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Il palazzo misterioso nel quale puoi attraversare l’inferno di Dante

C’è un luogo intriso di fascino, mistero, suggestione e un pizzico di magia che è da sempre in cima alla delle destinazioni da raggiungere e da esplorare. E il motivo è facilmente intuibile dato che Sintra, la località portoghese situata tra le colline della Serra de Sintra, è una vera meraviglia. Qui, sul cielo limpido, si staglia dolcemente il Palacio Nacional da Pena situato suuna sporgenza rocciosa su una delle colline più alte del territorio, un palazzo che per colori, forme e linee rimanda inevitabilmente a quell’immaginario favolistico della nostra memoria infantile.

Dall’alto, l’edificio, domina su tutto il territorio rendendo superlativo, ma non è certo l’unica tappa di un itinerario fatto di fascino e magia, di simboli apparentemente indecifrabili, di una suggestione ai limiti tra la realtà e la fantasia.

Alla scoperta della Quinta da Regaleira

Non lontano dai punti d’interesse più conosciuti e frequentati di Sintra, troviamo anche la Quinta da Regaleira, un palazzo dai lineamenti maestosi circondato da 4 ettari di lussureggianti giardini, all’interno dei quali si snodano laghetti, fontane, sculture e grotte. Conosciuto anche con il nome Palácio da Regaleira, l’edificio è stato costruito i primi anni del 1900 per volontà del collezionista ed entomologo Antonio Augusto Carvalho Monteiro, e porta la firma dell’architetto italiano Luigi Manini.

Quinta da Regaleira

Quinta da Regaleira

La bellezza rara e fuori dall’ordinario dell’intera tenuta ha fatto meritare alla Quinta da Regaleira un posto d’onore all’interno della lista del Patrimonio Mondiale dell’UNESCO nel 1995. Ma non è solo quell’affascinante architettura che fonde gli stili tardo gotico e rinascimentale, e neanche quei simboli apparentemente indecifrabili che affondano le origini nel mondo esoterico e alchemico, ma è l’intero complesso a rappresentare una sorta di viaggio iniziatico per la rinascita.

La meravigliosa Cappella della Santissima Trinità, la Loggia e la Fontana dell’Ibis e quella dell’Abbondanza, le grotte e poi ancora la torre circolare sulla quale salire per poter contemplare la tenuta nel suo insieme e tutta Sintra: Quinta da Regaleira è meravigliosa in ogni suo angolo.

Eppure c’è qualcosa che attira qui cittadini e viaggiatori da tutto il mondo, ed è la presenza di due pozzi, in corrispondenza delle torri, nelle quali scendere per affrontare il percorso di rinascita, per attraversare i 9 gironi dell’inferno dantesco.

Quinta da Regaleira

Quinta da Regaleira

L’inferno di Dante a Sintra

Sono due i pozzi all’interno della Quinta da Regaleira, quello iniziatico e quello incompleto. Il primo, nello specifico, è caratterizzato da una spirale che conduce i visitatori verso il fondo, a una profondità di 30 metri, attraversando 9 piani. Un numero che non è di certo un caso perché fa riferimento alla Divina Commedia. Il collegamento con i 9 gironi dell’inferno dantesco è inevitabile, così come lo è quello ai 9 cieli concetrici dell’opera del sommo poeta.

Scendere in questa torre invertita che squarcia il terreno, fino alle sue viscere per poi risalire, è un’esperienza che simboleggia la morte e poi la rinascita. Ad avvallare la metafora che si nasconde dietro al pozzo, c’è anche un mosaico posto sul fondo che rappresenta la bussola e la croce templare.

Ne emerge quindi un complesso che, nella sua totalità, era finalizzato a dei riti di iniziazione che si concludevano proprio in quel pozzo, in quella spirale che conduceva le persone verso il fondo e poi verso la risalita.

Il significato allegorico dei due pozzi, e soprattutto di quello iniziatico, sembra il pezzo di puzzle mancante per una comprensione totale di tutto il complesso che ancora oggi conserva misteri mai risolti e un fascino straordinario che attira qui ogni giorno migliaia di viaggiatori provenienti da tutto il mondo.

Pozzo iniziatico, Quinta da Regaleira

Pozzo iniziatico, Quinta da Regaleira

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La città che porta il nome di un patrono che però non esiste

Qualsiasi sia il contesto, la circostanza, il periodo o la stagione, quando si parla di Sanremo si parla anche del Festival perché il collegamento, neanche a dirlo, è immediato ed eterno. Crocevia di incontri, culture, storie e musica, la deliziosa cittadina costiera in provincia di Imperia non è solo il palco dell’Ariston, anche se questo è diventato il simbolo della città, nonché l’icona del Festival della canzone Italiana.

Eppure Sanremo è molto di più. È una cittadina costiera esclusiva e deliziosa, un luogo di vacanza che accoglie i viaggiatori da secoli, già nell’800 quando veniva scelta dalle famiglie reali e poi dai membri dell’aristocrazia di tutta Europa. È la città degli splendidi spazi verdi, come il parco di Villa Ormond col suo giardino giapponese, della Cattedrale di San Siro con le sue dodici campani e dello storico Casinò di Sanremo.

E dietro al rinomato Festival, e dietro a tutte le bellezze che preserva la città, c’è una storia molto curiosa che svela le origini del nome del gioiello della Riviera dei Fiori. Detto questo, siete sicuri di conoscere tutto, ma proprio tutto, su Sanremo?

La storia del Santo che non esiste e che ha dato il nome alla città

Sanremo si scrive esattamente così, tutto attaccato. Eppure analizzando il nome viene da chiedersi se le sue origini fanno riferimento a un Santo esistito. La risposta è sì, almeno in parte, perché un Santo di nome Remo non esiste.

Ma esiste San Romolo, però, che è stato il vescovo di Genova, successore a San Siro, nel V secolo. Secondo gli storici e i documenti a nostra disposizione, la vita del Santo è collegata alla città di Villa Matutiae che corrisponde all’attuale Sanremo. Dalle fonti ufficiali sembra proprio che Romolo di Genova morì nella città in occasione di una visita pastorale.

