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In Italia c’è un’altra Cappella degli Scrovegni (che nessuno conosce)

La Cappella degli Scrovegni di Padova è uno dei gioielli artistici più visitati d’Italia. È nota in tutto il mondo per lo straordinario ciclo pittorico realizzato da Giotto ovvero il massimo capolavoro ad affresco creato dall’artista che testimonia la profonda rivoluzione che questo pittore toscano ha apportato nell’arte. Sono migliaia ogni giorno i visitatori che arrivano da tutto il mondo per ammirare gli affreschi che riempiono ogni singolo centimetro quadrato di questa piccola cappella. Per visitarla ovviamente è necessaria la prenotazione online e spesso e volentieri è sold out e molti devono tornare a casa con la coda tra le gambe senza avere avuto la possibilità di metterci piede.

Senza nulla togliere ovviamente a questo capolavoro artistico italiano – che io per prima ho avuto la fortuna di poter visitare almeno una volta – voglio portarvi alla scoperta di un’altra cappella che ricorda tantissimo gli Scrovegni, ma che si trova a Bolzano. Un luogo a dir poco meraviglioso, che pochissimi turisti conoscono, tanto che non serve alcuna prenotazione e non è necessario fare nessuna fila. E, soprattutto, è gratis. Si tratta della Cappella di San Giovanni, nella Chiesa dei Domenicani nel capoluogo altoatesino. Siamo nel centro storico di Bolzano, a due passi dalla centralissima piazza Walther, famosa ai più perché ogni inverno ospita i mercatini di Natale.

La Cappella di San Giovanni a Bolzano

La “Cappella degli Scrovegni bolzanina” è un vero e proprio capolavoro artistico, nello stile e nei colori davvero ricorda tantissimo quella padovana, anche se più piccola. Il ciclo di affreschi che decora l’intera cappella a 360 gradi risale alla prima metà del XIV secolo, proprio come gli Scrovegni, e fu eseguito della Scuola di Giotto tra il 1330 e il 1370. Gli affreschi rappresentano la leggenda di San Giovanni, le storie di Maria, la leggenda di San Nicolò, fra cui spicca la scena del cavaliere dell’Apocalisse con sotto i peccatori. La Cappella di San Giovanni è intitolata al committente, Giovanni de Rossi-Botsch, nome tedesco scelto dalla famiglia di banchieri fiorentini Boccioni che si era trasferita a Bolzano al servizio dei Conti di Tirolo, che la volle realizzata per potersi far seppellire. Tra le immagini rappresentate e che ricordano gli affreschi di Padova, si distingue in un paio di casi una figura insolitamente vestita con un abito a righe: si tratta del Boccioni, appunto.

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Fonte: 123RF

Il soffitto affrescato della Cappella di San Giovanni

La Chiesa dei Domenicani

La Cappella di San Giovanni è una delle quattro cappelle che un tempo erano presenti all’interno della Chiesa dei Domenicani, ordine monastico giunto qui nel 1272. Oltre alla Cappella di San Giovanni c’è anche la Cappella dei Mercanti, ricostruita nel ‘600 perché danneggiata, che non è affatto da meno quanto a importanza artistica. Al suo interno, infatti, sopra l’altare del 1642, ospita una tela del Guercino, uno dei pittori prediletti di papa Gregorio XV, intitolata “Visione di Soriano”. Sulle pareti della chiesa sono ancora visibili alcuni affreschi del ‘300 attribuiti alla cosiddetta Scuola di Bolzano, tra lo stile italiano e quello tedesco.

Oggi, questo edificio religioso di tipico stile gotico è in pieno centro, ma un tempo si trovava al di fuori dalle mura cittadine, dove c’erano campi coltivati proprio dai frati. Fu eretto tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo. Bellissimo è anche il chiostro dell’antico convento dei Domenicani, che purtroppo non è aperto al pubblico se non per alcune occasioni speciali come i concerti del concorso di pianoforte Busoni organizzati dal vicino conservatorio di musica Claudio Monteverdi ogni estate, in quanto versa in condizioni piuttosto critiche ed è da anni oggetto di restauri. Si possono ancora ammirare dei meravigliosi affreschi, con tanto di scritte ancora ben leggibili, anch’essi del XIV secolo che raccontano le tappe della vita di Cristo.

La prossima volta che dovete scegliere dove andare per un weekend e desiderate visitare un posto davvero meraviglioso e soprattutto poco affollato, ricordatevi di venire a Bolzano a visitare la Cappella di San Giovanni.

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Jungfraujoch: la stazione più alta d’Europa

La Svizzera è una destinazione che richiama alla mente panorami alpini unici, vette innevate e prati verdi interminabili. È una di quelle destinazioni che ha tanto da offrire e fra queste attrazioni si trova sicuramente la stazione di Jungfraujoch, la stazione ferroviaria più alta d’Europa, che si trova a 3454 metri sopra il livello del mare. Questo non è solo un luogo di interesse per gli appassionati di montagna, ma rappresenta anche un simbolo di ingegneria ed innovazione che contraddistingue la Svizzera.

La stazione di Jungfraujoch venne inaugurata ormai più di cento anni fa, nel lontano 1912. È raggiungibile tramite la linea ferroviaria Jungfraubahn, che parte da Kleine Scheidegg e che arriva a destinazione dopo aver attraversato tunnel unici, scavati direttamente nelle pareti delle montagne Eiger e Mönch, per un viaggio che dura circa 50 minuti e per una lunghezza di 93 chilometri. Un’esperienza che merita assolutamente di essere vissuta e che da sola merita il viaggio.

Come arrivare alla stazione di Jungfraujoch

Raggiungere la stazione di Jungfraujoch è quindi, di per sé, una vera avventura tra paesaggi alpini mozzafiato. Per arrivare alla stazione ferroviaria più alta d’Europa si parte da Interlaken, che è una delle città svizzere più amate dai turisti e che si trova tra il lago di Thun ed il lago di Brienz. Da qui si prende il treno per Lauterbrunnen o Grindelwald, da dove poter prendere il treno diretto a Kleine Schiedegg dove, infine, è possibile salire sulla linea Jungfraubahn, che porta a destinazione.

Questo percorso attraversa paesaggi naturali unici, tra cascate, valli verdi, laghetti di montagna e, infine, cime innevate, che in un certo senso sembrano abbracciare il treno ed i viaggiatori durante la parte finale del percorso.

Cosa fare una volta arrivati a destinazione?

Una volta arrivati alla stazione di Jungfraujoch, ci si trova in un mondo completamente diverso, dove poter godere non solo di un paesaggio unico come quello del passo di Jungraujoch, ma anche di creare e vivere esperienze indimenticabili. Sono presenti, infatti, diverse attrazioni oltre la stazione, che potrebbero interessare ed arricchire il viaggio.

