiaccio sedimentati da milioni di anni. La mano dell’uomo è riuscita a sfiorarlo, ma restano tanti gli enigmi e le anomalie che lo riguardano, tanto da essere uno dei luoghi in assoluto più misteriosi del mondo, e che potrebbe svelare nuove informazioni sulla storia della vita sulla Terra.

Dove si trova il lago Vostok

L’Antartide è una fetta di mondo immensamente affascinante non solo in superficie, ma anche nel sottosuolo, sotto al ghiaccio sedimentato nel corso di milioni di anni, dove esiste un mondo nascosto ricco di meraviglie e misteri che resta ancora salvo, al riparo dalla mano dell’uomo.

Il lago Vostok, in particolare, si trova si trova vicino alla base russa Vostok, nell’Antartide Orientale, e più precisamente nel Territorio Antartico Australiano (AAT), che è la parte rivendicata dall’Australia, nonostante secondo il Trattato Antartico del 1959 l’Antartide non apparterrebbe ad alcun Paese.

La scoperta del lago Vostok

È considerato il più intatto e antico del mondo: milioni di anni fa era un lago come tutti gli altri, in superficie, ma poi si è formato il Polo Sud ed è rimasto sigillato per i resto della sua esistenza sotto a uno scudo di ghiaccio profondo 3.768 metri

È stato scoperto per la prima volta dal geografo russo Andrej Kapica tra il 1959 e il 1964 e confermato negli anni successivi grazie a sempre più precise misurazioni radar. Nel 1996 ne è stata individuata l’esatta grandezza: 250 chilometri in lunghezza e circa 50 in larghezza, costituito da due bacini distinti separati da una dorsale. Ma come fa ad essere ancora liquido, sotto a tutti quegli strati di ghiaccio? Lo è per via della sua temperatura media di −3 °C, superiore alla temperatura di fusione del ghiaccio alla pressione a cui si trova il lago, e per la maggior esposizione al calore geotermico.

Nel 2012 c’è stata poi la svolta: grazie al lavoro di trivellazione, i ricercatori russi e britannici sono riusciti a scendere in profondità, fino a raggiungere l’acqua del lago per campionarla. Nel 2013 è stata rilevata la presenza di batteri sconosciuti all’interno del lago Vostok, ma la loro esatta natura sarebbe ancora avvolta nel mistero.

Le anomalie e i misteri del lago Vostok

L’avevamo detto, il lago Vostok non è come tutti gli altri. A renderlo unico è innanzitutto l’affascinante possibilità che laggiù, sotto a 4 km di ghiaccio, possa esserci vita. Ma quale? Secondo gli ultimi studi, sarebbero state rilevate tracce di Dna riconducibili a organismi marini evoluti che potrebbero abitare il lago con una capacità unica di sopravvivere in condizioni estreme. Qualsiasi organismo scoperto negli abissi del lago Vostok, infatti, potrebbe rappresentare forme di vita totalmente sconosciute e che si sono adattate a sopravvivere in condizioni impensabili sulla superficie della Terra.

Perché? Il bacino lacustre subglaciale di Vostok è soprasaturo di ossigeno e azoto, con concentrazioni 50 volte superiori rispetto ai tipici laghi d’acqua dolce superficiali. Un’altra delle anomalie, questa, che contribuisce ad avvolgerlo nel mistero. Si pensa, inoltre, che le condizioni del lago Vostok possano essere simili a quelle di Europa, la luna di Giove, e di Encelado, la luna di Saturno.

L’esplorazione di questo microambiente surreale di milioni di anni rappresenta un’opportunità unica per una maggior comprensione del nostro mondo, ma anche dell’evoluzione della vita in condizioni potenzialmente estreme in pianeti lontani dal nostro.

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Cubo di Zoroastro, affascinante monumento antico pieno di misteri irrisolvibili

Ci sono monumenti che, oltre ad essere ricchi di fascino, racchiudono in sé misteri apparentemente irrisolvibili. È il caso del Cubo di Zoroastro, una costruzione che spicca all’interno di un antico sito archeologico. L’enigma in pietra a Naqsh-e Rostam svetta alto e austero come un faro dell’antichità. Decorato con epigrafi trilingue incise da Shapur I e dal sacerdote Kartir, parla di imperi, conquiste e battaglie contro Roma. Soprannominato “tempio del fuoco” e “casa della fondazione” nell’antichità, oggi è uno dei monumenti antichi più affascinanti ed enigmatici che esistano.