Altre leggende legate al culto del Santo, invece, parlano di un collegamento ancora più diretto con la città costiera. Si dice, infatti, che per sfuggire alle invasioni longobarde egli si rifugiò in una grotta nell’entroterra sanremese ai piedi del Monte Bignone.

Dopo la sua morte a Villa Matutiae, la venerazione del vescovo fu tale che diede vita a numerose storie e leggende che si sono, inevitabilmente, mescolate alla realtà. A lui furono attribuiti numerosi prodigi in città e la grotta divenne un luogo di pellegrinaggio.

Perché San Remo è Sanremo

Nel X secolo la cittadina scelse di cambiare il suo nome in onore del Santo: Villa Matutiae divenne Civitas Sancti Romuli. Col tempo, però, l’abbreviazione dialettale di San Roemu prese il sopravvento e si trasformò in San Remo. Nel XX secolo fu stabilito che il nome ufficiale della città della Riviera dei Fiori fosse San Remo.

Ma non tutti furono d’accordo, del resto questa non era la città di Remo, ma di Romolo. Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, però, la diatriba sul nome venne accantonata e questo ci porta al 17 giugno del 1992 quando, sulla Gazzetta Ufficiale, il nome di Sanremo apparve tutto attaccato. E così è rimasto.

E San Romolo? A lui è stata dedicata una frazione della città nell’entroterra, proprio dove c’era la grotta nella quale il Santo si rifugiò che ora è stata trasformata in una piccola chiesa.

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“L’amica geniale 3”, le location della fiction Tv

La terza stagione della serie Tv RAI “L’amica geniale”, tratta dal romanzo “Storia di chi fugge e di chi resta” di Elena Ferrante, prosegue da dove si era interrotta in “Storia del nuovo cognome”. La fiction, così come il romanzo, segue la storie delle due protagoniste, Lila, interpretata dall’attrice Gaia Girace, e Lenù, Margherita Mazzucco.

La loro grande amicizia sarà capace di resistere anche ai loro diversi stili di vita, alle differenze sociali e a quelle economiche che si sono create negli anni.

Tutta “L’amica geniale 3” è ambientata negli Anni Settanta, con Lila che, dopo aver lasciato il marito e gli agi che le garantiva, lavorerà duramente in fabbrica per mantenere il figlioletto ed Elena, che vive a Firenze, alle prese con un romanzo di successo e le inaspettate vicende famigliari.

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Lenù su un autobus a Napoli. Una scena di “L’amica geniale 3”

La Napoli di Lila

Lila, soprannome di Raffaella Cerullo, non si è mai mossa da Napoli, se non per trascorrere le vacanze estive a Ischia. Nella sua città, ci sono il marito, Stefano Carracci, – da cui si separerà per andare a vivere con l’amico Enzo Scanno – ma soprattutto il figlioletto, Gennaro. Il suo stile di vita è molto duro: lavora come operaia in una fabbrica dove insaccano i salumi e lo fa per garantire un futuro di agi al figlio. Lila però è troppo intelligente per questo lavoro e, insieme al nuovo compagno di vita (ma non di letto), va a lavorare alla IBM, agli albori dell’informatica.

Tra le location più famose del Capoluogo partenopeo c’è piazza Dante, nel bellissimo centro storico, simbolo della città e luogo di scambio e chiacchiericcio continuo, con i suoi fantastici monumenti e l’imponente statua dedicata al Sommo Poeta.

Altre scene sono state girate nella vicina piazza del Gesù, dove per esigenze di copione sono stati sistemati alcuni elementi tipici dell’epoca come, per esempio, la fermata dell’autobus 140 per Posillipo, che è stata lì per tantissimi anni.

Napoli è la protagonista assoluta della fiction così come dei romanzi della Ferrante. Anche nella prima e nella seconda serie, così come dei romanzi “L’amica geniale” e “Storia del nuovo cognome“. Le due bambine, infatti, nel primo capitolo della saga vivevano nel Rione Luzzatti, un quartiere popolare nella zona Gianturco, alla periferia Est della città (un luogo che in realtà è stato sapientemente ricostruito a Caserta, nell’ex fabbrica della Saint-Gobain).

La Firenze di Lenù

Lenù, Elena Greco, si è trasferita a Firenze, dove ha sposato il professor Pietro Airota, dal quale ha avuto due figlie, Adele (Dede) ed Elsa. Insoddisfatta – a sua insaputa – del matrimonio, dopo aver rivisto l’amore d’infanzia, Nino Sarratore, lascia tutto, marito, casa e persino le figlie per tornare a vivere a Napoli con lui.

Di Firenze, a fare da sfondo alla fiction, si riconosce la celebre piazza della Signoria, la più centrale del Capoluogo toscano, sede del potere civile e cuore della vita sociale della città. È la piazza su cui s’affaccia Palazzo Vecchio, il più rappresentativo del Rinascimento fiorentino trecentesco, e dove si trova la famosa Loggia della Signoria (o dei Lanzi, in quanto vi si accamparono il Lanzichenecchi nel 1527), ma anche dove troneggia il David (una copia) di Michelangelo (l’originale è conservata all’interno della Galleria dell’Accademia).

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Piazza della Signoria a Firenze, set della fiction Tv

Oltre a piazza della Signoria, tra le location di “L’amica geniale 3” ci sono anche piazza Santa Croce, un’altra delle principali piazze fiorentine, dominata dalla Basilica di Santa Croce, la grande piazza Santissima Annunziata che, tra le piazze fiorentine, è quella che meglio esprime gli ideali della città rinascimentale. Al centro, è riconoscibile la statua equestre di Ferdinando I de’ Medici. Ma tra i set della fiction ci sono anche alcuni palazzi storici privati, tra cui un edificio che si trova tra via de’ Servi e piazza Santissima Annunziata.

Galeotta fu Milano

Elena rivede Nino dopo tanti anni in occasione della presentazione del suo romanzo in una libreria milanese. Le scene di questo episodio sono state girate nella Galleria Vittorio Emanuele, in pieno centro.

