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Apre al pubblico uno dei labirinti di siepi più belli d’Italia

Raro esempio di dimora storica signorile, il Castello Bufalini è pronto a regalare una grande sorpresa ai suoi visitatori. Da domenica 21 aprile, per la prima volta, il fantastico labirinto, posto all’interno di uno tra i più grandi e importanti giardini formali all’italiana dell’Umbria, sarà aperto al pubblico ogni terza domenica del mese, fino a ottobre. Scopriamo di più.

Storia del Castello Bufalini

Il Castello Bufalini svetta in tutta la sua bellezza nel borgo di San Giustino, in provincia di Perugia. Nato come fortilizio militare di Città di Castello, a difesa dei confini dello Stato Pontificio, è stato trasformato a metà del Cinquecento dalla famiglia Bufalini in villa di delizie, affacciata sullo splendido paesaggio dell’Appennino.

All’esterno rimase ben visibile l’originaria struttura militare dell’edificio, ingentilita dall’inserimento in facciata di un ingresso monumentale e di un loggiato. All’interno vennero create ampie sale distribuite attorno a un cortile con due lati porticati. Dalla fine del Seicento, il palazzo fu ristrutturato dall’architetto-pittore Giovanni Ventura Borghesi come villa di campagna con un bellissimo giardino all’italiana, e nel Settecento l’edificio si arricchì di pregevoli opere d’arte.

Nel luglio del 1989, il Castello Bufalini è stato acquisito dal demanio dello Stato e costituisce ad oggi un raro esempio di dimora storica signorile pressoché integra, che conserva gran parte del suo arredo storico. Nel percorso di visita si possono ammirare diverse attrazioni, come il panoramico loggiato, le splendide sale dipinte da Cristofano Gherardi nella prima metà del Cinquecento, la Stanza degli Stucchi con le immagini delle “donne forti” e la Camera del Cardinale Giovanni Ottavio Bufalini, con la bellissima culla.

Il parco e il labirinto del Castello Bufalini

Tra la fine del Seicento e i primi del Settecento, il parco del Castello Bufalini venne organizzato in sette aree principali collegate tra loro e racchiuse da percorsi perimetrali posti a margine del fossato e del muro di cinta. Una di queste era occupata proprio dal labirinto creato per lo svago dei signori e formato da alte siepi di bosso. Il tracciato, che misura all’incirca 670 mq, è di forma trapezoidale con tre centri distinti, con un unico accesso, ai cui lati il 4 novembre 1694 furono piantati due cipressi, ancora viventi, che sono tra gli alberi più antichi del giardino.

Nell’archivio dello splendido castello umbro si trovano alcuni disegni relativi alla sua progettazione e realizzazione, in particolare una planimetria databile al 1706, la Pianta del palazzo e giardino della villa di S. Giustino dei sign.ri March.si Bufalini, da cui è possibile vedere come il suo tracciato sia rimasto invariato nei secoli. Ciò fa pensare che, almeno in parte, le piante di bosso siano quelle interrate nel 1692, rendendo il labirinto di Castello Bufalini uno dei più antichi d’Europa.

Il labirinto sarà aperto al pubblico solo su prenotazione, per gruppi di massimo 10 persone, con turni alle ore 11.00 e alle ore 17.00. “L’apertura al pubblico di uno dei labirinti di siepi più interessanti del panorama italiano – dichiara Veruska Picchiarelli, Direttrice di Castello Bufalini – s’inserisce in un processo di recupero e rivalutazione di altre aree, interne ed esterne, dell’intero complesso, che porterà a partire dai prossimi mesi a raddoppiare e a riqualificare totalmente il percorso di visita”.

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Via dell’Acqua, la pista ciclabile che collega Roma e Assisi

È un percorso meraviglioso, ricco di storia e bellezza, che si inerpica tra la natura e regala una visione diversa di ciò che ci circonda. È la Via dell’Acqua, che collega Assisi a Roma e che si può percorrere in bicicletta, ma anche a piedi e – perché no – a cavallo.

Si snoda per 250 chilometri e porta ad attraversare questo tratto di Italia centrale, potendone apprezzare la natura, la campagna che si ha intorno a sé e i corsi d’acqua. Un percorso fatto di bellezza, che fa da filo rosso tra Umbria e Lazio, tra Valle Spoletana, Valnerina e la Valle del Tevere. Ma anche spirituale, infatti collega due centri della Cristianità: Assisi e Roma.

Tutto quello che c’è da sapere sulla Via dell’Acqua, per provare una vacanza diversa, più lenta che ci permette di apprezzare il territorio e di vivere in prima persona il turismo sostenibile.

La Via dell’Acqua, cosa c’è da sapere

Si estende per 250 chilometri la Via dell’Acqua, di questi 200 si snodano lungo percorsi ciclabili già esistenti e lungo strade di campagna, gli altri 50 – invece – su asfalto. Non importa quanto tempo si impiega a percorrerla, perché l’obiettivo è un altro. Tra le cose più belle, infatti, di un viaggio così ci sono la possibilità di lasciarsi incantare dal paesaggio circostante e quella di conoscere luoghi nuovi lungo il percorso.

Inoltre, lungo la Via dell’Acqua si incontrano anche diverse attività per mangiare e dormire, ma anche servizi, che offrono una scontistica grazie alla convenzione attiva per coloro che viaggiano in bici, a cavallo o a piedi e sono in possesso della credenziale che si può richiedere sul sito ufficiale. Il dislivello complessivo è di 2100 metri ed è una vera e propria immersione nella natura alla scoperta di luoghi suggestivi e del fascino di un tratto di Italia a cavallo tra due regioni: l’Umbria e il Lazio.

Perché si chiama così e la storia della sua nascita

Sul sito ufficiale di questo percorso si racconta che la genesi di tutto è stata l’acqua, che è stata ciò che ha ispirato ma che è anche l’elemento che lo caratterizza. Infatti si snoda proprio nei pressi di alcuni argini.

Il percorso è facile, fattibile per tutti.  Come viene spiegato – sempre sul sito ufficiale – la realizzazione della Via dell’Acqua è stata possibile anche grazie al fatto che in Umbria c’era già una fitta rete di percorsi ciclabili. Numeri alla mano, infatti, dei 160 chilometri di tratta che scorrono in questa regione, ben 120 erano su ciclabili già esistenti.

Il risultato sono seniteri, strade e ciclabili che uniscono due regioni e due città: un modo per conoscere il territorio da un altro punto di vista, una maniera per godere della bellezza intorno a sé senza alcuna fretta, ma lasciando che lo sguardo si meravigli a ogni scorcio.

Come si deve percorrere e le info utili

Come percorrerla? La si può fare da Assisi verso Roma e viceversa. Sul profilo Facebook ufficiale dedicato alla Via dell’Acqua vengono pubblicati e condivisi aggiornamenti utili da conoscere prima di partire. Sempre tramite Facebook si arriva ad altre informazioni che contengono le indicazioni e i suggerimenti sulle soste da fare lungo il tragitto, come quella al sito archeologico Lucus Feroniae, che si sviluppa in un’area archeologica e in un museo a ingresso gratuito, oppure la sosta a Terni per visitare la Basilica di San Valentino.

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Il fiume per tutta la famiglia: le Fonti del Clitunno e il borgo di Campello

La primavera si avvicina a grandi passi e anche se non è ancora giunto il momento di cambiare gli armadi, il risveglio della natura già attira verso le prime avventure outdoor dell’anno.

A Campello sul Clitunno, un piccolo comune della provincia di Perugia posto sul tracciato della via Flaminia, si trovano un luogo ideale per coniugare la voglia di verde con un contesto adatto a tutta la famiglia, compresi i più piccoli, all’interesse per la storia, la cultura e l’arte di un pezzo d’Italia.

