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Israele, scoperta archeologica senza precedenti nei fondali marini

In Israele, cercavano fonti di gas, invece hanno fatto una scoperta archeologica sensazionale. Una compagnia energetica, la Energean, scandagliando i fondali del mare ha infatti scoperto per puro caso un antico relitto. Sarebbe il più antico mai trovato in fondo al mare. Si tratta di un mercantile che risale all’epoca Canaanita affondato tra i 3400 e i 3300 anni fa, ha spiegato l’autorità delle antichità di Israele. Al suo interno sono state rinvenute decine di anfore di terracotta.

La nave preistorica deve essere affondata subito, ha spiegato Jacob Sharvit, a capo della IAA Marine Unit. È crollata a picco fino a toccare il fondale ed è rimasta lì intatta, nascosta per millenni e dimenticata finché il sonar della Energean-E&P non ha scandagliato il fondo alla ricerca di fonti di gas e ha scoperto un’anomalia.

L’identificazione della nave e delle sue origini storiche si sono basate sulle immagini scattate dal robot. Poi, solo alcune settimane fa, dopo aver pianificato le operazioni per mesi, la Energean ha inviato un ROV (Remotely operated vehicle), un sottomarino a comando remoto, che ha recuperato due delle antiche anfore conservate nel vascello.

 

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L’incredibile scoperta avvenuta nei fondali italiani

Non solo la terra, anche i fondali dei mari italiani nascondo tesori importantissimi e che ogni tanto, grazie al lavoro di bravissimi studiosi, ritornano alla luce. Come quello che è accaduto pochi giorni fa e che ha lasciato tutto sorpresi. Scopriamo insieme di cosa si tratta.

Trovato un relitto romano a Civitavecchia

Che a Roma siano ancora sepolti tesori millenari è risaputo, così come è ben noto a tutti che anche i suoi dintorni sono scrigni di gemme preziose che aspettano solo di essere ritrovate. E per fortuna questa volta è successo a Civitavecchia, il cui porto è uno tra i più importanti d’Italia e il secondo scalo europeo per numero di passeggeri annui in transito, nel cui mare è stato individuato un relitto a circa 160 metri di profondità.

La scoperta è avvenuta grazie ad un’attività investigativa della Sezione Archeologia del Reparto Operativo del Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, coordinata dalla Procura della Repubblica di Civitavecchia, in collaborazione con la Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo di Taranto.

È quindi stato scoperto un antico relitto di nave oneraria romana, risalente al II-I secolo. a.C., con un carico di centinaia di anfore romane tipo “Dressel 1 B”, molte delle quali integre, che hanno formato un giacimento delle dimensioni di dodici metri di larghezza per 17 metri di lunghezza.

Le analisi condotte fino a questo momento hanno mostrato che tale scoperta rappresenta un vero e proprio esempio di naufragio di una nave romana che affrontava le insidie del mare mentre cercava di raggiungere la costa. Si tratta perciò di una reale testimonianza delle tratte commerciali marittime di un tempo che ormai è assai lontano.

Come è avvenuto il ritrovamento

Questo eccezionale ritrovamento è avvenuto grazie all’impiego di avanzate attrezzature in dotazione al Centro Carabinieri Subacquei di Genova e al Nucleo Carabinieri Subacquei di Roma. È stato utilizzata anche la motovedetta d’altura del Servizio Navale della Compagnia Carabinieri di Civitavecchia.

In particolare, si è fatto uso del robot sistema ROV (Remotely Operated Vehicle) comprensivo di sonar ed ecoscandaglio che, insieme alla modernissima motovedetta d’altura classe N 802 Frau, hanno consentito di fare questa scoperta ma anche di ottenere una mappatura completa del sito archeologico sommerso.

Per questo motivo, insieme allo scheletro della nave sono stati individuati, nell’immediato perimetro del relitto, anche di due ceppi d’ancora romani in metallo, appartenenti all’ antica nave.