Simbolo del Capoluogo lombardo, la galleria, che unisce piazza Duomo a piazza della Scala, è un luogo senza tempo, perfetto come set della serie ambientata nell’Italia degli Anni ’70. Oggi, come allora, la galleria ospita eleganti boutique e raffinati bar e ristoranti che, proprio negli ultimi anni, hanno riacquisto quel fascino d’antan. Da sempre la Galleria Vittorio Emanuele è considerata il “salotto buono” e il ritrovo della borghesia milanese.

Galleria e zona Duomo sono i set scelti per alcune delle scene della serie Tv. La Cattedrale più famosa del mondo fa da sfondo alla storia, così come La Rinascente, uno dei grandi magazzini più famosi d’Italia nato nei primi anni del Novecento e che, negli Anni ’70, erano al top e di assoluta tendenza.

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Motorini degli Anni ’70 davanti alla Rinascente a Milanoa

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Scoperta sensazionale in Israele: così cambia la storia

La Galilea è una delle zone più interessanti di Israele. Dal punto di vista naturalistico, ma anche archeologico e nell’ambito della paleontologia. Oltre che per la tradizione spirituale, questa regione è davvero unica al mondo proprio per la straordinaria storia dell’uomo preistorico e per le evidenze qui lasciate.

È di recente una scoperta a dir poco sensazionale. Vicino al lago di Galilea, sono stati rinvenuti i resti di un insediamento che risale a 23mila anni fa. L’analisi dei resti animali ritrovati dimostra che qui gli antichi abitanti prosperavano in maniera straordinaria.

La scoperta straordinaria

Uno studio pubblicato a fine gennaio sulla rivista Plos One dal team dell’Istituto di archeologia dell’Università ebraica di Gerusalemme, infatti, ha messo in evidenza i ritrovamenti di resti di un campo di pescatori-cacciatori-raccoglitori precedentemente sommerso sulle rive del lago di Galilea. Attraverso un’attenta analisi della varietà e dell’uso dei resti di animali, il team ha concluso che questi sopravvissuti all’ultima era glaciale prosperavano, mentre la maggior parte dei loro contemporanei, in altre parti del mondo, erano quasi affamati, a causa della temperatura estremamente fredde.

La storia del sito israeliano

Il sito israeliano, noto come Ohalo II, fu occupato alla fine della massima espansione dell’ultima era glaciale, tra 23.500-22.500 anni fa. Ohalo II è noto per l’eccellente conservazione delle capanne a cespuglio e dei resti botanici. Lo studio, guidato dalla studentessa di dottorato dell’università Tikvah Steiner, sotto la supervisione della professoressa Rivka Rabinovich e dell’archeologo dell’Università di Haifa, il professor Dani Nadel che ha effettuato gli scavi del sito, ha esaminato la dieta e l’uso di parti di animali per determinare il benessere e lo stile di vita degli antichi abitanti di questa zona.

Durante la massima espansione dell’ultima era glaciale, le calotte glaciali coprivano gran parte del Nord America, del Nord Europa e dell’Asia, influenzando profondamente il clima terrestre causando siccità, desertificazione e un forte calo del livello del mare. Ironia della sorte, Ohalo II è stato scoperto nel 1989, in seguito a condizioni di siccità che hanno abbassato di diversi metri il livello dell’acqua del lago di Galilea.

Gli scavi archeologici

Gli scavi sono stati effettuati tra il 1989-1991 e di nuovo tra il 1998-2001. Il sito si estende per 2000 metri e si trova vicino alla punta meridionale della zona moderna del lago di Galilea, a circa 9 chilometri a Sud di Tiberiade. Il sito contiene i resti di sei capanne a cespuglio di forma ovale, focolari a cielo aperto, la tomba di un maschio adulto, oltre a varie installazioni e cumuli di rifiuti. Abbondanti materiali organici e inorganici forniscono una ricchezza di informazioni sullo stile di vita dei pescatori-cacciatori-raccoglitori che abitavano quest’area.

Una scoperta che cambia la storia

Da un’attenta analisi di 22.000 ossa di animali rinvenute nel sito, tra cui gazzelle, cervi, lepri e volpi, nonché dalla documentazione precedente sul numero di resti di piante carbonizzate, strumenti di selce e chicchi di cereali, il team ha concluso che Ohalo II presenta un quadro di sussistenza diverso rispetto alla maggior parte degli altri siti del periodo Mesolitico.

Le oscillazioni climatiche durante l’ultimo periodo della massima glaciazione hanno avuto effetti minimi sull’Alta Valle del Giordano, in particolare vicino a Ohalo II, consentendo a quelle persone di utilizzare un’ampia nicchia ecologica composta da varie piante commestibili, mammiferi, rettili, uccelli e pesci.

“Nonostante la loro capacità di cacciare animali anche di grandi dimensioni, questi abitanti cacciavano una vasta gamma di prede e avevano strumenti e tempo sufficienti per sfruttare appieno le carcasse di animali fino al midollo”, ha spiegato Steiner. Allo stesso modo si può notare come “le tartarughe siano state apparentemente selezionate secondo una specifica linea, il che potrebbe suggerire che i loro gusci da usare come ciotole, e non la loro carne, fossero l’obiettivo principale. La lepre e la volpe sono state probabilmente cacciate per le loro pelli”, ha concluso la ricercatrice.

Gli studi attuali si sono concentrato sui resti di rettili, uccelli e mammiferi trovati in una delle capanne durante le sue tre occupazioni consecutive. Nell’ambito dello studio, sono state effettuate l’identificazione e la quantificazione delle diverse specie animali: sono state misurate le dimensioni ossee e le superfici ossee sono state sottoposte ad esame spettroscopico per identificare segni di taglio e usura.

Inoltre, una studentessa post-dottorato all’Università ebraica ed esperta in erpetologia, la dott.ssa Rebecca Biton, ha scoperto che le tartarughe erano tutte di taglia uniforme, il che potrebbe indicare una selezione consapevole, da parte dei cacciatori, di una dimensione specifica di tartaruga per l’utilizzo del loro guscio.