Il Clitunno citato nel nome del paese è infatti il fiume che corre nel suo territorio. Lungo circa 60 chilometri e di portata modesta, le cui acque sfociano in quelle del fiume Topino, questo piccolo corso d’acqua porta con sé l’aura misterica di tempi remoti, vista la sua presenza negli scritti di autori latini come Virgilio, Properzio, Stazio, Claudiano e Giovenale.

A Campello il Clitunno ha le sue sorgenti, che danno origini a un’area verde ampia oggi racchiusa in un parco pubblico denominato le Fonti del Clitunno, al quale si può accedere pagando un modesto biglietto di accesso (€3, gratuito sotto i 10 anni).

Fonte: Lorenzo Calamai

Le Fonti del Clitunno, con la loro affascinante vegetazione

Nelle vicinanze si trova un tempietto longobardo, costruito nel Medioevo sulle ceneri di un precedente edificio religioso romano collegato ad alcuni riti relativi alla presenza delle fonti. La costruzione è inserita nel circuito Longobardi in Italia: i luoghi del potere, una serie di siti patrimonio dell’UNESCO legato alla presenza del popolo longobardo nel nostro Paese.

Poco più lontano il castello di Campello Alto, nucleo originario dell’attuale cittadina, domina un colle tornito, punteggiato sui dolci fianchi dagli alberi d’ulivo da cui si estrae il pregiato olio che ha fatto la fortuna di questo pezzo di Umbria.

Le Fonti del Clitunno

“Qui folti a torno l’emergente nume/stieno, giganti vigili, i cipressi;/e tu fra l’ombre, tu fatali canta/carmi, o Clitumno.” Parole di Giosuè Carducci, pubblicate nel primo libro delle Odi Barbare nella poesia Alle fonti del Clitumno, dedicata alle dolci acque che sgorgano all’ombra dei salici.

Una visione che, anche se oggi non ispira forse gli stessi richiami classicisti dell’opera del poeta, è ancora pronta ad essere goduta. Nella loro conformazione odierna, voluta dal conte Paolo Campello della Spina nella seconda metà dell’Ottocento, le Fonti appaiono come uno specchio d’acqua cristallina, alimentata da sorgenti sotterranee e che, tra riflessi azzurri e turchesi, mostra con perfetta trasparenza la ricca vegetazione acquatica che cresce sul fondale.

Cigni, germani e papere popolano il parco, immerso nel silenzio e nella tranquillità, mentre brevi sentieri si snodano attorno alle acque tra salici e cipressi calvi. Quest’ultimo è un albero tipico dell’America settentrionale, raro nel nostro paese, dov’è stato introdotto soltanto nel 1640.

Fonte: Lorenzo Calamai

Uno scenografico salice poggia su un isolotto in mezzo alle acque

Si tratta di un albero a suo agio in terreni estremamente ricchi d’acqua, noto anche come cipresso delle paludi. Le sue foglie assumono un affascinante colore rosso in autunno, cadono in inverno (a differenza delle altre conifere) e rinascono a primavera con un verde tenue che ben s’intona con il contesto rilassante delle Fonti del Clitunno.

Il parco storico delle Fonti del Clitunno è aperto dalle 9:00 alle 19:00 da aprile a settembre, a marzo dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 14:00 alle 18:00, nei mesi invernali dalle 10:00 alle 13:00 e dalle 14:00 alle 16:30.

Fonte: Lorenzo Calamai

Un timido cigno sosta sulle rive del Clitunno

Il tempietto longobardo

Proseguendo dalle Fonti del Clitunno per circa un chilometro, attraversata la frazione di Pissignano, si incontra il tempio longobardo facente parte dei siti patrimonio dell’umanità Longobardi in Italia: i luoghi del potere, che annovera peraltro anche il duomo di Spoleto tra i sette luoghi inseriti nel circuito, a meno di 20 chilometri di distanza.

Datato fra il IV e il VII secolo d.C., questo tempietto corinzio sembra sia stato costruito sui resti di un precedente luogo sacro romano. Nei dintorni delle sorgenti delle vicine sorgenti del Clitunno infatti vi veniva venerata la divinità omonima al fiume e venivano organizzati stagionalmente riti sacri, conosciuti come sacra clitumnalia.

Fonte: ph. Caba2011 – con licenza CC BY-SA 4.0

Il frontone del tempio longobardo del Clitunno

Oggi il Tempietto si presenta su due livelli: un basamento con una camera accessibile da un portale sul fronte e una parte superiore in forma di tempietto. Nella parte superiore si può ammirare la facciata con quattro colonne corinzie ed il frontone. L’accesso era garantito da due rampe di scale laterali. All’interno resistono ancora affreschi dell’VIII secolo che ritraggono san Salvatore, a cui era consacrato il tempio. La piccola edicola che campeggia al centro dell’abside reimpiega elementi scultorei del I secolo, recuperati dal precedente luogo di culto pagano.

Il borgo di Campello

Campello sul Clitunno si articola su due diversi livelli. Campello Basso è la cittadina ad oggi abitata, che conta circa 2mila abitanti e la cui principale attrazione è Chiesa della Madonna della Bianca, edificio religioso di origine cinquecentesca voluta dal Vescovo di Spoleto Francesco Eroli.

Inizialmente chiamata Chiesa della Madonna del Soccorso, trovo infine la sua particolare denominazione per contrapporla alla Madonna della Bruna di Castel Ritaldi e alla Madonna della Rossa di Pietrarossa, entrambe nelle vicinanze. Si dice che la Bianca di riferimento fosse una Madonna col Bambino dipinta da un artista locale con un incarnato particolarmente pallido.

Fonte: ph. LigaDue – con licenza CC BY 3.0

La Chiesa della Madonna della Bianca

Posta al centro di una angusta piazza e con un ulivo secolare sul retro, si presenta come una sorta di edificio composito, visti i differenti momenti di restauro e rinnovamento. La restaurazione avvenuta nel 1797, ad esempio, portò a sovrapporre elementi tipici del neoclassicismo a quelli rinascimentali già presenti.

Il nucleo più antico del paese però si trova a Campello Alto, il piccolo borgo fortificato sulla vetta dell’adiacente colle, che supera i 500 metri di quota. Si sviluppò intorno ad un castello qui costruito nel 921 da Rovero di Champeaux, barone di Borgogna, dal quale si dice che il paese abbia preso il nome.

Il castello di Campello Alto conserva ancora intatte le mura. Il borgo è accessibile tramite un’unica porta, superata la quale si trova la spoglia facciata romanica della Chiesa di San Donato, al cui interno si trova un pregevole altare ligneo in stile barocco. Dal piccolo quanto pittoresco borgo si gode di una straordinaria vista su tutto il territorio circostante.

Non lontano da Campello Alto si trova la località Colle, frazione minima fuori dalle fortificazioni del borgo, immersa tra gli ulivi. Vi si trova l’austera e per questo affascinante Chiesa di Santa Maria della Misericordia, risalente al XV secolo.

Il giro del parco storico delle Fonti, del tempio longobardo e del borgo di Campello occupa perfettamente una giornata di fine inverno, tra febbraio e marzo, senza imporre ritmi frenetici e anzi, godendo degli istanti di quiete e bellezza offerti dalle diverse tappe. Un itinerario ideale per una gita fuori porta alla scoperta di alcuni dei tanti tesori nascosti nel cuore dell’Umbria.

