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Il Cammino del Gran Sasso: tappe, consigli e info

Il Cammino del Gran Sasso è un itinerario escursionistico di 61 km, articolato in 5 tappe, che si snoda tra altopiani, borghi storici e montagne del massiccio più imponente dell’Appennino. Si parte da Campo Imperatore, a oltre 2.100 metri di altitudine, per scendere gradualmente verso alcuni dei luoghi più iconici del Parco Nazionale del Gran Sasso, fino a chiudere il percorso nei pressi di Fonte Cerreto, punto d’arrivo connesso alla partenza tramite la funivia.

Non è un cammino per tutti, ma per chi cerca grande bellezza, silenzio e verticalità, il Gran Sasso sa essere maestoso e generoso. È un cammino adatto a chi desidera attraversare paesaggi vasti e aperti, lontani dai centri abitati, dove l’incontro principale è quello con le creste rocciose, i pascoli e il cielo.

La storia del cammino

Il Cammino del Gran Sasso nasce con l’intento di valorizzare un territorio spesso vissuto solo in chiave alpinistica o sciistica. Questo itinerario si inserisce in una tradizione secolare di pastorizia, spiritualità montana e vita nei borghi in pietra, e oggi permette a escursionisti e camminatori di ripercorrere queste direttrici a piedi, con lentezza.

Il progetto unisce natura e patrimonio culturale, offrendo una rete di sentieri segnati, accoglienze rurali e borghi storici come Castel del Monte, Calascio e Santo Stefano di Sessanio. Il percorso tocca luoghi d’altitudine e scorci tra i più fotogenici del centro Italia, ma lo fa con uno spirito intimo, offrendo ospitalità sobria e autentica, fuori da ogni turismo di massa.

Le tappe del Cammino del Gran Sasso

Tappa 1: Piana di Campo Imperatore – Castel del Monte

(21,9 km, 358 D+, 1153 D-, 6h)

Si parte da Campo Imperatore, uno degli altopiani più vasti d’Europa, spesso definito il “Tibet d’Italia”. Il cammino segue un tratto del Canyon dello Scoppaturo, ambientazione di film come Lo chiamavano Trinità, con scenari mozzafiato tra pascoli e fenditure di roccia. Il tracciato è inizialmente pianeggiante, poi inizia una lenta discesa verso Castel del Monte, borgo fortificato che conserva un’atmosfera arcaica, tra case in pietra e strade acciottolate. È bene partire al mattino presto, poiché il tratto iniziale è esposto e completamente privo d’ombra o punti d’acqua, se non quello alla partenza oppure quelli presso i rifugi Fontari e Racollo.

Tappa 2: Castel del Monte – Rocca Calascio

(9 km, 455 D+, 382 D-, 4h)

Da Castel del Monte si risale verso il Pianoro di San Marco, in un paesaggio che alterna tratti erbosi e massi. La salita è costante ma mai eccessiva, e premia con la vista sulla spettacolare Rocca Calascio, uno dei castelli più alti d’Europa, situato a 1.460 metri. Il tratto finale è su sentiero roccioso, da affrontare con cautela. La vista, una volta arrivati, è senza eguali: a perdita d’occhio, l’intero Appennino centrale.

Tappa 3: Rocca Calascio – Santo Stefano di Sessanio

(5 km, 177 D+. 322 D-, 2h)

Tappa breve, ottima per rigenerare le gambe. Dopo la visita alla rocca e alla chiesetta ottagonale di Santa Maria della Pietà, si scende lungo sentieri erbosi verso Santo Stefano di Sessanio, uno dei borghi simbolo del recupero architettonico in Abruzzo. Questa sezione offre il fascino di una camminata rilassata, tra fioriture spontanee e muretti a secco. Ottimo punto per una sosta lunga, una cena abruzzese e una notte immersa nella quiete più assoluta.

Tappa 4: Santo Stefano di Sessanio – Barisciano

(7 km, 546 D+. 795 D-, 2h 30’)

Il sentiero prosegue dolcemente nella Piana delle Locce, tra vecchi stazzi e alture dolci. È una delle tappe più semplici, adatta per lasciar andare il passo e assaporare la dimensione contemplativa del cammino. Si arriva a Barisciano, paese dalla storia millenaria con il suo castello, la torre civica e le chiese medievali.

Tappa 5: Barisciano – Fonte Cerreto

(17,5 km, 755 D+, 634 D-, 8h)

L’ultima tappa è la più lunga e richiede un buon livello di resistenza. Dopo i primi chilometri tra campi e boschi, si sale lentamente verso le pendici del Monte Ruzza, poi si attraversa il Vado di Sole, un valico erboso da cui si apre una vista strepitosa sulle pareti settentrionali del Gran Sasso. Il tratto finale conduce a Fonte Cerreto, base della funivia che sale a Campo Imperatore e punto conclusivo del cammino.

Indicazioni pratiche per affrontare il cammino

Il Cammino del Gran Sasso è segnalato con segnavia bianco-rossi CAI e con il logo ufficiale del cammino. Tuttavia, la segnaletica non è sempre evidente: è fondamentale scaricare le tracce GPX prima della partenza e avere con sé una mappa topografica.

Gran parte del percorso si svolge tra i 1.200 e i 2.100 metri, quindi è essenziale avere abbigliamento adatto a condizioni variabili: anche in estate, vento e temporali possono comparire all’improvviso. Porta sempre una giacca antivento e uno strato termico, anche se parti col sole.

La disponibilità d’acqua è limitata: le tappe hanno tutte delle fonti d’acqua alla partenza e all’arrivo, ma potresti avere delle difficoltà a trovarla lungo il percorso in alcuni momenti. Porta con te almeno 2 litri d’acqua, specialmente nelle tappe Campo Imperatore–Castel del Monte e Barisciano–Fonte Cerreto.

Le accoglienze sono in B&B, rifugi o alberghi diffusi, spesso a gestione familiare. Si consiglia di prenotare in anticipo, soprattutto nei mesi estivi, perché le strutture sono poche e possono riempirsi facilmente. Non esistono punti tenda autorizzati lungo il percorso.

I rifornimenti alimentari non sono sempre disponibili lungo le tappe: è consigliato portare cibo energetico, frutta secca, panini o snack salati, soprattutto per la prima e l’ultima tappa. Non ci sono bar né negozi a Campo Imperatore: occorre arrivare già equipaggiati.

La credenziale del cammino

La credenziale è il documento che accompagna ogni pellegrino lungo il Cammino del Gran Sasso. Non è solo un ricordo simbolico, ma un vero e proprio strumento di riconoscimento, utile per accedere all’accoglienza dedicata e per raccogliere i timbri tappa dopo tappa, fino al termine del cammino.

È possibile acquistarla prima della partenza, ad esempio presso alcuni punti di accoglienza locali lungo il tracciato. Il suo utilizzo prevede che venga timbrata in ciascuna località significativa, a testimonianza del passaggio e della progressione del cammino.

Alcuni dei luoghi dove è possibile timbrare la credenziale includono:

  • A Castel del Monte, presso strutture ricettive e piccoli esercizi commerciali del centro storico.
  • A Calascio e Rocca Calascio, dove si trovano ristori e B&B con timbro a disposizione dei pellegrini.
  • A Santo Stefano di Sessanio, nel cuore del borgo, in alcune accoglienze e spazi informativi.
  • A Barisciano, presso strutture convenzionate e punti di accoglienza lungo la via.
  • A Fonte Cerreto, punto d’arrivo del cammino, dove è anche possibile ottenere l’ultimo timbro e, su richiesta, ricevere l’attestato finale di completamento.

È consigliato verificare in anticipo la disponibilità dei timbri e gli orari di apertura, soprattutto nei giorni festivi o in bassa stagione. La credenziale rappresenta il filo conduttore dell’esperienza: pagina dopo pagina, raccoglie tracce concrete del passaggio attraverso una delle zone più belle e selvagge dell’Appennino.

Quando partire, perché farlo e a chi è adatto

Il Cammino del Gran Sasso si può affrontare da fine maggio a inizio ottobre, evitando però i periodi più affollati o più caldi come la seconda metà di agosto. Le condizioni ottimali si trovano in giugno e settembre, quando il clima è più stabile, le giornate sono lunghe e la temperatura è gradevole anche in quota.

Il cammino è adatto a escursionisti mediamente allenati, che hanno familiarità con i sentieri di montagna e non temono tratti lunghi o isolati. È ideale per chi cerca un’esperienza a contatto con la natura incontaminata, lontano da ambienti turistici, ma con il conforto di accoglienze autentiche.

È perfetto per chi ama i paesaggi vasti, i silenzi, i cieli aperti e vuole vivere un viaggio interiore fatto di spazi, respiro e lentezza. Non è il cammino giusto per chi cerca comodità a ogni passo, ma lo è per chi sa apprezzare l’essenzialità e la forza della montagna.

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Cosa vedere sul Monte Bianco: panorami incantevoli e attività da sogno

Con ben 4805 metri di altitudine, il Monte Bianco si innalza come un colosso silenzioso che domina le Alpi con un’eleganza maestosa. È il “tetto d’Europa”, ma è anche un luogo dell’anima: un punto d’incontro tra la potenza della natura, la storia dell’alpinismo e il desiderio dell’uomo di andare oltre i propri limiti.

In ogni stagione, dona esperienze capaci di incantare e sorprendere: durante l’estate, i sentieri fioriti e le terrazze panoramiche invitano a rigeneranti passeggiate o a sfide verticali, mentre in inverno le vette si ammantano di neve e diventano un paradiso per chi ama gli sport invernali. E poi non mancano villaggi incantati, acque termali, tradizioni millenarie e attività in grado di soddisfare tutte le esigenze.

Meraviglie sospese tra ghiaccio e cielo: cosa vedere sul Monte Bianco

A cavallo tra Italia e Francia, il Monte Bianco è uno dei luoghi più visitati dell’arco alpino. Ogni anno, milioni di visitatori accorrono per ammirarne la bellezza, scalarne le vette o, semplicemente, godere di uno dei panorami più emozionanti d’Europa.