Secondo il team dei ricercatori, Ohalo II è un meraviglioso esempio di una vera economia ad ampio spettro durante l’ultima era glaciale, proprio all’inizio del periodo epipaleolitico. Una scoperta sensazionale, insomma.

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Gli scavi archeologici a Ohalo II, in Israele

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Le bianche falesie che hanno ispirato gli artisti del mondo

Victor Hugo l’ha definita “La più bella architettura che ci sia” e in effetti la scogliera di Étretat è meravigliosa. Rappresentato proprio da lui nel suo Carnet de Voyage del 1835, quel luogo che sembra sospeso nel tempo e nello spazio ha ispirato, per secoli, artisti provenienti da ogni dove alla stregua di una musa.

Per ammirare la scogliera in tutta la sua bellezza dobbiamo recarci in Normandia, nella Senna Marittima, in quel comune francese che si affaccia sul Canale della Manica. Étretat, col tempo, è diventata un vero e proprio punto di riferimento di viaggiatori, scrittori, artisti e fotografi, nonché meta più popolare della Costa d’Alabastro. È qui che si trovano le scogliere meravigliose che dal mare si innalzano verso il cielo, le cui forme sono così suggestive da ispirare storie, misteri e leggende, capolavori d’arte.

Étretat, le spettacolari scogliere della Normandia

La Manneporte, la Courtine o l’Aiguille, le falesie della Costa d’Alabastro sono tutte meravigliose, alcune meno popolari, altre protagoniste assolute di quadri moderni e fotografie contemporanee, ma magiche in maniera unica. Insieme formano una delle più belle architetture naturale del mondo intero.

La loro forma singolare è un invito a lasciarsi suggestionare. Si possono contemplare da una barca in mare, o dalla spiaggia, lasciandosi catturare da quello spettacolo maestoso. Oppure si può sfidare la forza di gravità e salire in cima attraversando sentieri verticali che portano sulle falesie, e da lì ammirare il mare e le spiagge, uno spettacolo unico al mondo.

Una bellezza selvaggia e autentica preservata ieri e oggi, dalla quale neanche Maurice Leblanc era rimasto immune, proprio lui che qui che ha creato il suo Arsène Lupin, il ladro gentiluomo al quale sono stati dedicati film e cartoni che hanno appassionato intere generazioni.

Non è stato l’unico, s’intende, perché qui scrittori, pittori e illustratori si sono recati per immortalare il panorama e la magica atmosfera a suon di pennellate. Il primo, di cui si hanno testimonianze, è stato proprio Victor Hugo, seguito poi da Delacroix e infine Monet che di questo posto si era innamorato.

Étretat: le falesie nei quadri dei pittori

Descrivere l’incanto delle falesie a parole è un’impresa ardua, per questo gli artisti hanno utilizzato i pennelli e i colori per raccontare ciò che le parole da sole non potevano spiegare. Quell’abbagliante biancore delle falesie della Costa d’Alabastro hanno rapito lo sguardo di Eugène Delacroix che attraverso delle rappresentazioni in acquerello ha provato a far conoscere la bellezza di un luogo che in lui creava una miriade di suggestioni. Le rovine di un’antica città, a queste lui le paragonava.

Mentre Gustave Courbet, con il suo realismo, ha immortalato prima l’arco naturale della Porte d’Aval, in un paesaggio romantico ed eterno, e poi il lato d’Amont, con quel piccolo arco di chiusura ripreso dopo il temporale.

Diverse, invece, le raffigurazioni di Étretat firmate da Claude Monet. Le sue pennellate hanno raccontato la porta d’Amont, quella d’Aval e poi la Manneportle in diversi momenti della giornata e delle stagioni. Lui le ha percorse in lungo e in largo e così le ha raccontate, attraverso i cambiamenti della luce e i movimenti del mare regalandoci degli scorci sorprendenti e unici.

Le Falesie di Étretat

Le Falesie di Étretat

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Capitale italiana della Cultura: le 10 finaliste

Sono finalmente state annunciate le 10 finaliste per la Capitale italiana della Cultura per il 2024. Tutte incantevoli località del nostro Paese scelte da una giuria tra 24 città preselezionate tra quelle che avevano risposto al bando. A renderlo noto è il Ministero della Cultura.

Quali sono le 10 finaliste per il 2024

Le città che si contendono il titolo di Capitale italiana della Cultura per il 2024 sono una più bella dell’altra e tutte pronte a vincere il titolo. Tra le finaliste c’è Ascoli Piceno, sorta quasi 2.500 anni fa in epoca pre-romana e conosciuta come la “città delle cento torri”. Molto entusiasta il sindaco, Marco Fioravanti, nell’annunciare il risultato della candidatura che negli ultimi mesi ha fortemente impegnato lui, il Comune e l’intero territorio provinciale.”Il dossier è stato molto apprezzato dalla commissione, che ha riconosciuto l’egregio lavoro svolto con passione e dedizione dal nostro team. E allora il percorso prosegue, così come fatto finora: coinvolgendo tutti i Comuni della provincia, ma anche enti, stakeholders, associazioni e tutti i cittadini del Piceno. Perché la Cultura deve rappresentare il vero motore di rinascita del nostro territorio“, ha commentato il sindaco.

Ancora Marche ma questa volta con Pesaro, affacciata sul mare e attraversata dal fiume Foglia, per cui il sindaco, Matteo Ricci e il vicesindaco e assessore alla Bellezza, Daniele Vimini, hanno commentato: “Vogliamo giocare per vincere. Quello ottenuto è un grande risultato che porta con sé tanta responsabilità: quella di giocarsi la partita fino in fondo. Eravamo speranzosi ma nulla era scontato“.

Ascoli Piceno 2024

Piazza Arringo ad Ascoli Piceno

Anche per il Veneto sono le due le città che arrivano in finale: la splendida Chioggia in provincia di Venezia che sorge su un insieme di isolette connesse tra loro da ponti e Vicenza, città Patrimonio dell’Unesco che ospita tante meraviglie artistiche ed architettoniche. “Sapere che, per la prima volta, su 10 città candidate al riconoscimento di ‘Capitale italiana della cultura’ per l’anno 2024 due sono venete testimonia il valore dell’immenso patrimonio culturale posseduto dalla nostra Regione, capace di esprimere, attraverso due città dalla storia secolare e dai tratti identitari diversi e ugualmente molto forti, Vicenza e Chioggia, il suo carattere estremamente articolato“, con queste parole ha commentato il risultato ottenuto il presidente della regione Veneto Luca Zaia.