La Soprintendenza Nazionale per il Patrimonio Culturale Subacqueo di Taranto, previa autorizzazione della competente Autorità Giudiziaria, ha adesso avviato le procedure necessarie per censire e salvaguardare questa incredibile area archeologica sommersa individuata dai Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale.

Di cosa siamo a conoscenza su questo relitto

Secondo le prime analisi, si trattava di un’ imbarcazione adibita a scopi commerciali e con una lunghezza che superava i 20 metri. Inoltre, possedeva una struttura semplice, a fondo unico con uno scafo tondeggiamte e robusto, sul quale “riposavano” le centinaia di anfore rinvenute.

Molto probabilmente proveniva dalla Spagna e aveva in carico olive, olio, vino, pesche e fichi. Infine, faceva parte della flotta dell’annona, l’ente dell’antica Roma, che contava un gran numero di navi oneraria che venivano utilizzate per trasportare soprattutto grano dall’Egitto e dalla Spagna.

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Cosa vedere alle isole Tremiti, tra spiagge e natura

Un paradiso terrestre accarezzato dalle acque del Mediterraneo, disegnato da natura intatta, mare trasparente dai fondali incantevoli, raccolte insenature e tracce di un passato significativo: queste sono le parole migliori per raccontare le Isole Tremiti, l’unico arcipelago dell’Adriatico, al largo della costa del Gargano in provincia di Foggia.

È composto da 5 isole: San Nicola e San Domino, le uniche abitate, e poi Cretaccio, Capraia e Pianosa, all’interno della Riserva Marina Protetta, raggiungibili con collegamenti regolari da Vieste, Peschici, Rodi Garganico, Termoli e Vasto, e perfette per emozionanti gite in barca, vacanze balneari, escursioni e trekking e anche per andare alla scoperta di notevoli testimonianze archeologiche.

Cosa vedere a San Nicola, museo a cielo aperto

Centro storico e amministrativo delle Tremiti, l’Isola di San Nicola è un autentico museo a cielo aperto, la meta perfetta per vedere con i propri occhi e conoscere da vicino la storia dell’arcipelago: infatti, ospitò insediamenti neolitici, ellenistici e medievali.

Simboli indiscussi sono l’Abbazia fortificata di Santa Maria a Mare, la più grande del Mediterraneo, e il Castello dei Badiali.

L’abbazia venne costruita attorno al 1045 dai monaci Benedettini, poi passò ai Cistercensi tra il 1237 e il 1313, ai Lateranensi dal 1413 fino alla fine del Cinquecento e fu soppressa da Ferdinando IV di Napoli nel 1783.

Oggi il complesso è visitabile e, al suo interno, custodisce tuttora capolavori assoluti come, ad esempio, la statua in legno di Santa Maria a Mare, scolpita interamente a mano, e alcuni pregevoli pavimenti a mosaico.

Il Castello, invece, con il Torrione Angioino e le maestose mura di cinta, protegge l’Abbazia e domina il mare e le altre isole, voluto da Carlo D’Angiò a scopo difensivo.

Da non perdere anche la zona del porticciolo, la Spiaggia di Marinella vegliata da un’alta e candida scogliera, e la Grotta di San Michele, stupenda con i colori delle acque azzurro-turchese: nelle vicinanze, catturano lo sguardo gli Scogli Segati, un enorme masso che si staccò dall’isola e si spaccò perfettamente in due, come fosse stato lavorato da mani esperte.

Alla scoperta di San Domino, spettacolo della natura

Si tratta dell’isola più grande dell’arcipelago, una vera perla dal punto di vista naturalistico, ricoperta dalla profumata macchia mediterranea e da una folta e rigogliosa distesa di pini d’Aleppo, oasi per il trekking.

