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Kerala: le più belle spiagge dell’India e le suggestive lagune salmastre

L’India può sopraffare con il caos di città quali New Delhi, il caldo talvolta opprimente e la quantità impressionante di persone per le strade. Viaggiare in India può essere difficile, ma allo stesso tempo gratificante e ricco di emozioni, soprattutto per chi va alla scoperta di zone bellissime e imperdibili come quella del Kerala. Situato nel punto sud occidentale dell’India, questo stato si affaccia nella porzione di Oceano Indiano chiamato Mar Arabico: seicento chilometri di litorale caratterizzati da immense spiagge sabbiosepromontori rocciosi e distese di palme da cocco.

Qui, la natura rigogliosa, il profumo delle spezie proveniente dai campi circostanti e le scintillanti backwaters, composte da laghi, canali e lagune, vi faranno dimenticare la frenesia delle altre regioni indiane, trasportandovi dentro atmosfere rilassate e paesaggi di una bellezza unica. Ma com’è il mare a Kerala e quali sono le spiagge migliori? Ve le raccontiamo nel dettaglio in questo articolo.

Kovalam

Quando pensate a Kovalam dovete immaginare spiagge lambite da palme e circondate da colline. È considerata la località balneare più famosa di tutto il Kerala grazie alla sua atmosfera di relax e alla bellezza del paesaggio. Se negli anni ’70 rappresentava il paradiso degli hippy grazie alla sua tranquillità tropicale, oggi il turismo ha modificato lo scenario, caratterizzato da un numero elevato di hotel e ristoranti. Le spiagge più importanti sono Lighthouse Beach, Hawah Beach e Samudra Beach che, insieme, vanno a formare la famosa mezzaluna della spiaggia di Kovalam. Oltre che per le sue spiagge, questa zona del Kerala è famosa anche per essere la patria dell’ayurveda, la medicina tradizionale indiana della quale potete fare esperienza presso hotel e centri benessere.

Varkala

Meta prediletta per chi viaggia zaino in spalla, Varkala vanta una posizione spettacolare al di sopra di una scogliera ricca di vegetazione rigogliosa, mentre ai suoi piedi si estende una striscia di sabbia dove non mancano bancarelle e venditori di abbigliamento e gioielli. La spiaggia più visitata è soprattutto Papanasam Beach, vicina al Tempio Janardhana Swamy, antico di oltre 2000 anni: questo, infatti, è considerato un luogo sacro dagli hindu i quali vengono qui a fare le proprie offerte ai defunti. Da non perdere in questa spiaggia? Il tramonto, ammirato ogni giorno da tantissimi turisti e abitanti del luogo.

Spiaggia Varkala a Kerala

Fonte: iStock

La spiaggia di Varkala a Kerala

Kannur

Chi è alla ricerca di un tratto di costa meno conosciuto deve dirigersi verso la zona settentrionale, quella che un tempo venne definita da Marco Polo come “il grande emporio delle spezie”. Qui non si trova un’unica spiaggia, bensì 5 piccole spiagge: Payyambalam Beach, Meenkunnu Beach, Adikadalayi Beach, Baby Beach e Thayyil Beach. Se visitate quest’area dell’India tra dicembre e febbraio non perdetevi le danze rituali theyyam. I danzatori incarnano divinità, eroi e spiriti ancestrali indossando costumi elaborati, maschere spettacolari e trucchi ipnotici. Un’esperienza unica che non potete assolutamente mancare.

Bekal

Gli amanti del lusso, del comfort e del relax devono segnare sulla mappa la spiaggia di Bekal, diventata famosa grazie alla presenza del Forte Bekal, la più grande fortezza del Kerala, risalente al XVII secolo, la quale domina il panorama con la sua imponenza. Le spiagge sono pulite, incontaminate e selvagge e sono circondate da resort lussuosi, ideali per chi è alla ricerca di un’esperienza esclusiva e per famiglie con bambini.

Backwaters

Per un’esperienza avventurosa, non rinunciate alla navigazione tra le lagune. Nel Kerala, infatti, avete l’opportunità di navigare lungo 900 km di canali che costeggiano il litorale e penetrano nell’entroterra. In passato, queste vie d’acqua erano le ‘strade’ del Kerala e, ancora oggi, sono numerosi gli abitanti dei villaggi che le percorrono sopra le loro canoe. L’escursione tra le backwaters vi trasporterà in un mondo dove il tempo sembra essersi fermato. Attraversando laghi orlati di palme e stretti canali, incontrerete anche villaggi isolati dove la quotidianità dei contadini non è cambiata da un secolo a questa parte.

Per vivere al meglio questa esperienza, consigliamo di noleggiare le tipiche houseboat, costruite in fibra di cocco, in passato usate per il trasporto del riso, ora vere e proprie case galleggianti. Potete noleggiare l’houseboat che preferite in base alle vostre esigenze: sono disponibili sia imbarcazioni per sole coppie che per gruppi numerosi, mentre il cibo è quasi sempre compreso nel prezzo del noleggio ed è preparato da un cuoco presente a bordo, come anche il conducente/capitano.

Houseboat Kerala

Fonte: iStock

La tipica houseboat per navigare tra le backwaters

Quando andare nel Kerala

Scegliere il periodo giusto per visitare il Kerala è fondamentale per assicurarvi un viaggio piacevole e senza preoccupazioni legate al tempo. I mesi perfetti sono quelli compresi tra dicembre e marzo, quando la stagione secca regala giornate calde e luminose, ideali per esplorare le backwaters, i campi di tè e le spiagge dorate. Dicembre, in particolare, vanta temperature piacevoli e un’atmosfera frizzante grazie alle tante feste organizzate.

Se invece siete appassionati di cultura e tradizioni, non perdetevi i festival che animano il Kerala durante tutto l’anno: in agosto o settembre si celebra a Onam il ritorno del re Mahabali con danze, giochi e banchetti a base di Sadhya, un ricco thali vegetariano. A Thrissur Pooram, ad aprile o maggio, potrete assistere alla processione degli elefanti riccamente addobbati, circondati dai suoni dei tamburi e immersi nell’atmosfera vivace offerta dai tanti fuochi d’artificio.