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Monterchi e Citerna, antichi borghi tra Rinascimento e grandi paesaggi

Dopo essere nato dal monte Fumaiolo, nelle propaggini più meridionali dell’Emilia Romagna, il fiume Tevere attraversa una valle stretta tra l’Alpe di Catenaia e l’Alpe della Luna, due rilievi appenninici che si guardano frontalmente.

Qui arte, storia e natura si incontrano nei tanti borghi che caratterizzano la Valtiberina, un vero e proprio scrigno che, come si confà ad ogni scrigno che si rispetti, contiene una miriade di gioielli.

Due dei più piccoli, ma anche dei più brillanti sono i borghi di Monterchi e Citerna, diversi eppure inevitabilmente fratelli. Separati di appena 500 metri in linea d’aria, si trovano l’uno in Toscana e l’altro in Umbria, in provincia di Arezzo e in provincia di Perugia.

Paesi ricchi di storia, malgrado le rispettive dimensioni, e caratterizzati dall’unione di importanti opere d’arte rinascimentali, di paesaggi naturali tipici del centro Italia e del fascino senza tempo dei centri storici medievali di questo pezzo d’Italia.

Fonte: ph. Luca Aless , con licenza CC BY-SA 4.0

Veduta di Monterchi (AR) dal paese di Citerna (PG)

Monterchi, Piero della Francesca e la Madonna del Parto

Una delle attrazioni principali per cui Monterchi merita una fermata è l’affresco di Piero della Francesca, la Madonna del Parto, custodito nell’apposito e omonimo museo poco fuori dal centro storico della cittadina.

Un’opera dalla storia singolare, frutto della mano di uno dei più grandi artisti del Rinascimento. Risale alla metà del Quattrocento, fra il 1455 e il 1465, quando l’autore era già celebre fra i contemporanei. Un soggetto oltretutto impegnativo, quello di Maria incinta, eppure destinato ad un altare laterale di una piccola e tutto sommato insignificante cappella di campagna come quella di Santa Maria di Momentana, poco fuori da Monterchi.

La ragione più probabile individuata dagli studiosi chiama in causa la madre di Piero, nata e cresciuta a Monterchi prima di sposarsi e trasferirsi nella vicina Sansepolcro.

La Madonna del Parto è un soggetto particolare di per sé, ritratto anche da altri artisti toscani del Trecento e del Quattrocento con differenti gradi di notorietà, reso poi eretico dal Concilio di Trento della metà del secolo successivo, ma che nella storia è sempre stato visitato dalle donne incinte a titolo benaugurale.

Fonte: Lorenzo Calamai

La Madonna del Parto di Piero della Francesca

Quella di Piero della Francesca è inoltre una raffigurazione ulteriormente unica e umana. A titolo di esempio, Maria non tiene in mano un libro, simbolo del Verbo che va a incarnarsi, come invece nella maggior parte delle altre raffigurazioni delle Madonne del Parto. È una rappresentazione nobile seppur austera ed estremamente umana, con il gesto tipico di sorreggere il peso della pancia con una mano dietro la schiena.

Il tendaggio che si apre intorno alle tre figure dona un’aura di mistero che si svela alla composizione.

Il Museo della Madonna del Parto si trova in Via della Reglia, è aperto tutti i giorni dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 14:00 alle 19:00 da marzo a ottobre compresi, mentre osserva un orario ridotto negli altri mesi. Il biglietto d’ingresso costa €6,50.

Monterchi, il borgo e i dintorni

Il centro storico di Monterchi è una sorta di acropoli che si avviluppa sui fianchi di una bassa collina, con i campanili delle sue chiese e la torre dell’orologio della Rocca a svettare sui dintorni.

Una breve passeggiata vi porterà verso la piazza principale, nei dintorni della quale si aprono ampi panorami sulla campagna circostante, caratterizzata da ampi pascoli e campi coltivati. L’alberata piazza Umberto I è sormontata dalla Rocca, oggi dotata di una bella terrazza panoramica.

Fonte: Lorenzo Calamai

Vista dal centro storico di Monterchi verso la campagna circostante

Si può visitare il Museo delle Bilance, che condivide con quello della Madonna del Parto un unico biglietto d’ingresso. Si tratta di una pregevole e affascinante collezione di bilance artigianali, ospitato nel gentilizio Palazzo Massi.

La Chiesa di San Simeone, di origine duecentesca ma completamente ricostruita nel 1830 e restaurata dopo il duro terremoto del 1917, ospita al suo interno un mirabile affresco trecentesco di una Madonna col bambino, scoperto nella cappella di Santa Maria di Momentana sotto la Madonna del Parto di Piero della Francesca.

Non perdete l’occasione di girovagare tra le frazioni e le campagne intorno a Monterchi. Vi troverete splendidi panorami rurali, vedute dove la natura incontra la mano dell’uomo nei piccoli abitati che si distinguono qua e là, e anche piccoli angoli di meraviglia, come nel caso della Chiesa di San Michele Arcangelo a Padonchia.

Fonte: Lorenzo Calamai

Gioielli nascosti: la Chiesa di San Michele Arcangelo a Padonchia

In questo gruppuscolo di case che oggi conta circa 40 abitanti, in mezzo ad ameni pascoli, si nasconde l’affascinante facciata in pietra del piccolo edificio religioso, risalente addirittura al VII secolo. Il bel campanile a vela che sormonta la facciata è di recente costruzione, mentre all’interno dimorano opere d’arte religiosa di artisti locali risalenti al Rinascimento.

Cosa vedere a Citerna

A poche centinaia di metri di distanza da Monterchi, sulla vetta di un colle leggermente più alto, sorge Citerna. Con i suoi 480 metri di altitudine, la cittadina ha una posizione privilegiata su tutta l’Alta Valle del Tevere, fino all’Alpe della Luna.

Fonte: Lorenzo Calamai

Il camminamento medievale sulle mura di Citerna

Questa caratteristica la rende speciale, unita alla cura con cui viene conservato il centro storico di chiaro stampo medievale e alle opere che è possibile ammirare in una delle sue principali chiese.

Citerna fa parte del club dei Borghi più belli d’Italia e si sviluppa attorno a Corso Garibaldi, parallelo al quale corre l’affascinante camminamento medievale, un percorso riparato con un meraviglioso soffitto di travi in legno e pareti di mattoni di cotto che si aprono in ampi finestroni dai quali è possibile ammirare il paesaggio che si apre in direzione di Monterchi.

Fonte: Lorenzo Calamai

Panorama da una delle finestre del camminamento

Il centro del paese è piazza Scipione Scipioni, vivace crocevia della vita locale, con qualche osteria dove fare merenda o prendere un aperitivo godendo dello straordinario panorama che la terrazza della piazza, affacciata verso oriente, offre ai passanti.

Nelle immediate vicinanze si trova la Chiesa parrocchiale di San Michele Arcangelo, la cui principale attrazione è rappresentata dalla Madonna col Bambino di Andrea Della Robbia in terracotta invetriata. Nel transetto destro si trova la Cinquecentesca Crocifissione del Pomarancio.

Fonte: Lorenzo Calamai

Il curato centro storico di Citerna

Non molto più lontano sorge la Chiesa di San Francesco, dove si trova una terracotta di Donatello raffigurante anche in questo caso una Madonna col Bambino, riscoperta solo nel 2000, ma anche la Madonna col Bambino e Santi di Luca Signorelli, terminata poi dopo la sua morte dal Papacello.

Opere dovute alla signoria dei Vitelli, famiglia nobile amica dei Medici, che reggerà Citerna tra il Cinquecento e il Seicento, donandogli quell’aria che si respira ancora oggi: un luogo dove il tempo permane immobile, da dove osservare il mondo che, nel frattempo, gira.