Le Funivie del Monte Bianco

Sospese tra terra e cielo, le Funivie del Monte Bianco non sono soltanto un mezzo di trasporto bensì un’esperienza. La Skyway è un viaggio verso l’infinito, un’ascesa che regala una vista a 360 gradi sulle cime più alte delle Alpi Occidentali. La partenza avviene da Pontal d’Entrèves, a 1300 metri di altitudine, e tappa dopo tappa si sale fino a raggiungere i 3466 metri di Punta Helbronner.

Le cabine ruotano su sé stesse per donare una visione completa delle vette innevate, dei ghiacciai scintillanti, dei sentieri che si arrampicano lungo i fianchi della montagna. Ogni stazione della funivia è un piccolo mondo da esplorare: al Pavillon/The Mountain, a 2200 metri, spiccano un giardino alpino, uno spazio espositivo, una cantina vinicola sospesa tra le nuvole, ristoranti e un parco giochi per bambini.

Moderna stazione di montagna sul monte Bianco

Fonte: iStock

La moderna stazione sciistica sul monte Bianco

E una menzione speciale la merita proprio la cantina vitivinicola più alta del Vecchio Continente: a oltre duemila metri, riposa il Cave du Vin Blanc, un vino valdostano che ha trovato rifugio ai piedi del Monte Bianco per un esperimento davvero singolare. La cantina che lo produce ha infatti deciso di far affinare parte della propria produzione proprio in un luogo estremo, per capire come l’altitudine, le temperature e le condizioni atmosferiche possano influenzare le qualità organolettiche del vino rispetto alla classica maturazione in valle. Il vino nasce da un vitigno autoctono valdostano che ha mantenuto intatta la propria identità nel tempo, senza subire contaminazioni genetiche o adattamenti forzati. È proprio grazie a una simile purezza che il vitigno resiste naturalmente a parassiti che, altrove, costringono l’uomo a interventi aggressivi. Una volta terminato il tour, ci si può spostare nella sala bar per gustare un calice di Cave du Vin Blanc, brindando all’azzurro del cielo.

E poi c’è l’ultima stazione, Punta Helbronner/The Sky, con la terrazza circolare che appare sospesa nel vuoto. Qui la vista si apre su un mondo di ghiaccio e roccia che toglie il fiato. Un bistrot accoglie chi vuole gustare un pranzo ad alta quota, mentre un tunnel pedonale e un ascensore conducono fino al Rifugio Torino, base perfetta per escursioni sul ghiacciaio.

Il Giardino Alpino Saussurea

A 2175 metri di altitudine, su un balcone naturale affacciato sul Monte Bianco, sorge il Giardino Alpino Saussurea: un piccolo paradiso botanico, il più alto d’Europa, dove crescono oltre 900 specie alpine in un ambiente curato e protetto, e danno vita a uno spettacolo sorprendente di colori e forme.

Il giardino prende il nome dalla Saussurea Alpina, pianta rara dedicata allo scienziato Horace-Bénédict de Saussure, che ispirò la prima scalata al Monte Bianco. Visitarlo significa immergersi nel cuore del paesaggio alpino e nelle sue storie: come quella, commovente, della nascita della Stella Alpina, fiore simbolo della montagna e dell’amore eterno.

Il Giardino è raggiungibile sia con la funivia che a piedi, seguendo un sentiero panoramico di 2,5 chilometri. Aperto nei mesi estivi, regala emozioni autentiche agli appassionati di botanica, di fotografia, ma anche a chi vuole godersi un po’ di silenzio e incanto. D’inverno, si trasforma: le ciaspolate sul manto innevato del Campo svelano scenari da sogno.

Sentieri e panorami senza fine: passeggiate e trekking

Intorno al Monte Bianco si snoda una fitta rete di sentieri che soddisfa tutti gli appassionati, dai camminatori alla prima esperienza agli escursionisti più esperti. È un territorio vivo, scolpito dal tempo e dalla natura, che si apre con generosità a chi ha voglia di camminare.

Il Tour du Mont Blanc è uno dei percorsi escursionistici più entusiasmanti di sempre: si sviluppa ad anello attraversando Italia, Francia e Svizzera, e può essere percorso a tappe, pernottando nei rifugi alpini lungo il cammino.

Per chi preferisce itinerari meno impegnativi ma altrettanto suggestivi, le Alte Vie della Valle d’Aosta custodiscono panorami spettacolari sui ghiacciai e sulle cime innevate. Le Balconate del Monte Bianco, invece, si snodano lungo le dolci pendenze della Val Veny e della Val Ferret, così da mostrare vedute indimenticabili sul massiccio.

Non mancano le camminate verso rifugi facilmente accessibili, perfette per le famiglie. Tra queste, il percorso che conduce al Rifugio Torino con la funivia e il tunnel scavato nella roccia, per poi affrontare (con guida e attrezzatura adeguata) un’emozionante escursione sul ghiacciaio. Anche i principianti possono vivere l’avventura, imparando a usare ramponi e ciaspole a seconda della stagione.

Adrenalina, relax e tradizione: le esperienze che completano il viaggio

Escursionismo sul Monte Bianco

Fonte: iStock

Escursionismo sul Monte Bianco

Il Monte Bianco è anche adrenalina, benessere e scoperta. Gli amanti dell’alpinismo trovano qui un vero e proprio eden: vie classiche e nuove sfide attendono chi ha esperienza e voglia di mettersi alla prova, in uno degli scenari più leggendari della storia alpinistica.

Per chi cerca un’emozione in volo, parapendio e speedriding permettono di librarsi sopra le cime, planando su vallate silenziose e paesaggi infiniti. Chi ama le due ruote, invece, può avventurarsi in spettacolari bike tour tra sentieri sterrati, boschi e pascoli d’alta quota.

Ma c’è spazio anche per il relax. Le terme di Pré Saint Didier equivalgono a un’oasi di benessere, tra piscine calde, saune panoramiche e idromassaggi con vista sulle montagne. Un’esperienza rigenerante, perfetta per concludere una giornata all’aria aperta.

E per le famiglie? Ci sono l’area Skyway for Kids, i laboratori nella natura, le passeggiate guidate e tante occasioni per vivere la montagna in modo semplice e divertente. Infine, chi desidera scoprire l’anima del territorio può lasciarsi guidare dai sapori locali: birre artigianali, vini di montagna, piatti tipici valdostani e piccole storie che parlano di radici, memoria e passione.

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Morskie Oko, il lago misterioso il cui nome significa Occhio del Mare

Se esiste un luogo in Polonia capace di farti sentire piccolo di fronte alla maestosità della natura, quello è sicuramente il lago Morskie Oko. Un posto quasi segreto, nascosto tra le cime frastagliate degli Alti Tatra, a 1.395 metri di altitudine e che lascia tutti a bocca aperta con degli scenari che sembrano usciti da una cartolina. È circondato da pareti rocciose che si riflettono sulla superficie e il suo nome ha un che di poetico: tradotto significa testualmente “occhio del mare”. Meta ambita da escursionisti e fotografi, si raggiunge attraverso diversi sentieri.

 Scoprire il lago Morskie Oko

Tra le mete più amate dei monti Tatra si fa strada il lago Morskie Oko dal fascino selvaggio e con un contesto naturale unico al mondo. Per poterlo raggiungere si deve percorrere il sentiero rosso dedicato alla figura storica di Oswald Balzer. L’omaggio è dovuto: il coraggioso eroe ha difeso strenuamente i diritti della Polonia sul territorio.

Durante la salita ci sono varie tappe imperdibili. La prima è quella delle cascate del torrente Roztoka, nei pressi di Wodogrzmioty Mickiewicza. Il fragore dell’acqua che si infrange sulle rocce crea un’atmosfera unica e rigenerante. Poco più avanti si incrociano altri due sentieri: quello verde che sale verso la spettacolare valle dei cinque laghi polacchi (per camminatori più esperti) e un altro che conduce in pochi minuti al rifugio PTTK di Dolina Roztoki.

Il lago? Uno spettacolo garantito: le acque sono così limpide da essere turchesi, le pareti rocciose si specchiano creando un gioco di colori e tutto attorno il silenzio regna avvolgendo i visitatori con un intenso profumo di pino. Attenzione: è un’area protetta, quindi è assolutamente vietato fare il bagno.

Morskie Oko l'occhio del mare in Polonia

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Viene soprannominato “occhio del mare”, il lago Morskie Oko in Polonia è una vera meraviglia

Dove si trova e come arrivare a Morskie Oko

Immerso tra le vette maestose dei monti Tatra, il lago Morskie Oko è una delle meraviglie naturali più affascinanti della Polonia. Questo luogo speciale si trova nel Voivodato della Piccola Polonia, all’interno del parco dei Tatra. Il lago glaciale incanta per le sue acque color smeraldo e il paesaggio da fiaba che lo circonda. Il suo nome, che significa “Occhio del Mare”, evoca leggende antiche e panorami mozzafiato.

Per raggiungerlo serve un po’ di pazienza e anche un buon allenamento. Si parte da Palenica Białczańska, dopo aver parcheggiato l’auto nella vicina Zakopane o aver utilizzato un bus. Il tragitto in autobus dura circa 40 minuti: una volta arrivati ci sarà da indossare scarpe comode per affrontare il percorso panoramico lungo circa 9 chilometri. Una buona notizia è che tutta la strada del sentiero rosso è asfaltata e con una pendenza moderata, dunque accessibile a tutti, comprese famiglie con bambini. Serviranno tra le 2 e le 3 ore, a seconda del proprio allenamento, per raggiungere la meta. Un’alternativa è utilizzare i tradizionali fasiągi, i carretti trainati da cavalli.

Il sentiero vale la visita: è immerso nella natura e ben tenuto; proprio per questo regala viste spettacolari mentre ci si avvicina al lago. Alla fine della camminata la ricompensa è davvero unica: la vista del lago Morskie Oko lascia senza fiato.

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Las Coloradas, un viaggio tra lagune rosa e sogni tropicali

Probabilmente sui social ti sarà capitato almeno una volta di vedere Las Coloradas, un luogo in cui il rosa rende le acque delle saline davvero uniche al mondo. L’effetto? È dovuto ad una reazione scientifica e non è frutto di un filtro, anche se i più abili tendono a saturare un po’ per dare ancora più risalto all’effetto wow del luogo. Tra fenicotteri, giri in barca, escursioni in bici o a piedi ecco cosa offre questa zona dello Yucatán a pochi chilometri da Rio Lagartos.