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Ateshgah, il Tempio del Fuoco di Baku

Il tempio del fuoco più noto dell’Azerbaigian è l’ateshgah di Surakhani, una popolare destinazione turistica a 21 km ad Est di Baku, alimentato – in origine – dal gas naturale permanente che scorreva fino alla superficie da sotto il terreno. La struttura, i cui quattro archi si aprono su un altare sormontato da una cupola, risale al XVII secolo, quando i commercianti del subcontinente indiano raggiunsero l’Azerbaigian attraverso la Via della Seta e si fermarono qui durante il loro viaggio. L’Ateshgah (letteralmente: “casa del fuoco” in farsi) di Baku assomiglia a una piccola fortezza. Ci sono celle all’interno del cortile recintato di pietre, mentre il lustro si trova al centro. Gli zoroastriani conducevano qui uno stile di vita del tutto ascetico. Non aspettandosi nulla dal mondo materiale, questi credenti si confinavano nelle celle.

Oggi, non è un caso che la maggior parte dei suoi visitatori arrivi dall’India. Con la diffusione dell’Islam nel VII secolo, gli zoroastriani in Iran e Azerbaigian furono sempre più emarginati, costringendo molti a fuggire dalla loro patria e a stabilirsi in comunità dell’Asia centrale e meridionale. Mumbai e il vicino stato indiano del Gujarat ospitarono una vasta popolazione zoroastriana. Oggi, questi discendenti indiani fuggiti dall’Impero persiano dopo aver rifiutato di convertirsi all’Islam si identificano come Parsi e formano il più grande gruppo di zoroastriani al mondo, con una stima di 60.000 aderenti – quasi la metà della comunità zoroastriana globale.

Il Tempio del Fuoco di Baku ha sempre attirato viaggiatori e scrittori. Il resoconto più dettagliato è quello contenuto nel libro di Alexander Duma “Viaggio nel Caucaso”, scritto nel 1858. Duma scrisse che “tutto il mondo conosce l’Atashgah di Baku. I miei compatrioti che vogliono vedere gli adoratori del fuoco [un termine dispregiativo tra gli zoroastriani] devono fare in fretta, perché sono già rimasti in pochi nel tempio, solo un vecchio e due giovani di circa 30-35 anni”.

Tempio del Fuoco Baku

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Vista del cortile dell’antico Tempio del Fuoco di Baku

Tempio del Fuoco a Baku, tutte le informazioni

L’Ateshgah di Baku è composto da un tempio, da celle monastiche indiane e da aree per i visitatori. Il muro bianco esterno che abbraccia tutte le celle e le case del tempio gli conferisce un aspetto da antico caravanserraglio persiano. Surakhani sembra essere stato costruito da maestri locali su progetto degli indiani che ne hanno finanziato la realizzazione.

Il camino è situato al centro con una ventilazione a gas naturale, che dava vita a un fuoco massiccio al centro e quattro fuochi più piccoli agli angoli del tetto del padiglione. Una serie di piccole celle che circondavano il Tempio del Fuoco contenevano fedeli asceti e pellegrini.

Gli elementi architettonici zoroastriani qui si fondono con incisioni sanscrite dedicate a Shiva e Ganesha. Ci si chiede quindi se il tempio debba essere considerato zoroastriano, induista o il risultato dell’intreccio storico di diversi credi al crocevia tra Asia ed Europa, perché la struttura combina caratteristiche architettoniche di entrambe le religioni, senza che nessuna delle due vi aderisca completamente. L’ipotesi più diffusa porta il tempio ad essere in stile zoroastriano, ma che nel tempo si sia trasformato in un edificio religioso prevalentemente indù.

Il fuoco all’interno dell’ateshgah di Surakhani ha smesso di bruciare alla fine degli anni ’60, poiché la sua fonte di vita – il metano – è stata indirizzata altrove. Nel 1975, il sito è stato riaperto come museo e le sue fiamme si sono riaccese ancora una volta, grazie al gas convogliato da Baku. Da quando l’Azerbaigian ha ottenuto l’indipendenza nel 1991, dopo la caduta dell’URSS, il Paese ha cercato di recuperare la propria identità e di riconoscere le sue complesse radici zoroastriane.  Il 30 settembre 1998, il tempio del fuoco di Ateshgah è stato inserito nell’elenco ufficiale dei Patrimoni dell’Umanità dell’UNESCO da salvaguardare urgentemente. Nel 2007 infine, con atto del Presidente dell’Azerbaigian, il tempio è stato proclamato riserva storico-architettonica statale.

Oggi, nessun turista lascia la capitale dell’Azerbaigian senza aver visitato questo luogo.

Tempio del Fuoco di Baku

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Vista dell’interno del Tempio del Fuoco di Baku

Il culto del fuoco in Azerbaigian

Per capire l’Azerbaigian, bisogna comprendere il rapporto sacro della nazione con il fuoco che deriva dalle sue antiche radici zoroastriane. L’Azerbaigian è conosciuto come “la terra del fuoco”, grazie alle sue vaste riserve di petrolio e gas naturale. Ne parlò anche Marco Polo, quando visitò il Caucaso orientale nel XIII secolo, nelle sue memorie. Le abbondanti riserve di gas naturale hanno svolto un ruolo cruciale nello sviluppo economico della nazione negli ultimi 150 anni. Tuttavia, il fuoco è profondamente radicato nella cultura e nella mitologia azera da quando lo zoroastrismo, una delle religioni monoteiste più antiche del mondo, ha messo radici nella zona più di 3.000 anni fa.

Il fuoco è un elemento centrale dello zoroastrismo e rappresenta la luce, la saggezza e la verità dell’unico Dio che ha creato il mondo:
Ahura Mazda (Signore Saggio). Per gli zoroastriani, il fuoco è un ponte tra lo spirituale e il fisico: un canale sacro attraverso il quale i credenti mortali possono connettersi a Dio e ottenere protezione contro le forze demoniache che vivono nell’oscurità. Nessun rituale si svolge senza la presenza del fuoco e i templi come Ateshgah sono costruiti per mantenere queste fiamme sacre accese per le comunità fedeli. In effetti, alcuni studiosi ritengono che il nome dell’Azerbaigian possa essere una combinazione delle parole azar (“fuoco”, in farsi) e baygan (“protettore”) – o, piuttosto:”colui che custodisce il fuoco”.

Secondo lo storico e studioso di religioni azero Kazim Azimov, ci sono diverse ragioni per cui lo zoroastrismo si è radicato qui. La posizione strategica dell’Azerbaigian lungo la Via della Seta ha facilitato il contatto tra i commercianti zoroastriani e la popolazione locale. Inoltre, come l’Iran, dove lo zoroastrismo ha avuto origine, l’Azerbaigian è dotato di abbondanti riserve di gas naturale, il che rende facile mantenere vive le fiamme sacre della religione. Anche dopo l’arrivo dell’Islam in Azerbaigian, la maggior parte della popolazione del Caucaso rimase legata al culto del fuoco.