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Monte Santa Maria Tiberina, perla nascosta tra Umbria e Toscana

Una torre svetta al centro di un gruppo di edifici in pietra, sulla sommità di un colle in mezzo alla classica campagna del Centro Italia, fatta di ampie coltivazioni adagiate su morbidi declivi e boschi di castagno, leccio e quercia.

Nella pianura a oriente corre il Tevere, lungo il crinale delle colline a occidente il confine con la Toscana. Si ammirano entrambi dagli oltre 600 metri di altitudine di Monte Santa Maria Tiberina, piccola bomboniera medioevale in provincia di Perugia, non lontano da Città di Castello.

Un borgo che ha conservato un’atmosfera unica anche nell’ampio panorama delle antiche cittadine millenarie che pullulano in questa zona del Paese, solitario e un po’ isolato e per questo immerso in una pace singolare. Pressoché privo di automobili, interamente costituito da edifici con pietra a vista, le vie abbellite da lampioni in ferro battuto che si affacciano con ampi panorami sull’affascinante territorio circostante: Monte Santa Maria Tiberina è un luogo pieno di storia e bellezza, conosciuto ma defilato, geloso della sua quiete.

Fonte: Lorenzo Calamai

Tra i vicoli di Monte Santa Maria Tiberina

L’indipendenza del Marchesato del Monte

L’unicità di Monte Santa Maria Tiberina è figlia della sua particolare storia. L’origine dell’insediamento è etrusca, popolo noto per costruire le proprie città in luoghi che potessero essere militarmente presidiati, come i vertici delle colline. A questo scopo la geografia fisica del Monte rappresenta un paradigma perfetto: dalla cima si domina a 360 gradi l’Alta Valle del Tevere, senza che nessun altro colle possa avvicinarsi alla medesima altitudine.

In più il Monte si trovava lungo una delle vie principali di collegamento tra i centri dell’Etruria a ovest e l’asse della Valle del Tevere a est. Una posizione di estrema rilevanza che mantenne nel corso dei secoli, per tutta l’epoca romana fino al medioevo.

Nel 1250 Monte Santa Maria assunse lo status di feudo imperiale sotto l’egida di Guido da Montemigiano, discendente del fu Marchese di Toscana Ranieri, il quale aveva assunto il patronimico Bourbon del Monte Santa Maria poiché originario proprio dell’insediamento sulla vetta del colle.

Da quel momento la storia del Monte Santa Maria si intrecciò a doppio filo con quella di una delle famiglie nobili più importanti dell’Italia centrale. Non solo: Guido assunse il titolo di marchese di Monte Santa Maria e, un secolo dopo, il suo discendente Ugolino ottenne dall’imperatore Carlo IV il diploma di investitura di feudo imperiale maggiore, che proteggeva l’indipendenza del marchesato dal crescente potere dello Stato della Chiesa.

Dal 1355 fino all’epoca napoleonica Monte Santa Maria Tiberina godette quindi di uno status speciale, con poteri autonomi singolari, un proprio statuto, una sua moneta, un suo fisco e una diplomazia propria. Un piccolo territorio franco fra la Toscana e il Papato, insomma, come peraltro alcuni altri territori vicini come la Repubblica libera di Cospaia, un fazzoletto di terra rimasto indipendente dai grandi stati per 400 anni.

Il Congresso di Vienna del 1815 pose fine all’autonomia di Monte Santa Maria Tiberina, assegnando la cittadina al Granducato di Toscana, ma l’indipendenza avuta per quasi mezzo millennio è rimasta un’eredità connaturata al paese, che fino al 1927 fece parte della Provincia di Arezzo prima di passare in Umbria.

Fonte: Lorenzo Calamai

Tra i vicoli di Monte Santa Maria Tiberina

Come arrivare

Monte Santa Maria Tiberina si trova nell’Alta Valle del Tevere, non lontano da Sansepolcro, Città di Castello e Arezzo.

Per chi arriva da nord si percorre la Strada statale 3/bis che collega Cesena a Terni fino all’uscita di Città di Castello, la più vicina. Da sud si imbocca la medesima statale per uscire, invece, a Promano. Per chi arriva dalla Toscana si raggiunge Arezzo e da lì Monterchi attraverso la Strada statale 73.

Il borgo, infine, si raggiunge percorrendo la Strada provinciale 103 che collega Lippiano con San Secondo, che attraversa piccole frazioni e ampie campagne.

Già da una certa distanza dal borgo, qualunque sia la direzione da cui lo si raggiunge, si possono individuare le mura e il castello simbolo del paese, il Palazzo Bourbon del Monte Santa Maria, svettare con la sua torre in cima alla collina, presidiando le circostanze, come dimostra la foto di copertina di questo articolo.

Una volta arrivati, potrete lasciare l’auto negli appositi posteggi lungo via Roma, dalla quale si accede all’ampio piazzale antistante il Palazzo, oppure nel parcheggio di Largo Dante Alighieri, percorrendo fino in fondo via XXV Aprile.

La nuda pietra del borgo è vivacizzata dalla cura degli abitanti, con molto verde tra i vicoli

Cosa vedere a Monte Santa Maria Tiberina

Il centro storico di Monte Santa Maria Tiberina è piccolo e si visita senza fretta in meno di un’ora.

La principale attrazione è rappresentata dal borgo stesso: stretti vicoli acciottolati portano ai quattro angoli del borgo, dai quali si gode di panorami sensazionali sul territorio circostante, fra colline coperte di boschi, declivi coltivati a vite e ulivo, piccoli borghi; la pietra a vista di case e palazzi racconta la storia secolare della cittadina; un paio di campanili denotano la presenza di vecchie chiese dalla facciate scarne.

Fonte: Lorenzo Calamai

Panorami a perdita d’occhio si aprono dai vicoli di Monte Santa Maria Tiberina

Godetevi una passeggiata lenta tra i saliscendi del centro storico, sedetevi ad un tavolino del bar-ristorante Oscari, dove godervi un aperitivo, una merenda, il pranzo o la cena. I sapori tipici del luogo sono quelli caratteristici della cucina umbra: tartufo nero (esiste un particolare Tartufo Nero di Monte Santa Maria Tiberina), funghi, norcineria.

L’edificio più significativo del paese è il grande Palazzo Bourbon del Monte, antica sede della nobile famiglia che per secoli ha retto il marchesato. Dopo il 1815 venne venduto e cadde progressivamente in uno stato di degrado, arrivando anche a subire un bombardamento durante la Seconda Guerra Mondiale.

Nel 1990 il comune di Monte Santa Maria Tiberina lo ha acquisito, restaurato e riaperto, dandogli il ruolo di museo cittadino e sede di eventi culturali e artistici. Oggi è visitabile dal martedì alla domenica nei mesi estivi (luglio-settembre), su prenotazione in quelli invernali. Il museo è costituito su tre sale che raccontano la storia del borgo, dedicandosi in particolare al marchesato Bourbon del Monte.

Fonte: ph. Cantalamessa – Opera propria, CC BY-SA 3.0

Il Palazzo Boncompagni-Lodovisi. Sulla destra la facciata del Palazzo Bourbon del Monte

Nei dintorni del Palazzo si distinguono altri edifici gentilizi, fra i quali spicca dall’altro lato dell’ampio piazzale il Palazzo Boncompagni-Ludovisi, sorto in luogo dell’antica rocca, sede del primo marchese Guido, di cui si distinguono ancora i merli.

