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Il borgo più verde della Sardegna è bellissimo

In molti tendono a pensare che la Sardegna sia principalmente una meta estiva fatta di spiagge da sogno e mare che sembra uscito da un libro di favole. Ma la verità è bene diversa. Questa meravigliosa isola italiana, infatti, vanta anche dei borghi pittoreschi e una natura che toglie davvero il fiato.

In particolare nell’area del parco del Gennargentu, il vero e proprio cuore della regione, dove sorge un gioiello che si rivela uno dei comuni più elevati di questa terra, ma anche il borgo più verde di tutta l’isola.

Tonara, un borgo da scoprire

Il borgo in questione si chiama Tonara ed è una piccola meraviglia che fa parte della provincia di Nuoro. Un nome particolare, il suo, che deriva da toni e toneri, le rupi calcaree su cui poggia. Il suo bellissimo centro storico è un pullulare di viuzze su cui si affacciano balconi in legno facenti parte di case costruite in pietra.

Non mancano di certo testimonianze antiche come la chiesa campestre di San Sebastiano che ha l’onore di conservare al suo interno un altare ligneo del ‘600. Meravigliose anche le tempere murali che raffigurano la vita di Sant’Antonio da Padova che sono custodite all’interno dell’omonima chiesa e risalenti al ‘700.

Nei dintorni, invece, è possibile scoprire le straordinarie dimore nuragiche e le domus de janas, tombe preistoriche scavate nella roccia. Degna di nota, senza ombra di dubbio, è la sua Casa Porru che si distingue per essere un’imponente dimora padronale che in passato è stata utilizzata anche come carcere. Oggi, tuttavia, è stata riconvertita in museo etnografico e dei mestieri.

Tonara, allo stesso tempo, è anche un pullulare di tradizioni. Le lavorazioni più famose sono quelle del legno, in particolare del castagno, così come i tappeti, ancora oggi filati con antichi telai. Non da meno sono le prelibatezze gastronomiche come il formaggio, in particolare il casu axedu e il casu ‘e murgia.

Ma il vero diamante di Tonara è senza ombra di dubbio il torrone, la cui ricetta è famosa in tutto il mondo grazie a una modifica: al posto delle zucchero si usa il miele.

Perché Tonara è il borgo più verde della Sardegna

Tonara è considerato il borgo più verde dalla Sardegna grazie alla posizione in cui si trova. Il Gennargentu, infatti, permette a questo splendido paese di essere circondato una lussureggiante distesa boschiva con castagni millenari, noccioli e noci. Per questo motivo, sono tantissimi gli itinerari che partono dal borgo e che portano alla scoperta della zona. Tragitti che si possono fare a piedi, in mountain bike e persino a cavallo.

Molto rinomato è anche il suo sottobosco dal quale prendono vita pregiati funghi come ovolo e porcino nero. Dalle foreste, invece, si ricavano i frutti per la produzione artigianale e commercio del torrone. Un dolce a cui è dedicato anche un evento sempre molto atteso: la sagra del torrone, nata nel 1979. Affiancato alla festa, c’è il Campanaccio d’oro, una sfida tra gli artigiani locali nella creazione di campanacci per il bestiame.

Insomma, Tonara è una bellissima realtà del nostro Paese che tra paesaggi incantevoli, tradizioni secolari e vicoli che lasciano senza fiato vale certamente la pena scoprire.

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Dentro il mondo delle parole: l’esperienza immersiva

Attraverso le parole si possono esprimere le idee, i sentimenti e gli stati d’animo, non c’è nessun aspetto della vita sociale che non sia definito e che non venga compreso dalle parole stesse.

Spesso se ne sottovaluta l’importanza e le conseguenze che può avere un loro utilizzo errato. Proprio la necessità di imparare a manipolarle e usarle ha spinto Ann Friedman a dedicargli un intero museo: il Planet Word di Washington. Una struttura che all’apparenza può sembrare piccola, in realtà racchiude in sé un messaggio fondamentale: ispirare e rinnovare l’amore nei confronti delle parole e di conseguenza imparare a definire noi stessi.

Scoprire le parole divertendosi

Solo l’argomento su cui è incentrato il museo situato al 925 della 13th Street NW, può bastare per inserire l’edificio tra le tappe imperdibili della capitale degli Stati Uniti. Ma se vuoi una motivazione in più per non perdertelo, devi sapere che è uno dei musei più interattivi della capitale statunitense.

L’immersione del visitatore tra le installazioni si percepisce già dall’ingresso: attraversato il cancello si viene accolti da un salice parlante creato dall’artista Rafael Lozano-Hemmer. Passando tra i suoi rami verrai “avvolto” dai mormorii in centinaia di lingue differenti.

Una volta all’interno potrai iniziare il tuo tour alla scoperta delle parole direttamente dal terzo piano. Qui vivrai un vero e proprio tuffo nell’origine del linguaggio, attraverso un muro di vocaboli alto più di 6 metri che ripercorre la nascita della lingua inglese. Passando alla stanza successiva, piccoli tablet posizionati sulle pareti ti mostreranno dei bambini che imparano a parlare.

Nel piano intermedio, invece, potrai vivere un’esperienza più coinvolgente dell’altra. Avrai la possibilità di cimentarti con un famoso discorso in pubblico, ma anche dipingere la stanza letteralmente con le parole. Se poi sei abituato alle classiche biblioteche, dovrai ricrederti: quella di questo museo è magica perché i libri prenderanno vita proprio davanti ai tuoi occhi.

Non manca nemmeno il karaoke per interpretare un brano famoso e imparare le tecniche per creare una hit musicale. Al primo piano, infine, potrai capire quanto sono potenti le parole ascoltando quelle degli altri visitatori o lasciando una tua testimonianza.