Secondo Azimov, gli indigeni Talysh che vivono nel sud dell’Azerbaigian, lungo il confine con l’Iran, hanno oggi i legami più stretti con lo zoroastrismo. “Il fuoco è particolarmente importante come simbolo sacro nel sud dell’Azerbaigian, dove i Talysh di lingua iraniana costituiscono la maggioranza della popolazione. In questa regione, gli elementi della natura (fuoco, acqua, riso, piante) sono venerati più che altrove. In epoca sovietica, tutte le religioni erano proibite, [quindi] dovremmo rendere omaggio al popolo talysh che, nonostante il divieto di religione, ha continuato a celebrare la festività sacra di Nowruz in clandestinità, mantenendo vivi i canti e le canzoni zoroastriane”.

Come raggiungere il Tempio del Fuoco di Baku

È possibile raggiungere l’Ateshgah con i minibus in partenza da varie zone di Baku o con una corsa in taxi. Il costo del taxi dal centro città è di circa 10-15 AZN. Se si preferisce andare in autobus, si può prendere:

  • Autobus n. 191, 113, 213 dalla stazione della metropolitana di Gara Garayev;
  • Autobus n. 184 dalla stazione della metropolitana di Koroglu;
  • Autobus n. 104 dalla stazione della metropolitana Hazi Aslanov;

Biglietti d’ingresso: 4 AZN per adulti, gratuito per bambini fino ai 7 anni.
Orari di apertura: Tutti i giorni dalle 10.00 alle 18.00

 

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La stazione ferroviaria che è Patrimonio Unesco e che vale da sola il viaggio

Imponente, bellissima, da osservare con attenzione per poterne carpire ogni meraviglioso dettaglio. Stiamo parlando della stazione ferroviaria che è patrimonio Unesco e che da sola vale un viaggio. Si trova a Mumbai, in India, ed è il perfetto esempio della meraviglia che deriva dalla mescolanza di stili e culture diverse.

La Chhatrapati Shivaji Terminus, precedentemente nota con il nome di Victoria Terminus, è anche un edificio cruciale per il territorio, poiché viene utilizzato tantissimo e da un numero impressionate di persone. Basti pensare che ogni giorno transitano da lì circa tre milioni di pendolari. Ma per ammirarlo non è necessario dover partire, se si programma un viaggio in India lungo la costa occidentale e a Mumbai, è tra le tappe obbligate per poter vedere con i propri occhi tanta bellezza.

Perché visitare la Chhatrapati Shivaji Terminus

Ci sono luoghi che sono un tripudio di storia, di bellezza e capaci di colmare gli occhi di meraviglia. Uno di questi è – senza dubbio – la Chhatrapati Shivaji Terminus, stazione ferroviaria di Mumbai, cruciale per i trasporti e i viaggi.

Questo imponente gioiello architettonico è stato progettato dall’architetto Frederick William Stevens e pare che lui stesso abbia viaggiato in Europa per poter trarre ispirazione dalle stazioni ferroviarie occidentali. Il risultato è una struttura, realizzata nel corso di dieci anni a partire dal 1988, in stile gotico – vittoriano in cui convivono elementi legati alla tradizione indiana.

Come, ad esempio, la cupola in pietra, le torrette e gli archi a sesto acuto. Senza dimenticare, ovviamente, la particolarissima pianta. Alcuni dettagli, poi, erano stati realizzati dagli studenti di una scuola d’arte. Nel dettaglio si tratta, ad esempio, delle sculture in legno, le ringhiere ornamentali in ferro e ottone, ma anche le griglie per le biglietterie.

Un mix di culture diverse che prende vita in un edificio che, già nel momento della sua realizzazione, era un perfetto esempio di tecnologia e modernità.

Dal 2004 la stazione è stata dichiarata Patrimonio dell’Umanità Unesco, che sul sito in merito alla stazione ha scritto: “È un esempio eccezionale della fusione di due culture, poiché gli architetti britannici hanno lavorato con artigiani indiani per includere la tradizione architettonica e gli idiomi indiani, forgiando così un nuovo stile unico a Mumbai”.

Se si visita la città, quindi, vale la pena inserire tra le tappe del viaggio la stazione ferroviaria per assorbirne ogni dettaglio. Anche se non si deve partire.

Mumbai, cosa vedere oltre alla meravigliosa stazione

Di stazione stupefacenti ce ne sono tantissime in tutto il mondo, ma la Chhatrapati Shivaji Terminus è senza ombra di dubbio tra le più affascinanti. Così come lo è la città di Mumbai, ricca di luoghi da scoprire, città viva e vivace dove la modernità convive con il fascino e le tradizioni indiane.

Tra le tappe c’è il quartiere Colaba con la sua celebre strada, dove si può acquistare di tutto e trovare anche diversi locali, per immergersi al cento per cento nella vita della città. Da vedere è anche il Gateway of India, la cui realizzazione è terminata nel 1924 e si trova sul lungomare cittadino. È stato realizzato per commemorare l’arrivo di Giorgio V quando, nel 1911, è stato incoronato imperatore dell’India.

Vale la pena visitare anche il Taj Mahal Palace, hotel simbolo della città, struttura di lusso e molto celebre. E poi tanti altri luoghi, per respirare il fascino di una città viva.

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Chennai, la città che è un’esplosione di colori, suoni e profumi

Il Tamil Nadu è uno Stato nel Sud dell’India particolarmente noto per essere la patria di numerosi templi indù in stile dravidiano. La sua Capitale è la città di Chennai, un posto molto caotico ma che riesce a compensare questa peculiare caratteristica con i suoi tantissimi colori, suoni e profumi.

Chennai, info utili

Probabilmente il nome Chennai non vi dice niente e il motivo è molto semplice: fino al 1996 questa città era conosciuta come Madras. Si tratta di un posto davvero particolare, perché con estrema leggiadria riesce a mettere sullo stesso piano le antiche tradizioni e i riti spirituali con atmosfere più occidentali e moderne.

Chennai è una città che brulica di vita e che ha al suo attivo anche un cospicuo patrimonio culturale e artistico. Una vera e propria megalopoli che si affaccia direttamente sul celebre Golfo del Bengala, e che riesce ad essere la custode delle tradizioni artistiche, religiose e culinarie dell’intera regione, ma anche una delle mete più alla moda e cosmopolite del Paese.

Chiamata la “Porta dell’India del Sud”, è in continua crescita anche per quanto riguarda la vita notturna: non è ancora il suo forte, ma si sta sempre più attrezzando per garantire ai suoi visitatori indimenticabili serate di svago e divertimento.