Per chi ama unire storia, cultura e camminate (o pedalate), il comune di Monte Santa Maria Tiberina, congiuntamente con i vicini San Giustino e Lisciano Niccone, ha realizzato la rete di itinerari “Feudi, Castelli e Ville. Sentieri storici“. Un progetto volto a valorizzare le risorse locali e il patrimonio di
castelli, torri, ville gentilizie, antiche chiese che punteggiano il territorio montesco. La mappa e tutte le informazioni relative ai numerosi sentieri percorribili sono disponibili sul sito web dell’amministrazione comunale.

Monte Santa Maria Tiberina è una perfetta gita da fare in giornata, come fanno la maggior parte dei turisti che la visitano. La sua tranquillità la rende però una perfetta base di partenza per un weekend o una vacanza su più giorni, durante la quale godere della bellezza del borgo, unendola a quella dei tanti luoghi meritevoli d’interesse molto vicini, come Lippiano, Monterchi, Citerna, Città di Castello e delle campagna circostanti.

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Le Cascate di Pale sul fiume Menotre, una meraviglia per tutte le stagioni

In questo autunno caldo, dove l’imbrunire delle foglie ha tardato a manifestarsi e le temperature rimangono tutto sommato miti, ci si può avventurare nel cuore dell’Umbria, per scoprire una serie impressionante di cascate magiche e spettacolari al riparo delle fronde di un bosco secolare.

Il fiume Menotre, infatti, dopo essere nato a circa 30 chilometri dalla città di Foligno, sulle pendici del monte Mareggia, scende verso Rasiglia, piccolo borgo inondato dalle copiose acque delle numerose sorgenti presenti sui colli circostanti. Qui il corso d’acqua riceve il tributo di numerosi, piccoli affluenti che ne incrementano la portata in maniera sostanziale. Prima che il Menotre si immetta nel fiume Topino a Scanzano, però, presso il Sasso di Pale, si getta in una gola ripida e in una serie di salti che prende il nome di Cascate di Pale, o dell’Altolina, e raggiunge la cittadina di Belfiore.

Fonte: Lorenzo Calamai

Spiaggetta lungo il corso del fiume Menotre

La distanza in linea d’aria tra Pale e Belfiore è irrisoria, inferiore al chilometro, ma il primo paese si trova arroccato in cima a una falesia ricoperta di boschi e il secondo ai piedi della medesima. I due borghi sono collegati non solo dalla Strada statale 77, ma anche da un sentiero che corre lungo il corso del fiume Menotre, regalando un’impareggiabile esperienza al cospetto delle meravigliose Cascate di Pale.

Cascate di Pale sul fiume Menotre: come arrivare

Fonte: ph. Mongolo1984 – CC BY-SA 4.0

La luce autunnale nel bosco lungo il Menotre

Il sentiero che porta alla scoperta delle Cascate di Pale si può prendere da ciascuno dei due paesi a cui fa capo, Pale e Belfiore. Tuttavia, solitamente si consiglia di affrontare la salita partendo da quest’ultimo, dov’è stato allestito un parcheggio ad hoc per il percorso.

Oltre a trovare facilmente un posto per l’auto, attaccare il sentiero da Belfiore consente di affrontare la salita per prima e solo dopo la discesa e di fare tappa intermedia fra l’una e l’altra a Pale, un borgo piccolissimo ma che contiene alcuni elementi di fascino da non trascurare.

Per raggiungere il Parcheggio dell’Altolina (coordinate GPS: 42.983308, 12.768861), area da cui deriva uno dei nomi con cui sono conosciute le Cascate del Menotre, si deve percorrere la Strada statale 77, quale che sia la provenienza. Si scende quindi nel paese di Belfiore e si imbocca, per l’appunto, via Altolina. La strada si snoda in un bel paesaggio circondato da ulivi e in poco meno di un chilometro si arriva al grande spiazzo sterrato che fune da parcheggio.

Il sentiero lungo il Menotre e le cascate

Dal Parcheggio dell’Altolina lo sguardo segue il corso della gola boscosa dove scorre impetuoso il Menotre, e si scorgono in cima le vette degli edifici del paese di Pale, destinazione ultima dell’escursione che ci si sta apprestando a compiere.

Il sentiero delle Cascate di Pale è lungo circa 2 chilometri ed affronta un dislivello di circa 300 metri. Questo significa che pur essendo tutto in salita, in alcuni tratti anche ripida, è comunque breve e alla portata di tutti, particolarmente adatto alle famiglie. La buona manutenzione del percorso, inoltre, consente di affrontare in tutta serenità l’escursione, anche se si consiglia di affrontarla con calzature adeguate. L’ascesa da Belfiore a Pale si compie in un’ora e mezza circa.

Oltre a essere adatto a qualsiasi tipo di visitatore, il percorso è anche adatto a tutte le stagioni. Offre ovviamente il meglio di sé durante il caldo estivo, offrendo riparo e ristoro dalla canicola, ma ha il suo fascino estremo anche durante l’autunno e l’inverno, quando il bosco ingiallisce e la natura affronta la sua mutazione. Assicuratevi comunque di percorrere il sentiero in condizioni meteorologiche buone.

Il sentiero inizia in fondo al piazzale sterrato del parcheggio e si inoltra inizialmente tra gli ulivi. Una volta entrati nel bosco, si passa al fianco di un vecchio edificio bianco, si oltrepassa un ponticello e ci si avvicina alla prima cascata del percorso, una delle più conosciute e caratteristiche: il Velo della Sposa.

Fonte: Lorenzo Calamai

Le impetuose acque del Velo della Sposa

Il salto prende questo nome dalla forma che l’acqua assume attorcigliandosi sul grande spuntone di roccia levigata dove scorre, stringendosi e poi allargandosi come una farfalla. Dietro la cascata l’acqua ha scavato una grotta suggestiva, dove ci si può affacciare.

Proseguendo lungo il sentiero che si apre nella roccia calcarea, dal colore ocra tipico del travertino, si sale fino a raggiungere una spiaggetta sulle rive del fiume. Qui il Menotre ci arriva con un grande salto da monte e si getta poi nel vuoto a valle con un’altra cascata sostanzialmente invisibile, immersa nella vegetazione.

Deviando leggermente dal sentiero si può raggiungere una delle cascate più suggestive del percorso, un grande salto dove il fiume si divide in diversi rivoli, al cospetto dei quali si è piccoli contro la forza roboante della natura.

Nel suo ultimo tratto il sentiero si distanzia leggermente dal corso del fiume, inoltrandosi in un bosco di lecci che preannuncia l’arrivo nel borgo di Pale.

Fonte: Lorenzo Calamai

Il sentiero lungo il Menotre scavato nella roccia

Cosa vedere a Pale

Il minuscolo paese di Pale, che oggi raccoglie appena qualche decina di abitanti e fa parte, amministrativamente, del comune di Foligno, è un insediamento antichissimo, risalente all’epoca pre-romana, lungo quella che era una fondamentale via di collegamento con l’antica città di Plestia.

La forza impetuosa del Menotre ha sempre consentito al borgo di avere un ruolo rilevante: mulini e frantoi prima, opifici e cartiere poi hanno caratterizzato l’attività del paese e lo hanno tenuto vivo nel corso dei secoli. Nel Trecento Pale era un borgo fortificato cinto da mura, nel Quattrocento vi venne costruito un castello, tra il Cinquecento e il Seicento l’industria della carta fiorì a tal punto da rendere la cittadina rinomata in tutta la regione per la qualità dei suoi prodotti.

Fonte: Lorenzo Calamai

Il Menotre ha una notevole portata, che si manifesta nella forza delle sue cascate

Piccolo gioiello di impianto medievale, Pale merita una rapida visita per i suoi vicoli da chi è emerso dalla forra del Menotre. Un paio di osterie offrono l’opportunità di rifocillarsi con un panino, un aperitivo oppure un pasto completo.