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Nella sala The Spoken World è possibile ascoltare le lingue di tutto il mondo

Un luogo simbolo dell’educazione

Entrare nel Planet Word di Washington non significa solamente vivere un’esperienza interattiva unica nel suo genere, ma anche scoprire un edificio ricco di storia. Il museo si trova infatti all’interno della Franklin School, un antico istituto scolastico costruito nel 1869 che rappresentava all’epoca il punto di riferimento per la città per quel che riguarda l’educazione dei giovani cittadini di Washington. Nel corso del tempo ha avuto un declino progressivo, tanto che negli anni Settanta si è persino pensato di demolirlo. Nel 2000, invece, è stato trasformato in un rifugio per ospitare i senzatetto.

Due anni fa è stato scelto come sede perfetta per ospitare il museo interattivo, tornando ad essere quello per cui era nato, un luogo votato all’educazione. Passano gli anni e i decenni, ma l’obiettivo di questo edificio simbolo della città è rimasto invariato. Un obiettivo nobile e proprio per questo visitare il museo non è soltanto piacevole, ma anche completamente gratuito.

Museo sulla parola: il Planet Word a Washington

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Il muro di parole alto più di 6 metri
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Si trova in Romania uno dei castelli più belli d’Europa

Sinaia è una splendida cittadina della Romania situata a circa 120 chilometri a Nord dalla Capitale Bucarest. Una località davvero sorprendente tanto da essere considerata “la perla dei Carpazi”. Si trova, tra le altre cose, a 800 metri di altitudine sul livello del mare e in quello che possiamo definire il confine tra la Valacchia, una regione storica della Romania, e la ben più famosa Transilvania.

Fare un viaggio da queste parti per molti vuol dire andare alla ricerca di edifici angusti e storie leggendarie fatte di lupi mannari e vampiri, ma la realtà, spesso, è ben diversa. Su quella che è considerata la vera e propria porta d’ingresso della Transilvania, come un miraggio appare un maniero dai profili fiabeschi e che ancora oggi è considerato uno dei più belli d’Europa: il Castello di Peleș.

Castello di Peleș, un po’ di storia

Il Castello di Peleș è una delle attrazioni turistiche più visitate della Romania. Ma del resto è comprensibile: è un eccezionale esempio di architettura neo-rinascimentale tedesca. È stato costruito tra il 1875 e il 1883 per volere di re Carlo I e, oltre a essere definito “uno dei più incantevoli di tutto il continente”, è stato il primo tra gli europei ad essere interamente illuminato dalla corrente elettrica.

Carlo I di Romania decise di edificarlo a Sinaia perché, in seguito a una visita della città, restò particolarmente colpito dalla bellezza del paesaggio. Fu così che scelse di acquistare un terreno e far costruire un castello come residenza estiva per la Famiglia Reale.

Castello di Peleș romania

Fonte: iStock – Ph: SCStock

Il meraviglioso Castello di Peleș

Esso fu usato usato dai monarchi fino al 1948 quando, con l’avvento del Comunismo, fu trasformato in un museo che aprì le sue porte al pubblico solo nel 1990.

In sostanza, è una costruzione dalla storia abbastanza recente, ma nonostante questo riesce a conquistare ogni suo visitatore con la bellezza dei suoi decori, sia esterni, sia interni. La sua struttura, infatti, fu appositamente studiata per fornire un edificio con servizi mai visti prima nei castelli europei. Non solo impianto elettrico, quindi, ma anche riscaldamento centralizzato e persino un’aspirapolvere.

Visitare il Castello di Peleș

Il Castello di Peleș vanta una superficie di ben 3.200 metri quadri e 160 stanze riccamente decorate e ammobiliate a cui fanno seguito 30 bagni.

Ma è già ammirandolo dall’esterno che ci si rende conto di essere di fronte a un capolavoro di architettura. Infatti, vi ritroverete dinnanzi a uno splendido edificio bianco come la neve dove a far da contrasto ci sono alcune pregevoli finiture in legno scuro, torrette a punta, tanti motivi alle finestre, sui tetti e sulle balaustre. Un’architettura, quindi, che riesce perfettamente a inserirsi nell’armonia del paesaggio circostante.

Esso, infatti, è completamente abbracciato dalla natura in cui ogni tanto spuntano sculture, fontane e vasi in marmo di Carrara che contribuiscono a renderlo ancor più fiabesco. Tra le statue più importanti vi segnaliamo quella di Carlo I realizzata dallo scultore italiano R. Romanelli, il monumento alla regina Elisabetta, leoni che fanno da guardia e molto altro ancora.

Non da meno sono le meraviglie che custodisce gelosamente tra le sue mura. A tal proposito però c’è da fare una premessa: delle 160 stanza presenti solo 10 visitabili. Nonostante questo, rimarrete certamente impressionati dai maestosi lampadari fatti in vetro di Murano, affreschi, ricami in seta e molti altri lussi. Ma non solo. A lasciarvi un segno indelebile, infatti, saranno anche le sculture in noce e bassorilievi situati all’ingresso, così com il soffitto in vetro che si apre sul cielo.

Peleș castello dettagli

Fonte: iStock

Alcuni dettagli del Castello di Peleș

Ogni stanza, poi, ha qualcosa di spettacolare e unico e il fatto più curioso è che, nonostante gli stili diversi con cui sono state progettate, cìò che emerge è un insieme armonico.

Le decorazioni delle camere hanno temi esclusivi provenienti da tutte le culture del pianeta: italiano, inglese, francese, spagnolo-moresco, turco, barocco, rococò e molte altre ancora. Un castello veramente eccezionale e che riesce a catapultare chiunque lo scopra in una dimensione dai profili fiabeschi. Ma Peleș è anche il Castello dei primati, a tal punto da essere uno dei più innovativi dell’epoca.

Oltre alla corrente elettrica, il riscaldamento e l’aspirapolvere, nel Castello di Peleș vennero persino installati degli ascensori. Inoltre, nella sala del teatro è stata presentata per la prima volta in Romania una pellicola cinematografica.

Cos’altro vedere a Sinaia

Il Castello di Peleș vale certamente il viaggio. Ma la verità è che la città in cui si trova, Sinaia, ha molte altre meraviglie che vale la pensa scoprire. Per esempio, qui si erge un altro splendido Castello: il Pelișor, le cui stanze più importanti sono la Holul de onoare (sala d’onore) che sfoggia un bel lucernario in vetro e acciaio, l’ufficio di Re Ferdinando I che invece è impreziosito da mobili in stile neo-rinascimentale tedesco, e la camera d’oro.