Ad esempio, uno dei punti più iconici di Jungfraujoch è l’osservatorio Sphinx, una piattaforma che si trova a 3571 metri d’altezza e da dove è possibile ammirare il panorama sulle vette circostanzi e sul ghiacciaio dell’Aletsch. Nei giorni più limpidi è anche possibile scorgere in lontananza le cime del Monte Bianco e le pianure della Germania. Un’altra attrazione è il Palazzo di Ghiaccio, una grotta scavata nel cuore del ghiacciaio ed al cui interno è possibile ammirare scultura di ghiaccio scolpite e che rappresentano animali e figure mitologiche.

C’è poi il sentiero delle Nevi, un’esperienza imperdibile per tutti coloro che amano immergersi nella natura. Si tratta i un percorso che permette di camminare anche direttamente sulla neve e sul ghiacciaio e che, durante l’estate, periodo in cui è accessibile, permette di camminare a contatto con l’ambiente alpino.

Infine, alla stazione ferroviaria di Jungfraujoch è presente una mostra che racconta l’ingegneria della ferrovia della Jungfraubahn e la sua storia, attraverso una serie di tunnel illuminati, dove i visitatori possono rivivere l’impresa che ha portato alla creazione della ferrovia più alta d’Europa.

Visitare Jungfraujoch è più di un’esperienza turistica, è un viaggio che attraverso il cuore delle Alpi e che consente ai viaggiatori di godere di una connessione profonda con la natura, godendo di un tributo alla capacità umana di superare sfide che un tempo si potevano considerare decisamente impensabili. La stazione di Jungfraujoch, la più alta d’Europa, è da considerarsi un’esperienza unica ed in grado di creare ricordi indelebili.

Treno rosso che porta alla stazione di Jungfraujoch sulle alpi svizzere in un paesaggio innevato

Fonte: iStock

Treno rosso che porta alla stazione di Jungfraujoch in Svizzera
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Germania, il ponte del diavolo che fa impazzire i turisti

Un luogo in cui la natura e la mano dell’uomo hanno creato una vera e propria meraviglia, così tutti coloro che si trovano a visitare il Rhododendron Park Kromlau, parco di rododendri e azalee che si trova a Gablenz in Sassonia restano senza fiato muovendosi all’interno dei suoi 80 ettari.

Piante rigogliose, un suggestivo lago di nome Rakotzsee che è il cuore pulsante di tutto il parco e poi lui, il ponte del diavolo, il cui vero nome è Rakotzbrücke.

Fascino e mistero ammantano questa costruzione che sembra essere uscita da un sogno, fata di pietre appuntite, che si allungano verso il cielo, mentre la struttura va a formare un arco perfetto che, specchiandosi nelle acque del lago, diventa un cerchio.

Magia? Oppure la sapiente mano dell’uomo? Ovviamente la seconda, anche se non mancano le storie e le leggendo. Quello che è certo è che, da qualsiasi angolo si osservi la costruzione, completamente priva di barriere, si nota la ruota che va a formare insieme al suo riflesso. Tutto quello che c’è da sapere.

Il parco in Germania in cui ammirare il ponte del diavolo

Un paesaggio favoloso, in cui godere della bellezza della natura e dell’ingegno dell’uomo. Siamo in Germania, in Sassonia, e l’area dove è sorto il parco Kromlau è stata acquistata nel 1842 da Friedrich Hermann Rötschke che ha dato il via alla sua idea che si ispirava a quella del vicino Parco di Muskau, Patrimonio dell’Umanità Unesco. La struttura del parco e le specie di piante che crescono rigogliose al suo interno hanno dovuto fare i conti con il trascorrere del tempo, ma resta comunque il fascino lussureggiante di un luogo in cui respirare la bellezza della natura.

Rocce basaltiche vicino al ponte del diavolo nel Park Kromlau

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Alcune rocce basaltiche vicino al ponte del diavolo nel Park Kromlau in Sassonia

Oltre alla flora rigogliosa, uno degli elementi più affascinanti del parco è il suo meraviglioso ponte del diavolo, che lascia senza fiato non solo per la sua struttura che sembra sfidare ogni legge umana, ma anche perché il suo riflesso va a formare un cerchio perfetto quando si specchia nelle acque del lago.

In anni recentissimi sono stati portati avanti importanti lavori di ristrutturazione, come si legge sul sito -infatti – sono stati rinnovati 8,5 chilometri di sentieri e ne sono stati ricostruiti alcuni, sono avvenute nuove piantumazioni ed è stato allestito un punto informazioni. Il parco è accessibile ogni giorno e al suo interno vi è una suggestiva struttura molto antica che può ospitare cerimonie nuziali, in più ci sono una serie di sistemazioni: una di queste rende possibile pernottare nel castello, ma ci sono anche altre soluzioni come la Kavalierhaus che è stata realizzata intorno al 1860 e in anni recenti è stata sottoposta a interventi di ristrutturazione. Per chi desidera si può anche capeggiare nei pressi del lago, che è balneabile

Il ponte del diavolo in Germania

Di ponti del diavolo se ne possono trovare diversi in numerose parti del mondo, sono accomunati dalla loro spettacolarità e dalle leggende che circolano in merito alla loro costruzione. Infrastrutture che si innalzano verso il cielo e si allungano con le loro forme particolari. Proprio come quello che si trova in Germania e più precisamente in Sassonia, vicino al confine con la Polonia.

Pare che il ponte Rakotzbrücke sia stato realizzato intorno alla metà dell’Ottocento, nel corso degli anni Sessanta di quel secolo, soprattutto utilizzando pietre in basalto e inizialmente assicurandolo con supporti in legno, poi successivamente rimossi. Ci sono voluti circa una decina di anni per innalzarlo e la sua vista lascia letteralmente senza parole. Un po’ perché va a formare un cerchio perfetto con il suo riflesso nel lago, un po’ perché le colonne di basalto che lo circondano, giunte appositamente da cave lontane per la sua costruzione, sembrano non poter essere il frutto della mano dell’uomo. A quanto pare, non si può salire sulla struttura per preservarla.

Lungo 7,8 metri e largo 6,5, è stato oggetto di ristrutturazione tra il 2018 e il 2019. Ovviamente, come accade per tutti i ponti che vengono definiti del diavolo, anche in merito a questa costruzione si sussurrano paurose leggende.

Il Ponte del Diavolo Rakotzbrücke

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Ponte del diavolo Rakotzbrücke in Germania

Le leggende del ponte del diavolo Rakotzbrücke

Affascinanti e al tempo stesso misteriosi, costruzioni talmente eccezionali da rendere impensabile che siano state realizzate dalla sola mano umana. Anche il ponte del diavolo Rakotzbrücke ha le sue leggende. Ad esempio, come accade per molte infrastrutture simili, si dice che il maligno abbia avuto parte nel suo compimento, pretendendo in pegno per l’aiuto l’anima della prima persona che lo avrebbe attraversato (in questo caso un cane).