Chennai, India

Fonte: iStock

Veduta di Chennai

Cosa vedere

Come vi abbiamo accennato, Chennai offre diversi punti di interesse. Tra le cose da non perdere c’è senza ombra di dubbio il Fort St. George, ovvero la prima fortezza britannica sorta in territorio indiano. Situato nei pressi della costa, è il cuore pulsante di Chennai, o meglio, l’intera città si è sviluppata attorno ad esso.

Straordinario è anche il Tempio di Kapaleeshwarar, uno uno dei sacri santuari della regione dedicato a Shiva. Ma questo spettacolare luogo di culto ha una marcia in più rispetto a tanti altri: è un esempio unico di stile architettonico dravidico. Il visitatore si ritroverà di fronte a un trionfo di colori e di profondità, grazie alle moltissime statue che lo impreziosiscono. All’interno, invece, la storia si può “toccare con mano” per via delle varie iscrizioni che risalgono al XII secolo.

A forma di piramide, le statue colorate che lo adornano rappresentano divinità, demoni, guerrieri e reali, una serie di dettagli impressionanti che fanno sì che lo sguardo non si sposti mai.

Tempio di Kapaleeshwarar, India

Fonte: iStock

Il coloratissimo Tempio di Kapaleeshwarar

Poi ancora Little Mount e St Thomas Mount. Il primo, oltre a essere un luogo avvolto nelle leggende, ospita una chiesa portoghese risalente al 1551, oltre a un piccolo altare di San Tommaso, sito nell’apertura di una grotta rocciosa, e un’impronta di palma. Il secondo, invece, è la sede della Chiesa di Nostra Signora dell’Aspettativa che si può raggiungere salendo 135 gradini.

Voliamo ora presso l’Edificio Ripon che è stato costruito in stile architettonico indo-saraceno. Si tratta del più antico ente municipale del Commonwealth al di fuori della Gran Bretagna e colpisce per il suo orologio alto quasi tre metri che è posto sulla torre centrale dell’edificio.

Vale la pena fare un salto anche Valluvar Kottam, un santuario edificato in memoria del poeta Thiruvalluvar che visse e scrisse durante il I secolo a.C. Il memoriale si presenta come un enorme carro di 35 metri che conserva al suo interno un auditorium che può ospitare anche 4.000 persone.

La Chiesa di Luz è invece la più antica di Chennai e colpisce per la sua struttura gotica e barocca e per il fatto che è uno dei più antichi monumenti europei in India.

Da visitare è anche l’Alta Corte di Madras che è uno dei più grandi edifici giudiziari del mondo. Costruito nel 1892, ha un peculiare colore rosso, magnifici soffitti dipinti e porte in vetro colorato.

Il quartiere di T-Nagar è invece il posto ideale per chi ama le meraviglie dell’artigianato: ci sono drappi di seta, sari e stole realizzati con cura.

Infine un po’ di romanticismo: il faro di Chennai, da cui godere di una splendida vista sul Golfo del Bengala. Alimentato da un pannello solare, ospita il dipartimento meteorologico locale che può essere visitato da tutti.

Alta Corte di Madras, India

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Veduta dell’Alta Corte di Madras

I musei cittadini

Chennai mette a disposizione anche una serie di musei cittadini che sono l’ideale per conoscere la storia di questa caotica (ma super colorata) città. Il primo che vi consigliamo è il Museo del Governo di Chennai che regala delle ampie gallerie che si sviluppano in ben tre edifici diversi.

Una delle più impressionanti è la Bronze Gallery, dove scovare un’emozionante collezione di statue in bronzo risalenti al VII secolo.

In più, ci sono anche Galleria Nazionale d’Arte, la Galleria d’Arte Contemporanea e il Museo dei Bambini.

Il mare e le spiagge

No, Chennai non è un paradiso marino, ma ciò non toglie che offra spiagge di sabbia e anche preziose viste sull’oceano che difficilmente possono essere dimenticate. Marina Beach, per esempio, è il luogo ideale per rilassarsi, nonostante sia spesso presa d’assolto da locali e turisti.

L’atmosfera in ogni caso è vacanziera, anche grazie alle tante famiglie che fanno pic-nic sulla spiaggia o alle persona in sella a dei cavalli che si dedicano a passeggiate in riva al mare. Ci si viene soprattutto per scoprire alcune delle usanze e abitudini degli indiani quando si tratta di tempo libero. Non mancano mercatini, bancarelle e anche particolari tiri al bersaglio e banchetti per i tatuaggi.

A disposizione dei viaggiatori c’è anche Edward Elliot’s beach che è forse una delle spiagge più pulite della città. Conosciuta anche con il nome di Besant Nagar Beach, è il ritrovo di giovani ventenni e famiglie che la preferiscono al caos della più nota Marina Beach.

Si tratta di una striscia di sabbia in cui godersi le giornate con gli odori e i suoni dell’oceano in sottofondo, e dalla quale poter ammirare diversi punti di interesse turistici, come il Tempio di Ashtalakshmi e il Santuario di Velankanni.

Si rivela ottima anche per i buongustai che qui possono trovare una serie di bancarelle ricche di snack e diversi ristoranti con piatti autentici dell’India meridionale. Infine, sappiate che qui sorge anche il Karl Schmidt Memorial edificato in onore di un marinaio olandese che morì mentre salvava un nuotatore dall’annegamento nel 1930.

Se si vola in India, Chennai è una di quelle tappe da inserire nel proprio itinerario.

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Srinagar, la città galleggiante che sembra uscita da una fiaba

L’India è un Paese suggestivo, ricco di affascinanti contrasti. Questa splendida terra si distingue per la fusione di panorami mozzafiato, una cultura vibrante e tradizioni millenarie.

Dalle maestose vette innevate dell’Himalaya ai meravigliosi deserti aridi del Rajasthan, la bellezza naturale dell’India lascia senza fiato. Ogni angolo racconta una storia, dalla spiritualità dei luoghi sacri all’energia frenetica dei suoi bazar. Visitare l’India è molto più di un semplice viaggio, è un’esperienza che stimola tutti i sensi, un’immersione profonda in una cultura antica e affascinante che lascia un’impronta indelebile nel cuore di coloro che la scoprono.

Situata nel territorio dell’Unione di Jammu e Kashmir, si trova una città incredibile che vale assolutamente la pena scoprire: Srinagar. Chiamata anche la “Venezia d’Oriente“, è una deliziosa cittadina famosa per i suoi laghi incantevoli e le pittoresche case galleggianti.

Grazie alla sua bellezza e alla sua atmosfera tranquilla, Srinagar regala un viaggio indimenticabile e si distingue come una delle mete turistiche più amate dell’India.