Molto interessante anche il Monastero di Sinaia, dedicato a Santa Caterina, dove si sviluppano due cortili nel cui centro sorge una piccola chiesa costruita in stile bizantino: la Biserica Veche (chiesa vecchia) e la Biserica Mare (chiesa grande). Degno di nota anche l’interno in cui poter ammirare affreschi e mosaici in stile neo-bizantino e anche un museo che ospita una collezione di icone e croci risalenti al XVII secolo, la prima bibbia scritta in romeno e una miriade di oggetti preziosi.

Poi Villa Luminiș che era la casa del compositore e musicista romeno George Enescu. Costruita negli anni ’20 del secolo scorso in stile Brâncoveanu, fu abitata dall’artista dal 1926 al 1946. Da quel momento in poi, purtroppo, fu costretto a lasciare la Romania e trasferirsi a Parigi. Per questo motivo, decise di donare la villa allo Stato romeno con lo scopo che venisse utilizzata come luogo di creazione e ricreazione degli artisti. Nel 1995 vi fu inaugurato un museo.

Infine, Sinaia è anche una delle più famose località sciistiche di tutta la Romania, ma anche la meta ideale per chi ama stare a contatto con la natura grazie ai suoi tanti – e bellissimi – percorsi escursionistici ben segnalati e decisamente ben tenuti.

Insomma, vale davvero la pena fare un viaggio a Sinaia sia perché qui svetta uno dei castelli più belli di tutta Europa, sia perché è una destinazione che ha davvero molto da offrire ai suoi visitatori.

Sinaia romania

Fonte: iStock

Sinaia in inverno
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In Thailandia c’è un treno galleggiante: corre sull’acqua per pochi giorni

Chi l’ha detto che per viaggiare sull’acqua bisogna per forza affidarsi a una nave? Non c’è niente di meglio di una imbarcazione per solcare i mari di tutto il pianeta, ma c’è una parte del mondo in cui a galleggiare è un mezzo di trasporto molto diverso. In Thailandia esiste un treno che è capace di percorrere un tratto del suo percorso proprio sull’acqua.

La sensazione che ha il viaggiatore è proprio quella di essere comodamente seduto nella propria carrozza, mentre sotto di lui non ci sono i tradizionali binari ma un intero lago! Magia? Niente di tutto questo.

Un percorso ferroviario davvero unico

Di treni speciali e particolari ne esistono tantissimi in ogni angolo del globo, ma quello che attraversa la diga Pasak Jolasid, il più grande bacino idrico della Thailandia centrale, è unico nel suo genere. In realtà non è stata creata alcuna tecnologia che consente al mezzo ferroviario di rimanere a contatto con l’acqua, si tratta semplicemente della sensazione di viaggiare su di essa.

Le rotaie, infatti, si trovano in parte al di sopra del lago che è formato dalla diga e il treno si trasforma in una vera e propria “nave” nel periodo in cui le piogge monsoniche sono più abbondanti. Il percorso del treno galleggiante è presto detto. Si parte dalla capitale della nazione asiatica, Bangkok e si raggiunge la diga che sorge nella provincia di Lop Buri. In questo tratto è presente un binario sopraelevato che permette di ripetere ogni volta la “magia”.

Tra Bangkok e Lop Buri ci sono poco più di 100 chilometri, ma il viaggio dura circa sei ore. Il mezzo, infatti, viaggia a una velocità tale da consentire a tutti i passeggeri di assaporare ogni attimo dell’esperienza. Con un panorama di questo tipo, non si resiste dallo scattare una foto dopo l’altra, un viaggio che è anche molto romantico e quindi tra i più gettonati dalle coppie.

Il treno di Pasak Jolasid in Thailandia

Fonte: Getty Images

Il treno Pasak Jolasid visto dal ponte

Il grande successo del treno galleggiante

Di sicuro gli appassionati di viaggi insoliti in treno non staranno nella pelle nel provare un percorso così suggestivo, ma il treno galleggiante non è attivo tutto l’anno. Le partenze e gli arrivi si susseguono dal mese di novembre fino a quello di febbraio, anche se è facile immaginare come i biglietti vengano venduti in pochissimo tempo. Per avere un’idea del successo di questa iniziativa, basta aggiungere che normalmente la prenotazione dei viaggi termina prima di Capodanno.

I biglietti vanno da poco meno di 9 euro fino a un massimo di 15, a seconda che si scelga una carrozza con l’aria condizionata o meno. L’idea di un treno tanto bizzarro è venuta in mente alle autorità locali per riattivare i viaggi in Thailandia e soprattutto gli spostamenti, visto che i trasporti sono stati messi a dura prova dalla pandemia. Il paese asiatico ha voluto puntare soprattutto sulle ferrovie, provando a introdurre una novità in grado di immergersi completamente nelle meraviglie che solo la natura sa offrire. Ogni volta che si sale a bordo di questo mezzo, un po’ come succede nel film “Il ragazzo di campagna”, è impossibile non sottolineare che il treno è sempre il treno. 

Pasak Jolasid, il treno in Thailandia

Fonte: Getty Images

Il suggestivo treno mentre attraversa la diga Pasak Jolasid
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L’incredibile ritrovamento avvenuto in Germania

Nessuno avrebbe mai immaginato cosa si nascondeva in quelle scatole polverose, rimaste per tanto tempo dimenticate in un angolo. L’incredibile ritrovamento è avvenuto in Germania, presso la biblioteca diocesana dell’Arcivescovado di Monaco di Baviera e Frisinga: per gli esperti, si tratta della “scoperta filosofica del secolo”.