Ma non è l’unica storia, si dice anche che, se lo si guarda da una certa angolazione possa mostrare il volto del Diavolo.

Ma al di là delle leggende una cosa è certa: mentre lo si osserva è facile immaginare davvero una favola ricca di misteri e di colpi di scena, perché questo ponte – e il paesaggio in cui è immerso  – regalano tantissimi spunti alla fantasia.

E vale la pena visitare il parco e il suo ponte in ogni momento dell’anno, perché ogni stagione regala suggestioni uniche, ma non solo perché al suo interno vengono organizzati anche diversi eventi: da festival ad appuntamenti musicali fino a un meraviglioso mercatino di Natale.

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Masada, la drammatica storia dell’antica fortezza d’Israele

Masada è una meta turistica molto amata dagli stranieri ed è quasi un culto per gli israeliani: il motivo sta nella sua storia, che sfiora la leggenda. È un’antica fortezza costruita a picco su una rocca a 400 metri di altitudine nel bel mezzo del deserto da cui si scorge il Mar Morto, una delle tappe obbligate in Israele oltre a Tel Aviv e Gerusalemme quando si fa un viaggio per la prima volta.

La storia di Masada, l’antica fortezza di Israele

Masada era circondata da mura alte cinque metri lungo un perimetro di un chilometro e mezzo, con una quarantina di torri alte più di 20 metri. Era considerata una fortezza inespugnabile. A rendere ancor più difficile un eventuale assedio contribuiva la particolare conformazione del territorio. L’unico punto d’accesso a Masada era l’impervio Sentiero del serpente, così chiamato per via dei numerosi tornanti che lo rendevano un difficile ostacolo. Oggi, Masada è nella lista dei Patrimoni dell’Unesco e a questa antica città è legato un tragico evento.

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Fonte: 123RF

Il Sentiero del serprente (con vista sul Mar Morto) che conduce a Masada

L’assedio di Masada è stato l’evento che ha trasformato questa florida città in un luogo abbandonato in una sola notte. Nel 66 a.C., Masada era stata conquistata da un migliaio di Sicarii che vi si insediarono con donne e bambini. L’esercito Romano, guidato da Lucio Flavio Silva, assediò la città dei ribelli che si erano arroccati nella fortezza, considerata inespugnabile. Pur di non farsi catturare, gli abitanti decisero di suicidarsi in massa. Quando i Romani entrarono nella cittadella trovarono solo i cadaveri. Oggi, Masada, oltre a un bellissimo sito archeologico, è un simbolo: tutt’oggi le reclute dell’esercito israeliano vengono condotte sul questo luogo simbolico per pronunciare il giuramento di fedeltà al grido di: “Mai più Masada cadrà”.

Masada, tappa imperdibile in Israele

L’altopiano su cui sorge Masada, immerso nella depressione del Mar Morto, offre uno scenario naturale a dir poco mozzafiato. La montagna all’interno del Deserto di Giuda su cui sorge l’antica fortezza domina il mare. Si tratta di un luogo unico al mondo, che riunisce meraviglie incredibili, bellezze naturali e che ha una storia millenaria. Poco lontano dal sito archeologico ci sono il punto più basso del pianeta a -425 metri sul livello del mare e l’oasi di Ein Gedi, dove è possibile fare il bagno nelle acque salate del mare e restare a galla.

Masada, il sito che riserva ancora sorprese

Il sito di Masada è ancora oggi oggetto di studi da parte di esperti storici e archeologici, tanto che una nuova ipotesi ha ribaltato alcune teorie sostenute finora. Le prime scoperte archeologiche della fortezza risalgono all’inizio del 1800, ma solo alcuni scavi effettuati negli Anni ’60 riportarono alla luce gli edifici che ora si possono ammirare a Masada. Nel I secolo a.C., la fortezza ospitava il palazzo di Erode il Grande che lo fece fortificare. Le mura sono in parte ancora lì. La sua villa era arroccata su tre diversi livelli a picco sullo strapiombo e aveva le terme con la caldaia centrale, alcuni magazzini sotterranei e ampie cisterne per la raccolta dell’acqua.

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Le mura dell’antica città di Masada

Tre zone abitative con un unico cortile ospitavano gli abitanti di Masada. Ci sono anche i resti di una chiesa bizantina del V secolo con una sala principale e tre stanze secondarie. Sul livello inferiore della cittadella si trovano alcuni alloggi destinati agli ospiti di Erode. Ma l’edificio più imponente è il Palazzo occidentale che ha un’estensione di 3.700 metri quadrati.

Uno studio pubblicato di recente sul Journal of Roman Archaeology ha portato alla luce maggiori dettagli su come siano state realizzate le opere d’assedio costruite dai Romani e su quali fossero le loro esatte funzioni originarie, una teoria sostenuta da alcuni archeologi israeliani. Secondo gli esperti che hanno condotto lo studio, per costruire le fortificazioni ci volle la manodopera e il sudore di più di 5.000 soldati. Inoltre, alcune sezioni delle mura non furono realizzate a scopo esclusivamente difensivo, ma per poter suscitare nel nemico un effetto psicologico, dando l’impressione di essere troppo imponenti e grandi per essere oltrepassate.

Come arrivare a Masada

Il Sentiero del serpente è il percorso che, tutt’oggi, permette l’accesso alla fortezza di Masada. Lungo oltre cinque chilometri, è piuttosto difficoltoso perché, oltre a essere in salita, lo si percorre sotto il sole cocente del deserto. L’alternativa è più veloce e meno faticosa, ma non è adatta a chi soffre di vertigini: una funicolare sfreccia nel vuoto con un dislivello di 290 metri e conduce i visitatori fino in cima. Molti dei turisti che frequentano il sito iniziano la scalata al Sentiero del serpente prima dello spuntare delle prime luci dell’aurora, nel buio della notte rischiarato unicamente dalla luna e dalle stelle, per riuscire a vedere l’alba dall’interno delle rovine dell’antica fortezza. Il sole sembra sorgere da una parete rocciosa per riversare la sua luce su tutto l’avvallamento circostante. Uno spettacolo unico che merita un viaggio.

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La funivia che porta alle rovine di Masada
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Kilmartin Glen, la sorprendente (e sconosciuta) Stonehenge scozzese

Percorrendo la strada a nord-ovest che da Glasgow attraversa le colline di Argyll, la civiltà scompare e il paesaggio appare privo di vita e di storia, ma soltanto per l’occhio inesperto.

Infatti, quando si supera Loch Fyne, svoltando verso nord appena fuori dal villaggio di Lochgilphead, appare la grande distesa di Kilmartin Glen, la Scozia vista dai re dell’antico regno gaelico Dál Riata del VI e VII secolo, e le torbiere rialzate accolgono il visitatore con un paesaggio plasmato da colline accidentate, campi “colonizzati” da pecore Blackface e foreste di querce dalle radici profonde.