Srinagar, il fascino incontaminato del Kashmir

Srinagar Lago Del

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Shikara sul Lago Del, Srinagar, India

Situata nella regione del Kashmir, nel subcontinente indiano, Srinagar è una città dal fascino raro. Affacciata sulle rive del fiume Jhelum, è celebre per i suoi edifici storici, le alte montagne, i prati verdi lussureggianti e i corsi d’acqua interconnessi. Ogni scorcio regala paesaggi da cartolina che catturano l’attenzione al primo sguardo.

Il cuore pulsante di Srinagar è senza dubbio il lago Dal. Pacificamente posizionato ai piedi del maestoso monte Shridhara, questo luogo si estende su una superficie di 26 chilometri quadrati ed è una vera e propria oasi naturale. Le montagne circostanti si riflettono nitidamente sulla superficie dell’acqua, creando un suggestivo effetto specchio che amplifica ulteriormente la loro maestosità.

Intorno ad esso, la città si sviluppa in un intricato labirinto di laghi minori e canali, che contribuiscono a creare un paesaggio unico e imperdibile. Su queste acque placide abbondano le famose shikara, le tradizionali gondole dipinte con colori vivaci e ornate di fiori, diventate un’icona della città, un modo unico e romantico per esplorare Srinagar e i suoi meravigliosi dintorni.

Una delle attività da non perdere è visitare il mercato galleggiante che offre un’immagine autentica della vita quotidiana del luogo. Mentre si naviga tra le bancarelle, si può osservare la gente del posto gestire i suoi affari, vendendo prodotti di artigianato locale, frutta fresca, verdura e fiori. È un luogo ideale per fare shopping: qui si possono acquistare i famosi scialli kashmiri ricamati a mano, i tappeti intricatamente tessuti, i gioielli tradizionali e una varietà di souvenir.

I Giardini di Srinagar: un viaggio tra i colori e i profumi dell’India

Srinagar offre anche un tesoro naturale di grande valore: i suoi storici parchi e giardini, realizzati durante il regno dell’Imperatore Mughal. Queste preziose oasi di verde sono situate appena fuori città e offrono una vista spettacolare sul lago Dal.

Con le loro geometrie perfette, i vivaci giochi d’acqua e gli alberi in fiore, sono un vero spettacolo per gli occhi e uniscono l’estetica architettonica alla bellezza incantevole della natura, regalando un capolavoro artistico unico.

Il Giardino di Shalimar è senza dubbio il più celebre. Con i suoi platani maestosi che si ergono come le colonne di una cattedrale gotica e le acque cristalline delle sue vasche, fontane e cascate che scorrono attraverso un sofisticato sistema di terrazze, incanta tutti i visitatori.

L’Indira Gandhi Memorial Tulip Garden è un altro luogo incantato, che sembra uscito da una fiaba. È il più grande giardino di tulipani di tutta l’Asia e sorprende con la sua meravigliosa varietà di fiori dai colori vivaci e brillanti. Ogni angolo cattura lo sguardo con un’esplosione di colore: rosso, giallo, rosa, viola e bianco. Oltre ai magnifici tulipani, il giardino ospita anche rose, giacinti e narcisi, creando un mosaico floreale di rara bellezza. È importante ricordare, tuttavia, che i tulipani sbocciano soltanto durante i mesi di marzo e aprile. Quindi, se volete assistere a questo straordinario spettacolo della natura, è consigliabile pianificare il vostro viaggio in quel periodo.

Srinagar giardino dei tulipani

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Il più grande giardino di tulipani dell’Asia, Srinagar, India
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In India puoi visitare le rovine dell’università che ha cambiato il mondo

Più di 500 anni prima che venisse fondata la celebre Università di Oxford, in India prosperava l’Università di Nalanda, la prima università residenziale al mondo con ben nove milioni di libri e diecimila studenti provenienti dall’Asia orientale e centrale che vi si riunirono per apprendere la logica, la matematica, la medicina e, soprattutto, i principi buddisti da alcuni degli studiosi più venerati dell’epoca.

Risalente al 427 d.C., è la più antica e rilevante università della tradizione buddista in India e, come disse il Dalai Lama, “La fonte di tutta la conoscenza [buddista] che abbiamo, è venuta dal Nalanda“.

Nalanda, uno dei più grandi centri di apprendimento del mondo antico

Negli oltre sette secoli in cui Nalanda fiorì, non esisteva nient’altro di simile al mondo: l’università indiana precedette l’Università di Oxford e l’università più antica d’Europa, quella di Bologna, di più di 500 anni.
Inoltre, l’approccio illuminato di Nalanda alla filosofia e alla religione, ha contribuito a plasmare la cultura dell’Asia anche molto tempo dopo la sua fine.

È interessante notare che i monarchi dell’Impero Gupta che fondarono l’università erano devoti indù, ma simpatizzanti nei confronti del buddismo e del suo crescente fervore intellettuale nonché degli scritti filosofici dell’epoca: le tradizioni culturali e religiose liberali che si diffusero sotto il loro regno avrebbero costituito il nucleo del curriculum accademico multidisciplinare di Nalanda, che fondeva il buddismo intellettuale con una conoscenza superiore in svariati campi.

Infatti, l’antico sistema medico indiano dell’Ayurveda fu ampiamente insegnato a Nalanda, molte istituzioni buddiste trassero ispirazione dal design del campus con cortili aperti racchiusi da sale di preghiera e aule mentre lo stucco qui prodotto influenzò l’arte ecclesiastica in Thailandia, e l’arte del metallo migrò fino in Tibet e nella penisola malese.
Ma forse l’eredità più profonda e duratura di Nalanda sono i suoi risultati in matematica e astronomia: si ipotizza che Aryabhata, considerato il padre della matematica indiana, abbia diretto l’università nel VI secolo d.C.

In più, l’università inviava regolarmente alcuni dei suoi migliori studenti e professori in Cina, Corea, Giappone, Indonesia e Sri Lanka per diffondere gli insegnamenti e la filosofia buddista: questo antico “programma di scambio culturale” ha così contribuito a diffondere e modellare il buddismo in tutta l’Asia.

L’epilogo e il riconoscimento a Patrimonio UNESCO

Nel 1190, Nalanda venne distrutta da una truppa di predoni invasori guidati dal generale turco-afghano Bakhtiyar Khilji, che cercò di estinguere il centro buddista della conoscenza durante la sua conquista dell’India settentrionale e orientale: il campus era così vasto che si narra che l’incendio appiccato dagli aggressori sia durato per tre mesi.