Visitare il Cubo di Zoroastro

In Iran il Cubo di Zoroastro è una vera istituzione. Incastonato tra tombe antiche di re e rilievi rupestri epici di Naqsh-e Rostam, la pietra si erge celando un segreto. Conosciuto come Cubo di Zoroastro, il Ka’ba-ye Zartosht (il nome in lingue locale) è legato a un mistero e, nonostante contrariamente molti lo credono un mausoleo del profeta o un luogo di pellegrinaggio, ha in realtà tante curiosità ad esso legate.

La struttura risale all’epoca achemenide, ma nessuno conosce il nome che aveva in origine. Durante il periodo sasanide era chiamata Bon Khānak, ovvero “la fondazione fredda”, come ci rivelano le iscrizioni incise sulle sue pareti dal sacerdote Kartir. Il nome attuale? È molto più recente; gli storici ipotizzano sia nato nel XIV secolo quando gli antichi siti in rovina venivano ribattezzati legandoli a figure religiose famose come, appunto, Zoroastro.

L’origine del nome “Ka’ba” (letteralmente “cubica”) si lega alla forma imponente e regolare dell’edificio, che richiama in tutto e per tutto un cubo. A creare un effetto wow ci pensano le pietre nere a contrasto con il bianco delle pareti, quasi a richiamare la Kaaba della Mecca, portandoli a immaginare un collegamento simbolico con il culto zoroastriano.

Il mistero del cubo di Zoroastro

La struttura è alta 15 metri e realizzata con blocchi di pietra calcarea posati senza malta su una base a gradoni; nonostante le tante ricerche e gli studi, continua a dividere storici e archeologi su quelli che erano gli usi dell’edificio. C’è chi pensa servisse come biblioteca sacra, chi lo ritiene un calendario solare, chi un mausoleo reale e chi un tempio del fuoco.

A incuriosire è il metodo di costruzione: il gigantesco cubo è fatto di mattoni senza malta, un’innovazione originale che lascia a bocca aperta. Ma non è tutto; la sentinella silenziosa si caratterizza con una scalinata di 30 gradini in pietra che conduce verso una camera interna piccola ed essenziale.

Cubo di Zoroastro in Iran

Fonte: Getty Images

Qual è il mistero del cubo di Zoroastro

Dove si trova il Cubo di Zoroastro e come arrivarci

Il Cubo di di Zoroastro è uno dei monumenti da non perdere in Iran. Il suo nome è incredibilmente evocativo, come abbiamo visto, ed è una costruzione effetto wow all’interno delle meraviglie del sito archeologico di Naqsh-e Rostam, nella provincia di Fars. La struttura squadrata, sollenne ed imponente, si vede persino dal villaggio di Zangiabad e non lontano dalle tombe rupestri dei grandi re achemenidi e ai rilievi scolpiti delle epoche elamita e sasanide.

Per raggiungerlo (attenzione, attualmente è sconsigliato viaggiare in Iran) è opportuno partire da Shiraz, cittadina vivace e storica a poco più di un’ora di auto. Ci si dirige verso nord per raggiungere prima il villaggio di Zangiabad e quindi la strada per Naqsh-e Rostam, uno dei siti archeologici più affascinanti del Paese. Il cubo si trova proprio lì. Per chi non vuole guidare un’auto noleggiata è possibile aggregarsi a numerosi tour ed escursioni che vengono programmate per i turisti.

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Cocullo, il borgo sospeso tra fede, mistero e serpenti

Racchiuso nell’entroterra abruzzese, tra la Marsica e la Valle Peligna, il borgo medievale di Cocullo si rivela come un luogo sospeso, dove la natura, la storia e il folklore si uniscono in un abbraccio. Passeggiare tra le case in pietra e i vicoli silenziosi significa lasciarsi guidare da suggestioni che vengono da lontano, da una memoria collettiva in cui sacro e pagano si fondono in maniera sorprendente.

Non a caso Cocullo è conosciuto come “la città dei serpenti”, una definizione che affonda le radici in riti antichissimi. In epoca pre-romana, qui si venerava la dea Angizia, capace di dominare il fuoco e i serpenti, e a cui si attribuivano poteri curativi legati al veleno. Quando arrivò il cristianesimo, quel culto non scomparve ma si trasformò. Intorno al X secolo, San Domenico arrivò nel borgo e lasciò in dono la reliquia del ferro della sua mula, come simbolo di protezione dai morsi degli animali velenosi.

Ogni anno, a maggio, Cocullo torna a raccontare la leggenda con la Festa dei Serpari, durante la quale la statua del santo viene portata in processione ricoperta da serpenti vivi: si tratta di un evento che richiama migliaia di visitatori e che rende il borgo unico al mondo.