Ma guardando più da vicino, mentre la strada serpeggia verso nord fino alla città portuale di Oban, diventa subito chiaro che Kilmartin Glen è un luogo che cela una storia eccezionale: sì perché è questo lo scenario di una collezione preistorica di monumenti henge, tumuli funerari, pietre erette, cerchi di pietre e dei più importanti siti di arte rupestre in tutta la Gran Bretagna, con oltre 800 reliquie antiche (secondo l’ultimo conteggio).

Uno dei più grandi tesori della Gran Bretagna

Tanta meraviglia vide la luce prima dell’arrivo dei Romani e dei Greci, prima che le piramidi venissero costruite circa 4.700 anni fa e prima di Stonehenge, celebre e straordinario sito neolitico. Tutti gli archeologi e gli antiquari concordano sul fatto che Kilmartin Glen sia uno dei più grandi tesori della Gran Bretagna, eppure la maggior parte delle persone non ne ha mai sentito parlare.

D’altronde, se è vero che gli antiquari si interessarono all’area fin dal 1800, fu solo negli Anni Sessanta che due volontari locali, Marion Campbell e Mary Sandeman, intrapresero la prima indagine archeologica.

Con gli occhi fissi sul terreno, scoprirono, così, siti dimenticati per secoli, oltre a raccogliere un cospicuo archivio di manufatti del Neolitico e dell’Età del bronzo, tra cui vasi, coppe, ceramiche, asce e punte di frecce.

Da allora, il patrimonio di Kilmartin Glen ha continuato a essere oggetto di grande attenzione, centimetro dopo centimetro, e i reperti rinvenuti aiutano a tracciarne la sequenza temporale tra le sale del nuovo museo fondato agli inizi degli Anni Novanta, quando Campbell lasciò in eredità la sua collezione al museo originario: da allora, sono stati raccolti ben 22.000 manufatti.

L’esposizione sembra, inoltre, un “avvertimento” sulla natura fragile dell’esistenza umana e su come dovremmo onorare le storie dei nostri antenati. Non a caso, chi parla gaelico conosce un proverbio per scavare nel passato, riportato in grassetto su un pannello informativo lì accanto: “Cuimhnich air na daoine on dànaig u” (Per ricordare coloro da cui provieni).

Il fascino di un luogo antico che trasuda mistero

Di tutti gli strani dettagli su Kilmartin Glen, forse il più notevole è che quasi tutti i suoi siti sono raggruppati entro un raggio di circa 9 chilometri dal villaggio di Kilmartin. Ulteriori prove della civiltà preistorica della valle si trovano ad Achnabreck, un affioramento seminascosto che corona una collina 10 chilometri a sud del nuovo museo: realizzato per allinearsi con il tramonto di metà inverno, quando la luce bassa rivela una serie di spirali cornute, rosette e segni di anelli, è uno dei più grandi siti di arte rupestre del suo genere.

Alcuni ipotizzano che le incisioni preistoriche siano animate da forze soprannaturali.

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Cosa vedere a Wattens, la città dei cristalli Swarovski

Tra gli incantevoli paesaggi alpini si trova un vero e proprio piccolo gioiello, che brilla per la sua bellezza e per le sue caratteristiche uniche. Si tratta di Wattens, la città dei cristalli Swarovski. Questa piccola cittadina si trova nei pressi di Innsbruck, nella regione autonoma del Tirolo, e rientra sicuramente fra le mete più affascinanti per chi è alla ricerca di una combinazione di arte, natura ed innovazione. Un mondo che si potrebbe definire “scintillante”, dove creatività ed artigianato danno vita ad opere uniche.

Quando nasce il marchio Swarovski?

Per capire appieno l’associazione fra la città di Wattens ed i cristalli, e la sua importanza, è necessario partire dalle origini, da quando, cioè, nasce il famoso marchio Swarovski. L’azienda venne fondata nel lontano 1895 dall’omonimo Daniel Swarovski e nacque con l’obiettivo di realizzare cristalli di altissima qualità, utilizzando un innovativo processo di taglio del materiale, brevettato proprio dal suo creatore.

In pochissimo tempo Swarovski è riuscito a conquistare il mondo della moda e dell’arte, trasformando così il cristallo in un materiale prezioso e, soprattutto, desiderato a livello internazionale, trasformando il marchio in sinonimo di eleganza, lusso e raffinatezza.

I Mondi di Cristallo Swarovski

L’attrazione principale della città di Wattens sono, senza ombra di dubbio, gli Swarovski Kristallwelten, conosciuti come i “Mondi di Cristallo Swarovski”. Si tratta di un museo straordinario, inaugurato nel 1995, per celebrare il centenario dell’azienda austriaca. Venne ideato dall’artista André Heller ed al suo interno è possibile ammirare uno spazio espositivo multisensoriale.

A partire dall’ingresso, che già di per sé è un’opera d’arte, un gigantesco volto verde scolpito nella collina e dalle cui labbra sgorga una cascata, i visitatori seguono un percorso in grado di stimolare tutti i sensi. All’interno del museo, infatti, si trovano 14 stanze tematiche, ognuna delle quali è stata progettata da artisti di fama internazionale. Queste camere vengono chiamate Camere delle Meraviglie è offrono esperienze che vanno oltre la semplice “ammirazione” dell’opera. Giochi di luce, effetti ottici e suoni coinvolgono il visitatore in modo profondo, portandolo a riflettere sul rapporto tra arte e natura.

La più iconica di queste stanze è il Duomo di Cristallo: una cupola composta da 590 specchi, che creano un caleidoscopio di riflessi scintillanti, per un’esperienza visiva unica. C’è anche il Cristalloscopio, che altro non è che un tubo di cristallo gigantesco, che invita i visitatori ad osservare il mondo attraverso una lente del tutto inusuale e che trasforma tutto ciò che si osserva in forme e colori nuovi e sorprendenti.

Esperienza tra arte e tecnologia

Ogni installazione dei Mondi di Cristallo ha un significato profondo, ma soprattutto è stata creata dalla combinazione unica di arte e tecnologia. Queste caratteristiche sono visibili soprattutto in due opere all’interno del museo. La prima è la stanza 55 Million Crystals, una camera immersiva ideata dall’artista Brian Eno, con lo scopo di unire suoni ed immagini per un’atmosfera rilassante e meditativa e dove ogni cristallo diventa un mezzo per esplorare suoni, luci e spazi.

Altra installazione di forte impatto è sicuramente la Foresta di Cristallo, ad opera del videoartista italiano Fabrizio Plessi. Questa stanza è in grado di combinare gli elementi naturali con tecnologie avanzate, che portano il visitatore in un ambiente dove il natura ed invenzione sembrano unirsi. Il cristalli illuminano il percorso, mentre suoni ed immagini sembrano evocare il ciclo della vita.