Oggi, il sito archeologico di 23 ettari è probabilmente una mera frazione del campus originale, ma passeggiare al cospetto delle rovine di templi e monasteri evoca la sensazione di come doveva essere apprendere in tale luogo leggendario.
Come in ogni università d’élite, l’ammissione era difficile: gli aspiranti studenti dovevano impegnarsi in un rigoroso colloquio con i migliori professori di Nalanda ma chi aveva la fortuna di entrare poteva imparare dai più venerati maestri buddisti di quei tempi, come Dharmapala e Silabhadra.

I nove milioni di manoscritti di foglie di palma redatti a mano della biblioteca erano il più ricco deposito di saggezza buddista al mondo: purtroppo, soltanto pochi tra i volumi di foglie di palma e fogli di legno dipinti sopravvissero all’incendio, salvati dai monaci in fuga. Ora sono custoditi presso il Los Angeles County Museum of Art e il Museo Yarlung in Tibet.

Nel corso dei sei secoli successivi all’invasione (per cui non è facile stabilire una causa), Nalanda sprofondò gradualmente nell’oblio e rimase sepolta fino a quando venne “scoperta” dal geometra scozzese Francis Buchanan-Hamilton nel 1812 e identificata come “l’antica Università di Nalanda” da Sir Alexander Cunningham nel 1861.

Oggi, le rovine del Grande Monumento dal glorioso passato vantano l’ambito riconoscimento come Patrimonio UNESCO.

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Mangiare in un igloo trasparente in mezzo alla neve: succede in India

Ogni volta che si va al ristorante, c’è un dettaglio a cui si pensa troppo poco ma che può rendere il pasto ancora più speciale e gustoso: il panorama. Una vista mozzafiato può fare la differenza e questo è probabilmente quello a cui hanno pensato i direttori di un hotel indiano. Il paese asiatico fa pensare a tutto, tranne che a quello che si trova all’interno di questo albergo. È qui che sorge infatti un ristorante che ha deciso di far provare ai suoi clienti un’esperienza più unica che rara: mangiare dentro un igloo di vetro. Proprio così, la tipica costruzione eschimese ha varcato i confini del Polo Nord fino ad arrivare a Gulmarg, la destinazione indiana perfetta per chi ama l’inverno.

Una cena speciale all’interno di un igloo

Perché tanti igloo di vetro proprio in India? Gulmarg è un vero e proprio paradiso per gli escursionisti e appassionati di montagna, visto che si trova a pochi passi dall’Himalaya. Qui è possibile sciare, praticare snowboard oppure semplicemente godersi un bel viaggio circondati dalla neve e dai paesaggi incontaminati. Il ristorante-igloo è stato aperto di recente dall’hotel Kolahoi Green Heights e l’iniziativa ha avuto subito un successo clamoroso.

Il format originale del locale non poteva non conquistare la clientela che può vivere mi prima persona un’esperienza culinaria fuori dal comune. In tutto gli igloo presenti nel ristorante sono sei, 3 dei quali sono stati sistemati nel cortile dell’hotel, mentre gli altri si trovano nei pressi della funivia. Ma cos’hanno di tanto speciale? Sono dotati di ogni comfort, ad esempio hanno un impianto di riscaldamento per affrontare le rigide temperature del posto, oltre a una mise en place di tutto rispetto. L’apparecchiatura è essenziale ma d’effetto, pronta ad accompagnare uno squisito tour gastronomico a base di pietanze tipiche della cucina indiana, ma anche di quella cinese e asiatica in generale.

Ristorante igloo a Gulmarg

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L’interno del ristorante igloo a Gulmarg

I paesaggi incontaminati di Gulmarg

Non è la prima volta che l’hotel fa parlare di sé, dimostrando la sua passione sfrenata per gli igloo. Oltre a quelli di vetro in cui pranzare e cenare romanticamente, in precedenza l’albergo indiano aveva battuto un record realizzando l’igloo di neve più grande di tutto il continente asiatico. È stata un’attrazione unica per tutti i turisti giunti a Gulmarg che hanno potuto ammirare da vicino la costruzione.

Per quel che riguarda il ristorante, invece, l’ispirazione è arrivata da uno dei paesi in cui l’inverno dà spettacolo, la Finlandia. La città di Glumarg ha in comune con la nazione scandinava proprio l’abbondanza di neve, in particolare nel periodo compreso tra i mesi di dicembre e febbraio. I paesaggi che si possono incontrare in questa parte dell’India non hanno nulla da invidiare proprio a quelli del Nord Europa, il tutto incastonato dalla spettacolarità della catena Himalayana. Non a caso viene considerata il luogo ideale per praticare gli sport invernali in India. La tappa obbligata per gli appassionati di sci, snowboard e slittino è il monte Apharwat che può essere raggiunto soltanto tramite una cabinovia. Non c’è che dire, un autentico gioiellino che di sicuro lascerà a bocca aperta gli amanti del periodo più freddo dell’anno che avranno un motivo in più per visitare Gulmarg e godersi una bella cena all’interno di un igloo di vetro.

Gli igloo presenti nel ristorante di Gulmarg

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Un pranzo indimenticabile all’interno del ristorante igloo
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I pozzi indiani che sono dei capolavori architettonici

Per via delle inevitabili associazioni con il nostro sapere e la nostra conoscenza, quando pensiamo ai capolavori architettonici dell’India ci vengono subito in mente il Taj Mahal o i sontuosi palazzi del Rajasthan. Invece non è tutto qui, perché per esempio, proprio in Rajasthan, si trovano dei veri e propri esempi di bellezza e arte pensati dall’uomo e per l’uomo: i pozzi indiani con gradini.

Queste strutture sono sparse per tutto lo Stato (ma se ne trovano altri in giro per l’India) e non solo restituiscono un colpo d’occhio che lascia senza fiato, ma hanno una storia lunghissima, che mescola acume, ingegno e necessità.

I pozzi indiani in Rajasthan e la loro storia

Immaginate di trovarvi di fronte a quelli che sembrano degli istrionici forti finemente decorati, caratterizzati da gradini che portano verso il centro: avrete un’idea di come possano apparire i pozzi indiani con i gradini. Di certo potreste chiedervi come siano nati, ed è presto detto: da sempre le regioni settentrionali e occidentali dell’India hanno dovuto lottare con la siccità. Lunghi periodi di secca portava la popolazione ad affrontare condizioni disperate e l’unico luogo dove si poteva trovare l’acqua era davvero molto, molto in profondità.