Cosa vedere e cosa fare a Las Coloradas

Nella zona dello Yucatán, a pochi chilometri da Rio Lagartos, è possibile visitare un luogo che sembra uscito da un libro di fiabe: si tratta di Las Coloradas, dove le acque si tingono di varie sfumature di rosa tanto da sembrare un dipinto impressionista.

Non è una zona balneabile, qui non si fa il bagno: si tratta di vasche poco profonde usate per estrarre il sale; il paesaggio però vale l’escursione. Potrai camminare lungo i percorsi tracciati e goderti l’ambiente. C’è chi le ha paragonate alle saline di Cervia nostrane, ma il colore tropicale e molto più colorato le rende, ovviamente, uniche.

Per vivere al 100% questa meraviglia possiamo raggiungere il centro visite e quindi procedere all’ingresso del villaggio con l’aiuto di guide locali che offrono un percorso a piedi di circa 45 minuti o una pedalata panoramica. Il costo sia nel primo che nel secondo caso è piuttosto accessibile, tra i 320 e i 370 pesos. (il corrispettivo di circa 15/17 euro)

Chi invece cerca qualcosa di più dinamico potrà aggregarsi ai tour in barca che partono da Rio Lagartos: con meno di 30 euro (circa 600 pesos a persona) ci si può imbarcare per vedere da vicino non solo le acque rosa, ma anche mangrovie, fenicotteri e persino qualche coccodrillo.

Las Coloradas e le acque rosa della laguna

Fonte: iStock

Lo spettacolo rosa di Las Coloradas

Perché le lagune sono rosa a Las Coloradas

No, non è un filtro di Instagram. A rendere rosa le acque di Las Coloradas ci pensa la scienza; il colore intenso delle saline è dato da un fenomeno naturale provocato dal crostaceo conosciuto con il nome di Artemia salina. Seppur piccolissimo, è uno degli abitanti delle saline più attivi e si nutre di alghe ricchissime di betacarotene, lo stesso pigmento naturale che troviamo anche nelle carote. Quante più artemie sono presenti e maggiormente l’acqua si colora di rosa. A rendere tutto ancora più interessante, c’è un’altra meraviglia: i fenicotteri, ghiotti di questi crostacei, devono proprio all’artemia salina il loro piumaggio in pendant.

Dove si trova e come arrivare a Las Coloradas

Si trova nella penisola dello Yucatán questo luogo così suggestivo: Las Coloradas, diventata famosa per le acque rosa che sembrano uscite da una cartolina, non è molto distante da Rio Lagartos, tappa assolutamente obbligatoria per poterla raggiunge. Il villaggio di saline merita una visita e il modo più semplice per arrivarci è partendo da Valladolid in Messico: servono circa 2 ore di auto per arrivare a destinazione. In alternativa ci si può affidare ad un tour organizzato così da godersi il paesaggio dal finestrino.

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Nel borgo sospeso tra cielo e fiume: viaggio a Brugnello

C’è un luogo, incastonato come una gemma tra le pieghe dell’Appennino emiliano, dove si può dire il tempo abbia smesso di correre e si sia lasciato abbracciare dalla pietra: è Brugnello, un minuscolo borgo medievale dove ogni casa, ogni sasso, ogni scorcio raccontano una storia antica. Appena lo si raggiunge, si ha la sensazione di aver varcato una soglia invisibile che separa il mondo moderno da un passato plasmato da silenzi, fatiche e da una bellezza essenziale.

Il paesaggio che lo abbraccia è di quelli che tolgono il fiato: il fiume Trebbia scorre laggiù, brillante tra i sassi, mentre boschi e pareti rocciose disegnano una cornice di verde e di cielo: una meta per chi ama le escursioni o il refrigerio delle acque limpide d’estate, un’esperienza da vivere con lentezza.

Dove si trova Brugnello

Adagiato a 464 metri sul livello del mare, Brugnello è una delle perle più suggestive della Val Trebbia. Appartiene al comune di Corte Brugnatella, un nome che richiama le radici nobili della famiglia Brugnatelli, antichi signori di queste terre.

Raggiungerlo richiede una piccola impresa: dalla SS45 parte una stradina stretta, tortuosa, formata da tornanti che si arrampicano tra i boschi per circa due chilometri. Una salita che mette alla prova, soprattutto chi ha poca confidenza con le curve. Eppure, quando si arriva in cima e si apre davanti agli occhi la vista su quel balcone naturale sospeso sul Trebbia, tutta la fatica viene subito ripagata.

Cosa vedere nel borgo scolpito nella roccia

Poche case, una sola chiesa, un hotel con ristorante, un microcosmo in cui si assaporare un’atmosfera di pura emozione.

Il borgo si sviluppa su uno sperone roccioso, le abitazioni sono tutte in pietra, molte scolpite nella roccia. Persiane in legno, fiori colorati ai balconi, decorazioni che ornano i muri, motivi floreali incastonati nei ciottoli delle viuzze: dettagli che parlano di cura, amore per la bellezza e rispetto per la tradizione.

A rendere Brugnello ancora più speciale è il fatto che gran parte del suo recupero si debba agli artisti che lo abitano. Solo undici persone vivono qui in pianta stabile, ma ciascuna di loro ha lasciato un segno e ha trasformato l’antico villaggio in un’opera d’arte a cielo aperto. Le sedute in pietra, sparse qua e là tra i vicoli, sembrano inviti silenziosi alla contemplazione. Sedersi su una di esse, magari al tramonto, è come partecipare a un rito, quello dell’ascolto del silenzio e del respiro della valle.

Cuore pulsante del borgo è la Chiesa dei Santi Cosma e Damiano: nel punto più alto del paese, risale all’XI secolo e sorge su ciò che resta dell’antico castello dei Brugnatelli. L’esterno in pietra contrasta con la facciata barocca dipinta, mentre all’interno si conserva una cappella privata, voluta nel 1736 dalla famiglia Ghigliani. Dal sagrato, lo sguardo si apre su un panorama che commuove: le anse del fiume si snodano al di sotto, sinuose e lucenti, in un abbraccio con le pareti della valle.

Del castello, purtroppo, resta ben poco. Alcuni ruderi si trovano ancora di fronte al Palazzo Brugnatelli, testimonianza silenziosa di un passato fortificato, quando la posizione sopraelevata di Brugnello era garanzia di difesa e controllo sul territorio.

Cosa fare: passeggiate tra arte, fiume e silenzi

Anse del fiume Trebbia da Brugnello

Fonte: iStock

Panorama mozzafiato del fiume Trebbia visto da Brugnello

Brugnello è anche punto di partenza per scoprire la Val Trebbia con scarponi ai piedi e zaino in spalla. I sentieri che si snodano attorno al borgo sono numerosi, e vanno incontro a tutte le esigenze: da percorsi brevi e agevoli a itinerari più impegnativi, fino a venti chilometri di cammino. Uno dei più amati è l’Anello di Brugnello, che conduce tra vecchie frazioni, boschi e panorami da cartolina. Una camminata che regala emozioni forti, soprattutto dopo un pasto tipico piacentino con tortelli, gnocco fritto, salumi e un buon bicchiere di Bonarda.

Ai piedi del borgo si apre poi la spiaggia chiamata “La Chiesetta”, una distesa di ciottoli bianchi lambita da acque trasparenti che sfumano dal celeste al verde smeraldo. Tra canyon naturali scavati nei secoli dall’azione erosiva del fiume, ci si può immergere per un bagno rinfrescante o distendersi al sole, lontani da tutto. È il rifugio ideale per chi cerca pace, silenzio e bellezza autentica.

Poco distante spicca la Spiaggia delle Anse di Brugnello, un’altra gemma fluviale. Ma in realtà, tutto il tratto del Trebbia tra Marsaglia e Bobbio è un susseguirsi di spiaggette selvagge, perfette per chi vuole vivere la montagna con i piedi a mollo.

E poi ci sono le gole, spettacolari e vertiginose, meta prediletta per chi ama la canoa, il kayak, il rafting e il torrentismo. L’acqua si fa strada tra pareti scoscese e disegna percorsi avventurosi che attirano sportivi da ogni dove.

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Sentiero del Viandante: dove il lago incontra il trekking

Il Sentiero del Viandante è uno dei cammini più affascinanti e panoramici del Nord Italia. Si snoda per circa 70 chilometri lungo la sponda orientale del Lago di Como, da Lecco a Colico, seguendo antichi tracciati che un tempo collegavano borghi, santuari e valichi alpini. A ogni passo, il sentiero regala vedute spettacolari sulle acque del Lario, scorci su terrazzamenti coltivati, boschi di castagni, uliveti storici e villaggi arroccati in cui il tempo sembra essersi fermato. È un itinerario perfetto per chi cerca un’esperienza escursionistica autentica, tra natura, cultura e tradizioni locali.

Nonostante l’altitudine contenuta, il percorso è tutt’altro che monotono: i dislivelli giornalieri, i tratti montani e le salite tra mulattiere e selciati richiedono un minimo di allenamento e buone scarpe da trekking. Il sentiero è ben segnalato, con possibilità di suddividerlo in 5 o 6 tappe principali, oppure di percorrerlo in modalità “giornaliera”, sfruttando la linea ferroviaria Lecco–Colico che corre parallela al tracciato e consente facili rientri.

Storia e origine del cammino

Il Sentiero del Viandante affonda le sue origini nel passato più profondo della regione. Era la via naturale di collegamento tra la Valtellina, la Svizzera e Milano, molto prima della costruzione della moderna Strada Statale 36. Utilizzato per secoli da pellegrini, viandanti, mercanti e soldati, fu noto con vari nomi: Strada Regia, Via Ducale, Via Napoleona, a seconda delle epoche e delle autorità che ne curarono la manutenzione.

Con l’avvento delle vie moderne, il tracciato andò lentamente in disuso, fino a essere quasi dimenticato. Solo negli anni ’90, grazie all’impegno di associazioni locali, comuni e appassionati di escursionismo, fu recuperato e rilanciato come sentiero escursionistico a lunga percorrenza. Oggi rappresenta un ponte ideale tra natura e memoria, dove si cammina respirando storie secolari e osservando la bellezza di un paesaggio che non ha bisogno di essere spiegato: basta seguirlo, passo dopo passo.