Germania, trovati manoscritti con appunti di Hegel

Questa volta non si tratta di un misterioso relitto affondato in acque oceaniche o di un’incredibile scoperta archeologica come le tante avvenute negli ultimi mesi. Bensì di oltre 4mila pagine di appunti delle lezioni e delle conferenze tenute da Georg Wilhelm Friedrich Hegel, importante filosofo tedesco conosciuto come il padre dell’idealismo. Quello che è riemerso è qualcosa di eccezionale: “Da quasi due secoli i ricercatori non esaminavano queste carte da vicino” – ha spiegato Klaus Vieweg, professore di storia della filosofia presso l’Università di Jena, nonché biografo e ricercatore di Hegel, che ha ritrovato i manoscritti.

“È una scoperta così sorprendente e fortunata che capita probabilmente una sola volta nella vita, è paragonabile alla scoperta di una nuova partitura di Mozart o di Beethoven” – ha concluso Vieweg. Gli appunti erano contenuti in cinque scatole d’archivio assieme a numerose cartelle e ad altri documenti scritti a mano, il tutto ben celato nella biblioteca diocesana dell’Arcivescovado di Monaco di Baviera e Frisinga. Queste carte possono finalmente fare luce su alcuni degli aspetti più complicati della dottrina hegeliana, in considerazione delle numerose riflessioni sul tema della libertà, sulla religione e sull’arte che vi sono contenute.

I manoscritti inediti sulle lezioni di Hegel

Secondo quando emerso ad una prima analisi, gli appunti sono stati trascritti dal filosofo e politico cattolico Friedrich Wilhelm Carove, che è stato uno dei primi studenti di Hegel presso l’Università di Heidelberg. Le trascrizioni sarebbero state donate al professore di filosofia e medico Karl Joseph Hieronymus Windischmann, quindi ereditate da suo figlio Friederich, teologo e vicario generale dell’arcidiocesi di Monaco e Frisinga attorno alla metà dell’800.  Quest’ultimo ha lasciato un’ampia collezione di documenti e manoscritti, tra i quali ora sono emersi gli appunti delle lezioni di Hegel.

Vi è anche la trascrizione di una conferenza di estetica che il filosofo ha tenuto a Heidelberg, tanto a lungo cercata: sarebbe l’unica testimonianza esistente di tale evento. Le opere di Hegel sono da sempre considerate tra le più difficili da comprendere, in ambito filosofico. I manoscritti ora potrebbero aiutare gli esperti a fare chiarezza sulle sue idee: gli appunti sarebbero una specie di “work in progress”, ovvero un’architettura complessa di riflessioni attraverso le quali il filosofo avrebbe pian piano sviluppato le sue opinioni sull’estetica e sulla definizione di arte.

Ora, questi preziosi manoscritti verranno raccolti in un’edizione che conterrà anche il commento di un team di esperti internazionali: tra di loro, lo stesso Vieweg, autore della scoperta, e Christian Illies, professore di filosofia presso l’Università di Bamberga. “Nel corso degli anni, la scoperta di nuovo materiale è diventata sempre meno probabile” – ha spiegato quest’ultimo. Per questo, il ritrovamento degli appunti delle lezioni di Hegel è così importante ed emozionante per gli studiosi che adesso potranno farsi una nuova idea sulle riflessioni del grande filosofo.

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Shaniko, la città fantasma dove il tempo si è fermato

C’era una volta una cittadina da film, di quelle polverose, dove tra la fine del 1800 e l’inizio del 1900 tutti erano a dir poco ossessionati dalla febbre dell’oro. Questa cittadina si chiamava (anzi, si chiama) Shaniko e sembrerebbe quasi il set di un film: invece è una città fantasma (quasi) disabitata, dove tutto sembra essersi fermato e cristallizzato.

Costruita nel 1901, Shaniko si trova nell’Oregon ed è oggi un luogo-culto per coloro che vogliono sentire sulla propria pelle le storie dei cercatori d’oro, dei pionieri e dei possidenti terrieri che hanno deciso mano a mano di abbandonarla, rendendola adesso un suggestivo punto d’approdo per gli amanti delle cittadine storiche.

La storia di Shaniko, città fantasma con un passato d’oro

Perché Shaniko è così particolare? Di città fantasma, in fondo, ce ne sono davvero tantissime. Ebbene, la verità è che Shaniko si distingue perché non esiste città nell’Oregon che abbia avuto una crescita e un declino più rapidi. Sì, perché la città è nata, è diventata un punto di riferimento e si è poi letteralmente prosciugata nel giro di un solo decennio: dal 1901, anno della sua fondazione, al 1911, anno in cui è divenuto uno dei luoghi meno popolati dello stato americano.

Shaniko è nata per necessità: in sostanza nel 1897, la Columbia Southern Railway Company presentò i documenti per costruire una ferrovia che andasse da Biggs, sul fiume Columbia, a Wasco, Moro e Grass Valley, dove c’era sia chi si cimentava nella corsa all’oro sia chi guadagnava proprio sui cercatori, costruendo imprese che rispondessero ai loro bisogni.

Shaniko in Oregon, città dove il tempo si è fermato

Shaniko divenne fondamentalmente un terminal ferroviario (il suo nome originale era Cross Hollows). La sua posizione era a dir poco privilegiata: si trovava al centro di quasi 52.000 chilometri di terreno che produceva lana e grano. I primi abitanti ci videro lungo e proprio sulla lana costruirono la loro fortuna: ne immagazzinarono talmente tanta da far guadagnare alla cittadina il titolo di “Capitale Mondiale della Lana“, guadagnandosi il primato in Oregon.

Gli affari andavano alla grande: la lana poteva essere venduta sia alle industrie che ai cercatori d’oro, così come il grano che, seppur in misura minore, sembrava riempire i magazzini, generando altissimi introiti. Tutto, insomma, sembrava andare per il verso giusto. Eppure, la fine della cittadina era proprio dietro l’angolo.

Il declino di Shaniko

A guastare la festa sono infatti arrivati i magnati delle ferrovie Edward Harriman e James J. Hill, che hanno letteralmente affossato la Columbia Southern Railway Company creando, una linea ferroviaria in Oregon che non poteva avere rivali: andava dal Deschutes River Canyon fino a Bend. Così la popolazione di Shaniko, che si attestava intorno alle 700 persone, iniziò a diminuire.