Il Giardino dei Cristalli

Oltre alle spettacolari Camere delle Meraviglie, lo Swarovski Kristallwelten vanta anche un ampio giardino che circonda il museo. Si tratta di uno spazio all’aperto che rappresenta una vera e propria oasi di pace in grado di fondere arte e natura. Nel giardino, tra le principali attrazioni, si trova la Nuvola di Cristalli: una scultura sospesa che brilla alla luce del sole grazie a ben 800.000 cristalli che riflettono i raggi in ogni direzione. Un’attrazione sicuramente molto suggestiva ed affascinante durante le giornate di sole, quando la luce crea un effetto magico ed amplifica la bellezza naturale del paesaggio che la circonda.

Il Crystal Stage, per gli amanti dello shopping

Al termine del percorso del museo, gli amanti del design e dei cristalli, ma anche dello shopping, troveranno un vero e proprio paradiso. Il Crystal Stage è il più grande negozio di cristalli Swarovski al mondo, dove è possibile ammirare ed acquistare pezzi unici, introvabili altrove. Questo luogo è la tappa obbligata per i collezionisti e gli amanti del lusso, che hanno la possibilità di trovare gioielli, sculture e diversi oggetti di design realizzati con le classiche tecniche di realizzazione che caratterizzano i cristalli Swarovski.

Consigli e come raggiungere il museo dei cristalli di Wattens

Per tutti coloro che sono interessati alla visita di questo fantastico museo austriaco, è consigliabile acquistare in anticipo i biglietti di ingresso presso il sito ufficiale degli Swarovski Kristallwelten. Il biglietto ha un costo che va dai 23€ per singolo ingresso ai 25€ per biglietto con data flessibile. Ci sono anche pacchetti “compleanno” che vanno da 250€ a 300€.

È possibile acquistare pacchetti speciali per famiglie, coppie e gruppi, immergendosi in visite guidate e workshop tematici. Ci sono anche diversi punti ristoro dove poter gustare piatti tipici della cucina tirolese.

È possibile raggiungere Wattens dalla bellissima città di Innsbruck molto facilmente, data la sua ridotta distanza (circa 20 km), in auto in circa 20 minuti, oppure in autobus, con il Swarovski Kristallwelten Shuttle che parte direttamente dal centro cittadino, oppure in treno, anche se la stazione più vicina è distante circa 5 km.

Bus in tour ai museo Swarovski di Wattens, in Austria, che partono dal centro di Innsbruck

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Tour in bus del Mondo dei Cristalli di Wattens, museo Swarovski

Cosa vedere nei dintorni di Wattens

Oltre al museo Kristallwelten, nei dintorni di Wattens è possibile vivere e scoprire attrazioni naturalistiche e culturali uniche. Per chi ama le escursioni in natura, fra le Alpi tirolesi è possibile passeggiare lungo sentieri panoramici unici, con viste mozzafiato. Inoltre, è possibile visitare la bellissima città di Innsbruck, con il suo affascinante centro storico, il Tettuccio d’Oro e la Hofburg, una meta imperdibile per chiunque desideri esplorare la storia, la cultura regionale e le fantastiche città storiche austriache.

Wattens ed il mondo Swarovski rappresentano una tappa imperdibile per chiunque desideri visitare l’Austria e le sue bellezze, destinazione ideale per tutti gli appassionati di arte, moda e design, che sono alla ricerca di un’esperienza fuori dall’ordinaria e che sicuramente sarà in grado di creare delle esperienze uniche ed indimenticabili.

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Curiosità Dubai isole Posti incredibili Viaggi viaggiare

Queste sono le isole più strane del mondo

Sappiamo bene che l’essere umano è una creatura curiosa: in percentuali diverse, ognuno di noi è attratto da ciò che non conosciamo, da posti incredibili e talvolta anche strani. Se alla curiosità uniamo la passione dei viaggi, il nostro spirito avventuriero potrebbe portarci verso mete uniche, molto spesso remote, come queste isole considerate le più strane del mondo. A volte è tutta opera della natura, altre c’è lo zampino dell’uomo che con la sua creatività ha dato vita a scenari surreali: scopriamole insieme.

Palm Jumeirah, Dubai

Partiamo dall’isola considerata una delle attrazioni principali di Dubai: Palm Jumeirah. In realtà si tratta di un complesso formato da diverse isole artificiali che, insieme, vanno a creare una palma con tronco, 17 rami e un semicerchio che agisce come un frangiflutti. Per la costruzione di Palm Jumeirah, durata 7 anni (dal 2001 al 2008) è stata utilizzata la sabbia dragata dal fondo del Golfo Persico e più di sette milioni di tonnellate di roccia. L’isola artificiale ospita hotel di lusso tra i più importanti al mondo ed è chiaro che, per ammirarla, sia necessaria una visuale privilegiata dall’alto. Avete due possibilità: prenotare un giro in elicottero o salire al 52° piano del The View at The Palm situato dentro The Palm Tower. La terrazza, situata a un’altezza di 240 metri, aprirà davanti a voi un panorama a 360 gradi.

Isola palma Dubai

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L’isola artificiale a forma di palma costruita a Dubai

Isole galleggianti degli Uros, Perù

Torniamo a un’isola nata dall’ingegno dell’uomo, in questo caso dell’etnia degli Uros, un popolo proveniente dalla Bolivia e giunto sul Lago Titicaca (come vedrete ora, letteralmente sul lago) per scappare dalle invasioni degli Inca e del popolo Colla. Le acque del lago divennero ben presto la loro casa perché è qui che iniziarono a costruire delle imbarcazioni fino a unirle per creare delle vere e proprie isole artificiali o villaggi galleggianti. La particolarità di queste isole è che possono scendere e salire seguendo il livello del lago e gli abitanti possono spostarle come se fossero delle chiatte. Le costruzioni sono state realizzate con materiali locali, come la ‘totora’, una pianta acquatica molto robusta che cresce in tutta la zona. In generale ci sono circa 80 isole abitate da 1800 persone.

Sable Island, Canada

Questo piccolo angolo di mondo, situato 150 chilometri a sud-est della Nuova Scozia, ha due particolarità. È tristemente noto come il “Cimitero dell’Atlantico”, per via dei numerosi naufragi, e rappresenta un parco nazionale abitato quasi esclusivamente da cavalli selvaggi, di cui se ne contano almeno 500. Come ci sono arrivati questi cavalli sull’isola? Fu un commerciante americano a portarli qui con l’obiettivo di trasformare Sable Island in un allevamento equino. Alla sua morte, i cavalli abbandonati si sono letteralmente impadroniti dell’intera isola.