Vicenza 2024

Una splendida vista di Vicenza

Felicità anche per Grosseto in Toscana, città racchiusa tra bastioni perfettamente conservati. Il sindaco, Antonfrancesco Vivarelli Colonna, ha sottolineato: “Sono orgoglioso di annunciarvi che la nostra città è stata selezionata tra le dieci finaliste per il titolo di Capitale della Cultura 2024. Un risultato storico per Grosseto, possibile grazie all’impegno, al lavoro di squadra – ha poi continuato – ora, uniti e concentrati in vista dell’ultimo grande step: la selezione della città vincitrice che avverrà ai primi di marzo. La sfida continua!“.

Stessa sorte per Viareggio, conosciuta nel mondo come la città del Carnevale. Il sindaco, Giorgio Del Ghingaro ,su Facebook ha festeggiato con le seguenti parole: “Un primo importante risultato che conferma quanto la nostra città sia creativa, attraente, innovativa“.

Grosseto 2024

Piazza Dante a Grosseto

Tra le 10 finaliste anche Mesagne, in provincia di Brindisi, che si distingue per essere una città dalle molteplici sfaccettature e dalle numerose ricchezze. Unica località pugliese a correre per il prestigioso titolo per cui il sindaco, Antonio Matarrelli, ha commentato: “Ci abbiamo sperato e creduto, in tanti, tantissimi, mettendoci anima e cuore. Il sogno è ancora più vicino” Il primo cittadino ha poi aggiunto: “Che gioia, siamo in finale!“, rilanciando l’hashtag #mesagne2024.

Per la Liguria c’è Sestri Levante con il Tigullio in povincia di Genova. Una vera e propria soddisfazione per i 6 magici Comuni promotori – Sestri Levante, Chiavari, Rapallo, Santa Margherita Ligure, Camogli, Recco –, e per tutti coloro che hanno partecipato al progetto e per la regione. “Un primo, importantissimo traguardo che premia un percorso in cui abbiamo creduto fortemente e a cui abbiamo lavorato con grande intensità nei mesi scorsi – ha dichiarato la sindaca di Sestri Levante, Valentina Ghio a nome dei Comuni promotori e di tutti i Comuni aderenti al progetto -. Non posso nascondere una grande soddisfazione che nasce dal riconoscimento ottenuto e anche e soprattutto dalla capacità che abbiamo avuto di lavorare in maniera coordinata e complementare per tutto il territorio.”

capitale cultura 2024

Uno scatto meraviglioso di Sestri Levante

Poi Siracusa, definita da Cicerone “La città più bella della Magnagrecia”. E qui il sindaco, Francesco Italia, ha fatto sapere che “Con grande gioia apprendiamo di essere tra le 10 città finaliste per il prestigioso titolo. Il mio ringraziamento va innanzitutto all’assessore Fabio Granata che ha lanciato e creduto nella candidatura, da me subito condivisa. Insieme a Fabio Granata, ringrazio tutte le associazioni e le istituzioni cittadine che hanno sostenuto coralmente l’ambizioso progetto“.

Infine, ma non per importanza, in corsa per diventare Capitale della Cultura 2024 anche l’Unione dei Comuni Paestum-Alto Cilento in provincia di Salerno, formata da località  eccezionali come Agropoli, Capaccio, Cicerale, Laureana Cilento, Lustra, Perdifumo, Prignano Cilento, Rutino e Torchiara. “Essere tra i dieci finalisti per il titolo di Città italiana della Cultura per l’anno 2024 è per noi motivo di orgoglio e di grande soddisfazione. E posso dire già oggi che, a prescindere dall’esito, il programma che abbiamo realizzato per questa candidatura sarà interamente realizzato – ha dichiarato Franco Alfieri, sindaco di Capaccio Paestum e presidente dell’Unione dei Comuni – L’intuizione di candidare l’Unione ci sta premiando: la cultura genera cambiamento solo se è diffusa“.

Agropoli 2024

Vista panoramica di Agropoli

Le precedenti Capitali della Cultura e come nasce l’evento

Il progetto della Capitale Italiana della Cultura è nato nel 2014 da un’idea di Dario Franceschini, ministro della Cultura, a seguito della proclamazione della città di Matera a Capitale europea della Cultura 2019. L’iniziativa ha, tra gli obiettivi, quello di “valorizzare i beni culturali e paesaggistici” e di “migliorare i servizi rivolti ai turisti”.

Fino a questo momento in Italia a ottenere questo titolo sono state: Cagliari, Lecce, Perugia, Ravenna e Siena nel 2015; Mantova nel 2016; Pistoia nel 2017, Palermo nel 2018, Parma nel 2020 e nel 2021, Procida è la capitale del 2022, Bergamo e Brescia saranno le capitali nel 2023.

Per il ministro della Cultura, Dario Franceschini, “la storia pluriennale di questa sfida ha dimostrato tutta la capacità della cultura di mettere in moto dei meccanismi virtuosi e percorsi di valorizzazione di tutte le città al di là della vincitrice“.

Il passo successivo sarà un’audizione in video-conferenza davanti alla giuria – da effettuare il 3 e 4 marzo – che dovrà poi indicare a Dario Franceschini la candidatura ritenuta più idonea.

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Alla ricerca del cielo stellato che ha ispirato Van Gogh

I cieli stellati ci incantano da sempre. Sono quelli che muovono le masse, che diventano vere e proprie attrazioni turistiche. Sono gli stessi che hanno ispirato poeti, scrittori, artisti e pittori, quelli nei quali ci rifugiamo per esprimere i nostri più profondi desideri.