Infatti, nel cuore della pineta, troviamo un villaggio rurale con case coloniali del 1935 da cui hanno inizio tre sentieri con cui scoprire l’isola in lungo e in largo: in particolare, la “Strada della Pineta” conduce sul punto più elevato (per un panorama ineguagliabile), passa per la Cappella del Romito e poi scende al faro.

San Domino è il top per chi ama la natura e il mare: oltre alla pineta e ai sentieri, come non nominare Cala delle Arene, l’unica spiaggia sabbiosa dell’isola, le innumerevoli calette e grotte?

Un sogno sono Cala Matano (o Cala della Duchessa), raccolta cala con spazio sabbioso vegliata da imponenti e ripide pareti di roccia, Cala degli Inglesi, a uso esclusivo degli ospiti del villaggio TCI, Cala dei Benedettini, ben attrezzata, la Grotta delle Viole, contraddistinta dalla colorazione rosso-viola delle alghe calcaree alle pareti, la Grotta del Bue Marino, in onore della Foca Monaca, cavità rocciosa al cui interno si svela una piccola spiaggia sabbiosa tra il blu intenso delle acque, e la Spiaggia dei Pagliai, raggiungibile soltanto in barca.

Entusiasmanti tour in barca

Come accennato, le Isole Tremiti sono l’ideale per tour in barca grazie ai quali è possibile avventurarsi alla scoperta di insenature, cale e baie altrimenti inaccessibili e avvicinarsi a pochi metri dalle rive di Capraia, Cretaccio e Pianosa, incluse nella Riserva Marina Integrale con il divieto di approdo.

Molte escursioni guidate, ad esempio, sostano nei pressi di Capraia, dove è possibile fare il bagno nelle acque antistanti la Riserva e provare a scorgere la statua sommersa di Padre Pio; altre accompagnano a esplorare i fondali idilliaci di Pianosa, grazie a immersioni accompagnate da guide subacquee autorizzate.

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In fondo al mar: tra relitti suggestivi e fondali mozzafiato

Esistono alcuni luoghi che sono così belli da sembrare sogni a occhi aperti. Destinazioni che per forme, lineamenti e colori assumono le sembianze di piccoli paradisi terrestri, proprio lì dove sappiamo di poter vivere alcune delle esperienze più indimenticabili di una vita intera.

Le Isole Vergini Britanniche fanno parte di quelli che secondo noi sono i luoghi da raggiungere almeno una volta nella vita e il motivo è facilmente intuibile. Spiagge bianche e dorate caratterizzano le isole principali e quelle minori, e sono bagnate dall’acqua turchese e cristallina del mar dei Caraibi. Sopra la superficie la natura rigogliosa e lussureggiante è assoluta protagonista, tutto intorno, invece, si snoda la meravigliosa barriera corallina, proprio quella che ospita e protegge alcune delle meraviglie più incredibili del territorio.

Ed è proprio qui, tra fondali profondi, una barriera corallina mozzafiato e i delitti da esplorare, che si nasconde il tesoro più prezioso delle Isole Vergini Britanniche, quello che si trova in fondo al mare.

Nuotando tra le Isole Vergini Britanniche

Ogni viaggio, verso una qualsiasi destinazione, si trasforma in un’esperienza di esplorazione che ci conduce verso tutte quelle bellezze che appartengono al mondo che abitiamo. E se è vero che molte di queste meraviglie sono tracciate negli itinerari più battuti dal turismo di massa, e sono ben visibili e riconoscibili, è altrettanto vero che ne esistono altre che si mostrano solo a chi ha il coraggio di esplorarle e di indagare universi sconosciuti.

Ed è proprio questo quello che accade quando si arriva nelle Isole Vergini Britanniche, quando si sceglie di esplorare tutto ciò che esiste oltre la natura lussureggiante, le spiagge che brillano e l’acqua cristallina che le bagna. In questo paradiso terrestre, infatti, c’è molto di più, un tesoro prezioso e straordinario che si trova proprio in fondo al mare, lo stesso che permette di esplorare gli abissi del mar dei Caraibi e tutte le sue meraviglie.