Vulcan Point, Filippine

Un vulcano che contiene un lago che, a sua volta, contiene un altro vulcano. Confusi? Vi spieghiamo meglio: ci troviamo nella matrioska geologica del Vulcan Point, nelle Filippine, a 50 chilometri da Manila. Il Vulcan Point è un’isola situata dentro un lago (Main Crater Lake), situato a sua volta dentro un’isola (Volcano Island), che si trova dentro un lago (Taal Lake), che, ancora, si trova dentro un’isola (Luzon Island). Questo è possibile perché il tutto si è formato all’interno della caldera del vulcano Taal, il più attivo del paese, in seguito a un’eruzione di tipo esplosivo di dimensioni molto grosse (che genera un cratere molto grande) seguita da una più piccola che forma un cratere più piccolo all’interno.

Vulcan Point Filippine

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Vista del vulcano Taal sull’isola di Luzon

Ōkunoshima, Giappone

Restiamo in tema di animali, ma voliamo verso il Giappone dove sono teneri conigli a fare da padroni su un’isola situata nella prefettura di Hiroshima dove non c’è molto da fare se non coccolare questi lagomorfi e godersi il mare. L’isola, originariamente utilizzata come base di produzione di gas velenosi durante la Seconda Guerra Mondiale (un aspetto che può essere approfondito nel museo), è oggi una riserva naturale ideale per trascorrere una giornata all’aria aperta tra picnic e sessioni di snorkeling. Se poi vi siete dimenticati di portare il cibo per i conigli, troverete un apposito bar dove acquistarlo!

Niihau, Hawaii

Un’isola, la più piccola delle Hawaii, dove non esistono strade, non c’è elettricità o internet e neanche strutture turistiche: benvenuti a Niihau. Proprietà privata dal 1864, quando Elizabeth Sinclair, potente proprietaria terriera scozzese, decise di comprarla dal re Kamehameha V per conto della corona inglese, qui il tempo sembra essersi fermato. Niihau è conosciuta come The Forbidden Island perché l’accesso è vietato a tutti tranne ai parenti di coloro che ci abitano, al personale della Marina Militare degli Stati Uniti, ai funzionari governativi e altri selezionati ospiti della famiglia proprietaria. L’obiettivo è quello di onorare la richiesta del re di salvaguardare sempre gli interessi degli abitanti e del territorio: ecco perché, a differenza delle altre isole delle Hawaii, Niihau è letteralmente fuori dai radar turistici.

Hashima, Giappone

Torniamo in Giappone dove, tra le 505 isole disabitate della prefettura di Nagasaki, Hashima è considerata la più spettrale. Chiamata anche Gunkanjima, “nave da guerra”, per la somiglianza del suo profilo alla corazzata giapponese Tōsa, fu abbandonata nel 1974 in seguito alla chiusura dello stabilimento minerario. Oggi rappresenta uno dei più grandi e significativi esempi di archeologia industriale tanto che, dal 2015, è stato inserito tra i ventitré siti storici industriali Patrimoni dell’Umanità. Per raggiungere Gunkanjima dovrete necessariamente partecipare a uno dei tour organizzati disponibili più volte al giorno e in partenza dal porto di Nagasaki.

Hashima Giappone

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L’isola di Hashima

Isola di Natale, Australia

Paesaggi incontaminati e fenomeni migratori, l’Isola di Natale è un paradiso naturale appartenente all’Australia e situato nell’Oceano Indiano. Seppur il primo europeo ad avvistarla fu Richard Rowe nel 1615, è stato il capitano della Royal Mary, William Mynors, a conferire il nome a questo luogo quando vi passò accanto il 25 dicembre 1643. Soprannominata “Galapagos dell’Oceano Indiano“, è famosa per la migrazione annuale dei granchi (circa 50 milioni di granchi rossi si spostano ogni anno lungo l’isola) per le sue spettacolari barriere coralline e per gli squali balena.

Thilafushi, Maldive

Non proprio l’isola che immaginiamo quando parliamo di Maldive, Thilafushi è nata nel 1991 per volere del governo e funge da discarica municipale per la capitale Malé. Un’isola dei rifiuti artificiale che esiste da trent’anni, dove vengono scaricati quotidianamente plastica e altri oggetti, smaltiti all’interno di fosse scavate nella sabbia. Seppur le Maldive stiano cercando diverse soluzioni per limitare l’uso della plastica e di altri materiali inquinanti, la grandezza di quest’isola cresce anno dopo anno.

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Il lago rosa della Crimea è uno spettacolo della natura

Il lago rosa di Sasyk-Sivash, nella città di Yevpatoria, nella parte occidentale del Penisola di Crimea, è uno spettacolo della natura e ogni anno era solito attirare migliaia di turisti curiosi di vedere questo specchio d’acqua dall’insolito colore e di scattarsi selfie. Il Sivash (o Sivaš), comunemente chiamato anche Mare Marcio, consiste in un sistema di baie e di lagune di grande superficie a Ovest del Mar d’Azov. E pensare che questo luogo di incredibile bellezza dal 2014, a causa della crisi in Crimea, è attraversato dal confine tra la Russia e l’Ucraina. Oggi sono pochi i visitatori che osano andarci.

Perché il lago di Sasyk-Sivash è rosa

La profondità massima delle acque del lago Sivash o Sivaš non supera i 3 metri e il fondale è coperto da uno strato molto spesso – anche dieci metri – di sedimenti salini e carbonici. Le sue acque sono talmente salate – fino all’87 per cento – che la superficie assume delle sfumature che vanno dal rosa chiaro al rosso vermiglio a causa della presenza massiccia di un’alga che vive nell’acqua salata, la Dunaliella, capace di sopravvivere anche in ambienti terribilmente inospitali grazie ad alcuni meccanismi di difesa che la proteggono dalle radiazioni solari e dalla pressione osmotica.

Perché è chiamata anche Mare Marcio?

D’estate, la superficie dell’acqua si riscalda gradualmente emettendo uno sgradevole odore sulfureo, da cui il nome di Mare Marcio. Ed è anche a causa della forte evaporazione dell’acqua che, in questa stagione, emergono delle ampie superfici asciutte che appaiono come un deserto di sale.

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Fonte: IPA

Il deserto di sale del lago Sivash

Cosa sono le strane formazioni in mezzo al lago?

Un’altra caratteristica del lago di Sivaš è data dai particolari funghi di sale ovvero delle incrostazioni saline che prendono la forma di un fungo, la cui formazione è dovuta sempre all’evaporazione dell’acqua nei mesi estivi. Il lago ha anche dato il nome a una stazione ferroviaria sorta nei pressi dell’omonimo villaggio.

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Fonte: IPA

Le formazioni saline sulle acque del lago Sivash

Quando visitare il lago rosa

Il Lago Sivaš è diventato, col tempo, una meta molto ambita soprattutto tra gli amanti della natura e gli appassionati di fotografia. Vedendo il paesaggio nella sua totalità, infatti, non si può che rimanere incantati dalla sua bellezza. Durante i periodi estivi la magia si intensifica ed è il momento migliore per visitarlo, quando l’acqua evapora, facendo emergere, così, parti di superficie che trasformano il paesaggio nel deserto salino. Durante l’evaporazione, inoltre, l’alga si riproduce più velocemente raggiungendo la sua massima diffusione e donando al bacino sfumature ancora più intense. L’effetto visivo è strabiliante, d’altro canto questo fenomeno porta con sé un odore sulfureo molto pungente e a tratti decisamente sgradevole. Ma vale il viaggio.