Le tappe del Sentiero del Viandante

Il Sentiero del Viandante si presta ad essere percorso in 5 o 6 tappe principali, ma anche suddiviso in giornate più brevi o modulato secondo il tempo e il passo del camminatore. Di seguito, una descrizione completa delle tappe classiche da sud a nord, con dettagli sui dislivelli, i borghi attraversati e i punti di interesse più significativi.

Tappa 1: da Lecco ad Abbadia Lariana (6,5 km, 250 m D+, 230 m D-, 2h)

Il cammino comincia a Lecco, nei pressi del Ponte Azzone Visconti, e dopo pochi chilometri si lascia l’ambiente urbano per addentrarsi in una vegetazione lussureggiante fatta di boschi misti e castagneti, seguendo antiche mulattiere che portano verso Malnago e poi giù verso Abbadia Lariana. La tappa è breve e ideale per chi desidera un primo approccio al sentiero. Ad Abbadia si consiglia una visita al Museo Setificio Monti, testimonianza della storica lavorazione della seta in zona, e una pausa al lungolago per ammirare il contrasto tra acqua e pareti rocciose delle Grigne.

Tappa 2: da Abbadia Lariana a Lierna (6,5 km, 350 m D+, 320 m D-, 2h30m)

Questa tappa è breve ma panoramica: il sentiero sale subito verso Borzone e attraversa antiche mulattiere lastricate, immerse nei boschi con scorci improvvisi sul lago. A tratti si cammina su balconate naturali, con vista su Mandello del Lario e il gruppo del Grignone. Si attraversano piccoli nuclei rurali e si scende dolcemente verso Lierna, borgo elegante e ben tenuto. Qui merita una sosta la frazione Castello, affacciata sul lago con una piccola spiaggia e case in pietra a picco sull’acqua: uno degli scorci più iconici del percorso.

Tappa 3: da Lierna a Varenna (8 km, 420 m D+, 440 m D-, 3h30m)

Una tappa molto suggestiva, che alterna boschi di castagni, uliveti e aperture panoramiche verso la sponda occidentale del Lario. Dopo una salita graduale, si raggiungono punti da cui la vista si apre su Bellagio, Menaggio e Tremezzina. Il sentiero scende quindi verso Varenna, considerato uno dei borghi più belli del Lago di Como. Il centro storico è ricco di fascino, con stradine strette, case colorate, la Chiesa di San Giorgio e la celebre Villa Monastero, con giardini botanici terrazzati sul lago. Una tappa breve ma densa, ideale anche come escursione giornaliera.

Tappa 4: da Varenna a Dervio (12 km, 700 m D+, 680 m D-, 5h)

Una delle tappe più impegnative ma anche più appaganti dell’intero percorso. Si inizia con una salita decisa verso Perledo e poi Vezio, piccolo borgo noto per il suo castello medievale e il panorama incredibile sul centro lago. Si prosegue in ambiente collinare e boscoso, passando accanto al Santuario della Madonna di Lezzeno e scendendo verso Bellano, famosa per l’impressionante Orrido, una gola scavata nella roccia dal torrente Pioverna. Il tratto finale sale e scende fino a Dervio, dove ci si può rilassare lungo il lago o visitare la Torre di Orezia.

Tappa 5: da Dervio a Piantedo (16 km, 850 m D+, 870 m D-, 6h)

Tappa lunga e con un profilo altimetrico movimentato: dopo Dervio, si sale verso Dorio e si entra in un ambiente più montano, con tratti ombrosi tra faggi e castagni e sentieri ben tracciati ma più tecnici. Si attraversano nuclei come Mondonico e Cainallo, per poi arrivare a Corenno Plinio, straordinario borgo medievale costruito su un promontorio roccioso con chiese romaniche e scalinate in pietra. L’ultima parte del percorso scende verso Piantedo, porta d’ingresso alla Valchiavenna. Questa tappa è adatta a camminatori ben allenati e può essere spezzata a Colico, se necessario.

Tappa 6 (facoltativa): da Piantedo a Colico (6 km, 150 m D+, 200 m D-, 2h)

Per chi ha tempo e desidera concludere il cammino in bellezza, questo tratto finale conduce a Colico, tra campi coltivati, uliveti e scorci aperti verso la sponda nord del lago. È una tappa facile e rilassante. A Colico meritano una visita il Forte Montecchio Nord, risalente alla Prima Guerra Mondiale, e il lungolago, ideale per una sosta o per celebrare la fine del percorso.

La segnaletica sul percorso

Una delle qualità migliori del Sentiero del Viandante è la chiarezza della segnaletica, che rende possibile percorrerlo anche senza guida. Lungo tutto il tracciato, il camminatore trova indicazioni ben visibili e frequenti, anche nei tratti più isolati.

I principali riferimenti sono:

  • Cartelli arancioni con l’indicazione “Sentiero del Viandante” e frecce direzionali, posizionati agli incroci più importanti e agli ingressi dei borghi;
  • Segnavia CAI in bianco e rosso, tipici dei sentieri montani italiani, spesso accompagnati da bollini blu dipinti su pietre e alberi;
  • Pannelli informativi posizionati in alcuni punti panoramici o nodi storici, con mappa, altimetria e spiegazioni storico-naturalistiche.

È comunque utile, soprattutto in caso di pioggia o nebbia, avere con sé una mappa cartacea o utilizzare app escursionistiche aggiornate con tracce GPX ufficiali scaricate in anticipo.

Dove dormire e dove mangiare lungo il Sentiero del Viandante

Una delle caratteristiche che rende il Sentiero del Viandante accessibile e piacevole anche per chi è alle prime esperienze di cammino è la buona disponibilità di alloggi e ristorazione lungo tutto il percorso. I paesi attraversati – da Abbadia Lariana a Colico – sono ben serviti dal punto di vista turistico e offrono numerose opzioni per pernottare e rifocillarsi, senza la necessità di affrontare lunghe tappe in autosufficienza.

Per dormire, si può scegliere tra B&B, piccoli hotel, agriturismi e case vacanza. Alcuni si trovano direttamente sul tracciato, altri a pochi minuti a piedi. Le località con maggiore disponibilità ricettiva sono Lecco, Mandello del Lario, Varenna, Bellano, Dervio e Colico. A Lierna e Dorio l’offerta è più ridotta ma presente. Chi cerca un’esperienza più immersiva può optare per agriturismi con vista lago o alberghi storici nei centri medievali, come nel caso di Varenna o Corenno Plinio.

Dal punto di vista gastronomico, il cammino è una festa per i sensi: si attraversano terre di confine tra montagna e lago, dove si incontrano piatti tipici valtellinesi, pasta fresca lombarda, formaggi locali (come il taleggio e il bitto), salumi artigianali, polente rustiche, missoltini (pesce agone essiccato del lago) e, nei ristoranti più curati, piatti a base di pesce di lago fresco. I paesi offrono anche pizzerie, osterie e bar in cui fare una sosta per un pranzo veloce o una cena rilassata. Nelle tappe centrali – come tra Varenna e Bellano, o tra Dervio e Corenno Plinio – è consigliabile organizzarsi in anticipo se si vuole mangiare nei ristoranti più panoramici o suggestivi, soprattutto nei fine settimana o durante l’alta stagione.

Perché scegliere il Sentiero del Viandante

Il Sentiero del Viandante non è solo un itinerario escursionistico tra i più panoramici d’Italia: è un modo diverso di avvicinarsi al Lago di Como, di percorrerlo con lentezza, di scoprire la sua anima più autentica, fatta di silenzi, di scorci inattesi e di incontri semplici ma profondi. Camminando lungo i suoi antichi tracciati, si ha l’impressione di seguire un filo che unisce il presente al passato, i passi dei pellegrini a quelli dei commercianti, la pietra dei borghi alla luce del lago che cambia colore a ogni ora del giorno.

Ogni tappa è un piccolo viaggio nel viaggio: si sale e si scende, si entra nei boschi per poi riemergere tra uliveti assolati, si attraversano ponti, mulattiere, viuzze, fino a raggiungere paesi dove fermarsi non è solo una pausa, ma una parte essenziale dell’esperienza. Non serve cercare la perfezione nel paesaggio – che comunque si offre generoso – perché ciò che colpisce davvero, sul Sentiero del Viandante, è la naturale armonia tra la bellezza del luogo e il ritmo del cammino.

È un sentiero accessibile ma mai banale, adatto a chi ama la natura ma anche la storia, il camminare ma anche il sostare. Che si percorra in quattro giorni o in singole tappe, il Viandante non delude: regala silenzi che parlano, fatiche leggere e un tempo rallentato che ha il sapore delle cose vere. Ed è proprio in questo equilibrio tra terra, acqua e memoria che si trova il senso più profondo del camminare.

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Cammino delle Terre Mutate: tappe e consigli utili

Il Cammino delle Terre Mutate è molto più di un percorso escursionistico. È un viaggio nella memoria collettiva e nella resilienza delle comunità appenniniche, tra le ferite lasciate dai terremoti e la forza di chi ha scelto di restare. Si cammina in luoghi segnati dal sisma, ma anche profondamente vivi, dove il paesaggio, la cultura e le persone raccontano ogni giorno una storia di ricostruzione, dignità e speranza.

Il cammino collega Fabriano (Marche) a L’Aquila (Abruzzo), attraversando l’Appennino umbro-marchigiano e abruzzese, passando per borghi antichi, vallate silenziose, parchi naturali e città-simbolo come Norcia, Castelluccio, Amatrice. Sono circa 250 km suddivisi in 14 tappe, pensati per essere affrontati con zaino in spalla, passo costante e occhi aperti. È un cammino lineare, ben segnalato, che unisce l’anima dell’escursionismo con quella del pellegrinaggio civile.

Le tappe del Cammino delle Terre Mutate

Il Cammino delle Terre Mutate si snoda per oltre 250 chilometri attraverso quattro regioni – Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo – collegate da un filo comune: quello della rinascita dopo il sisma. Questo itinerario a piedi collega tra loro i territori colpiti dai terremoti del 2009 e del 2016, accompagnando il camminatore in un viaggio che è allo stesso tempo paesaggistico, umano e simbolico. Ogni tappa rappresenta un incontro con una comunità che ha scelto di restare, di ricostruire, di riscoprire il senso di appartenenza alla propria terra.