Dove si trova Cocullo

Nel cuore montano dell’Abruzzo, tra il verde della valle del Rio Pezzana, Cocullo si trova a circa 80 chilometri da L’Aquila, incastonato in una terra plasmata da paesaggi aspri, boschi fitti e silenzi profondi.

Il borgo sorge in una posizione strategica ma appartata, che gli ha permesso nei secoli di mantenere intatta la sua identità: l’eco dei secoli passati si riflette nelle pietre delle case, nei portali scolpiti, nei campanili che si stagliano contro il cielo.

Cosa vedere a Cocullo

Il centro storico di Cocullo si scopre passo dopo passo, senza fretta. Le strette vie acciottolate, le scalinate in pietra, le piccole botteghe raccontano una storia antica, scandita da gesti semplici e devozione.

Il cuore antico del borgo: Rione San Nicola

Nella parte più alta del paese, ecco il Rione San Nicola, dove sono ancora visibili resti delle mura medievali e alcune delle antiche porte di accesso: Porta Ruggeri, che prende il nome dai feudatari di Celano, Porta Renovata, aperta sulla valle meridionale, e Porta di Manno sono come varchi simbolici che invitano a entrare in un tempo differente.

Chiesa di Maria delle Grazie: fede e arte tra Medioevo e Barocco

Nel cuore del borgo si staglia la Chiesa di Maria delle Grazie, costruita nel XIII secolo su quello che un tempo era forse un tempio dedicato a Giove. L’aspetto attuale dell’edificio è frutto di secoli di rimaneggiamenti che l’hanno trasformata in una sintesi perfetta tra rigore medievale e decorazioni barocche. La facciata, suddivisa da tre lesene, accoglie un rosone centrale, un architrave scolpito con l’Agnus Dei e due statue cinquecentesche custodite in eleganti edicole.

All’interno, la chiesa si sviluppa in una sola navata e conserva affreschi di grande valore, realizzati nel Cinquecento, tra cui spiccano una Deposizione e una Crocifissione. Vicino all’ingresso laterale si trova anche un prezioso trittico che raffigura Sant’Antonio, la Maddalena e Sant’Amico, ulteriore testimonianza del ricco patrimonio iconografico del borgo.

Torre medievale e Chiesa di San Nicola

Salendo verso l’estremità, si incontra una torre di pietra realizzata dai Longobardi nel XII secolo. In origine era una struttura difensiva, usata per l’avvistamento, ma nei secoli è stata convertita in campanile per la vicina Chiesa di San Nicola. La torre è oggi sormontata da una cella campanaria con bifore, a cui è stato aggiunto un orologio civico nel XIX secolo.

La chiesa, ricavata modificando l’impianto di un antico castello, è una costruzione semplice e solida. La facciata austera contrasta con l’interno, che si apre in tre navate coperte da una volta a botte lunettata.

Chiesa di San Domenico: simbolo di una devozione unica

Ma il cuore spirituale di Cocullo è la Chiesa di San Domenico, il santo che ha segnato la storia e l’identità del borgo. Anche se le prime tracce di un edificio religioso risalgono al XVI secolo, la chiesa che oggi vediamo è frutto di una ricostruzione del Novecento e si distingue per l’imponente cupola a tamburo e per il campanile a cuspide piramidale, elementi che le conferiscono un aspetto solenne.

L’interno è semplice ma suggestivo: una navata unica con abside semicircolare, un altare maggiore centrale e, sulla destra, un pulpito ligneo finemente intagliato. La vera particolarità, però, è la cappella laterale dedicata a San Domenico, dove è custodita la campanella dei denti, che i fedeli tirano con la bocca durante la festa patronale in segno di devozione e protezione.

Cosa fare a Cocullo: vivere la magia del Festival dei Serpari

Celebrazione del santo patrono San Domenico a Cocullo, Abruzzo

Fonte: iStock

La statua di San Domenico avvolta dai serpenti

C’è un giorno all’anno in cui il silenzioso borgo di Cocullo si anima come mai, attirando fedeli, curiosi, viaggiatori da ogni parte d’Italia e non solo. È il 1° maggio, quando va in scena una celebrazione tanto insolita quanto suggestiva: la Festa dei Serpari, rito unico nel suo genere, sospeso tra religione e paganesimo, tradizione e mistero.