Il panorama desolato della città fantasma di Shaniko

A peggiorare la situazione sono stati due incendi (che si ipotizza siano stati dolosi), che distrussero gran parte di quello che era ritenuto il “business district” di Shaniko: si trovavano proprio qui sia i negozi che i magazzini di lana e grano, oltre che tutti i centri burocratici più importanti. Vista la situazione e visto che sempre più pionieri e cacciatori d’oro avevano cambiato punto d’appoggio per i suoi affari, la cittadina si svuotò. Ad oggi, pare che ci vivano solo un paio di famiglie che hanno ereditato le proprietà esistenti, e vi si recano solo ed esclusivamente in piccoli periodi dell’anno.

Shaniko, attraente città fantasma

Una vera e propria storia lampo, dunque, quella di Shaniko, che ancora oggi accattiva i turisti, attratti anche dal fatto che non tutte le strutture sono andate perse. È ancora perfettamente conservato il Columbia Southern Hotel, ora noto come Shaniko Hotel: costruito in stile italiano, è stato un hotel, una banca, un saloon, una sala da ballo e il luogo dove si tenevano le riunioni cittadine e i consigli comunali. Ad oggi è ancora l’edificio più imponente e importante della città, ed è è stato inserito nel registro nazionale dei luoghi storici nel 1979.

Un dettaglio della Shaniko Oregon School

Altrettanto ben conservata è la Shaniko School, realizzata in legno, la cui particolare forma ricorda una chiesa. Ancora, sono integri e visitabili il municipio, la prigione, la cappella nuziale e un magazzino destinato alla conservazione della lana che si trovava fuori dal business district. Attualmente, l’hotel è di proprietà di Robert B. Pamplin Jr., uomo d’affari che ha ristrutturato alcuni edifici e che vorrebbe costruire nuove case. Tuttavia, i lavori sono attualmente fermi perché gli eredi delle proprietà non vogliono vendere. Non resta che attendere per capire, insomma, se prima o poi Shaniko risorgerà.

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I pozzi indiani che sono dei capolavori architettonici

Per via delle inevitabili associazioni con il nostro sapere e la nostra conoscenza, quando pensiamo ai capolavori architettonici dell’India ci vengono subito in mente il Taj Mahal o i sontuosi palazzi del Rajasthan. Invece non è tutto qui, perché per esempio, proprio in Rajasthan, si trovano dei veri e propri esempi di bellezza e arte pensati dall’uomo e per l’uomo: i pozzi indiani con gradini.

Queste strutture sono sparse per tutto lo Stato (ma se ne trovano altri in giro per l’India) e non solo restituiscono un colpo d’occhio che lascia senza fiato, ma hanno una storia lunghissima, che mescola acume, ingegno e necessità.

I pozzi indiani in Rajasthan e la loro storia

Immaginate di trovarvi di fronte a quelli che sembrano degli istrionici forti finemente decorati, caratterizzati da gradini che portano verso il centro: avrete un’idea di come possano apparire i pozzi indiani con i gradini. Di certo potreste chiedervi come siano nati, ed è presto detto: da sempre le regioni settentrionali e occidentali dell’India hanno dovuto lottare con la siccità. Lunghi periodi di secca portava la popolazione ad affrontare condizioni disperate e l’unico luogo dove si poteva trovare l’acqua era davvero molto, molto in profondità.

Pozzi indiani in Rajasthan: dei veri capolavori architettonici

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Il pozzo di Chand Baori

Accedere a luoghi sotterranei, com’è ovvio che sia, non era affatto semplice. Così, fra il 200 e il 400 d.C. alcuni regnanti del Rajasthan diedero ufficialmente il via alla realizzazione di pozzi che, inizialmente, si trovavano a ridosso di piccoli stagni. Con il passare del tempo e con l’aumento delle competenze in campo idrogeologico, la costruzione di queste strutture si fece via via più complessa, fino ad arrivare proprio alla costruzione dei pozzi con gradini, arricchiti da serbatoi, canali e dighe che garantivano la conservazione e la distribuzione dell’acqua.

I pozzi con gradini e la loro importanza

Più i pozzi con gradini diventavano efficienti, più architetti e regnanti si ingegnarono per farne dei veri e propri simboli di spiritualità e natura. In base alla loro struttura, i pozzi venivano consacrati a determinate divinità e venivano decorati in modo tale da inneggiare alla tranquillità, alla prosperità e alla gioia. Alcuni di questi pozzi hanno al loro interno degli spazi sacri dove chi si abbeverava, prelevava l’acqua o si bagnava potesse prima (o dopo) dedicare una preghiera di ringraziamento agli dei.

Pozzi indiani con gradini in Rajasthan: capolavori architettonici

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Il pozzo di Adalaj Vav

Tutti i pozzi sono scavati nella pietra e/o arricchiti con materiali come terra, pietrame e rocce. L’obiettivo era non solo quello di permettere a tutti di raggiungere l’acqua, ma anche di creare un ambiente che desse immediatamente sollievo dalla calura. Nei pressi dei pozzi, infatti, sono stati spesso piantati alberi e creati dei padiglioni per consentire a chiunque arrivasse di beneficiare sin da subito del ristoro che l’ambiente umido poteva garantire.

Il significato dei gradini dei pozzi indiani

Ma perché ci sono così tanti gradini nei pozzi indiani? Chiaramente tutto è stato studiato per permettere alle persone di raggiungere l’acqua, ma attenzione: niente è stato lasciato al caso. I pozzi indiani (che in Rajasthan vengono chiamati anche bawdibawribaoli o bavadi) erano suddivisi in piani specifici destinati a ogni classe sociale e l’accesso all’acqua avveniva tramite percorsi differenti che, naturalmente, portavano a dei “laghetti” artificiali differenti.