Merita inoltre una visita l’Eremo di S. Maria di Giacobbe, ossia quell’edificio incastonato nella roccia del colle che sovrasta il paese, il Sasso di Pale. Si tratta di un monastero del XIII secolo, raggiungibile da Pale attraverso un breve sentiero che sale lungo il versante sud-ovest del Sasso, in una zona scoscesa e rocciosa che viene anche utilizzata per l’arrampicata. Si raggiunge in circa 45 minuti con una passeggiata che merita la fatica anche senza visitare gli interni del santuario, che apre le sue porte solo su prenotazione per poter ammirare i bei soffitti affrescati dei suoi interni.

Il ritorno a Belfiore e al parcheggio si compie per lo stesso percorso dell’andata, stavolta con una rapida discesa che riporterà velocemente al punto di partenza.

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Borghi Umbria Viaggi

Nocera Umbra, il cuore affascinante della città delle acque

Il Monte Subasio sorveglia dall’alto buona parte dell’Umbria. Se da un lato offre le proprie pendici alle bellezze di Assisi, infatti, dall’altra incombe con il suo portamento su Gubbio e su Nocera Umbra.

Arroccata in cima ad un colle lambito dal fiume Topino, Nocera è conosciuta come la città delle acque per le numerose fonti di acqua minerale di ottima qualità. Già dalla fine del medioevo il borgo era destinazione dell’aristocrazia regionale per sfruttarne gli stabilimenti termali.

Si tratta di un insediamento antichissimo. Se il borgo trae le proprie origini dalle popolazioni umbre, infatti, studi archeologici hanno svelato che il territorio nocerino era abitato fin dalla preistoria.

Nella sua storia lunga millenni, Nocera Umbra recita un ruolo da fenice. Distrutta più volte per mano dell’uomo e della natura, ha saputo sempre risorgere e ritornare a splendere. E così è oggi: nel 1997 un terremoto di sesto grado della scala Richter ha devastato il centro storico del borgo, ma dopo quasi vent’anni di ricostruzione e risanamento è oggi di nuovo aperto al turismo. Nel 2021 Nocera Umbra è divenuto uno dei Borghi più belli d’Italia.

Nocera, la fenice umbra

Supunna. Così chiamavano il fiume Topino le popolazioni umbre provenienti da Camers, l’antica Camerino, che fondarono Nocera Umbra. Il fiume era divinizzato e faceva parte di un largo pantheon di una religione diffusa in tutta la regione umbro-marchigiana, che venne poi pian piano sostituita da quelle romane.

Quando i Romani assoggettarono gli Umbri la città prese il nome di Nuceria Camellaria, importante snodo lungo la via Flaminia che permise la fioritura del borgo.

Fu poi alla caduta dell’impero che iniziarono i guai per Nocera. I Goti di Alarico distrussero totalmente la città nei primi anni del V secolo. La stessa popolazione tornò a saccheggiarla nel 552, mentre nel 571 fu occupata dai Longobardi. Assoggettata al ducato di Spoleto, fu fortificata prima dell’anno Mille. La città medioevale tornò a fiorire: dentro la cinta delle sue mura vivevano circa tremila abitanti. Ciononostante, nel 1248 venne nuovamente distrutta nel corso del conflitto tra guelfi e ghibellini per mano dell’imperatore Federico II, che incendiò l’intero borgo dopo averlo preso. Nel 1279 un violento terremoto rase al suolo ciò che era stato ricostruito.

Nocera Umbra veduta

Fonte: Lorenzo Calamai

Nocera Umbra, il Campanaccio colpito dalla tiepida luce autunnale

Dalla metà del XV secolo fu parte dello Stato della Chiesa fino all’Unità d’Italia, perdendo la propria importanza e diventando sempre più subalterna rispetto agli altri borghi dell’area perugina.

Detto del terremoto del 1997, la storia di distruzioni e ricostruzioni che ha contraddistinto il borgo rimane un marchio di fabbrica che coniuga l’antichità delle sue forme architettoniche con un’atmosfera di rinnovamento, l’affascinante aria di immobilità della storia con la moderna vitalità della sua popolazione.

Le acque di Nocera

Fin dal Rinascimento Nocera Umbra è stato un luogo rinomato soprattutto per la qualità dell’acqua delle sue innumerevoli sorgenti. In Germania, in Portogallo, a Costantinopoli dove venne esportata a partire dal Seicento e pure nel nuovo mondo: il potere curativo delle acqua di Nocera era noto in tutto il mondo.

Merito anche della frase di Francesco Redi, uno dei più grandi scienziati del XVII secolo, che oggi campeggia scolpita nella pietra all’ingresso del centro storico, presso la fonte a fianco della Porta Vecchia: “Portatemi dell’acqua di Nocera. Questa è buona alla febbre e al dolor colico, guarisce la renella e il mal di petto. Fa diventare allegro il malinconico, l’appigionasi appicca al cataletto, ed in ozio fa star tutti i becchini.”

Nocera Umbra fonte

Fonte: Lorenzo Calamai

L’iscrizione con le parole di Francesco Redi, a testimonianza delle qualità salutari dell’acqua di Nocera Umbra

Tre le principali sorgenti: l’Angelica, la più antica e celebre, presa come campione di riferimento nella misurazione della bontà delle acque minerali; la sorgente Flaminia, che sgorga in località Le Case, ed è oggi imbottigliata e messa in commercio; la sorgente del Cacciatore, o del Centino, vicino alla località Schiagni, ha invece particolari qualità terapeutiche e termali.

Un tour del centro storico

Dopo aver compreso le radici storiche e culturali di Nocera Umbra è il momento di addentrarsi nel reticolo di vicoli che caratterizzano il centro storico, riportato al suo antico splendore dai lunghi lavori di ristrutturazione seguiti al sisma del 1997.

Il borgo è sostanzialmente diviso in due: da una parte il centro storico, chiuso dalla cinta muraria e arroccato nella zona più alta della collina dove sorge Nocera; dall’altra l’abitato moderno. L’accesso all’interno delle mura si può effettuare da Piazza Umberto I, dove si trova la Porta Vecchia, affiancata da due fontane.

Il centro storico è caratterizzato dalla tipica pianta medievale di un insediamento con funzioni difensive: vicoli concentrici conducono fino alla rocca alla sommità del paese. Oltrepassata la porta si percorre dunque la salita lastricata della via principale dell’antico borgo, fino ad arrivare in Piazza Caprera, il nucleo vero e proprio di Nocera.

Nocera Umbra piazza Caprera

Fonte: Lorenzo Calamai

Piazza Caprera, la Chiesa di San Francesco

Lo spazio è stretto fra la signorile facciata del Municipio e quella austera della Chiesa di San Francesco, nata nel Trecento e rinnovata più volte nei secoli successivi. Oggi la Chiesa, che possiede i classici stilemi del romano-gotico, è stata trasformata nella Pinacoteca comunale, visto che ospita alcune importanti opere pittoriche. È decorata dai notevoli affreschi di Matteo da Gualdo, illustre artista umbro della metà del Quattrocento, autore anche della grande pala d’altare. Esemplare del suo stile l’Incontro fra Gioacchino e Anna alla Porta Aurea che si può ammirare nella chiesa.