Tutto comincia con i serpari, figure centrali di questa tradizione. Sono uomini e donne che, a partire dal 19 marzo, si dedicano alla cattura dei serpenti nelle campagne intorno al borgo. Si tratta di specie non velenose, che vengono maneggiate con cura e rese innocue, non per crudeltà ma per rispetto e sicurezza, in vista della cerimonia. Il giorno della festa, i rettili diventano parte integrante del rito.

Il momento clou è la processione che parte dalla Chiesa di San Domenico: la statua lignea del santo, portata a spalla, viene completamente avvolta dai serpenti vivi, che si attorcigliano intorno al corpo, al bastone, al volto stesso del santo. È un’immagine quasi ancestrale, che richiama culti antichi e simbolismi profondi. I serpari seguono la processione, anch’essi avvolti dai serpenti, in un corteo che percorre le vie del centro.

La folla si accalca, non solo per osservare, ma per partecipare: si acquistano laccetti, medaglie, anelli, piccoli amuleti che vengono benedetti e conservati come portafortuna contro i morsi di animali rabbiosi, ma anche contro le paure, le malattie e le energie negative. È un momento in cui la comunità si ritrova unita, tra spiritualità e folklore, con una consapevolezza che affonda in radici lontane.

Perché questa festa, infatti, non nasce con il cristianesimo. Le sue origini risalgono molto più indietro, a un tempo in cui si celebrava Angitia, la dea dei serpenti per il popolo dei Marsi, una figura misteriosa e affascinante, custode del sapere curativo e simbolo dell’infinito, della ciclicità della vita, del rinnovamento. Angitia, Anagtia per i Sanniti, Anaceta per i Peligni: nomi diversi per un archetipo condiviso, potente, femminile, capace di governare ciò che spaventa e trasformarlo in forza.

Come raggiungere Cocullo

Cocullo è facile da raggiungere, sia con mezzi propri che con i trasporti pubblici. Il borgo si trova lungo l’autostrada A25 Roma–Pescara, con un’uscita dedicata proprio al casello “Cocullo”. Da lì, bastano pochi chilometri lungo via Santa Maria in Campo per ritrovarsi nel cuore del paese.

Se si parte da L’Aquila, è sufficiente imboccare prima la A24, poi proseguire sulla A25 in direzione Pescara, fino allo svincolo per Cocullo. Chi arriva da Sulmona, invece, può scegliere la Strada Provinciale 51 del Sagittario, poi la Statale 5, fino a congiungersi con l’autostrada. I collegamenti sono comodi anche da Roma, con un tragitto in auto che si compie in meno di due ore.

Per chi preferisce il treno, la stazione ferroviaria di Cocullo si trova a circa 2 chilometri dal centro storico. Fa parte della linea Sulmona–Avezzano–Pescara e consente di arrivare anche da città come Chieti, Ovindoli, Pratola Peligna. In alternativa, sono attive varie linee di autobus che collegano Cocullo ai principali comuni della zona, tra cui Scanno, Anversa degli Abruzzi e Sulmona.

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Le Terre Ballerine in Piemonte: un tappeto elastico naturale nel cuore del Canavese

In Piemonte, a pochi chilometri da Torino, esiste un luogo capace di sorprendere chiunque ci metta piede. Letteralmente. Si tratta delle Terre Ballerine, un tratto di bosco nel cuore del Canavese dove il suolo ondeggia e rimbalza sotto i piedi, come se si camminasse su un gigantesco materasso ad acqua naturale. Questo piccolo miracolo geologico si trova nel territorio di Montalto Dora, incastonato tra due laghi morenici: il Lago Pistono e il Lago Sirio.

Cosa sono le Terre Ballerine: il mistero della torbiera galleggiante

Il nome Terre Ballerine non è casuale. Questo angolo di foresta si muove davvero: basta saltare per vedere il terreno ondeggiare e gli alberi oscillare impercettibilmente. Ma qual è l’origine di questo fenomeno?

Il segreto sta nella torbiera galleggiante formatasi nel tempo sul fondo di quello che un tempo era il Lago Coniglio. Alla fine dell’Ottocento, un imprenditore locale decise di prosciugare questo specchio d’acqua per estrarre torba da utilizzare come combustibile. Al posto del lago si formò un ambiente umido e ricco di materia organica in decomposizione. Col passare degli anni, i sedimenti vegetali accumulatisi hanno dato vita a uno strato compatto e spugnoso, sospeso su un sottile strato d’acqua. Il risultato è un divertente terreno elastico, che reagisce ai movimenti come una zattera naturale. Camminare o saltellare su questa superficie è come giocare su un trampolino in mezzo al bosco: un fenomeno raro in Italia, che rende le Terre Ballerine un luogo davvero unico.