Relitto del Chikuzen

Fonte: Ufficio Stampa Isole Vergini Britanniche

Relitto del Chikuzen

Un mondo meraviglioso sotto il livello del mare

I fondali profondi che si snodano tra le isole dell’arcipelago, non ospitano solo quella barriera corallina mozzafiato, ma anche relitti affascinanti e suggestivi che rendono questo territorio la meta perfetta per tutti gli amanti dell’immersione.

In fondo al mare, infatti, esistono alcune meraviglie che sono diventate parte integrante del paesaggio marino e che sono raggiungibili con le attrezzature da sub, in solitaria o con l’aiuto di esperti.

Gli abissi delle Isole Vergini Britanniche sono diventati una vera e propria attrazione turistica, al punto tale che il territorio ha scelto di organizzare la BVI Wreck Week, una settimana in cui tutti i tesori marittimi vengono valorizzati.

Tra i siti di immersione più belli e suggestivi di questa destinazione, consigliamo quello che permette di raggiungere la RMS Rhone, una nave affondata nel mare, e situata a circa 20 metri di profondità, che si trasforma in una vera e propria avventura mozzafiato. La maggior parte del relitto, oggi, è ancora intatto, ed è visitabile grazie a diversi tour che permettono ai viaggiatori di immergersi e di vedere da vicino la nave.

A circa 7 chilometri da Tortola, invece, troviamo il relitto del Chikuzen, diventato parte integrante del fondale marino. Proprio qui, infatti, oltre ad ammirare l’imbarcazione è possibile avvistare numerosi esemplari della barriera corallina che si aggirano qui, come barracuda, squali e tartarughe.

Nei pressi di Cooper Island, invece, troviamo il Wreck Alley, un’imbarcazione andata alla deriva nel 2006, e oggi situata nei pressi di Fish Bay. Anche in questo caso, è possibile raggiungere il relitto arenatosi sul fondale e ammirare la grande bellezza della fauna marina che vive qui.

Wreck Alley

Fonte: Ufficio Stampa Isole Vergini Britanniche

Wreck Alley
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Pazzesca scoperta nei fondali della Manica

È di questi giorni una nuova sensazionale scoperta archeologica che va ad aggiungersi alle innumerevoli che aiutano a conoscere sempre meglio il passato e a vederlo con i nostri occhi. Hanno finalmente un’identità i tre relitti rinvenuti nel 1990 dal subacqueo Cristian Cardin.

Ritrovate le imbarcazioni della flotta di Luigi XIV annientate nella battaglia di Hogue

L’annuncio è arrivato dal ministero della Cultura francese: i tre relitti al largo della Manica appartengono alla flotta di Luigi XIV distrutta durante la battaglia di Hogue contro l’alleanza anglo-olandese che venne combattuta dal 19 al 23 maggio 1692 poiché il re francese voleva sbarcare in Inghilterra per appoggiare il ritorno al trono di Giacomo II.

I resti delle imbarcazioni si trovano al largo della costa di Saint-Vaast-la-Hougue in Normandia da oltre tre secoli ed erano stati individuati nel 1990 dal subacqueo Cristian Cardin grazie a un magnetometro.
Cardin aveva segnalato la scoperta alle autorità francesi e, dopo ulteriori immersioni, era stato rinvenuto del legno ma le ricerche non erano poi proseguite.

Oggi, invece, il dipartimento delle ricerche archeologiche subacquee e sottomarine (Drassm) ha effettuato uno studio sui tre relitti giungendo alla conclusione che sono collegati alla battaglia di Hogue.

Dall’indagine è emerso che le strutture in legno sono piuttosto rovinate e che due delle navi si trovano sepolte sotto un metro di fango il che fa supporre siano ben conservate ma l’accesso a esse si preannuncia costoso e complicato.