Fonte: Valentina.desantis – CC BY-SA 3.0

Particolare de L’incontro di Gioacchino ed Anna di Matteo da Gualdo nella Chiesa di San Francesco a Nocera Umbra

Il museo ospita anche le opere del folignate Nicolò Alunno, insieme a Pinturicchio e Perugino l’altro artista del Rinascimento umbro ad essere ricordato da Giorgio Vasari ne Le Vite, del Maestro di San Francesco e della scuola di Cimabue. Inoltre sono presenti reperti di epoca romana e il monumento funebre di Varino Favorino da Camerino, vescovo noto per aver pubblicato uno dei primi dizionari di lingua greca e di essere stato precettore dei papi Medici a Firenze.

Girando a destra rispetto all’arrivo in Piazza Caprera, si percorre Via Rinaldi, la strada che collega la Chiesa di San Francesco con il trittico di edifici che rappresenta il compimento del climax di questa ascesa alla rocca cittadina.

Oggi la rocca di Nocera Umbra non esiste più, ma permane il Campanaccio, la tozza torre quadra che caratterizza le vedute dall’esterno del borgo. Risale all’XI secolo e dalla terrazza antistante si gode di una veduta sulla sottostante Valle del Topino. È affiancata dal portale della Concattedrale dell’Assunta, antico duomo del X secolo inglobato nella cinta muraria, dall’affascinante aspetto esterno, contemporaneo negli interni, e dal Palazzo Vescovile, ottocentesco.

Nocera Umbra il portale della Concattedrale dell'Assunta

Fonte: Lorenzo Calamai

Il portale della Concattedrale dell’Assunta a Nocera Umbra

Infine meritano una visita diversi altri scorci del borgo, dove vale la pena perdersi esplorando l’arzigogolato reticolo di vicoli. Si potrà scoprire così la circolare Piazza Torre Vecchia, che deve il suo toponimo ad un edificio non più esistente di cui rimane il tracciato sul pavimento della piazza, o la Chiesa di San Filippo, nei cui dintorni si respira pienamente l’aria medievale di Nocera, fra vecchi pozzi, portici e lavatoi che ne contornano la costruzione.

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Frantoi aperti: 5 weekend alla scoperta dell’oro giallo d’Umbria

Al via dal 28 ottobre al 26 novembre la XXVI Edizione di Frantoi Aperti, la celebre manifestazione che omaggia il cuore verde dell’Umbria e, con il coinvolgimento di numerosi borghi umbri, festeggia l’arrivo del nuovo Olio extravergine d’oliva vivacizzando il periodo della frangitura grazie a visite esperienziali in frantoio e a una ricca agenda di iniziative che si svolgono tra la suggestiva cornice medievale dei comuni aderenti e il paesaggio inconfondibile degli uliveti.

Evento simbolo dell’oleoturismo in Italia, Frantoi Aperti anche per il 2023 offre ai suoi visitatori la coinvolgente esperienza di vivere il frantoio in lavorazione assistendo alla produzione dell’olio nuovo e immergendosi in luoghi che, pur mantenendo le tradizioni, mostrano un crescente interesse per l’innovazione e, in particolare, una propensione sempre più forte verso l’accoglienza (e Frantoi Aperti ne è un bellissimo esempio).

Le novità dell’edizione 2023

Tra le novità di quest’anno troviamo, sabato 28 ottobre, “La Grande Pedalata Lungo la Fascia Olivata dei Colli Assisi – Spoleto” organizzata in collaborazione con FIAB Umbria e YouMobility, un itinerario di oleoturismo in e-bike lungo i percorsi ciclabili che attraversano lo straordinario paesaggio pedemontano di oltre 40 chilometri dove, durante i secoli, proprio la coltivazione dell’olivo ha contribuito a plasmare l’ambiente dando vita a un autentico “paesaggio culturale vivente“.

E poi il “Tour degli Olivi Giganti Patriarchi nel territorio Amerino Tipico”, il percorso che condurrà a visitare la collina degli olivi secolari Rajo di Montecampano in Amelia, passando per antichi  e moderni frantoi e la collezione mondiale di olivi “Olea Mundi” di Lugnano in Teverina. Sono previste anche passeggiate per bambini tra fiabe, olivi e frantoi con la “CamminAttrice” Loretta Bonamente, un’occasione per i più piccoli di conoscere da vicino gli olivi, le loro storie e l’olio fino a visitare i frantoi del circuito per una golosa merenda a base di pane e olio appena franto.

5 weekend all’insegna dell’oro giallo dell’Umbria

I 5 weekend di “Frantoi Aperti” includono una vasta gamma di iniziative che non solo mettono al centro l’olio extravergine d’oliva e i frantoi, ma propongono anche molteplici attività esperienziali come itinerari artistici e alla scoperta delle bellezze architettoniche dei fiabeschi borghi medievali umbri, passeggiate e trekking naturalistici nonché percorsi volti a conoscere l’immenso patrimonio enologico e agroalimentare della regione.

Solo per fare qualche esempio, ecco “Musica nelle Abbazie”, mini rassegna di concerti in alcune Abbazie immerse tra gli olivi umbri quali l’Abbazia di Sassovivo di Foligno, l’Abbazia benedettina di San Felice a Giano dell’Umbria e l’Abbazia della Santissima Annunziata di Amelia, “Suoni dagli ulivi secolari”, concerti in luoghi evocativi del paesaggio olivicolo umbro e nelle vicinanze di ulivi secolari considerati veri e propri “monumenti naturali”, e #CHIAVEUMBRA | IN NATURASperimentazioni artistiche nel Paesaggio Olivato”, organizzato da Palazzo Lucarini Contemporary per offrire inedite prospettive sulla natura, la relazione uomo-ambiente e il territorio umbro.

Non mancheranno aperture straordinarie di palazzi e castelli, gustosi assaggi di pane e olio nelle piazze, spettacoli, visite guidate dei musei a tema e dei centri storici, esposizioni di olio di qualità e prodotti enogastronomici tipici.

Tutte le iniziative saranno fruibili grazie a passeggiate guidate in e-bike, a piedi e bus navetta che collegheranno i borghi, le città d’arte e gli uliveti.

Infine, alcuni chef che aderiscono al circuito “Umbrian #EVOOAmbassador – Testimoni di oli unici” proporranno nei loro ristoranti menù di lago e di terra abbinati agli oli e.v.o. dei produttori di Frantoi Aperti 2023.

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La fioritura più bella d’Italia sta per esplodere: quando e come ammirare lo show

Nella regione dei Monti Sibillini, si assiste ogni anno ad un evento unico ed emozionante: la fioritura di Castelluccio di Norcia. Tra fine maggio e metà luglio, questo spettacolo naturale offre scenari incantevoli che catturano lo sguardo e il cuore di ogni visitatore.

Ogni anno il Pian Grande e il Pian Perduto si riempiono di una moltitudine di colori intensi e vivaci, trasformando l’altopiano in una vera e propria opera d’arte impressionista, dipinta da una miriade di colori.

La fioritura di Castelluccio di Norcia è un’esperienza emozionante per i sensi e per l’animo, un richiamo alla bellezza della natura e una meraviglia cromatica che merita di essere ammirata almeno una volta nella vita.

Quando vedere la fioritura di Castelluccio

Il momento ideale per ammirare la fioritura a Castelluccio di Norcia è da fine giugno alla prima metà di luglio. Tuttavia, è importante ricordare che si tratta di un evento naturale che può variare di anno in anno in base alle condizioni climatiche.

All’inizio della stagione primaverile, le prime fioriture che colorano la pianura sono le delicate corolle gialle della senape selvatica insieme ai primi papaveri che danno il tocco di rosso iniziale alla piana.

