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Giordania sempre più vicina: le nuove rotte aeree low cost da settembre 2025

Per i viaggiatori italiani, visitare la Giordania, famosa per la meraviglia nabatea di Petra, per le sabbie mutevoli del Wadi Rum, le acque curative del Mar Morto e le rovine romane di Jerash, sarà ancora più facile ed economico. Dal 18 settembre 2025, grazie a una più ampia rete di voli low cost, sarà possibile raggiungere il Paese da 18 città europee connesse direttamente agli aeroporti giordani.

La strategia, il cui obiettivo è quello di stimolare il turismo durante la stagione invernale 2025-2026, coinvolge le compagnie low cost Ryanair e Wizz Air, affiancate da Eurowings e dalla compagnia di bandiera Royal Jordanian.

I nuovi collegamenti aerei dall’Italia alla Giordania

La Giordania è sempre più vicina grazie alle nuove rotte aeree che rendono ancora più accessibili i suoi tesori senza tempo. Dal 16 settembre 2025, Wizz Air inaugurerà la nuova tratta bisettimanale Milano Malpensa–Amman. Per chi vola dalla Capitale, invece, il collegamento Roma Fiumicino–Amman tornerà operativo dal 29 marzo 2026.

Anche Ryanair rafforza la presenza nel Paese: dal 20 settembre 2025 riparte il volo Milano Bergamo–Amman, che da ottobre passerà da due a tre frequenze settimanali. Nella stessa data si riaccenderanno i collegamenti da Roma Ciampino, Pisa e Treviso, mentre dal 27 ottobre sarà la volta di Bologna.

Con tariffe low-cost e una rete di collegamenti sempre più capillare, raggiungere Amman non è mai stato così semplice: il punto di partenza perfetto per un viaggio tra gli spettacolari scenari del deserto del Wadi Rum, le acque salate del Mar Morto e l’intramontabile bellezza di Petra.

Cosa vedere in Giordania in autunno-inverno

Chiunque visiti la Giordania, sa di trovare accoglienza, tesori archeologici, cultura gastronomica e paesaggi non solo mozzafiato, ma estremamente variegati. Dalle colline calcaree al deserto rosso, dalle saline al mare, sono tutti panorami che, anche durante la stagione autunnale e invernale, non perdono il loro fascino.

Le condizioni climatiche favorevoli vi permetteranno di scoprire le antiche rovine e i siti monumentali: non solo un singolo tempio o una rovina, ma intere città scolpite nella pietra! Potrete esplorare il deserto e godere della quiete di Wadi Rum, soprattutto la notte, sotto strati di stelle che sembrano infinite, o dell’aria mite della costa e percorrere la Strada dei Re per arrivare alla Valle della Luna.

Se cercate momenti avventurosi, potete fare escursioni nella riserva della biosfera di Dana, praticare canyoning nelle gole del Wadi Mujib, immergervi nel Mar Rosso al largo di Aqaba o scalare le scogliere color rosa del sud.

E, seppur ci sia freddo, non potrete rinunciare a una visita nella capitale Amman: tra bazar e siti storici, come il teatro romano, e il vivace centro città che, se siete fortunati, vedrete imbiancato di neve. Ma non preoccupatevi, se le temperature si fanno troppo rigide potrete godervi un buon tè o visitare i musei d’arte contemporanea: la Giordania, anche d’inverno, è una meta tutta da scoprire.

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Israele, in una grotta la più antica scoperta al mondo del genere

Una scoperta rivoluzionaria riscrive la storia dell’evoluzione dell’uomo. Accade sul Monte Carmelo, in Israele, dove un gruppo di ricercatori dell’Università di Tel Aviv ha studiato uno scheletro di bambino risalente a 140mila anni fa rinvenuto all’interno di una grotta.

Una prova scientifica e tangibile che dimostra come gli esseri umani moderni e i Neanderthal si siano incontrati ben prima di quanto si pensasse finora.