Non stupisce che il firmamento, negli ultimi anni, abbia dato vita a una nuova tendenza di viaggi, quella dell’astroturismo che ci permette di mappare e raggiungere i luoghi privi di inquinamento luminoso che conservano i cieli stellati più belli di sempre. Quelli che ci permettono di immergerci e perderci in quell’universo che risiede proprio sopra le nostre teste. E c’è un cielo stellato che, più di tutti, è diventato celebre nel mondo. Ed è quello dipinto da Vincent van Gogh.

La Notte Stellata di Van Gogh

Non so nulla con certezza, ma la vista delle stelle mi fa sognare

Sono gli anni del ricovero psichiatrico nell’Istituto di Saint-Rémy-de-Provence, quelli in cui il pittore olandese realizza la sua Notte Stellata. Non poteva più dipingere i grandi spazi aperti che abbiamo trovato nelle sue opere precedenti, gli stessi che abbiamo raggiunto e ammirato. Può affacciarsi alla finestra, però, e replicare ciò che vede. Una realtà dove i confini con i suoi sogni e gli incubi si annullano totalmente.

Cielo stellato in Provenza

Cielo stellato in Provenza

Nella Notte Stellata di Van Gogh si vede, al centro del dipinto, una piccola chiesa che rimanda inevitabilmente ai suoi ricordi d’infanzia, quelli legati a Zundert, suo paese di origine e all’edificio sacro che lui e suo padre, pastore protestante, frequentavano. Le case che fanno da cornice al cielo ondulato, invece, sono quelle del paesino di Saint-Rémy-de-Provence, nella regione della Provenza, dove il pittore si trova durante la realizzazione del quadro.

È qui che può osservare il cielo stellato. È nervoso e tumultuoso, ma al contempo rassicurante. Le stelle, che qui sono rappresentate da sfere abbaglianti, sembrano creare un vortice di instabilità, la stessa probabilmente che caratterizzava gli ultimi anni di vita del pittore.

La Notte Stellata di Van Gogh oggi è conservata all’interno del Museum of Modern Art di New York. Ma dov’è che possiamo ammirare quel cielo che lo ha ispirato?

Saint-Rémy-de-Provence: sulle orme di Van Gogh

Un viaggio sulle orme di Van Gogh ci permette di scoprire i luoghi che hanno ispirato il pittore visionario e le sue immense creazioni. Tra questi non può mancare una visita a Saint-Rémy-de-Provence, luogo in cui l’artista ha deciso di rifugiarsi per trovare pace e sollievo.

Saint Paul de Mausole

Saint Paul de Mausole

Seppur il cielo della Notte Stellata sembra impossibile da trovare nel mondo reale, la permanenza del pittore all’interno del Monastero di Saint-Paul-de-Mausole funge da punto di riferimento per ritrovare in qualche modo le stesse suggestioni percepite dall’artista.

Il monastero agostiniano realizzato nel XII secolo è ancora lì, nei pressi del paesino di Saint-Rémy-de-Provence. Una visita qui permette di entrare direttamente nella stanza dove il pittore alloggiava, affacciarsi alla stessa finestra dal quale Van Gogh ha tratto le sue ispirazioni. Durante il soggiorno, infatti, l’artista ha immortalato tutto ciò che riusciva a vedere all’esterno producendo circa 150 quadri, tra cui la celebre e intensa Notte Stellata. Proprio vicino al monastero si estende il piccolo e suggestivo paesino che ha ispirato le case e gli edifici che ritroviamo nel quadro.

Saint Paul de Mausole

Saint Paul de Mausole

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Il borgo medievale che sembra un museo a cielo aperto

L’Italia è un luogo meraviglioso, eccellenti sono le nostre tradizioni popolari e gastronomiche, l’arte e l’architettura e poi ancora la storia e la natura. E in questo eterno e meraviglioso girovagare troviamo loro, i nostri borghi del cuore, realtà piccole che hanno il compito di preservare i tesori più grandi e immensi che caratterizzano la nostra intera identità. Come quello di Dozza, un piccolo museo a cielo aperto che incanta gli occhi e riscalda il cuore.

Per conoscere la storia e le meraviglie che caratterizzano questo luogo dobbiamo recarci a Bologna, oltre i suoi colli. È qui che, tra le case caratteristiche e le strade acciottolate che rievocano le memorie medievali, un tripudio di colore prende vita trasformando il piccolo borgo in un micro museo en plein air.

Dozza: una galleria d’arte a cielo aperto

Il nome Dozza non è nuovo per gli appassionati delle gemme d’Italia. Elogiato anche dalla rivista statunitense Forbes, e già annoverato tra i Borghi più belli d’Italia, questo meraviglioso paesino sembra non subire le leggi del tempo. Il fascino antico e autentico, che si percepisce passeggiando tra le strade, è immediatamente tangibile già all’accesso del borgo. Tutto intorno, invece, i vigneti che si perdono all’orizzonte e delineano il confine occidentale tra la Romagna e l’Emilia sembrano proteggere gelosamente questo luogo.

Dozza

Dozza

Tutto inizia dalla Rocca Sforzesca, maestosa e suggestiva che domina tutto il paesino e che caratterizza la piccola scena urbana. La stessa che improvvisamente prende vita attraverso i murales che caratterizzano le pareti e i muri degli edifici. Così eccolo il nuovo soprannome del borgo medievale, quello di museo a cielo aperto.

Le opere d’arte intrise nel borgo non si limitano a raccontarlo o a valorizzarlo, ma fanno parte di lui e della sua storia. Sono fuse perfettamente con il paesaggio circostante e lo narrano. Lo fanno con storie antiche e sempre nuove, tutte da scoprire.

I murales di Dozza

La storia d’amore tra Dozza e i murales affonda le radici in tempi lontani. Era il 1960 quando fu organizzata la prima edizione della Biennale del Muro Dipinto da un’idea di Tomaso Seragnoli, poi diventata un appuntamento imperdibile che ha cambiato il volto del borgo e che continua a trasformarlo.

Sulle case dozzesi ci sono i murales, gli affreschi e rilievi che si fondono con le storie, le tradizioni e l’atmosfera dell’antico paesino medievale. Sono sulle porte delle botteghe, sui portoni delle case e sono sulle finestre. L’arte e il borgo sono un’unica cosa, un museo a cielo aperto senza orari o limiti d’ingresso.