Pozzi indiani in Rajasthan: dei veri capolavori architettonici

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Il pozzo di Chand Baori

Accedere a luoghi sotterranei, com’è ovvio che sia, non era affatto semplice. Così, fra il 200 e il 400 d.C. alcuni regnanti del Rajasthan diedero ufficialmente il via alla realizzazione di pozzi che, inizialmente, si trovavano a ridosso di piccoli stagni. Con il passare del tempo e con l’aumento delle competenze in campo idrogeologico, la costruzione di queste strutture si fece via via più complessa, fino ad arrivare proprio alla costruzione dei pozzi con gradini, arricchiti da serbatoi, canali e dighe che garantivano la conservazione e la distribuzione dell’acqua.

I pozzi con gradini e la loro importanza

Più i pozzi con gradini diventavano efficienti, più architetti e regnanti si ingegnarono per farne dei veri e propri simboli di spiritualità e natura. In base alla loro struttura, i pozzi venivano consacrati a determinate divinità e venivano decorati in modo tale da inneggiare alla tranquillità, alla prosperità e alla gioia. Alcuni di questi pozzi hanno al loro interno degli spazi sacri dove chi si abbeverava, prelevava l’acqua o si bagnava potesse prima (o dopo) dedicare una preghiera di ringraziamento agli dei.

Pozzi indiani con gradini in Rajasthan: capolavori architettonici

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Il pozzo di Adalaj Vav

Tutti i pozzi sono scavati nella pietra e/o arricchiti con materiali come terra, pietrame e rocce. L’obiettivo era non solo quello di permettere a tutti di raggiungere l’acqua, ma anche di creare un ambiente che desse immediatamente sollievo dalla calura. Nei pressi dei pozzi, infatti, sono stati spesso piantati alberi e creati dei padiglioni per consentire a chiunque arrivasse di beneficiare sin da subito del ristoro che l’ambiente umido poteva garantire.

Il significato dei gradini dei pozzi indiani

Ma perché ci sono così tanti gradini nei pozzi indiani? Chiaramente tutto è stato studiato per permettere alle persone di raggiungere l’acqua, ma attenzione: niente è stato lasciato al caso. I pozzi indiani (che in Rajasthan vengono chiamati anche bawdibawribaoli o bavadi) erano suddivisi in piani specifici destinati a ogni classe sociale e l’accesso all’acqua avveniva tramite percorsi differenti che, naturalmente, portavano a dei “laghetti” artificiali differenti.

I pozzi con gradini del Rajasthan: capolavori d'architettura

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Il pozzo di Chan Baori

Non era permesso, per esempio, che donne e uomini accedessero allo stesso laghetto, così come non era permesso che ricchi e poveri si incontrassero. Inoltre, alcuni percorsi erano destinati a portare a delle aree specifiche destinate a cerimonie sacre o alle attività religiose in generale. Infine, in alcuni pozzi in particolare la discesa (e poi la salita) dei gradini poteva anche essere un cammino di caduta e rinascita: sono state infatti trovate delle incisioni che testimoniano questo valore simbolico.

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In India esistono ponti che vivono e respirano

Meravigliosa è la natura che con le sue creazioni dà vita a quelli che sono gli spettacoli più straordinari del nostro pianeta, gli stessi che ci invitano ad andare alla scoperta del mondo che abitiamo e della grande bellezza che gli appartiene.

Foreste incantate, laghi fiabeschi, sabbie bianche, deserti fioriti e colline dorate: queste sono solo alcune delle attrazioni naturali che si snodano sul nostro pianeta, le stesse che spesso sono in cima alle nostre travel wishlist. Ma c’è qualcosa di ancora più straordinario da raggiungere e toccare con mano, e sono qui capolavori che nascono quando l’uomo incontra la natura.

La più alta e magistrale testimonianza di questo incontro si trova in India dove sono stati creati delle opere architettoniche naturali fuori dall’ordinario. Si tratta di ponti costruiti con radici di alberi che vivono e respirano, e che lasciano senza fiato.

Viaggio in India: alla scoperta dei ponti viventi

È un viaggio unico e straordinario quello che facciamo insieme oggi e che ci conduce direttamente in India. Il vasto Paese dell’Asia Meridionale è da sempre in cima alle destinazioni da raggiungere almeno una volta nella vita e il perché è facilmente intuibile.

Il territorio, tanto vasto quanto variegato, ospita alcuni dei patrimoni naturali e paesaggistici più incredibili del Pianeta, insieme a una storia che risale a oltre 5000 anni fa. Ecco perché un viaggio in India è destinato a stupire e a incantare ogni volta e a catturare il cuore di tutti i viaggiatori.

L’avventura di oggi ci conduce nello stato del Meghalaya, nell’India nord-orientale, tra l’Assam e il Bangladesh. È qui che è possibile scoprire, osservare e attraversare i ponti viventi, meraviglie architettoniche naturali che nascono dall’incontro dell’uomo e della natura.

Le radici degli arbusti, infatti, sono state utilizzate per costruire dei passaggi che sovrastano fiumi e burroni e che collegano i villaggi che si snodano sul territorio. Oltre a essere strategicamente funzionali, questi ponti creano visioni bellissime e surreali.

Ponti di radici in India

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Ponti di radici in India

Le opere architettoniche naturali più straordinarie del pianeta

I ponti viventi in India sono stati creati dagli uomini utilizzando le radici dell’albero della gomma. Queste possono estendersi per una lunghezza di 50 metri e possono sopravvivere per secoli. Le radici sono così robuste al punto tale da poter resistere sia alle intemperie che al peso di centinaia di uomini.

Nel territorio del Meghalaya sono stati individuati e studiati circa 70 ponti e oggi questi passaggi incredibili sono considerati dei veri e proprio capolavori di ingegneristica naturale unici al mondo.

La costruzione dei ponti, che è simbolo del lavoro magistrale svolto dagli indigeni e dalle popolazioni del territorio, avviene piantando l’albero della gomma sulle sponde dei fiumi o sui margini dei precipizi. Quando iniziano a crescere le radici volanti, queste vengono avvolte attorno a strutture in bambù e direzionate verso la riva opposta.

La natura poi fa il suo corso. Le radici si allungano e si espandono formando una struttura sempre più forte, complessa e solida fino a trasformarsi in un passaggio che collega i villaggi e che può essere attraversato da centinaia di uomini contemporaneamente.

Per la nascita di un ponte vivente, ovviamente, possono volerci anni, ma niente è lasciato al caso. Periodicamente gli uomini del villaggio e gli indigeni del luogo si prendono cura di queste strutture affinché possano continuare a vivere.

I ponti viventi del Meghalaya

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I ponti viventi del Meghalaya
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Il luogo in cui si trova il maggior numero di templi al mondo

L’India, si sa, è meta di viaggi spirituali, di riconnessione e pace. Trovarsi in mezzo alle alture di Shatrunjaya a 603 metri, in Gujarat, circondati da ben 863 templi è assolutamente coinvolgente. Un’esperienza non per tutti questo yatra -letteralmente il pellegrinaggio-che si compie tra i luoghi della fede, scolpiti in marmo, vicino alla città di Palitana.