Cosa si è scoperto

Finalmente sappiamo quando Neanderthal e Homo sapiens ebbero rapporti biologici e sociali. Lo studio internazionale, guidato da ricercatori dell’Università di Tel Aviv e del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (CNRS) e pubblicato sulla rivista l’Anthropologie, ha analizzato uno scheletro di un bambino di 5 anni che venne scoperto 90 anni fa all’interno della grotta di Skhul del Monte Carmelo.

Si tratta di una catena montuosa lunga 39 km, che sorge nella regione israeliana dell’Alta Galilea, dichiarata riserva della biosfera dall’UNESCO nel 1996. Un luogo che ha già regalato diverse testimonianze dal passato. Nelle sue grotte, rivelatesi straordinari siti archeologici, sono state rilevate negli anni diverse tracce del Paleolitico superiore e del Paleolitico medio.

Monte Carmelo a Israele con la grotta Skhull Cave

Ufficio Stampa

Skhull Cave sul Monte Carmelo a Israele

Nel fossile analizzato dal team di ricerca, condotto dal prof. Israel Hershkovitz della Facoltà Gray di Scienze mediche e della salute dell’Università di Tel Aviv e da Anne Dambricourt-Malassé del CNRS, sono stati identificati diversi tratti genetici di Neanderthal e Homo sapiens.

Scansionando cranio e mandibola con speciali tecnologie, infatti, i ricercatori sono riusciti a ricreare un modello tridimensionale accurato che ha permesso di studiarne le strutture anatomiche. Ne è emerso che “il cranio del bambino, che nella forma generale ricorda quello di Homo sapiens, presenta un sistema di circolazione intracranica, una mandibola e una struttura dell’orecchio interno tipici dei Neanderthal“, ha spiegato il prof. Hershkovitz.

Il cranio del bambino di Skhul mostra la curvatura cranica tipica dell'Homo sapiens

Università di Tel Aviv

La ricostruzione del cranio analizzato dagli studiosi

La conclusione dei ricercatori è chiara: questi due gruppi, Sapiens e Neanderthal, “si scambiarono geni” proprio nella Terra d’Israele e in tempi ben più antichi di quanto si pensava finora, poiché il fossile risale a 140mila anni fa, mentre prima si credeva che gli incontri fossero avvenuti tra i 60mila e i 40mila anni fa.

“Fino a poco tempo fa erano considerati due specie distinte”, hanno spiegato nello studio, che dimostra che “lo scheletro del bambino di cinque anni è il risultato di una continua infiltrazione genetica dalla popolazione locale – e più antica – dei Neanderthal nella popolazione di Homo sapiens”.

Perché cambia la storia che conosciamo

La scoperta avvenuta sul fossile ritrovato sul Monte Carmelo, che si aggiunge alle varie avvenute in Israele, retrodata di 100mila anni le interazioni conosciute tra Homo sapiens e Neanderthal, trasformandola nella più antica prova fisica nota di incrocio tra le due specie.

Per tanto tempo, infatti, si era pensato che i Neanderthal si fossero evoluti in Europa, migrando verso la Terra d’Israele solo circa 70.000 anni fa a causa dell’avanzata dei ghiacciai europei.

Ma già in uno studio rivoluzionario del 2021 pubblicato su Science, il prof. Hershkovitz era riuscito a dimostrare che Neanderthal arcaici (soprannominati “Nesher Ramla Homo”) vivevano in Israele già 400mila anni fa e incontrarono gruppi di Sapiens che avevano iniziato a lasciare l’Africa circa 200mila anni fa.

L’ultima scoperta aggiunge un tassello fondamentale in più alla ricostruzione della storia: questi due gruppi si incrociarono proprio ad Israele circa 140mila anni fa. Il fossile analizzato è attualmente la più antica testimonianza fossile al mondo dei legami sociali e biologici instaurati tra queste due popolazioni per migliaia di anni.