I laghi del Canavese

Le Terre Ballerine non sono l’unica attrazione geologica dell’area. Il Canavese è attraversato dalla Serra Morenica di Ivrea, una lunga dorsale collinare di origine glaciale che si estende per oltre 25 chilometri, dalla Valle d’Aosta fino alla pianura torinese. In quest’area si trovano numerosi laghi morenici, tra cui i più noti sono il Lago di Viverone e il Lago di Bertignano. Ma è nella zona di Montalto Dora che si trovano il Lago Sirio, con le sue acque limpide circondate da boschi, e il Lago Pistono, teatro di un progetto culturale e archeologico che merita assolutamente una visita.

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Fonte: Jessica Pasqualon

Panoramica sul Lago Sirio

Il Parco Archeologico del Lago Pistono: un viaggio nella preistoria

A pochi minuti a piedi dalle Terre Ballerine si trova il Parco Archeologico del Lago Pistono, un museo diffuso che racconta la vita delle comunità umane che abitavano queste zone durante il Neolitico, circa 7000 anni fa.

Il parco è composto da due sezioni principali: una parte espositiva interna, ospitata nello Spazio Espositivo per l’Archeologia in piazza IV Novembre a Montalto Dora, e una parte esterna all’aria aperta che include la ricostruzione di una capanna neolitica e un sentiero archeologico immerso nella natura.

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Fonte: Parco Archeologico del Lago Pistono

Spazio espositivo Parco Archeologico del Lago Pistono

La sezione espositiva offre un approfondimento scientifico sulle scoperte archeologiche effettuate nella zona, con reperti risalenti al V millennio a.C. e pannelli esplicativi che raccontano la quotidianità delle comunità neolitiche. L’esposizione include anche modelli e ricostruzioni sperimentali delle tecnologie antiche, offrendo una panoramica dettagliata del Neolitico piemontese.

All’esterno, il percorso accessibile a tutti si snoda lungo le sponde del Lago Pistono e conduce a una capanna ricostruita su palafitta, arredata come nell’epoca neolitica. La struttura si basa su modelli documentati nei siti del Neolitico dell’Italia settentrionale ed è realizzata con materiali e tecniche dell’epoca: pareti in legno intrecciato e intonacato con argilla e paglia, tetto in canne palustri a doppio spiovente, e una palizzata per proteggerla dalle esondazioni del rio Montesino. Oltre alla capanna abitativa sono stati ricostruiti anche un magazzino e una stalla con recinto, per rendere la vita nel villaggio. I pannelli lungo il cammino illustrano le tecniche costruttive dell’epoca e il contesto ambientale in cui vivevano le comunità preistoriche.

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Fonte: Parco Archeologico del Lago Pistono

Palafitta Parco Archeologico del Lago Pistono

Visite guidate alle Terre Ballerine

Il parco e le Terre Ballerine sono visitabili in autonomia, verificando in anticipo l’accessibilità e le condizioni del parco. In alternativa, specialmente coi bambini, per comprendere al meglio, si può partecipare ad una delle visite guidate organizzate la domenica. Il percorso, della durata di circa due ore, inizia dalla parte espositiva in piazza IV Novembre. Dopo la visita al museo, si parte per una camminata tra le colline moreniche, passando accanto al castello medievale di Montalto Dora, fino a raggiungere la ricostruzione della capanna su palafitta in riva al lago.

La guida – spesso un archeologo o una archeologa – accompagna il gruppo in un viaggio indietro nel tempo, tra paesaggi antichi e racconti di vita quotidiana nel Neolitico. Un’esperienza educativa e divertente per tutta la famiglia (tariffe: adulti, 6 euro; ragazzi 6-12 anni, 3 euro; bambini 0-5 anni, disabili, accompagnatori e giornalisti hanno diritto all’ingresso gratuito).

laghi canavese

Fonte: Consorzio Turistico del Canavese

Lago Pistono

Come arrivare alle Terre Ballerine

Le Terre Ballerine si trovano a circa 60 km da Torino e sono facilmente raggiungibili in auto in meno di un’ora. Basta prendere l’autostrada A5 in direzione Aosta, uscire a Ivrea e proseguire in direzione Montalto Dora. Si consiglia di parcheggiare vicino alla chiesa di Sant’Eusebio Vescovo, accanto alla zona mercatale, da dove parte il sentiero per il Lago Pistono. Dopo una passeggiata nel verde, tra scorci panoramici e tratti ombreggiati, si arriva alla torbiera delle Terre Ballerine. Il percorso è ben segnalato e adatto anche a chi non ha particolare allenamento.