Dozza

Dozza

A oggi, Dozza, vanta più di novanta opere d’arte. Accanto a questi murales ci sono i titoli e gli autori delle opere, mentre la spiegazione è lasciata all’osservatore. Alcune di queste sono più immediate e riconducibili alla storia del borgo, altre sono lasciate libere di essere assoggettate ai pensieri e alle interpretazioni di chi da queste si lascia suggestionare.

Non c’è un itinerario preciso da seguire, né tantomeno una guida da ascoltare, l’unica regola è quella di camminare, di perdersi e immergersi tra le stradine e i vicoli mentre lo sguardo vaga a destra, a sinistra, in alto e in basso. Una giornata intera basta per visitare il borgo in miniatura di Dozza, ma non basta forse per fare incetta di tutta la bellezza che preserva. Per questo qui si torna sempre. Per continuare ad ammirare questa arte urbana paesaggistica in continua trasformazione, per contemplarla e per scoprirla, ogni volta un po’ di più.

Dozza, oltre i murales

Nessun paese, forse meglio di Dozza, è capace di raccontare il delicato e straordinario equilibrio tra arte e natura. Dopo la scoperta dei murales, infatti, d’obbligo è la tappa della passeggiata d’artista, un percorso panoramico che conduce i visitatori ai bordi del borgo, dove è possibile ammirare il paesaggio circostante e i celebri colli bolognesi.

Dozza

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Monastero di Torba, tra arte e un pizzico di mistero

A Gornate Olona, località Torba in provincia di Varese, svetta una struttura ricca di arte, ma anche caratterizzata da un pizzico di mistero: il Monastero di Torba. Si tratta di un complesso monumentale longobardo, oggi parte di un parco archeologico dichiarato Patrimonio Mondiale dell’UNESCO, immerso nella natura e raccolto attorno a un’imponente torre con interni affrescati.

La storia del Monastero di Torba

Il primo nucleo di questo tesoro antico dal grande fascino fu costruito dai Romani nel III secolo d. C. Non possedeva alcuna caratteristica religiosa, poiché rappresentava solo un luogo strategicamente perfetto grazie alla presenza del fiume Olona.

In seguito venne usato dai Goti, Bizantini e Longobardi fino all’arrivo delle monache benedettine che arricchirono la costruzione della chiesa e del monastero, nell’XI secolo, facendolo diventare di fatto un centro religioso.

Una storia, quella del Monastero di Torba, che si rivela particolarmente articolata soprattutto nel periodo rinascimentale. Nel corso degli anni divenne, infatti, terreno di scontro fra alcune delle più potenti famiglie milanesi, in particolare tra i Della Torre e i Visconti nel XIII secolo. Il tutto fino al 1482, periodo in cui le suore dovettero abbandonarlo dando vita al cosiddetto “periodo agricolo” del complesso.

In epoca napoleonica, nel 1799, a causa delle soppressioni degli ordini religiosi, Torba perse definitivamente lo status di monastero. Una situazione che portò a murare il portico, ampliare l’entrata della chiesa trasformandola in magazzino per carri e attrezzi, e a coprire con un nuovo intonaco tutti i preziosi affreschi presenti al suo interno.

I secoli successivi furono invece contrassegnati da numerosi passaggi di proprietà, fino al 1971, anno in cui l’ultima famiglia di contadini abbandonò il sito. Il maestoso complesso venne poi acquistato nel 1977 da Giulia Maria Mozzoni Crespi che lo donò al Fondo Ambiente Italiano (FAI), il quale ha provveduto a ristrutturarlo. Nel 1986 si conclusero i lunghi lavori di restauro che consentirono di aprire la proprietà al pubblico.

Cosa visitare al Monastero di Torba

Dichiarato Patrimonio dell’Umanità UNESCO dal 2011 in quanto parte del sito archeologico, il Monastero di Torba è un luogo che profuma di antico e di natura: è immerso in ampio parco circondato dai boschi e dal silenzio.

Al suoi interno, salendo nei piani superiori, è possibile ammirare  la Torre di Torba, uno strumento di avvistamento creato dai romani e riadattato in seguito per le esigenze monastiche. Al primo piano vi era il sepolcreto delle badesse della comunità, con degli affreschi che riportano il nome (longobardo) di Aliberga. Al secondo, è ancora presente l’oratorio delle monache, con raffigurazioni a carattere religioso e uno spazio in cui un tempo svettava un altare. Non mancano di certo i filmati e le audioguide che ne raccontano la storia.

affreschi torre monastero di torba

Gli affreschi all’interno della Torre di Torba

All’esterno è invece possibile visitare la Chiesa di Santa Maria costruita in diverse fasi tra il VIII e il XIII secolo. Per l’edificazione furono utilizzate pietre di origine fluviale. Ha pianta unica con parte absidale rialzata e un cripta al di sotto della stessa. All’interno di essa sono state rinvenute alcune tombe e una cripta ad ambulacro, riferibile all’VIII secolo, cui si accede da due scale di pietra poste sulle pareti laterali.

Le raffigurazioni pittoriche a calce, a causa del loro stato di conservazione, si presentano frammentarie e non permettono l’esatta identificazione dei soggetti. Due sono le fasi individuate: una più antica, del IX-X secolo, e una successiva, dell’XI-XIII.

Grazie ai restauri del FAI, è oggi possibile osservare i grandi archi del portico del corpo del monastero, ora sede del ristoro, impostato sulla spina romana della muratura di Castelseprio, ancora visibile all’interno del refettorio. I portici sono testimoni dell’ospitalità dell’ordine monastico per pellegrini e viaggiatori, che potevano riposare al coperto e usufruire del forno attorno al quale è posizionata la scala che sale al piano superiore della torre.

Il parco archeologico di Castelseprio

L’affascinante Monastero di Torba è circondato dal parco archeologico di Castelseprio, riscoperto solo negli anni ’50. Costituito dai ruderi dell’omonimo insediamento fortificato e del suo borgo, nonché dalla poco distante chiesa di Santa Maria foris portas, è Patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO dal 26 giugno 2011.