I pozzi con gradini del Rajasthan: capolavori d'architettura

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Il pozzo di Chan Baori

Non era permesso, per esempio, che donne e uomini accedessero allo stesso laghetto, così come non era permesso che ricchi e poveri si incontrassero. Inoltre, alcuni percorsi erano destinati a portare a delle aree specifiche destinate a cerimonie sacre o alle attività religiose in generale. Infine, in alcuni pozzi in particolare la discesa (e poi la salita) dei gradini poteva anche essere un cammino di caduta e rinascita: sono state infatti trovate delle incisioni che testimoniano questo valore simbolico.

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La CNN racconta Genova e i suoi palazzi “reali”

L’Italia è una terra meravigliosa. Noi lo sappiamo benissimo e anche gli stranieri sembrano essere d’accordo. E per questo motivo molti quotidiani internazionali amano scrivere delle nostre bellezze. Questa volta è la CNN a parlare di noi e lo fa raccontando la spettacolare città di Genova.

Genova e i suoi affascinanti Palazzi dei Rolli

La CNN racconta Genova spiegando ai suoi lettori che alcuni dei palazzi di questa città sono così spettacolari da essere patrimonio mondiale dell’UNESCO. Non a caso, hanno definito il capoluogo ligure “una delle città più spettacolari d’Italia”

Il racconto sottolinea che Genova ospita quello che si dice essere il centro cittadino medievale più intatto di tutta Europa. Ma in particolare ciò che conquista i visitatori sono i Palazzi dei Rolli, un sistema di dimore aristocratiche che lasciano davvero a bocca aperta.

Negli anni fra Rinascimento e Barocco, infatti, i nobili genovesi fecero costruire questa serie di edifici che ancora oggi vantano magnifiche facciate con decorazioni in stucco, marmo o dipinte, atri grandiosi, giardini con fontane e ninfei e molto altro ancora. Altrettanto affascinanti sono gli interni con grandi saloni affrescati, sontuosi arredi, pregiate collezioni, e ricche quadrerie.

Palazzo Sinibaldo Fieschi genova

Fonte: iStock – Ph: Simona Sirio

Il Palazzo Sinibaldo Fieschi di Genova

Il sito UNESCO attualmente comprende 42 palazzi degli oltre 100 esistenti, che da Strada Nuova arrivano a gran parte del centro storico attraverso Via Lomellini, Piazza Fossatello e Via San Luca, fino a Piazza Banchi e al mare. Alcuni di essi ancora oggi appartengono a privati, mentre altrettanti sono diventati sedi di banche, uffici e musei.

I Palazzi dei Rolli più belli di Genova

prima di raccontarvi quali sono i Palazzi del Rolli più belli di Genova c’è da fare una piccola premessa: questi edifici sono chiamati “dei Rolli” perché un tempo ospitavano le alte personalità che si trovavano in città. Gli alloggi, all’epoca, venivano assegnati sulla base di un sorteggio dalle liste degli alloggiamenti pubblici chiamate, per l’appunto, “Rolli”, che in italiano corrisponde a “ruoli”, cioè elenchi.

Palazzo Stefano Balbi

Il primo di cui vi vogliamo parla è il maestoso Palazzo Stefano Balbi che, nei fatti, è uno dei più importanti edifici rinascimentali di Genova. Conosciuto anche come Palazzo Reale, è oggigiorno un polo museale costituito dalla dimora storica, dall’annesso giardino e dalla pinacoteca e la Galleria di Palazzo Reale.

Nel corso degli anni ha subito diversi passaggi di proprietà che corrispondono all’arricchimento del palazzo e delle sue collezioni. Vi basti pensare che negli spazi e nelle sale della dimora vi si trovano affreschi di Valerio Castello, di Giovanni Battista Carlone, fino ad arrivare a interventi seicenteschi che si affiancano alla fase settecentesca dei Durazzo.

Palazzo Stefano Balbi genova

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Il Palazzo Stefano Balbi di Genova

Palazzo Bianco

Altrettanto straordinario è Palazzo Bianco, detto anche Palazzo di Luca Grimaldi o Palazzo Brignole Sale, che oggi è sede di una galleria pubblica che coincide con una sezione dei Musei di Strada Nuova a cui fanno capo anche palazzo Rosso e Palazzo Doria-Tursi.

Al suo interno, infatti, si possono ammirare importanti opere di arte italiana, fiamminga e spagnola tanto da essere considerato il fulcro del sistema dei musei del Comune di Genova.

Palazzo Rosso

Molto interessante anche Palazzo Rosso, detto anche Palazzo Rodolfo e Francesco Maria Brignole, che fu costruito tra il 1671 e il 1677 dai fratelli Rodolfo e Gio Francesco Brignole Sale.

Esso non passa assolutamente inosservato in quanto è particolarmente rappresentativo dell’architettura italiana del primo Settecento. Grazie ai restauri subiti nel corso degli anni, al suo interno sono custoditi arredi e dipinti caratteristici del Settecento, come per esempio Strozzi, Van Dyck, Veronese e molti altri.

Oltre a questo, Palazzo Rosso vanta una particolarità davvero interessante: un terrazza da cui godere di una veduta panoramica  a 360 gradi sull’intera città: il Mirador di Palazzo Rosso.

Palazzo Rosso genova

Fonte: iStock – Ph: saiko3p

Il Palazzo Rosso di Genova

Palazzo Doria-Tursi

In Via Garibaldi l’edificio più imponente è senza ombra di dubbio Palazzo Doria-Tursi. Vi basti pensare che occupa tre isolati e che conserva persino due ampi giardini.

La facciata è policromatica e alterna pietra rosa, ardesia e marmo bianco. Inoltre, è collegato all’adiacente Palazzo Bianco. Al suo interno, infatti, vi solo le ultime sale della Galleria Pubblica dove è esposta anche la Maddalena Penitente di Antonio Canova. La Sala Paganini, invece, custodisce gelosamente il violino utilizzato dal compositore insieme ad altri cimeli del violinista e compositore genovese.

Palazzo Podestà

Altrettanto affascinante è il Palazzo Podestà, chiamato anche Palazzo Nicolosio Lomellino, che si contraddistingue per la sua facciata decorata con stucco bianco e azzurro.