Ovviamente, come segnalato dall’archeologa responsabile della missione, Cècile Sauvage, sarebbe auspicabile continuare il più possibile le ricerche per arrivare a comprendere meglio come le navi venivano costruite sotto il regno di Luigi XIV e per approfondire nel dettaglio lo studio dei relitti di Hogue.

Finora, su un totale di 12 relitti localizzati in trent’anni, soltanto cinque sono stati analizzati in maniera approfondita dal team di scienziati che, tuttavia, grazie a questi studi, hanno potuto affermare che vi è una grande differenza tra quanto riportato dagli archivi, il trattato di costruzione navale di Colbert e la pratica.

Proseguire le indagini è quindi di fondamentale importanza per conoscere le tecniche di costruzione navale del periodo ma non solo: gli oggetti personali rinvenuti sui relitti possono raccontare molto sulla vita a bordo dell’epoca.

Cècile Sauvage spera di trovare al più presto partner per finanziare il proseguimento della missione che ha ancora molto da svelare a partire dall’analisi dettagliata delle navi con l’accesso alle due sepolte sotto lo strato di melma: una battaglia del passato sta per tornare alla luce.

La battaglia di Hogue è anche raccontata in un museo

Nuovi dettagli sulla battaglia di Hogue arrivano (e arriveranno) dall’analisi dei tre relitti che giacciono al largo della Manica ma un museo marittimo ne racconta la storia già dal 1992, aperto dal Consiglio Generale della Manche sull’isola di Tatihou.

Il museo espone collezioni riguardanti l’etnografia, la storia marittima, la flora e la fauna della costa nonché opere d’arte a tema e più di 200 tra manoscritti e libri.

Una parte di sicuro interesse è poi legata appunto alla battaglia di Hogue con mobili ed elementi archeologici appartenenti alle navi francesi affondate nello scontro.

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Una scoperta eccezionale è avvenuta nei fondali marini italiani

I fondali marini italiani continuano a regalare meraviglie. Dopo il ritrovamento avvenuto nei pressi dell’isola di Pampagnola, vicino alla nota località di villeggiatura di Grado, adesso è un altro tratto di mare nostrano a regalare qualcosa di completamente inaspettato e preziosissimo.

Taranto, scoperto il carico di una nave romana

Siamo nelle acque della bella Taranto, la città dei due mari in Puglia. Proprio qui Fabio Matacchiera, sommozzatore e ambientalista, ha individuato i resti di quella che, con molta probabilità, potrebbe essere una nave romana affondata circa duemila anni fa, più precisamente al largo di Leporano.

Un condizionale che dobbiamo assolutamente usare poiché la scoperta è stata fatta da pochi giorni e ha bisogno di necessari approfondimenti. Ma dalle prime ipotesi, sott’acqua sono stati individuati il carico della nave, diverse centinaia di tegole e oggetti e l’ancora di ferro che presenta una frattura del fuso, valorizzando l’ipotesi del naufragio.

La datazione è ancora incerta, ma dopo aver visionato i dati raccolti (comprensivi di foto, video e misurazioni), è stata confermata la probabile tesi dell’affondamento di una nave riconducibile al periodo romano imperiale, fra il primo e il quarto secolo dopo Cristo.

Le dichiarazioni degli addetti ai lavori

Mario Lazzarini, studioso di archeologia subacquea, tramite una nota diffusa dallo stesso sommozzatore ha avanzato un primo scenario plausibile: “Fra il primo e il quarto secolo dopo Cristo il litorale tarantino orientale vide un fiorire di ville rustiche, vere e proprie grandi aziende agricole corredate di lussuose residenze private sul mare: Gandoli, Saturo, Luogovivo, Lido Silvana ne sono testimonianza con i loro ruderi più o meno ancora visibili. Erano in genere proprietà dei ricchi e influenti liberti della famiglia imperiale, e le residenze erano dotate di tutti i confort allora possibili: sale per ricevimento ornate di mosaici, porticati, impianti termali, alloggi per la servitù, cisterne per il rifornimento idrico“.