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Rocchetta Mattei, un castello delle fiabe in Italia

Nel cuore dell’Appennino settentrionale, a 407 metri sul livello del mare, in località Savignano (comune di Grizzana Morandi) si trova la Rocchetta Mattei, un luogo a dir poco fiabesco, nei pressi di Bologna.

La Rocchetta Mattei è una rocca costruita nella seconda metà del XIX secolo, che mescola in modo eclettico stili diversi, dal medievale al moresco. Scopriamo di più su questo meraviglioso tesoro dell’Emilia-Romagna, una tappa imperdibile per chi va a caccia di luoghi incredibili.

La storia della Rocchetta Mattei

La Rocchetta Mattei in passato e in origine fu la dimora del conte Cesare Mattei, letterato, politico e medico autodidatta fondatore dell’elettromeopatia, pratica fondata sull’omeopatia. Il 5 novembre 1850 venne posta la prima pietra della Rocchetta e già nel 1859 il luogo venne considerato abitabile, tanto che Cesare Mattei non se ne allontanò più. All’interno della Rocchetta il conte visse una vita da castellano medievale e giunse addirittura a crearsi una corte, con tanto di buffone.

Il castello ospitava illustri personaggi che arrivavano da ogni dove per sottoporsi alle cure di Mattei. Sembra che, addirittura, ospiti della Rocchetta siano stati Ludovico III di Baviera e lo zar Alessandro II. Nel 1925 la Rocchetta Mattei fu visitata in forma ufficiale dal Principe di Piemonte. Persino Dostoevskji cita il Conte ne I fratelli Karamàzov, quando fa raccontare al diavolo di essere riuscito a guarire da terribili reumatismi grazie a un libro e a delle gocce del Conte Mattei.

Rocchetta Mattei, esterni

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I cortili esterni della Rocchetta Mattei

L’insieme di edifici che forma il castello odierno è collocato su un complesso medievale, appartenuto agli imperatori Federico il Barbarossa e Ottone IV e dominio della Contessa Matilde di Canossa, che vi tenne come custode un vassallo, Lanfranco da Savignano. La necessità della difesa del passaggio sul Reno rese prezioso questo castello ai sovrani del tempo. Caduto in potere dei Bolognesi, e creata una linea difensiva più avanzata, la rocca divenne inutile e fu distrutta nel 1293.

Prima di scegliere come luogo per la costruzione del suo castello la località Savignano, vicino Bologna, pare che Cesare Mattei avesse visitato diversi luoghi. Il luogo fu preferito per molte ragioni: la comodità dell’accesso, l’isolamento del rialzo roccioso che forma un gigantesco piedistallo naturale, la situazione del luogo sulla confluenza dei fiumi Limentra e Reno, le vallate dei quali domina sovrano questo scoglio in faccia al pittoresco gruppo di Montovolo e Monvigese. Lo stile prevalente è il moresco, a cui si aggiunge l’architettura italiana medioevale e moderna.

La struttura del castello di Mattei

Una larga e comoda scala conduce al vestibolo del corpo abitato della Rocchetta Mattei. Sembra di trovarsi di fronte ad un castello delle fiabe quando si visita la Rocchetta Mattei: un ippogrifo è a guardia dell’entrata, per la quale si passa in un cortile scavato nella roccia. Due gnomi a guisa di cariatidi sostengono lo stipite di una porta di faccia. Il catino monolite che occupa il centro proviene dalla parrocchiale di Verzuno ove serviva da battesimale. In questo cortile, entrando, nell’angolo sinistro il 5 novembre 1850, alla presenza di pochi amici, Cesare Mattei pose la prima pietra della costruzione, da lui chiamata col vezzeggiativo di Rocchetta.

L’ingresso principale si apre sulla strada provinciale n. 62,’ Riola – Camugnano – Castiglione dei Pepoli ‘, diramazione della strada statale 64. Un’iscrizione in alto ricorda l’origine e il compimento dell’edificio con le parole seguenti: «Il Conte Cesare Mattei – sopra le rovine di antica rocca – edificò questo castello dove visse XXV anni – benefico ai poveri – assiduamente studioso – delle virtù mediche dell’erbe – per la qual scienza ebbe nome in Europa – ed era cercato dagli infermi il suo soccorso – Mario Venturoli Mattei – compié l’edificio – e secondo il voto di lui – nel X anno dalla morte – ne portò qui le ceneri – con amore e riconoscenza di figlio – il III Aprile MCMVI».

Dallo stesso lato, una porta conduce a una scaletta e poi al magnifico loggiato noto come Loggia Carolina in stile orientale. La scala della Torre conduce, attraverso un ponte levatoio, a una stanzetta dalle finestre piccole e dal soffitto a stalattiti, che fu la camera da letto del Conte Cesare Mattei, in cui sono ancora conservati i mobili originali e le pipe di proprietà del conte. Quasi di fronte si trova la scala delle visioni, dove una fantasia allegorica nella volta rappresenta la nuova scienza omeopatica che vince la vecchia medicina. Due distici del latinista abate Giordan, nizzardo, amico del Mattei e ospite in Rocchetta, celebrano la vittoria: «Finxerat. Haec. Deus. Huc Immissa. Luce. Superne Signavitque. Umbras. Lumine. Ducta. Manus Hisce. Nova. Ex. Herbis. Mundo. Medicina. Paratur Hinc. Vetus. Ella. Fugit. Victima. Strata. Jacet».

La scala successiva conduce alla sala inglese sull’alto del torrone principale. Ritornando nella Loggia Carolina si trovano la camera bianca e la camera turca. Dopo un breve tratto di roccia scoperta, rupe e balcone allo stesso tempo, si trova il cortile dei Leoni, la parte meglio riuscita dell’intero edificio, riproduzione del cortile dell’Alhambra di Granada. A lato del cortile dei Leoni si trova l’ingresso a una specie di vasta cantoria, che sovrasta l’interno della chiesa del castello. Entro un’arca rivestita di maioliche si trovano le spoglie di Cesare Mattei. L’arca non riporta alcun nome, ma soltanto un’iscrizione: «Anima requiescat in manu dei», «Diconsi stelle di XVI grandezza e tanto più lontane sono che la luce loro solo dopo XXIV secoli arriva a noi. Visibili furono esse coi telescopi Herschel. Ma chi narrerà delle stelle anche più remote: atomi percettibili solo colle più meravigliose lenti che la scienza possegga o trovi? Quale cifra rappresenterà tale distanza che solo correndo per milioni d’anni la luce alata valicherebbe? Uomini udite: oltre quelle spaziano ancora i confini dell’Universo!».