Come potevano essere le famiglie miste tra Homo Sapiens e Neanderthal

Tel Aviv University

Una ricostruzione del mix tra Neanderthal e Homo sapiens
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Un’antichissima officina di lame scoperta vicino alla biblica Gath riscrive la storia

Un viaggio indietro nel tempo di 5.500 anni ci porta nel cuore di una scoperta straordinaria: un’officina preistorica di lame in selce è stata riportata alla luce vicino a Kiryat Gat, nel sud di Israele. Un luogo che, migliaia di anni prima del ferro e del bronzo, già pullulava di ingegno, tecnica e spirito urbano.

Scoperto un laboratorio di lame antichissimo

Nel paesaggio bruciato dal sole a sud di Israele è stata fatta una scoperta incredibile che riscrive la storia. All’interno del sito archeologico di Naḥal Qomem, conosciuto con il nome di Gat-Govrin o Zeita, una squadra di archeologi ha riportato alla luce un’officina specializzata nella produzione di lame in selce dell’età della pietra. Perfettamente conservata, la meraviglia risale a oltre 5.500 anni fa ed è un ritrovamento senza precedenti in questa regione.

Le armi rudimentali hanno una struttura lunga ma soprattutto sorprendentemente uniforme e sottile. La vera meraviglia è la tecnica avanzata con cui venivano realizzate. Come spiegano gli archeologi, si lavorava il materiale con una scheggiatura a pressione, probabilmente aiutandosi con dispositivi meccanici primordiali a mo’ di leva o braccio articolato. Un’incredibile produzione all’avanguardia, trattandosi del periodo pre-metalli.

L’aspetto più affascinante però è che tutta l’officina era organizzata come un centro di produzione moderno, risultando ancora estremamente attuale grazie alla divisione tra aree di lavoro e conservazione o distribuzione. Il sito si estende per oltre mezzo chilometro e include centinaia di fosse sotterranee, alcune abitate, altre usate per lo stoccaggio o per rituali. Tutto questo ci parla di una società già urbanizzata, con regole, ruoli e specializzazioni.

E come se non bastasse, la scoperta si colloca a pochi chilometri dall’antica città biblica di Gath, leggendaria patria di Golia. Ironia della storia: mentre, secoli dopo, gli Israeliti del tempo di Saul soffrivano la mancanza di armi in ferro, qui si creavano già strumenti letali in pietra con una tecnologia che sfidava i limiti del tempo.

Scoperta archeologica in Israele: antica officina di lame

Israel Antiquities Authority@Emil Aladjem

Un’antica officina di lame è stata ritrovata in Israele

Perché la scoperta è significativa

Questa straordinaria officina cambia il modo in cui guardiamo al passato: non siamo di fronte a un semplice sito preistorico, ma a una finestra aperta sulla nascita dell’organizzazione urbana, dell’economia specializzata e della tecnologia.

Fino ad oggi, si pensava che certe forme di produzione organizzata e divisione del lavoro fossero nate più tardi, con l’avvento dei metalli e delle grandi città-stato. Invece, questa scoperta ci racconta un’altra storia: già nel 3500 a.C., qualcuno progettava, produceva e forse commerciava strumenti di alta qualità, in una rete economica che si estendeva ben oltre i confini del villaggio.

La presenza di lame finite pronte per l’uso, insieme ai nuclei di selce (normalmente molto rari da trovare intatti), suggerisce che questo luogo non fosse solo un punto di produzione, ma anche un centro di esportazione. Le lame viaggiavano, cambiavano mani, accompagnavano raccolti, cacce, guerre. Erano parte di un sistema, di un’economia che batteva già il ritmo della civiltà.

Ma c’è anche un aspetto poetico, quasi spirituale: le lame perfette, taglienti come rasoi, erano il frutto di abilità tramandate, di segreti custoditi, forse anche di rituali. Rappresentano la tensione eterna dell’essere umano verso la perfezione tecnica, molto prima che il ferro, il bronzo o l’acciaio ne prendessero il posto. I reperti più significativi (lame complete e i preziosi nuclei di selce) saranno esposti quest’estate al Campus Nazionale per l’Archeologia di Israele a Gerusalemme.