Ha spiegato, inoltre, che le tegole rinvenute negli abissi sarebbero servite per qualcuna di queste dimore: “Queste costruzioni evidentemente nel corso dei secoli furono più volte ristrutturate, ampliate, migliorate e ciò richiese interventi edilizi e rifornimento di materiali edili, soprattutto mattoni e tegole di cui allora si faceva uso abbondante. Ecco che il relitto di un’ imbarcazione che trasportava un carico di tegole di vario tipo, quale quello rinvenuto da Fabio Matacchiera al largo fra Luogovivo e Baia d’Argento, non è una sorpresa. Uno simile fu già da me segnalato nella baia di Saturo, altri probabilmente saranno scoperti in futuro“.

Tra le ipotesi Lazzarini sottolinea che: “All’epoca il trasporto via mare era molto più conveniente di quello via terra, con numerosi carri a traino animale su strade non lastricate e tortuose. Una nave di medio tonnellaggio, fra i 15 e i 20 metri di lunghezza, poteva trasportare il carico di dieci carri, con navigazione sotto costa abbastanza sicura, e sbarcare i materiali nelle numerose insenature costiere. Però nel corso di tanti secoli qualche violenta sciroccata che ha mandato a fondo alcune di queste navi da trasporto può capitare“.

Perché è una scoperta incredibile

Una scoperta importantissima, quindi, e che necessita di molti approfondimenti. Per saperne di più bisognerà attendere poiché serviranno ulteriori studi e immersioni.

Nel frattempo la documentazione è stata inviata alla dottoressa Barbara Davidde, archeologa al vertice della Soprintendenza nazionale per il patrimonio culturale subacqueo.

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Una scoperta sensazionale nei nostri fondali marini

Sotto il mare si nascondono ancora oggi incredibili segreti. Senza andare molto lontano, al largo delle nostre coste è appena stata fatta un’eccezionale scoperta che potrebbe riscrivere la storia.

E, come spesso accade, la scoperta è assolutamente casuale ed è avvenuta nel corso di un’operazione di routine.

L’antico relitto

I Carabinieri del nucleo per la tutela del patrimonio culturale di Udine stavano, infatti, monitorando un vasto specchio d’acqua alla Foce del Timavo quando si sono accorti che sui fondali c’era qualcosa di inaspettato.

Nei pressi dell’isola di Pampagnola, vicino alla nota località di villeggiatura di Grado, hanno così individuato un’imbarcazione di epoca romana di cui nulla si sapeva finora, ma si è subito capito che si trattava di una scoperta di eccezionale importanza storica.

Il relitto era in buona parte nascosto dalla sabbia dei fondali del Mar Adriatico a una profondità di circa 5 metri. La porzione dell’imbarcazione visibile finora è lunga all’incirca 12 metri, ma si stima misuri almeno il doppio.

Nei pressi dell’antica barca, presso il Canale delle Mee di Grado, lo storico ingresso al porto fluviale di Aquileia, che all’epoca era la quarta città dell’Impero Romano, sono state rinvenute anche due anfore risalenti al I secolo a.C. e porzioni di anfore e brocche risalenti al II-III secolo d.C..

Le altre scoperte nella zona

Il luogo dove è stata fatta la scoperta non è nuovo a incredibili ritrovamenti. Nel 2000, era stato fatto un altro ritrovamento, quello di un vascello denominato “Grado 2“, naufragato nel III secolo a.C., prima ancora della fondazione della città di Aquileia. Il relitto si trovava a una ventina di metri sotto il livello del mare.

Questa era infatti una rotta commerciale molto battuta, in quanto collegava l’attuale Friuli-Venezia Giulia con il resto d’Italia e il mondo ellenico.