Diversi sono i monumenti visitabili. Ne sono un esempio le costruzioni a carattere militare (ponte e torrione d’ingresso, mura di cinta, torri difensive, strutture civili (case di abitazione, pozzi, cisterne) e religiose. C’è il complesso basilicale di S. Giovanni Evangelista, dove al suo interno si conservano due vasche battesimali, e la chiesa di S. Paolo, probabilmente di età romanica.

Visitabile anche il borgo di cui rimangono una serie di resti parzialmente affioranti e ricoperti dalla boscaglia. Le fonti ricordano fossati, porte, una piazza e qualche edificio tra cui, quasi sicuramente, una chiesa dedicata a S. Lorenzo.

parco archeologico di Castelseprio cosa visitare

La chiesa nel parco archeologico di Castelseprio

Perché il Monastero di Torba è misterioso

Come detto in precedenza, il Monastero di Torba rivela una forte carica di mistero. Vi aleggia, infatti, una leggenda che narra che i volti mancanti delle tre monache, rappresentate in un affresco situato al secondo piano della torre, non siano mai stati disegnati a causa della loro fuga dal monastero e che, oggi, ormai divenute spiriti, vaghino nelle vallate di Torba cercando di rientrare nel dipinto per ritrovare la pace.

Ma non solo, c’è anche la storia della tempesta che, abbattendosi sul monastero, sradicò un grande albero dalle cui radici emerse la sepoltura marmorea del re longobardo Galdano da Torba. A tal proposito si dice che un brigante insediatosi a Torba iniziò a saccheggiare i paesi circostanti, mentre una giovane donna di nome Raffa si fece trovare dal brigante a fare il bagno nelle acque del fiume Olona e, quando questi la portò nel suo covo, lo accecò con del sale e prese a picchiarlo con un randello.

L’uomo resistette ai colpi e inseguì la fanciulla fino in cima alla torre: fu qui che lei lo avvinghiò e che caddero insieme nel vuoto. Il brigante perse la vita, mentre Raffa si salvò miracolosamente. Per questo motivo decise di costruire presso la torre stessa una piccola cappella dedicata all’arcangelo Raffaele, ritenuto il proprio salvatore. Storie, quindi, che rendono il monastero ancora più carico di suggestioni.

Non resta che organizzare un viaggio verso il meraviglioso Monastero di Torba per scoprirne le numerose ricchezze e gli altrettanti misteri. Attenzione però! Attualmente la struttura risulta chiusa e la sua apertura è prevista per il 25 febbraio.

Monastero di Torba cosa vedere

L’esterno del Monastero di Torba

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L’eternità di Notre-Dame in 3D

É finalmente possibile visitare il tour virtuale “Éternelle Notre-Dame”, un omaggio alla storica cattedrale parigina andata in fiamme. Si intitola appunto “Eterna Notre-Dame-de-Paris” ed è una mostra 3D che mira a restituire al pubblico la bellezza dell’immenso monumento nel corso dei secoli, mostrandole evoluzioni e cambiamenti.

La vera ed autentica cattedrale di Notre-Dame è ancora in fase di restauro, la cattedrale, simbolo di Parigi, è andata parzialmente distrutta dal terribile incendio del 15 aprile 2019 e punta a riaprire nel 2024. Nell’attesa di un ritorno alla magnificenza perduta, è stata inaugurata alla Grande Arche de la Défense, alle porte della città, una visita virtuale che consente un’immersione totale nella storia della cattedrale. Un’idea originale per fare rivivere la storia del luogo.

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I lavori di restauro di Notre-Dame a Parigi

A celebrare l’eterna bellezza della cattedrale, il nome “Eternelle Notre-Dame”. Si tratta di una spettacolare visita in 3D che permette di saltare indietro nel passato. La mostra è già visitabile, a patto che si amino le sensazioni forti e non si soffra di vertigini, infatti è riservata ai maggiori di 11 anni muniti di green pass, per un costo di 30 euro a biglietto. Situato all’interno della Grande Arche de la Fraternité, lo spazio fisico reale di 500 metri quadri, dove si accede con casco virtuale, può accogliere fino a 50 persone per un tour immersivo. Basta un po’ di tecnologia per viaggiare nel tempo, così è possibile rivivere la storia di Notre-Dame, dal Medioevo fino ai nostri giorni. Un grande omaggio ad uno degli edifici simbolo della Francia e dell’Europa.

Un viaggio virtuale che supera i limiti di tempo e spazio, una vera e propria spedizione in realtà virtuale. Per la prima volta ci verrà mostrata la cattedrale sotto una nuova luce, permettendo al pubblico di scoprire Notre-Dame a partire dalla sua costruzione, tra fatiche, passione e lavori continui per renderla uno dei monumenti più famosi ed amati al mondo.

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La bellezza della cattedrale di Notre-Dame

Se avete in mente un viaggio nella romantica Parigi, segnativi questa mostra. Lo spazio espositivo rimarrà aperto almeno fino alla fine del 2022, il tour virtuale di Notre-Dame-de-Paris dura 45 minuti. L’iniziativa promossa, tra gli altri, dall’operatore Orange, in partenariato con il comune di Parigi e la diocesi, devolverà Il 30 per cento del prezzo del costo all’ente incaricato dei restauri nonché alla Fondation Notre-Dame per il finanziamento dell’allestimento interno.

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I magnifici interni di Notre-Dame, distrutti dall’incendio del 2019

Fare un salto a Parigi è sempre una buona idea. Notre-Dame è ancora visibile all’esterno, certo non è come visitare gli spettacolari interni, con i magnifici rosoni di vetro colorato. Però l’imponenza e la sensazione di eternità la potete percepire anche solo passeggiando nelle sue prossimità: è una cattedrale un po’ magica.

Per un weekend o una piccola vacanza Parigi è una delle mete ideali, ricca di monumenti storici, musei, ma anche ristoranti e negozi alla moda, offre ogni tipo di divertimento. Tra la Tour Eiffel che si illumina la notte, i giardini di Tuileries in fiore e una passeggiata per gli Champs-Elysees, a Parigi si respirano emozioni speciali.