Il percorso è suddiviso in diverse giornate di cammino, ciascuna con una propria identità, fatta di borghi arroccati, vallate silenziose, sentieri tra boschi, campi coltivati e panorami che si aprono su alcune delle montagne più belle dell’Appennino centrale. Le tappe sono pensate per essere affrontate con passo regolare e senza fretta, lasciando spazio all’ascolto, all’osservazione e all’incontro. In questa sezione troverai la descrizione di ogni singola tappa: distanze, dislivelli, punti di interesse, caratteristiche del territorio e informazioni utili per orientarti lungo il cammino.

Tappa 1: Fabriano – Campodonico (17 km, 550 m D+, 5h)

Il cammino prende il via da Fabriano, città dal passato ricco di artigianato e manifattura, conosciuta in tutto il mondo per la produzione della carta. Dopo pochi chilometri, ci si lascia alle spalle la vita urbana e si comincia a camminare tra strade bianche, campi coltivati e profili collinari che si fanno via via più silenziosi.

Il dislivello è ben distribuito e non presenta grandi difficoltà, ma offre l’occasione per prendere familiarità con lo zaino e con il proprio passo. L’arrivo a Campodonico, una piccola frazione immersa nel verde e nel silenzio, è una ricompensa dolce e discreta: ci si sente già altrove, eppure si è appena all’inizio.

Tappa 2: Campodonico – Cerreto d’Esi (16 km, 300 m D+, 4h30m)

Questa è una tappa che invita a rallentare e a guardarsi intorno. Il sentiero prosegue attraverso paesaggi agricoli, filari ordinati e colline morbide, dove ogni svolta regala una nuova prospettiva sulla campagna marchigiana. Si cammina su un terreno facile e ben segnato, tra silenzi ampi e colori che cambiano con le stagioni.

Cerreto d’Esi, all’arrivo, accoglie con semplicità e con quella calma tipica dei paesi dove il cammino della vita segue ritmi più lenti.

Tappa 3: Cerreto d’Esi – Matelica (14 km, 250 m D+, 4h)

Una tappa breve e piacevole, ideale per lasciarsi cullare dal paesaggio e farsi sorprendere da ciò che sembra familiare. Il percorso si snoda tra sentieri pianeggianti, stradine di campagna e distese di grano che ondeggiano al vento, in un’atmosfera che sa di armonia.

Non ci sono salite impegnative né difficoltà tecniche, e proprio per questo la giornata si presta ad allungare lo sguardo, ad alzare la testa e a lasciarsi ispirare. Matelica si fa trovare pronta: una cittadina vivace, ricca di storia e cultura, che offre tutto il necessario per rigenerarsi. Un pomeriggio qui, tra un bicchiere di Verdicchio e una passeggiata nel centro, ha il potere di ricaricare corpo e pensieri.

Tappa 4: Matelica – Camerino (18 km, 600 m D+, 6h)

La giornata comincia con passo regolare, ma ben presto si avverte un cambio di tono: il dislivello cresce gradualmente e accompagna il camminatore in un paesaggio che si fa via via più ampio e silenzioso. Si sale tra campi coltivati, tratti boscosi e crinali aperti che offrono scorci ampi sull’Appennino umbro-marchigiano.

Il percorso è vario, ben segnalato, e nonostante la lunghezza si lascia affrontare con piacere. Camerino, città universitaria colpita duramente dal terremoto, si raggiunge dopo una lunga ma gratificante salita. L’arrivo è denso di significato: si entra in un luogo che porta ancora le cicatrici, ma anche la vitalità di una comunità che ha scelto di resistere con determinazione.

Tappa 5: Camerino – Fiastra (20 km, 650 m D+, 6h30m)

Questa è una delle tappe che segna l’ingresso nel cuore più verde e montano del cammino. Il paesaggio si alza, si restringe e poi si riapre, alternando boschi profondi, sentieri di mezza costa e lunghi silenzi, quelli che fanno bene all’anima. Il percorso è più esigente rispetto ai giorni precedenti, ma regala una sensazione di immersione totale nella natura, con lunghi tratti in cui si cammina senza incontrare nessuno.

Quando finalmente si scorge il lago di Fiastra, il contrasto tra acqua e montagna crea un effetto quasi cinematografico. L’arrivo sulle sue sponde è una vera pausa visiva e mentale, un momento per respirare profondamente e lasciarsi cullare dalla quiete.

Tappa 6: Fiastra – Ussita (16 km, 700 m D+, 5h30m)

Si parte costeggiando le acque del lago, con una luce che, nelle prime ore del mattino, trasforma ogni riflesso in poesia. Ma è una tappa che richiede attenzione: la salita si fa sentire, i sentieri si fanno più stretti, e alcuni tratti possono risultare faticosi, specie con il caldo o dopo piogge recenti.

Si entra sempre più dentro ai Monti Sibillini, tra panorami vasti e silenzi assoluti, dove il solo rumore è quello dei propri passi. L’arrivo a Ussita, uno dei luoghi simbolo del sisma del 2016, è carico di emozione: il borgo porta ancora addosso le ferite, ma anche una voglia di rinascere palpabile. Camminare fin qui non è solo turismo lento, è una forma di solidarietà concreta.

Tappa 7: Ussita – Castelluccio di Norcia (18 km, 850 m D+, 6h30m)

È una delle giornate più attese, e non delude. Il cammino si arrampica tra i versanti del monte Bove, regalando scorci spettacolari e tratti dove il cielo sembra più vicino. È una tappa fisicamente impegnativa, ma ogni metro guadagnato aggiunge un tassello alla bellezza che esplode poco prima dell’arrivo: l’altopiano di Castelluccio di Norcia, immenso, irreale, avvolto dal vento e dalla luce.

In primavera e inizio estate, la fioritura delle lenticchie trasforma il paesaggio in un mosaico vivente, ma anche nei mesi più quieti, l’altopiano conserva una magia che difficilmente si dimentica. Il borgo, ancora segnato dal sisma, accoglie con semplicità e dignità: si respira aria d’alta quota, ma anche un senso profondo di comunità.

Tappa 8: Castelluccio di Norcia – Norcia (18 km, 250 m D+, 5h)

Dopo l’intensità del giorno precedente, questa tappa offre un cambio di ritmo. Si lascia lentamente l’altopiano, camminando tra strade bianche e sentieri in discesa che seguono il profilo del Pian Grande, con la montagna alle spalle e la valle che si apre davanti. È una giornata da respirare a pieni polmoni, dove il paesaggio invita a rallentare e ad ascoltare.

Il fondo è facile, il passo si fa regolare. L’arrivo a Norcia, città natale di San Benedetto, segna un nuovo punto centrale nel cammino. La città, ancora in ricostruzione, trasmette una spiritualità silenziosa e una forza che non si ostenta, ma si sente. Vale la pena fermarsi qualche ora in più per visitarla, ascoltare, mangiare bene e riposare davvero.

Tappa 9: Norcia – Campi Alto (17 km, 400 m D+, 5h)

Si riparte da Norcia lasciandosi alle spalle le sue mura e la sua memoria, per risalire lungo una valle stretta, accompagnati dal suono dell’acqua e dal verde che si fa sempre più fitto. La tappa si svolge quasi interamente su sentieri sterrati e strade secondarie, tra boschi e piccoli nuclei abitati.

Il dislivello è dolce ma continuo, con tratti in salita che richiedono costanza, senza mai essere tecnici. Campi Alto è poco più di una manciata di case, un punto fermo nel silenzio dell’Appennino. Qui ci si sente lontani da tutto, e per molti è proprio questa la vera bellezza del cammino.

Tappa 10: Campi Alto – Monteleone di Spoleto (15 km, 450 m D+, 5h30m)

La decima tappa è una giornata piena, dal punto di vista paesaggistico ed emotivo. Si cammina lungo crinali morbidi, salite lente e discese tra pascoli e piccoli boschi, dove il tempo sembra scorrere con un altro ritmo. Il cammino attraversa territori ancora poco toccati dal turismo, dove la vita quotidiana si intreccia con il camminare lento.

Monteleone di Spoleto è uno dei borghi più belli dell’intero itinerario: la cinta muraria, le viuzze medievali e la vista sulla valle regalano un senso di quiete e protezione. È un buon posto per fermarsi, riflettere e fare il punto sul proprio viaggio.

Tappa 11: Monteleone di Spoleto – Leonessa (14 km, 300 m D+, 4h30m)

Una tappa tranquilla, che permette di respirare e lasciare sedimentare le emozioni dei giorni precedenti. Il percorso si sviluppa su saliscendi lievi, con lunghi tratti tra campi e radure che invitano alla contemplazione.

Il contesto cambia lentamente: dall’Umbria si passa al Lazio, e il paesaggio si fa più ampio, le montagne si allontanano un po’. Leonessa, con il suo bel centro storico, offre un’accoglienza calorosa, fatta di pietra viva e piazze tranquille. È una giornata in cui si ritrova la leggerezza, ma senza perdere profondità.

Tappa 12: Leonessa – Posta (19 km, 600 m D+, 6h)

Una tappa di media difficoltà, che alterna sentieri boscosi a lunghi tratti panoramici. Si cammina spesso in mezzo alla natura incontaminata, con dislivelli che si fanno sentire ma senza mai risultare eccessivi. Il fondo è buono, la segnaletica chiara, e il paesaggio invita a un cammino meditativo.

Posta, all’arrivo, è un piccolo centro agricolo che conserva un ritmo antico e una gentilezza autentica. È uno di quei luoghi dove il cammino ti regala la sensazione di essere semplicemente nel posto giusto, al momento giusto.

Tappa 13: Posta – Amatrice (16 km, 500 m D+, 5h)

Questa è una delle tappe simboliche dell’intero percorso, perché porta ad Amatrice, uno dei nomi più tristemente legati al sisma del 2016. Il tragitto attraversa ambienti rurali e collinari, con qualche salita ben distribuita e tratti che scorrono fluidi.

Ma più che il paesaggio, è la meta a fare la differenza: l’ingresso ad Amatrice è carico di emozione, e camminare tra ciò che resta e ciò che rinasce mette in moto pensieri che vanno oltre il cammino. Fermarsi qui non è solo utile: è necessario. Anche solo per mangiare un piatto di pasta, per ascoltare una storia, per esserci.