Interno, Rocchetta Mattei

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Gli archi moreschi della Rocchetta Mattei

Ripassando dal cortile dei Leoni si entra nel salone della pace, così chiamato in omaggio alla fine vittoriosa della Grande Guerra, e successivamente nella sala della musica nella chiesa, imitazione della cattedrale di Cordova. Accanto alla chiesa si trova il salone dei novanta, così chiamato perché il Conte Mattei avrebbe voluto tenervi un banchetto di vecchi nonagenari quando avesse raggiunta questa età. Morì prima del tempo senza aver vista la sala compiuta, che fu terminata dal figlio adottivo Mario Venturoli Mattei. Si esce nel parco e da qui una elegante scala in macigno conduce alla Porrettana. Varie costruzioni minori, destinate un tempo a locali di servizio e oggi trasformate in villette, coronano il corpo principale.

Durante la guerra le truppe tedesche danneggiano gli interni dell’edificio, tanto che, a conflitto ultimato, l’ultima erede, Iris Boriani, non riuscendo a vendere la Rocchetta, la offre gratuitamente al Comune di Bologna, che però non accetta la donazione. Nel 1959 la Rocchetta viene acquistata da Primo Stefanelli che trasforma una delle costruzioni minori, già adibita a padiglione da caccia, in accogliente albergo con annesso ristorante, dal quale accedere all’adiacente ombroso parco, vera oasi di quiete e serenità. Stefanelli si pone l’obiettivo di riparare i danni per riportare il castello nelle originarie condizioni, per farne una meta turistica di notevole interesse.

Nel 1989, Stefanelli muore e la situazione precipita: per problemi vari la Rocchetta è stata definitivamente chiusa al pubblico. Nel 1997 nasce un comitato per la tutela del castello che, nel totale abbandono dei proprietari e delle istituzioni governative, sembrava destinato alla rovina. Vengono promosse molte iniziative al riguardo, una catena umana attorno alla Rocchetta, conferenze e dibattiti, che riscuotono molto successo.

Nel 2000 viene istituito un museo sul Conte Cesare Mattei, la Rocchetta Mattei e l’Elettromeopatia in Via Nazionale 117 a Riola di Vergato, sede del Comitato “Archivio Museo Cesare Mattei”, il quale continua tutt’oggi nella raccolta di reperti storici inerenti alla vita del Conte Cesare Mattei. Nel 2006 la Fondazione della Cassa di Risparmio in Bologna ha ufficialmente annunciato l’acquisizione della Rocchetta Mattei, sottoposta a lavori di restauro ultimati terminati con la riapertura al pubblico del 9 agosto 2015.

Come visitare la Rocchetta Mattei

La Rocchetta Mattei è oggi visitabile con un biglietto di ingresso del costo di € 10,00. I giorni di apertura sono resi noti al pubblico tramite il sito web ufficiale della Rocchetta Mattei e la visita, della durata di un’ora, è prenotabile anche online.

La visita della Rocchetta Mattei è consentita solo in compagnia di una guida che accompagna i gruppi alla scoperta dei tesori del castello, con prenotazione quindi sempre obbligatoria. Inoltre, la Rocchetta Mattei è anche disponibile a visite esclusive, però da concordare con la direzione locale.

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Centralia, la ghost town più famosa del mondo che brucia dagli anni ’60

Videogiochi e film horror prendono spesso ispirazione da fatti e luoghi reali che, con le loro atmosfere e storie, rappresentano il soggetto perfetto per creare un prodotto ludico o cinematografico di successo. È il caso di Silent Hill, la cui serie di videogiochi prima e il film del 2006 dopo sono stati ispirati dalla città fantasma più famosa del mondo che brucia dagli anni ’60 perché ‘costruita sulla bocca dell’inferno‘.

Stiamo parlando di Centralia, un piccolo centro della Pennsylvania che, a causa di un incendio nel sottosuolo che brucia dal 1962 e mai domato, è oggi disabitata se non per cinque residenti che faticano a lasciarla e i curiosi e appassionati di passaggio.

La città fantasma della Pennsylvania

Centralia, situata nella contea di Columbia, in Pennsylvania, era una città degli Stati Uniti come tutte le altre fino al 27 maggio del 1962, quando un incendio l’ha trasformata a tutti gli effetti in una città fantasma. Non ci sono edifici, negozi o scuole, tutte le strade sono state sbarrate tranne una soprannominata Graffiti Highway per le scritte lasciate dai curiosi e dai turisti.

Che cosa ha causato un incendio capace di distruggere un’intera città? Per raccontare la storia di Centralia dobbiamo partire dal presupposto che si trattava di una città mineraria situata su un grande filone di antracite, un minerale in cui il carbone è presente in alte percentuali. Ed è proprio in una di queste miniere che scoppiò l’incendio del 1962, le cui fiamme si espansero rapidamente per i cunicoli sotterranei rendendo difficile qualsiasi intervento.

Ora, vi starete sicuramente chiedendo come fa il fuoco a continuare a bruciare nel sottosuolo. La risposta è molto semplice: molti cunicoli hanno delle aperture sulla superficie che permettono l’ingresso dell’ossigeno, il quale mantiene vivo il fuoco che produce molto calore e il fumo che si può vedere grazie alle spaccature createsi nell’asfalto. A quanto pare, il fuoco ha abbastanza materiale combustibile da consumare per continuare a sopravvivere per altri 250 anni circa.

Centralia: l’evacuazione e la città oggi

Dopo l’incendio, la città venne evacuata perché continuavano a formarsi doline e sfiati termici che facilitavano il rilascio di gas nocivi come il monossido di carbonio e il biossido di zolfo non solo nelle strade, ma anche direttamente all’interno delle case. Inoltre, a causa del calore del fuoco nel sottosuolo, cominciarono a crearsi delle crepe improvvise sulle strade che causarono la morte di alcuni abitanti. Chiunque abbandonò la città, tranne 5 persone che decisero di restare. Dopo la loro morte bisognerà aspettare 250 anni prima che Centralia possa accogliere nuovi cittadini perché, secondo i calcoli degli esperti, è questo il tempo necessario per far sì che tutti i materiali che continuano ad alimentare il fuoco nel sottosuolo si consumino completamente.

Ora, immaginate una città abbandonata dove l’atmosfera di desolazione è resa ancora più spettrale dalla fuoriuscita di fumi che compaiono dalle crepe stradali. È ovvio che uno scenario del genere stuzzichi l’immaginazione, soprattutto quella di registi e creatori di videogiochi, ma non solo. Anche i turisti sono attratti da Centralia, incuriositi dalla città o semplicemente fan del film/videogioco, tanto che sull’unica strada presente hanno lasciato anche delle scritte o dei graffiti colorati, rendendo Centralia meno paurosa e più accogliente.