Giugno è il mese delle prime fioriture, seguite da nuove sfumature di colore man mano che la stagione avanza. Ecco che la splendida piana si copre di un blu intenso grazie alla presenza dell’elegante Legousia speculum – veneris, meglio conosciuta come “Specchio di Venere”, una pianta delicata che colora i campi coltivati con un’ampia gamma di sfumature che spaziano dal blu al viola e al celeste.

Questo spettacolo floreale raggiunge il culmine nel mese di luglio con l’arrivo del fiordaliso che dona un’esplosione di colore unica con la sua vibrante tonalità viola.

Secondo le previsioni i fine settimana ideali saranno quelli del 24-25 giugno, l’1-2 e l’8-9 luglio. Tuttavia, vi suggeriamo di seguire gli aggiornamenti sul sito ufficiale nel quale, ogni settimana, potrete trovare nuove immagini che vi permetteranno di monitorare l’evoluzione della fioritura.

I migliori punti panoramici per ammirare la fioritura

Nella zona del Pian Grande ci sono numerosi punti panoramici per ammirare la fioritura. Ma per godere appieno della bellezza del luogo, è fondamentale esplorare a piedi i sentieri che partono dalla strada principale.

Il percorso principale che vi consigliamo di seguire è quello che porta al paese di Castelluccio, accanto alla strada asfaltata. Invece, nelle vicinanze del presidio dell’Esercito, si trova il percorso che si snoda sulla Piana, uno dei migliori punti panoramici che offre una vista incredibile dei campi colorati.

Proseguite poi seguendo il sentiero fino al famoso bosco a forma d’Italia sulle pendici di Poggio Croce. Da lì potrete tagliare attraverso i prati utilizzando i passaggi appositi per ammirare i paesaggi e la bellezza della natura circostante.

Continuando sul lato opposto della strada provinciale, potrete attraversare i campi e godervi lo spettacolo della fioritura con la magnifica vista del Monte Vettore sullo sfondo. Per i più allenati alle prove di resistenza, vi consigliamo di percorrere il sentiero che conduce alla cima di Poggio di Croce, un punto panoramico eccezionale che offre una vista privilegiata su Castelluccio e sulla Piana.

Infine, seguendo le indicazioni ufficiali, vi suggeriamo di non visitare Castelluccio durante il fine settimana a causa dell’elevata affluenza turistica.

Per vivere questo spettacolo all’insegna del relax evitate di muovervi in auto e, non meno importante, vi ricordiamo di non calpestare i campi coltivati per preservare al meglio questo imperdibile spettacolo naturale.

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È l’anno di Perugia, e vi sveliamo il perché

Perugia, città Best in Travel 2023 di Lonely Planet, gioiello architettonico dove si respira arte e storia a ogni passo nonché vivace polo culturale, è una delle mete da inserire nella lista delle vacanze in ogni momento.

Ma, per il 2023, c’è una ragione in più: dal 4 marzo all’11 giugno, in occasione del V centenario della sua morte, la Galleria Nazionale dell’Umbria celebra con una grande mostra Pietro Vannucci (1450 ca.-1523), detto Perugino, il più importante pittore attivo negli ultimi due decenni del Quattrocento.

“Il meglio maestro d’Italia”. Perugino nel suo tempo

La mostra Il meglio maestro d’Italia”. Perugino nel suo tempo, curata da Marco Pierini, direttore della Galleria Nazionale dell’Umbria, e Veruska Picchiarelli, conservatrice del museo, è l’evento di punta delle celebrazioni del centenario del Maestro, assoluto protagonista del Rinascimento.

Il progetto espositivo, che consta di una settantina di opere, propone dipinti del Perugino antecedenti al 1504, l’anno in cui lavorava a due commissioni che segnano il punto più alto della sua straordinaria carriera: la “Lotta fra Amore e Castità“, ora al Louvre di Parigi, e soprattutto lo “Sposalizio della Vergine per la cappella del Santo Anello del Duomo di Perugia, oggi al Musée des Beaux-Arts di Caen (Francia).

La mostra riflette, nella maniera più completa possibile, i passaggi fondamentali del suo percorso artistico: dalle prime collaborazioni nella bottega di Andrea del Verrocchio alle imprese fiorentine che fecero la sua fortuna (come ad esempio le tre tavole già in San Giusto alle Mura, oggi nelle Gallerie degli Uffizi, o la Pala di San Domenico a Fiesole); dagli straordinari ritratti alle monumentali pale d’altare, quali il Trittico Galitzin, ora alla National Gallery di Washington, e il Polittico della Certosa di Pavia, in gran parte alla National Gallery di Londra e ricomposto per l’occasione in via del tutto eccezionale.

I luoghi di Pietro Vannucci a Perugia

Pietro Vannucci detto Perugino, di fama internazionale già a i suoi tempi, è senza dubbio il rappresentante più illustre della pittura umbra.

Nato a Città della Pieve, visse a lungo a Perugia dove ebbe bottega e realizzò alcune delle opere più grandiose: visitare la città nel 2023, oltre alla Mostra a lui dedicata, può essere l’occasione per andare alla scoperta dei luoghi che ne portano tuttora la fulgida impronta.

Su Corso Vannucci, a lui intitolato, il Nobile Collegio del Cambio (antica sede dei cambiavalute) ospita, presso la Sala delle Udienze, i pregevoli affreschi del Maestro che ricevette l’incarico ufficiale di dipingere la Sala nel 1499: partendo dalla volta, eseguì “Allegoria della Fortuna” con il “Trionfo di Apollo” e i pianeti accompagnati dai segni dello Zodiaco.
Lungo le pareti, dipinse il “Trionfo delle Virtù” con la rappresentazione delle quattro Virtù Cardinali e le Tre Teologali, queste ultime accompagnate dalla “Natività” e “Trasfigurazione” di Gesù e da “L’Eterno con Profeti e Sibille”.

A destra dell’ingresso, “Catone Uticense” introduce il ciclo di affreschi e vi è anche un quadretto en trompe-l’œil con l’autoritratto del Perugino.

Ancora in Corso Vannucci, la Galleria Nazionale dell’Umbria custodisce la più vasta collezione al mondo delle opere dipinte dall’artista rinascimentale e dai suoi seguaci mentre Palazzo Baldeschi al Corso conserva l’olio su tela “San Girolamo penitente” e l’olio su tavola “Madonna con Bambino e due cherubini”.

In Piazza Raffaello, la Cappella di San Severo si fregia dell’affresco “Trinità e santi” commissionato in origine a Raffaello nel 1505 dai monaci camaldolesi; egli, dopo aver realizzato una Trinità, dal 1508 è impegnato a Roma e non porta a termine l’opera.
Dopo la sua morte nel 1520, viene chiamato il Perugino a completare l’affresco e lo fa dipingendo sei santi legati all’ordine benedettino: San Girolamo, San Giovanni Evangelista, Santa Marta, San Gregorio Magno, San Bonifacio e Santa Scolastica.

Presso il Monastero di Sant’Agnese, in Via Sant’Agnese, spicca l’opera “Madonna delle Grazie tra due committenti” eseguita per il monastero delle clarisse di Sant’Agnese, comunità di clausura tuttora attiva, mentre la Chiesa di Sant’Agostino, in Piazza Domenico Lupatelli, preserva le copie dello smembrato “Polittico di Sant’Agostino”, le cui tavole originali vennero disperse durante le spoliazioni napoleoniche e oggi si trovano in vari musei del mondo.

Infine, uno sguardo all’Abbazia di San Pietro in Borgo XX Giugno: qui, il museo del monastero ospita “San Mauro, Santa Scolastica, San Pietro Vincioli, Sant’Ercolano e San Costanzo, tavolette appartenenti alla predella che era parte della grande macchina d’altare della chiesa di San Pietro.