Tappa 14: Amatrice – L’Aquila (22 km , 700 m D+, 6h30m)

Ultima tappa, e come spesso accade, carica di significato e aspettativa. Si sale e si scende tra vallate silenziose, con la catena del Gran Sasso che inizia a dominare l’orizzonte, mentre l’altitudine si fa sentire. Il cammino è fisicamente impegnativo ma mai ostile, e il paesaggio accompagna con generosità.

L’arrivo a L’Aquila è un momento forte: si entra in una città che ha conosciuto il dolore e la rinascita, una capitale che sta lentamente tornando a splendere. Concludere qui il cammino non è solo simbolico, è profondamente giusto. È il punto d’arrivo di un percorso che attraversa ferite, speranze e comunità che continuano a camminare, ogni giorno.

La filosofia del Cammino delle Terre Mutate

Il Cammino delle Terre Mutate non è soltanto un itinerario escursionistico: è un’esperienza umana, civile e culturale. Nasce da un’idea di turismo lento e responsabile, che mette al centro non la performance sportiva, ma l’incontro con i territori e le comunità colpite dai terremoti del 2009 e del 2016. Camminare lungo queste tappe significa scegliere consapevolmente di dare voce e valore a luoghi fragili ma vivi, dove la ricostruzione è ancora in corso e dove ogni presenza, ogni passo, può rappresentare una forma concreta di vicinanza.

La filosofia del cammino è quella del ritorno alla relazione, con sé stessi e con gli altri. I ritmi sono lenti, adatti all’osservazione e all’ascolto. Si attraversano paesi che portano ancora i segni della distruzione – chiese chiuse, case transennate, cantieri aperti – ma che resistono grazie all’impegno delle persone che hanno scelto di restare o tornare, spesso con coraggio e inventiva. Molti camminatori raccontano di essere partiti con l’idea di fare un trekking e di aver scoperto, tappa dopo tappa, una rete umana fatta di accoglienza, storie, sguardi, mani che aiutano. In questo senso, il Cammino delle Terre Mutate è anche un percorso interiore: insegna ad accettare l’imperfezione, a convivere con il vuoto e a cogliere il valore profondo della cura del territorio.

Camminare in queste terre mutate è un gesto politico, ecologico e affettivo. Significa contribuire, con il proprio tempo e la propria attenzione, a sostenere un’idea di futuro condiviso, radicato nei luoghi e non nelle metropoli. Significa scoprire l’Italia che resiste e che ricostruisce, passo dopo passo.

Cosa mangiare lungo il Cammino delle Terre Mutate

Mangiare lungo il Cammino delle Terre Mutate è un vero e proprio viaggio dentro la tradizione gastronomica dell’Appennino centrale, tra ricette contadine, sapori autentici e ingredienti a km 0. Ogni regione attraversata – Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo – offre specialità locali che parlano della storia agricola e pastorale del territorio, spesso preparate con passione da chi accoglie i camminatori in agriturismi, rifugi e case private.

Tra i piatti da non perdere ci sono i vincisgrassi marchigiani, una variante ricca e sostanziosa delle lasagne, e la lenticchia di Castelluccio, regina della piana umbra, presidio Slow Food e simbolo della rinascita agricola locale. In Umbria e Abruzzo abbondano le zuppe di cereali, le pappardelle al cinghiale, i formaggi di pecora e il pecorino stagionato, spesso prodotto artigianalmente in piccole aziende a conduzione familiare. Nel Lazio è facile trovare amatriciana autentica, preparata secondo la ricetta originaria di Amatrice con guanciale e pecorino.

Non mancano poi i dolci della tradizione, come il pan nociato, i tozzetti umbri o le ferratelle abruzzesi, perfetti per una pausa energetica lungo il cammino. In molti casi, i pasti vengono serviti in modo informale, spesso in tavolate condivise, dove è facile scambiare parole, racconti e indicazioni con altri viandanti. Ogni pasto diventa così parte integrante dell’esperienza, un’occasione per entrare in contatto con il vissuto delle persone del luogo e contribuire direttamente all’economia di prossimità. Il consiglio è di affidarsi alle proposte dei gestori, che conoscono il territorio e valorizzano i prodotti locali: ne uscirai sazio!

La credenziale del Cammino delle Terre Mutate

La credenziale del Cammino delle Terre Mutate è il documento che accompagna il viandante lungo tutte le tappe, fungendo da testimonianza personale del cammino compiuto. È composta da una serie di spazi dedicati alla raccolta dei timbri distribuiti lungo il percorso, che possono essere apposti in rifugi, strutture ricettive, bar, uffici turistici e altri presìdi del territorio. Ogni timbro rappresenta un piccolo racconto visivo del luogo, e la credenziale si trasforma così in un diario concreto del proprio passaggio, pagina dopo pagina.

La credenziale può essere ordinata gratuitamente online attraverso il sito ufficiale del cammino, semplicemente compilando un modulo con i propri dati. Non viene richiesto alcun pagamento: la spedizione è gratuita e il camminatore è invitato – se lo desidera – a lasciare una donazione libera, finalizzata al sostegno delle attività dell’associazione Movimento Tellurico e della Rete dei Cammini nel cratere. Questa scelta coerente con la filosofia del cammino ne rafforza i valori: gratuità, condivisione e sostegno reciproco.

Una volta completato il cammino, la credenziale può essere presentata per ricevere un attestato simbolico di avvenuto completamento del percorso. Ma al di là del valore formale, ciò che la credenziale rappresenta è molto più profondo: è una traccia fisica di incontri, territori, emozioni, un documento che si riempie di storie, persone, resistenza e rinascita.

Perché scegliere il Cammino delle Terre Mutate

Perché è un cammino necessario. Non solo per chi ama la montagna, il silenzio, i paesaggi appenninici. Ma anche per chi vuole dare valore al camminare, essere presente, sostenere territori che spesso restano ai margini. Ogni passo è un gesto di solidarietà, ogni incontro è una possibilità di ascolto.

Il Cammino delle Terre Mutate è questo: un viaggio reale, umano, vero.

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Il Cammino dei Briganti tra storia, natura e leggende nell’Appennino centrale

Il Cammino dei Briganti è un itinerario escursionistico ad anello lungo circa 108 chilometri, che si sviluppa tra l’Abruzzo meridionale e il Lazio settentrionale, attraversando territori di confine un tempo teatro di battaglie, nascondigli e fughe di coloro che si opposero all’unificazione d’Italia. Il cammino tocca paesi e vallate tra la Marsica e il Cicolano, due aree storicamente legate da secoli di transumanza, vita rurale e resistenza contadina. Intraprendere questo percorso significa immergersi in un ambiente ancora integro e poco turistico, dove la presenza umana è discreta e il paesaggio conserva una forza arcaica: faggete secolari, pascoli d’altura, antichi tratturi e borghi in pietra fanno da sfondo a ogni tappa.

L’itinerario, che parte e si conclude nel borgo di Sante Marie (AQ), è suddiviso in sette tappe, percorribili in altrettanti giorni, ma adattabili secondo il proprio livello di allenamento o disponibilità di tempo. È ben segnato e curato grazie all’impegno di associazioni locali, come la Compagnia dei Cammini, e rappresenta una proposta ideale per chi cerca un cammino autentico, accessibile e profondo dal punto di vista culturale e paesaggistico.

Perché si chiama “Cammino dei Briganti”

Il nome evocativo del cammino affonda le radici in una pagina spesso trascurata della storia italiana: quella del brigantaggio postunitario. Dopo l’unificazione del 1861, le zone interne dell’Appennino centro-meridionale – in particolare i territori dell’ex Regno delle Due Sicilie – furono teatro di una lunga e sanguinosa resistenza popolare contro il neonato Regno d’Italia. Bande di briganti, spesso sostenute dalle comunità locali, si rifugiarono tra questi monti per sfuggire alle forze piemontesi e continuare la loro lotta. Il territorio attraversato dal Cammino dei Briganti fu uno dei più attivi in questo senso: da Cartòre a Valdevarri, da Rosciolo a Nesce, le vallate divennero rifugi naturali per i fuorilegge e oppositori politici.

Fra le figure più emblematiche legate a questa zona c’è quella di José Borjes, un ufficiale spagnolo borbonico che si unì alla causa brigantesca come emissario del re Francesco II, tentando di organizzare una contro-offensiva militare che però si concluse tragicamente. Borjes venne catturato e giustiziato proprio nei pressi dei luoghi oggi toccati dal cammino. Il suo nome – come quello di altri briganti locali – è ricordato ancora oggi da lapidi, cippi e racconti tramandati oralmente, che fanno del percorso una vera e propria narrazione a cielo aperto della microstoria italiana.

Le tappe principali del Cammino dei Briganti

Il Cammino dei Briganti è pensato per essere percorso in sette tappe giornaliere, che formano un anello chiuso con partenza e arrivo a Sante Marie. Ogni tappa è un microcosmo a sé: si attraversano boschi secolari, borghi medievali, crinali panoramici e vallate dimenticate dal tempo. Le distanze sono contenute, ma la varietà dei paesaggi e la presenza costante di testimonianze storiche rendono ogni giornata ricca di scoperte.

A questo si aggiungono la possibilità di pernottare in strutture accoglienti, di incontrare la popolazione locale e di assaporare una cucina semplice ma autentica. L’organizzazione del cammino è flessibile: alcune tappe possono essere allungate o accorciate in base al proprio passo e alle esigenze logistiche, mentre la variante al Lago della Duchessa offre un’opzione più alpina per chi cerca un’avventura fuori dal tempo.

Tappa 1: da Sante Marie a Santo Stefano (5,6 km, 380m D+, 160m D-, 2 ore)

La prima tappa parte dal borgo di Sante Marie, dove ha sede il Museo del Brigantaggio e dove è possibile ritirare il salvacondotto, simbolo identitario del cammino. Il percorso si addentra in un bosco di castagni e faggi, offrendo già dalle prime ore un’immersione nella natura appenninica. Lungo il sentiero si incontrano antiche carbonaie e muri a secco, testimoni dell’antica economia di montagna. Il tratto è breve ma presenta una discreta salita che culmina nel piccolo abitato di Santo Stefano, incastonato tra i monti e caratterizzato da un’atmosfera sospesa nel tempo. È un luogo perfetto per pernottare in tranquillità e assaporare i ritmi lenti della vita rurale.