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Un viaggio nel tempo: la straordinaria scoperta dei rotoli del Mar Morto

Negli aridi deserti del Medio Oriente, dove il tempo sembra essersi fermato e la sabbia conserva i segreti delle civiltà antiche, una nuova luce si è accesa sull’enigmatico universo dei rotoli del Mar Morto. Questi manoscritti, tra i più importanti ritrovamenti archeologici del XX secolo, tornano oggi al centro dell’attenzione mondiale grazie a una scoperta che promette di rivoluzionare ciò che si sapeva finora.

Una combinazione inedita di archeologia, scienza dei materiali e intelligenza artificiale ha permesso di analizzare e datare in modo più preciso questi testi millenari, svelando che alcuni potrebbero essere più antichi di quanto si fosse mai immaginato. La scoperta dei rotoli del Mar Morto non è solo una questione di storia, ma un affascinante viaggio nel tempo, una finestra aperta sul mondo di duemila anni fa. E oggi, grazie a strumenti digitali sempre più sofisticati, si possono osservare quei testi con occhi nuovi, penetrando i segreti della loro origine con una precisione mai raggiunta prima.

La scoperta: quando l’IA incontra la storia

A guidare questa importante ricerca è stato il professor Mladen Popović, insieme a un team internazionale di studiosi dell’Università di Groningen, nei Paesi Bassi. Il cuore della scoperta è un programma di intelligenza artificiale chiamato Enoch, progettato per analizzare e interpretare gli stili di scrittura dei manoscritti antichi. Addestrato con documenti datati tramite radiocarbonio, il sistema è stato in grado di costruire un modello affidabile per stimare l’età dei testi che non riportano indicazioni cronologiche esplicite.

Quello che rende questa tecnologia così rivoluzionaria è la sua capacità di individuare minime variazioni nella forma delle lettere, invisibili anche all’occhio più esperto. Ogni tratto, ogni curva della penna, diventa un indizio prezioso per ricostruire la cronologia degli scritti. L’intelligenza artificiale, dunque, non si limita a imitare l’intuizione umana, ma la potenzia in modo straordinario.

Attraverso l’analisi di 135 rotoli, Enoch ha fornito risultati che in circa l’80% dei casi sono stati ritenuti coerenti dagli esperti di paleografia. In molti casi, le date suggerite dall’intelligenza artificiale si sono rivelate più antiche rispetto alle stime ottenute con i metodi tradizionali, aprendo nuove prospettive sulla storia e la trasmissione dei testi sacri.

rotoli del mar morto

Fonte: Popović et al., 2025, PLOS One

Rotoli del Mar Morto che cambiano la datazione

Perché questa scoperta è importante

Questa innovazione ha implicazioni enormi. Per la prima volta, due frammenti di rotoli biblici sono stati attribuiti a un’epoca compatibile con quella dei loro presunti autori. Un risultato storico, che ci avvicina alla genesi delle Scritture e arricchisce la comprensione delle culture che le hanno prodotte. Ma il valore della scoperta va oltre i rotoli stessi.

Il metodo sviluppato con Enoch potrebbe essere applicato a molte altre collezioni di manoscritti antichi non datati, aprendo così una nuova era nello studio dei testi storici. È un esempio virtuoso di collaborazione tra discipline diverse — archeologia, scienza dei dati, linguistica — che uniscono le forze per rispondere alle grandi domande del passato.

Come affermano gli studiosi, con Enoch, è come se avessimo costruito una macchina del tempo, capace di riportarci indietro e farci osservare, quasi da vicino, le mani che hanno scritto le parole che ancora oggi influenzano la nostra cultura.

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Israele: rinvenute nel deserto 5 statuette dai tratti africani

Un ritrovamento straordinario sta riscrivendo alcuni capitoli della storia del Negev meridionale: in una necropoli nei pressi di Tel Malḥata, nella Valle di Arad, sono emerse statuette antropomorfe che offrono uno sguardo inedito sui contatti culturali avvenuti circa 1.500 anni fa in questa regione oggi parte dello Stato di Israele.