Questa è la zona con il maggior numero di templi in tutto il mondo, una tappa imperdibile per chi intende organizzare un viaggio in Gujarat, patria della comunità jainista. Unica avvertenza prima di prendere e partire: controllare molto bene il calendario. Durante la stagione monsonica, infatti, il sito è chiuso e i templi non sono visitabili. Altro dettaglio da considerare: scegliere un pernottamento fuori dalla città-tempio di Palitana. Qui, infatti, non è concesso a nessuno di soggiornare e neppure pernottare.

Una meta spirituale dell’India occidentale

Una collina nella parte più occidentale dell’India dove centinaia di templi si susseguono e lasciano il visitatore a bocca aperta. Pennacchi, torri merlettate, scalinate di un marmo bianco: sembrano dolci pendii di pizzo. Un luogo davvero unico al mondo che non ha eguali. Siamo vicini a Palitana, nel distretto di Bhavnagar del Gujarat, una città proprio nota per la presenza dei numerosi templi, diversi per dimensioni ed architettura, che sono dedicati ai 24 Tirthankaras, ossia i santi venerati dalla comunità Jain. Non solo, Gujarat è nota anche per la presenza del leader spirituale Mahatma Gandhi che dal 1917 al 1930 si trovava al Sabarmati Ashram, le cui stanze sono oggi aperte al pubblico.

I templi di Palitana possono essere considerati, se paragonati alla fede cattolica, ad una sorta di Vaticano indiano, essendo il più grande ed importante luogo di pellegrinaggio dei gianisti. Non è un caso se i templi sono stati scolpiti proprio su quella collina. I giainisti, infatti, credono che Adinath, il primo delle divinità Jina, abbia letteralmente santificato la montagna di Shatrunjaya, perché la scelse come il luogo di recita del suo primo sermone.

Il sito dei templi di Palitana è immenso, si estende per diversi chilometri, con panorami infiniti. Visitare tutti i santuari è praticamente impossibile, ma ci sono raggruppamenti di templi molto interessanti. Solitamente si presentano con un tempio principale, accerchiato da strutture minori. I principali sono sontuosi e monumentali, decorati e abbelliti con torri, colonne, e marmi meravigliosi. Gli altri, sono invece più modesti.

I templi più importanti da visitare

Il viaggio tra i templi di Palitana inizia da quello forse considerato il più significativo, il tempio principale. Si trova esattamente in cima alla collina, a dominare tutti gli altri. E’ il tempio di Adishwara, ossia quello dedicato ad Adinath, il primo Tirthankara. La sua ricchezza decorativa lo conferma: un tripudio di ori, pietre, colori, sculture e bassorilievi. La figura della divinità domina il sito: è in marmo, con ornamenti d’oro. La si vede a distanza di centinaia di metri. Per raggiungere il tempio è necessaria una prova di resistenza (e di fiato): sono ben 3500 gli scalini da salire per raggiungere la sommità della collina dove si trova il tempio. Vale la pena compiere l’impresa, però, perché Adishwara è considerato uno dei tempi più belli dell’intera India.

Si prosegue verso Chaumukha, anche noto come il tempio a quattro facce. Una struttura imponente, che occupa una superficie ampia. Le prime notizie di questo tempio, e quindi la sua costruzione, risalgono al  1618. Come suggerisce anche il nome, la struttura ha quattro lati, con altrettanti portali: le divinità, in questo modo, sono visibili da ogni parte. Anche qui troviamo l’immagine di Adinath, su una colonna in marmo bianco.

Gli altri templi che meritano di essere visitati in questo luogo incredibile sono: Vimal Shah, dalla riconoscibile forma quadrata con torri. Saraswati, piccolo santuario dedicato alla divinità della conoscenza e della saggezza, il tempio di Narsingh Kesharji e il tempio Samavasaran con i loro affreschi.

Un luogo sacro, fuori dal tempo, che come presumibile ha delle limitazioni nella sua fruizione. La collina di Shatrunjaya è stata scelta (si dice dal divino Adinath) in quanto la città-tempio di Palitana, sua dimora, si trovava lontana da altri insediamenti, in posizione di pace e tranquillità. Posto di contemplazione e preghiera, incontaminato. Per queste ragioni, anche oggi, i templi sono visitabili e sono meta di turisti, ma qui non è concesso a nessuno soggiornare o pernottare (neppure ai sacerdoti). Non solo,  durante la stagione monsonica, che dura circa quattro mesi l’anno, la zona resta inaccessibile, infatti i templi sono chiusi.

Un tuffo nella storia

La storia per capire da dove arrivano questi 863 templi, ci porta intorno a II secolo, quando il giainismo si diffuse grazie alla parola diffusa da diversi gruppi di monaci -ma anche da mercanti- che si insediarono in diverse aree del subcontinente indiano lungo le rotte commerciali. La zona è quella di Pataliputra nel Bihar, fino all’Odisha nell’est dell’India. Ma la filosofia e il credo gianista arrivarono anche al sud, ad Andhra Pradesh, Karnataka e Tamil Nadu. In una grotta di Hathigumpha a Udayagiri a Bhubaneswar, si trovano scritte appartenuto al re Kharavela (157 a.C.) e le abitazioni rupestri destinate ai monaci nel I secolo a.C.

I templi più antichi che si trovano a Palitana furono costruiti durante il regno del re Kumarapala, appartenente alla dinastia Solanki nell’XI secolo d.C. Di questi non rimane quasi più nulla, perché furono in gran parte distrutti dagli invasori musulmani nel XIII secolo d.C. Ciò che si può visitare oggi, infatti, risale al XVI secolo, mentre i templi più antichi furono ricostruiti grazie all’impegno in denaro di ricchi commercianti che vollero nuovamente vedere i luoghi simbolo della regione, in tutto il loro splendore.

Nel 1656 Murad Baksh (l’allora governatore della regione del Gujarat) e figlio dell’imperatore Moghul Shah Jahan, decise di cedere (di vendere, a dire il vero) i villaggi Palitana ad un influente e potente mercante indiano dell’epoca. Iniziò un periodo di grande prosperità, che dura tutt’ora, perché un antico editto consente a Shatrunjaya di resistere in ricchezza. L’area, infatti, è protetta: qui non si pagano le tasse, ad esempio, cosa che ha consentito a questa città-tempio di prosperare per secoli. Come è stato detto, tuttavia, non ci si può dormire, quindi neppure trasferirsi.

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