Tappa 2: da Santo Stefano a Nesce (13,9 km, 400m D+, 625m D-, 5-6 ore)

Dopo aver lasciato Santo Stefano, il cammino prosegue su sentieri e strade bianche che attraversano boschi e crinali panoramici, offrendo scorci suggestivi sulla Valle del Salto. Durante il tragitto si incontra la frazione di Valdevarri, con una fontana pubblica utile per rifornirsi d’acqua. Questa zona era nota per essere uno dei rifugi preferiti dai briganti, grazie alla sua posizione isolata e alla fitta vegetazione. Più avanti, una variante consente di visitare Poggiovalle, paese disabitato che conserva un fascino ruvido e autentico, perfetto per chi cerca silenzi profondi e tracce della storia dimenticata. L’arrivo a Nesce avviene scendendo lungo un sentiero boscoso: il borgo è adagiato su un piccolo colle e offre strutture ricettive diffuse per il pernottamento.

Tappa 3: da Nesce a Cartòre (12,6 km, 580m D+, 500m D-, 4-5 ore)

Da Nesce si parte attraversando un territorio collinare che progressivamente si innalza verso le pendici del Monte Velino, offrendo tratti molto suggestivi tra boschi misti e radure panoramiche. Il percorso è silenzioso e solitario, attraversa aree rurali abbandonate e conserva un’atmosfera quasi intatta. Uno dei tratti più belli è quello che si avvicina a Cartòre, dove si cammina su una vecchia strada sterrata, tra muretti a secco e tratti di prato punteggiati da querce. Il borgo di Cartòre, oggi disabitato ma ben restaurato, è uno dei simboli del cammino, perché fu rifugio di briganti e centro di resistenza popolare. Qui è possibile dormire in rifugio autogestito o in tenda, immersi in un paesaggio selvaggio e senza tempo.

Tappa 4 (opzionale): da Cartòre al Lago della Duchessa e ritorno (11 km, 900m D+, 900m D-, 5-6 ore)

La salita al Lago della Duchessa, facoltativa ma altamente consigliata, è una delle esperienze più intense e panoramiche del cammino. Il sentiero si inerpica ripidamente tra boschi e canaloni, fino a raggiungere la conca glaciale a 1.788 m, dove si trova il lago, spesso parzialmente ghiacciato in primavera. Questo luogo ha un’aura solenne e silenziosa, circondato da pareti rocciose e pascoli d’altura frequentati da cavalli e bovini liberi. La discesa avviene lungo lo stesso percorso. È fondamentale avere buone condizioni fisiche, acqua a sufficienza e un minimo di esperienza in ambiente montano, soprattutto in caso di neve residua o nebbia.

Tappa 5: da Cartòre a Rosciolo dei Marsi (15,7 km, 400m D+, 700m D-, 5-6 ore)

Questa tappa riconduce verso la bassa valle, offrendo tratti di cammino molto vari tra sentieri boschivi, strade poderali e scorci sulla conca del Fucino. Il percorso tocca il borgo di Masseria, dove è possibile una sosta, e prosegue poi verso uno dei luoghi più suggestivi dell’intero cammino: il monastero di Santa Maria in Valle Porclaneta, splendido esempio di architettura romanica incastonato nella roccia. La tappa termina a Rosciolo dei Marsi, borgo ben conservato con numerose possibilità di alloggio, noto per la sua architettura tradizionale e i murales storici.

Tappa 6: da Rosciolo dei Marsi a Casale Le Crete (10 km, 300m D+, 150m D-, 3-4 ore)

Una tappa più breve e rilassante, ideale per recuperare energie. Si cammina tra colline dolci, orti e oliveti, con il Monte Velino sempre a fare da sfondo. Durante il tragitto si attraversano zone agricole e si toccano antichi casali, fino ad arrivare a Casale Le Crete, una struttura immersa nella natura, punto ideale per una sosta gastronomica o un pernottamento rigenerante. Il paesaggio è aperto e soleggiato, con tratti panoramici che offrono vedute spettacolari sul Fucino e sulla catena del Sirente.

Tappa 7: da Casale Le Crete a Sante Marie (13 km, 300m D+, 350m D-, 4-5 ore)

L’ultima tappa chiude l’anello riportando il camminatore a Sante Marie, attraverso un percorso morbido ma vario. Si attraversano aree boscose e crinali panoramici, dove è possibile ammirare tutta la vallata e riflettere sul viaggio appena compiuto. Prima dell’arrivo, si passa accanto a fontane storiche, vecchi muretti contadini e sentieri che furono battuti da pastori e briganti. Il ritorno a Sante Marie rappresenta un momento di gratitudine e compimento: il viaggio si chiude nello stesso luogo da cui è iniziato, ma con nuovi occhi e nuove consapevolezze.

Logistica e consigli di sicurezza per percorrere il Cammino

Una delle grandi forze del Cammino dei Briganti è la sua accessibilità logistica. Il punto di partenza, Sante Marie, è raggiungibile facilmente in auto, ed è collegato anche da mezzi pubblici tramite treni e autobus che arrivano fino a Tagliacozzo o Avezzano. Il cammino è ben segnalato lungo tutta la sua estensione, con segni rossi e bianchi che accompagnano il camminatore in sicurezza. Lungo le tappe, sono presenti strutture ricettive locali: B&B, agriturismi, case private, rifugi, e in alcuni casi aree attrezzate per campeggiare. È consigliato prenotare con anticipo, soprattutto nei mesi estivi e durante i ponti festivi, quando l’affluenza è maggiore. Le tappe sono pensate per essere affrontate anche da camminatori mediamente allenati e non richiedono equipaggiamento tecnico: bastano un buon zaino, scarponcini comodi e uno spirito di adattamento.

Il Cammino dei Briganti non presenta particolari rischi oggettivi, ma richiede comunque attenzione e consapevolezza, soprattutto in relazione all’isolamento di alcune tappe e all’ambiente naturale che si attraversa. I sentieri sono ben segnati, ma è buona norma portare con sé una traccia GPS aggiornata e una mappa escursionistica cartacea, utile in caso di problemi con la batteria del telefono. L’acqua si trova facilmente lungo il percorso, grazie alla presenza di fontane pubbliche e rifornimenti nei borghi, ma è sempre meglio avere con sé una borraccia capiente o una sacca idrica per le giornate più lunghe o calde.

Non è necessaria un’assicurazione alpinistica, ma è consigliabile avere con sé un kit di pronto soccorso, una coperta termica e un fischietto di emergenza, oltre ai numeri di riferimento della protezione civile e dei centri abitati lungo il percorso. Il cammino è percorribile da marzo a novembre, ma nelle stagioni intermedie – soprattutto a primavera inoltrata e in autunno – è bene verificare le condizioni meteo prima della partenza, perché la nebbia e le piogge intense possono rendere alcuni tratti scivolosi. Se si sceglie di dormire in tenda, è importante conoscere le normative locali e piantare la tenda solo nelle aree consentite, rispettando sempre l’ambiente e lasciando pulito.

Il Cammino dei Briganti: un’esperienza che lascia il segno

Il Cammino dei Briganti non è solo un itinerario escursionistico, ma un vero viaggio nel cuore nascosto dell’Appennino centrale. È un’esperienza che unisce natura, storia, spiritualità e semplicità. Camminare tra questi sentieri significa riscoprire un’Italia minore e profonda, fatta di borghi silenziosi, paesaggi vasti e gesti autentici. È un cammino che insegna l’autonomia, la lentezza e il rispetto, dove ogni passo si fa memoria, e ogni sosta è un’occasione per tornare in ascolto.

Adatto sia a chi è alle prime esperienze di cammino, sia a chi ha già percorso vie più celebri, il Cammino dei Briganti rappresenta un invito a rallentare, osservare, ascoltare. Un viaggio per tutti, ma soprattutto per chi è disposto a lasciarsi sorprendere.

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I trekking più belli e suggestivi per scoprire la Puglia a passo lento

Sempre più persone scelgono di scoprire l’Italia a passo lento, intraprendendo escursioni, trekking e pellegrinaggi, anche di più giorni. Una delle regioni più amate per questa tipologia di viaggio è la Puglia, un posto unico e ricco di meraviglie da esplorare camminando nelle campagne, respirando i profumi del mare lungo i tratti costieri o percorrendo le strade che portano ai borghi e ai centri storici più caratteristici.

Se anche voi volete scoprire la Puglia in modo sostenibile e senza fretta, queste sono alcune delle escursioni più belle da fare.

Escursione a Porto Selvaggio

Chi ama scoprire la Puglia camminando, ma con un occhio rivolto sempre verso il mare, l’escursione da fare è quella nel Parco Naturale di Porto Selvaggio, la prima area protetta della regione. Qui intraprenderete un percorso tra paesaggi diversi: attraverserete una pineta, godrete di viste panoramiche sulle insenature del parco, avvistando le torri costiere e la baia di Uluzzo. Lungo il percorso passerete anche davanti alla Grotta del Cavallo, famosa per il ritrovamento di depositi archeologici risalenti al paleolitico superiore che rappresentano i più antichi resti di Homo sapiens in Europa.

Il percorso è lungo 12 chilometri e necessita di 4-5 ore in base alla vostra andatura.

Sentiero dell’Amore nel Gargano

Uno dei trekking più belli da fare in Puglia e nel Gargano è il Sentiero dell’Amore, il cui nome ufficiale è Sentiero Natura Mergoli-Vignanotica perché unisce due baie: da un lato la Baia di Vignanotica, dall’altro Baia dei Mergoli, nota come Baia delle Zagare. Durante questo percorso godrete dei paesaggi offerti da un tratto di costa incontaminato e selvaggio, dove dominano i contrasti di colori offerti dal verde della vegetazione e dal blu del mare.

Il sentiero, facente parte del comune di Mattinata, può essere percorso in entrambe le direzioni ed è lungo 6 chilometri (andata e ritorno). Seppur si tratti di un percorso poco impegnativo, consigliamo comunque di indossare scarpe comode.