Tra le sue mura si sviluppa un corridoio che porta ad uno spazio aperto dove si trova un ninfeo realizzato da Domenico Parodi nel 1700. Presenti, inoltre, anche tantissimi affreschi come il “Giove e la capra Amaltea” di Giacomo Antonio Boni e il “Bacco regge la corona Arianna” di Domenico Parodi.

Recentemente restaurato, è accessibile negli spazi dell’atrio, del giardino rigoglioso di piante e popolato da creature mitologiche scolpite nella pietra, del ninfeo e nelle sale dei due piani nobili in cui si organizzano mostre, visite guidate ed eventi culturali.

Palazzo Podestà genova

Fonte: iStock – Ph: Simona Sirio

Una angolo del Palazzo Podestà di Genova

Cos’altro vedere assolutamente a Genova

Genova è una città in grado di far innamorare chiunque vi ci metta piede. Tante le cose da visitare, ma fra tutte vi consigliamo di fare un salto al suo porto antico, vero simbolo della città.

Non a caso, è uno dei porti più antichi del Mediterraneo che negli anni è stato reso ancora più splendido grazie all’intervento di Renzo Piano che lo ha trasformato in una piattaforma waterfront dove convive in armonia l’atmosfera antica con quella contemporanea.

Altrettanto interessante è il suo centro storico che è un dedalo di vicoli (caruggi) che si aprono inaspettatamente in piccole piazzette. Tra tutte queste vie e viuzze si possono scorgere delle vere meraviglie come chiese e palazzi tra cui, per esempio, la splendida Cattedrale di San Lorenzo, Porta Soprana, la casa di Colombo e molto altro ancora.

Infine, se si decide di visitare Genova non si può non fare un salto a Boccadasse che è un vero e proprio borgo marinaro inglobato nella città. A lasciar ancor più senza parole è che si sviluppa nel cuore di un’insenatura che si affaccia su uno splendido mare, una zona che regala un’atmosfera quasi magica impreziosita da edifici colorati ed eleganti che fanno da cornice anche ad una piccola, ma assolutamente suggestiva, spiaggia.

Boccadasse genova

Fonte: iStock

Vista di Boccadasse
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Alberi di Natale più belli del mondo: uno è in Spagna

Immaginate di essere il sindaco di una città spagnola, già suggestiva di suo, e di porvi un obiettivo ambizioso: fare il Natale più meraviglioso che esista. Da dove iniziereste? Esatto: dal realizzare uno degli alberi di Natale più belli del mondo. Una missione non da poco, ma che da qualche anno a questa parte i sindaci di Vigo riescono a portare a compimento grazie a una delle installazioni più luminose e magiche che esistano sulla faccia della Terra.

Sì, perché il luminoso albero di Natale di Vigo non è “solo” un turbinare di lucine che si accendono e si spengono. È una creazione impregnata di spirito natalizio, che vuole simboleggiare la capacità di toccare il cielo con le emozioni e i sentimenti più belli che tanto distinguono questo periodo. Incantevole, non è vero?

Un'immagine dell'albero di Natale di Vigo

L’idea dell’albero di Natale di Vigo

Ma andiamo per ordine: dunque, perché questo albero di Natale è così speciale? Perché nasce, come abbiamo già accennato all’inizio, dall’idea di realizzare qualcosa di magnifico per questo periodo così magico. Pare che Abel Ramón Caballero Álvarez, sindaco di Vigo dal 2007, abbia a lungo ponderato su come rendere famosa la cittadina galiziana durante le festività. Vigo è famosa per lo stabilimento Peugeot Citroën, ma il sindaco desiderava davvero che la sua fama fosse associata al Natale.

Vigo, uno degli alberi di Natale più suggestivi di Spagna

Secondo Caballero Álvarez, infatti, la città ha tutte le carte in regola per giocare contro i “luoghi sacri” delle decorazioni natalizia (il New York e il Rockefeller Center in primis). Così, ecco l’idea: realizzare un turbinare di decorazioni che culminassero in un enorme albero di Natale che si distinguesse. Perché in fondo, di alberi fatti di lucine ne esistono centinaia, migliaia, milioni, ma il sindaco voleva di più: un’installazione di oltre 11 milioni di luci led di ultimissima generazione, dunque a basso impatto energetico.

I giochi di luci dell’albero di Natale di Vigo

Le lucine, che accendono l’albero di Plaza da Constitucion, non si surriscaldano e rispettano l’ambiente anche nel pieno delle loro funzioni. Anche le luci della suggestiva stella-puntale sono led. Ogni anno la stella assume una forma leggermente diversa, ma resta l’unico punto perennemente acceso e non cangiante, che brilla attirando l’attenzione verso il cielo. Ma, ovviamente, non è tutto qui. L’albero, che diventa ogni anno più grande, si distingue anche per i suoi giochi di luci.

Vigo, uno degli alberi di Natale più belli di Spagna

Per spiegarli, possiamo dire che questi giochi di luci contribuiscono a dare all’albero di Natale un tocco originale: cambiano continuamente sia la durata e le intermittenze del luccichio che la loro intensità, oltre che il colore. Alternandosi, inoltre, creano vortici, spirali, immagini geometriche e illusioni ottiche che lasciano tutti a bocca aperta. Per chi vuole vivere un’esperienza davvero magica, inoltre, è possibile entrare al suo interno, godendosi la bellezza di una “gabbia” di luci.

Le decorazioni, l’albero e la sfida di Vigo

Se già l’albero di Natale vi affascina, sappiate che non è l’unica cosa che brilla a Vigo durante le feste natalizie. Di anno in anno, la città si arricchisce di nuove decorazioni e nuove installazioni e il sindaco cerca di decorare tutti gli alberi lungo i viali. Nel 2020, il consiglio comunale ha dato il via durante la primavera alla piantumazione di nuovi arbusti e alberelli, sia per rendere la città più green che per illuminarli durante le feste.