Vista sulla Baia delle Zagare dal Sentiero dell'Amore in Gargano

Fonte: iStock

Vista sulla Baia delle Zagare dal Sentiero dell’Amore

Sentiero delle Cipolliane in Salento

Per ammirare al meglio il paesaggio salentino, invece, consigliamo di percorrere il Sentiero delle Cipolliane, un itinerario campestre che, partendo dalle rocce dell’insenatura del Ciolo, si snoda lungo la costa fino ad arrivare al porticciolo di Marina di Novaglie. Camminerete circondati dai profumi della macchia mediterranea, scoprendo anche le grotte marine dette delle “Cipolliane” in riferimento alle cipolle selvatiche che crescono nei dintorni.

Non mancano le eredità lasciate dal passaggio umano, come i classici muretti a secco, perché anticamente il sentiero veniva utilizzato per trasportare le merci dalla costa alle zone interne. Il percorso è abbastanza semplice e dura un’ora, per una lunghezza totale di 3 chilometri.

Trekking sul Monte Saraceno

Raggiungere il Monte Saraceno significa godere di una vista mozzafiato sulla baia di Mattinata, nel Gargano, ma anche percorrere un sentiero dal valore archeologico. Percorrendo tutto il sentiero a picco sul mare, infatti, arriverete sul crinale dove ammirerete le oltre 500 tombe e le stele funerarie della necropoli dauna di Monte Saraceno. I più esperti possono valutare anche un giro ad anello che tocca Lido, Monte Saraceno e Mattinata per una lunghezza di 6 chilometri e un totale di 2 ore.

Trekking sull’Acquedotto Pugliese

Se state organizzando un viaggio ad Alberobello, non limitatevi solamente alla visita dei trulli. Indossate scarpe comode e seguite il trekking dell’Acquedotto Pugliese, un’opera realizzata tra il 1906 e il 1939 composta da canali percorribili e ponti in pietra. Durante la prima parte del percorso, infatti, camminerete sulla strada di servizio dell’acquedotto, per poi immergervi in paesaggi rurali con un maggiore dislivello che vi permetterà di godere delle viste panoramiche sul Canale di Pirro.

Questo è un sentiero ad anello lungo 12 chilometri, percorribile in più o meno 3 ore.

Cammino del Salento

Infine, se avete più giorni a disposizione, potete regalarvi l’esperienza di un cammino. Il Cammino del Salento, per esempio, è uno dei più belli perché collega alcuni dei luoghi e dei paesaggi più famosi del Salento, dalle coste dell’Adriatico agli scenari rurali, fino agli uliveti secolari, alle antiche masserie e ai borghi. Durante il cammino verrete conquistati dalla bellezza delle scogliere a picco, ma anche dei diversi siti archeologici che incontrerete lungo il vostro percorso come chiese barocche e antiche torri di avvistamento.

Il Cammino del Salento, dotato di tutte le segnaletiche necessarie, offre percorsi adatti a diversi livelli di preparazione, regalando sempre panorami indimenticabili. Nel dettaglio, i percorsi principali sono due: la Via del Mare, lunga 115 chilometri e suddivisa in 5 tappe, che si concentra sulla costa, offrendo panorami mozzafiato sul Mar Adriatico; la Via dei Borghi, lunga 135 chilometri e divisa in 6 tappe, durante la quale vi addentrerete nell’entroterra, scoprendo tutto il fascino dei borghi antichi, delle masserie e dei frantoi.

Nell’ultimo tratto a sud di Otranto, i due sentieri confluiscono in un unico itinerario che serpeggia tra viottoli, torri di avvistamento sul litorale, piscine naturali scolpite nella roccia, anfratti marini suggestivi e baie di rara bellezza.

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Madonna di Campiglio, l’elegante regina delle Dolomiti

Adagiata con grazia a 1550 metri di altitudine, incastonata tra la spettacolare cornice delle Dolomiti di Brenta e i ghiacciai imponenti dell’Adamello e della Presanella, Madonna di Campiglio è una perla rara nel panorama alpino. Un paese discreto, raffinato, che conserva intatto il suo fascino di località d’élite senza rinunciare all’autenticità montana. Qui, la natura è regina e regala inverni perfetti per gli amanti della neve e stagioni più miti in cui i sentieri si trasformano nel paradiso di escursionisti e trekker.

Fiore all’occhiello delle stazioni sciistiche italiane, non è soltanto una località turistica dove praticare sport: è un’esperienza totale, dove ogni dettaglio (dalle piste alla gastronomia, dagli hotel agli scorci più nascosti) mette in mostra una storia di eleganza e di armonia con l’ambiente. Con chilometri di piste perfettamente innevate, le atmosfere sofisticate dei ristoranti stellati, l’accoglienza calda degli hotel e la suggestione degli spazi naturali del Parco Naturale Adamello Brenta, Madonna di Campiglio è la quintessenza dell’inverno alpino, ma anche una meta affascinante da scoprire in tutte le stagioni.

Una visita nel centro storico

Passeggiare nel cuore di Madonna di Campiglio è come compiere un viaggio nel tempo, sospesi tra passato e presente. Il centro si sviluppa attorno a Piazza Righi, il fulcro della vita cittadina, dove si intrecciano voci, aromi e colori, e l’atmosfera è elegante ma mai fredda: le boutique di alta moda, i negozi di gioielli e di artigianato raccontano la passione per la qualità e il bello. Le vie sono lastricate e fiancheggiate da edifici in legno che conservano il fascino alpino più autentico, e danno forma a un paesaggio urbano davvero pittoresco.

Tra le tappe immancabili, il Sasso di Sissi (che evoca la presenza dell’imperatrice d’Austria) e la Chiesa di Santa Maria Antica, un piccolo gioiello architettonico che custodisce secoli di storia. Non lontano, il Monumento alle Guide Alpine rende omaggio agli uomini che hanno segnato la storia dell’alpinismo locale, mentre il Salone Hofer, dalle decorazioni Liberty, trasporta chiunque lo visiti nella classe di un’altra epoca.

Alla sera, il centro si accende poi di una luce diversa, fatta di riflessi sui bicchieri di vino, di risate tra le vetrine illuminate, di profumi che escono dalle cucine dei ristoranti gourmet. Sì perché Madonna di Campiglio vive anche di notte, tra cocktail bar di charme, locali alla moda e cene da ricordare, sempre nel segno della raffinatezza e della qualità.

Cosa fare in inverno, il paradiso dello sci

Inverno a Madonna di Campiglio

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Sciare a Madonna di Campiglio

Quando l’inverno cala il suo manto bianco sulle montagne, Madonna di Campiglio si trasforma in un paradiso per gli amanti della neve: il paesaggio si fa incantato, le vette si stagliano nitide nel cielo terso e ogni giornata diventa una promessa di emozione e bellezza.

La Ski Area Campiglio Dolomiti è la più estesa del Trentino e unisce le aree di Madonna di Campiglio, Pinzolo e Folgarida-Marilleva in un unico sogno invernale. Sciare qui significa vivere un’esperienza immersiva, su piste sempre diverse e perfettamente preparate. Ce n’è per ogni livello: dai tracciati più semplici, ideali per i principianti, fino alle discese più tecniche, capaci di far battere il cuore agli sciatori più esperti. Tra tutte, spicca la pista più lunga, che si snoda per ben 5 chilometri e dona scorci spettacolari e discese da togliere il fiato. La quota raggiunge i 2580 metri, assicurando non solo una neve eccellente ma anche una vista impareggiabile su tutto il gruppo montuoso.

Per chi cerca un’alternativa allo sci tradizionale, lo snowboard è di casa all’Ursus Snowpark, considerato tra i migliori d’Europa: nella zona del Grostè, offre oltre 10.000 metri quadrati di puro divertimento freestyle e le strutture si moltiplicano tra kicker, rail, box e linee di diversa difficoltà, per far divertire principianti, famiglie e rider esperti. La parte alta, sopra il rifugio Stoppani, ospita dodici strutture medio-facili a circa 2500 metri di quota, mentre quella bassa propone oltre 20 strutture con salti e percorsi impegnativi.
Un tracciato di boardercross completa l’offerta, il tutto comodamente raggiungibile con la cabinovia Grostè e la seggiovia Grostè Express.

E non finisce qui: chi ama il silenzio ovattato dei boschi innevati può dedicarsi allo sci nordico al Centro Fondo Campo Carlo Magno, con 22 chilometri di piste che si snodano in un paesaggio da fiaba. Anche qui, i percorsi si adattano a tutti i livelli, inclusi tratti facili e un campo scuola, sempre con lo sfondo inconfondibile delle Dolomiti di Brenta.

Cosa fare in estate, al cospetto della meraviglia

Quando la neve si ritira e lascia spazio ai verdi pascoli e ai riflessi dei laghi alpini, Madonna di Campiglio svela un volto altrettanto incantevole. L’estate qui è sinonimo di natura, escursioni e panorami mozzafiato, con il Parco Naturale Adamello Brenta che diventa il cuore pulsante di ogni avventura.

Questo parco straordinario, tra i più importanti d’Italia, è una culla di biodiversità. I sentieri si perdono tra boschi secolari, vallate incontaminate, malghe solitarie e specchi d’acqua cristallini. L’aria profuma di resina e libertà, e ogni passo sembra portare più vicino al centro segreto della montagna. Insomma, il trekking non è solo attività fisica bensì contemplazione, ascolto, riscoperta del ritmo lento delle stagioni.

Tra le escursioni imperdibili c’è quella che conduce ai tre laghi: Nambino, Malghette e Ritorto. Tre perle incastonate tra le montagne, ciascuna con una sua anima. Il Lago di Nambino, a circa 1720 metri, è raggiungibile con una camminata accessibile anche a famiglie e camminatori alle prime armi. Le sue acque tranquille e la cornice boschiva lo rendono un paradiso terrestre.

Il Lago delle Malghette, a 1890 metri, affacciato sulla Val di Sole, regala viste che sembrano dipinte e percorsi immersi in una natura vibrante. Infine, il Lago di Ritorto, a oltre 2100 metri, è un autentico balcone sulle Dolomiti: lo si raggiunge dopo un’escursione che parte da Malga Ritorto e che, in appena un’ora, conduce in uno dei punti panoramici più emozionanti dell’intera zona.

L’estate a Madonna di Campiglio è un invito a rallentare, respirare profondamente e lasciarsi incantare. Che sia con gli scarponi ai piedi, una macchina fotografica al collo o semplicemente con il desiderio di perdersi nella bellezza, ogni giorno diventa un’occasione per ritrovare un contatto autentico con la montagna.