In generale, i lavori per rendere magico il Natale a Vigo iniziano a fine luglio/inizio agosto, con idee per tingere di luce quasi 400 strade ogni anno. Il risultato è un contraltare di luminarie e insegne, di addobbi e di fiocchi, ma non solo: negozi e viali si riempiono del profumo di agrumi e cannella che vengono essiccati, durante i mesi precedenti, proprio per diventare parte integrante delle decorazioni natalizie. Che dire, a dicembre è proprio il caso di programmare una tappa in Galizia. Non trovate?

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Il curioso caso del villaggio che ha più libri che abitanti

C’è Emily Dickens che vi osserva. Poco distante, trovate anche Shakespeare. E sì, se guardate bene c’è anche Dostoevskij, insieme a Pirandello e a Francis Scott Fitzgerald. È un sogno? No, è Hay-on-Wye, un villaggio incastonato nella suggestiva contea di Powys, in Galles, “popolato” più da libri che da esseri umani. Un vero e proprio sogno non solo per i booklovers, che possono trovare qui qualsiasi opera letteraria amino o vogliano scoprire, ma anche per chi va in cerca di quiete.

Sì, perché Hay-on-Wye è la perfetta incarnazione del villaggio da favola abbracciato dal verde, con tante casette in muratura e tetti spioventi. L’aria sa di rugiada, di pagine ingiallite e di fieno. E non a caso, dal 2018, è stato scelto dal The Guardian per il suo Book-Festival, nel pieno rispetto della tranquillità del luogo e con grande gioia di tutti gli abitanti, che accolgono i turisti con pietanze e bevande tipiche.

Hay-on-Wye, libri in mostra per il festival

La storia di Hay-on-Wye

Siamo sicuri che, come noi, vi interesserà sapere come Hay-on-Wye sia diventato il villaggio gallese dedicato al libro per eccellenza. Per capirlo bisogna fare un passo indietro a quando, in epoca normanna, il villaggio sorse nel punto più settentrionale del Brecon Beacons National Park e a ridosso del lato meridionale del fiume Wye. L’obiettivo della sua fondazione era dare una casa a coloro che coltivavano quelle che sono tutt’oggi considerate le campagne più varie e belle che le isole britanniche abbiano da offrire.

In particolare, come il nome stesso della cittadina dice, la specialità del luogo era il fieno [Hay in inglese n.d.r], che veniva coltivato in abbondanza e in diverse varianti, più o meno pregiate. Con il passare del tempo, però, Hay-on-Wye divenne un luogo di riposo per diversi nobili e aristocratici, compreso William de Braose, un riottoso che contribuì alla rivolta contro la monarchia e che costruì proprio lì il suo castello.

Una libreria in quel di Hay-on-Wye

Il fatto che fosse un luogo eletto per chi cercava pace, portò alla costruzione di piccole case e casette in muratura, che fanno tutt’ora parte del panorama della cittadina. Il destino di Hay-on-Wye come cittadina dedicata ai libri e alla cultura, però, fu deciso quando nel 1961 (quindi in tempi si potrebbe dire recenti), tale Richard Booth rilevò un vecchio edificio, un tempo caserma dei vigili del fuoco, per aprire il suo primo negozio di libri usati.

Hay-on-Wye, i libri usati e il principato autonomo

Ai tempi, Hay-on-Wye contava a malapena 300 abitanti che per recuperare dei libri, dovevano andare e venire dalle grandi città. C’era sì una piccolissima libreria, ma vendeva davvero solo lo stretto necessario. L’idea di Booth riuscì a portare in città moltissimi libri a costi bassissimi e riscosse un successo a dir poco enorme, tanto da attirare visitatori da altri villaggi gallesi. Ciò che successe dopo è qualcosa di davvero originale e ha fatto la storia del Galles.

Libri per le strade di Hay-on-Wye

Booth, infatti, un po’ per farsi pubblicità e un po’ perché tutti lo amavano a sufficienza, il 1 aprile 1977 decise di proclamare pubblicamente Hay-on-Wye come principato autonomo e, subito dopo, si autoproclamò “Re” del nuovo stato. Booth, che era un favolista, sapeva perfettamente che si trattava di pura fantasia, eppure con questa mossa riuscì ad attirare l’attenzione di moltissime persone, portando la gente a vedere davvero Hay-on-Wye come se fosse un regno indipendente e a farsi persino paragonare a Riccardo Cuor di Leone.

Spinto da questo successo, il 1 aprile 2000, Booth riuscì a organizzare una curiosa (e suggestiva) cerimonia di incoronazione per sé stesso, che in realtà era anche un modo per creare la “The Hay House of Lords”, ovvero un consiglio di Lord paritari che alla sua morte avrebbero potuto ereditare il suo posto e continuare a portare avanti il regno di Hay-on-Wye come isola di libri, cultura e merito.

Hay-on-Wye: città dei libri e dei festival letterari

Ciò che Booth ha desiderato, continua a esistere: dal 1 aprile 1977 a oggi, Hay-on-Wye è rimasta la città dei libri. Nel villaggio si può trovare qualsiasi tipo di libri: si contano milioni di pubblicazioni (non è dichiarato il numero) fra testi di prima mano e testi usati, a fronte di solo 460 abitanti. Hay-on-Wye è ufficialmente riconosciuta come destinazione d’eccellenza per i bibliofili nel Regno Unito e ha ricevuto tale nomina anche da Re Carlo III e dalla sua consorte Camilla.
Uno scorcio di Hay-on-Wye

Nel villaggio sono presenti in tutto 25 librerie e un paio di biblioteche, con altre strutture simili in arrivo. Per una pacifica convivenza fra librai, ogni libreria è specializzata in qualcosa o, se generica, ha un tocco unico che fa sì che non “tolga” clienti alle altre: alcune vendono oggetti d’antiquariato, alcune vestiti, altre ancora si sono specializzate nella vendita di cibi e bevande tipiche del luogo.

Ogni anno, tutte le librerie e le biblioteche collaborano per l’Hay Festival of Literature & Arts, organizzato dal The Guardian, e per i festival del libro organizzati durante il solstizio d’estate e quello d’autunno. Se amate i libri, organizzate dei viaggi in questi periodi: non ve ne pentirete.