Tornate alla luce nell’ambito di una campagna di scavi condotta da un team internazionale di archeologi, presentano tratti estetici africani e sono state ritrovate in contesti funerari riconducibili a donne e bambini.

Tali scoperte, pubblicate nel numero 117 della rivista accademica ʼAtiqot dell’Israel Antiquities Authority, aprono nuove prospettive sull’identità delle comunità cristiane che abitavano l’area durante il periodo romano-bizantino. Si tratta di una testimonianza unica non solo per la rarità degli oggetti ritrovati, ma soprattutto per il valore culturale e simbolico che sembrano racchiudere.

Un crocevia multiculturale nel deserto israeliano

Il sito di Tel Malḥata era, nell’antichità, un punto di snodo per le rotte commerciali che collegavano la Penisola Arabica, il subcontinente indiano e l’Africa orientale con il bacino del Mediterraneo: una funzione strategica confermata dalla presenza di oggetti provenienti da regioni lontane, come vetri, pietre preziose, bracciali in bronzo e alabastro, ma è la scoperta delle statuette a colpire maggiormente per le implicazioni culturali che porta con sé.

Scolpite in materiali pregiati come osso e legno di ebano (quest’ultimo originario dell’India meridionale e dello Sri Lanka) raffigurano uomini e donne dai tratti somatici africani marcati. Alcuni esemplari mostrano fori praticati sulla sommità, a suggerire che fossero indossati come amuleti o pendenti, forse portati con sé durante il viaggio, o trasmessi all’interno di una famiglia come reliquie identitarie.

Tracce di memoria familiare in contesti cristiani

Non si tratta, secondo i ricercatori, di semplici oggetti ornamentali. Le statuette rinvenute nei sepolcri di Tel Malḥata sembrano essere state posizionate con cura accanto ai corpi, a testimonianza del loro significato affettivo e spirituale. Il contesto cristiano delle sepolture (datate tra il VI e il VII secolo d.C.) emerge con chiarezza dalle modalità rituali osservate nella disposizione delle tombe.

In particolare, due delle statuette sono state ritrovate in una doppia sepoltura, occupata da una donna e un bambino, forse madre e figlio. La scelta di accompagnare i defunti con oggetti così personali indica non solo una fede cristiana, ma anche il perdurare di usanze millenarie, che la conversione religiosa non era riuscita a cancellare del tutto.

Continuità culturale e identità nell’antico Negev

Gli archeologi coinvolti nello scavo, tra cui il Dr. Noé D. Michael dell’Israel Antiquities Authority e dell’Università di Colonia, insieme a Svetlana Tallis, Emil Aladjem e al bioarcheologo Dr. Yossi Nagar, sostengono che gli oggetti rappresentino una continuità culturale portata avanti anche dopo l’adozione del cristianesimo. Le statuette potrebbero aver incarnato la memoria di antenati o simboli identitari radicati in comunità di origine africana, giunte nel Negev come migranti, mercanti o membri di famiglie miste.

Non è escluso che tali persone avessero mantenuto, accanto ai nuovi riti religiosi, una connessione profonda con le proprie origini etniche. Le statuette possono quindi essere lette come manifestazioni tangibili di una doppia appartenenza: alla nuova comunità religiosa e alla tradizione ancestrale, fusa in un simbolismo personale che trascende le frontiere geografiche e culturali.

Un ritrovamento che parla al presente

Per Eli Escusido, Direttore dell’Israel Antiquities Authority, il valore del ritrovamento va oltre la dimensione storica: “Questi reperti sono toccanti non solo dal punto di vista archeologico, ma anche umano“, ha dichiarato. “Ci ricordano che la Terra d’Israele è da sempre una terra di passaggi e incontri. Qui popoli lontani si sono mescolati, hanno lasciato segni della loro presenza, delle loro credenze, delle loro memorie“.

Le statuette di Tel Malḥata, dunque, appaiono come voci silenziose di un’umanità antica che, pur lontana nel tempo, continua a raccontare storie di migrazione, integrazione e identità. In un’epoca in cui il tema delle radici culturali è più che mai attuale, invitano a riflettere sulla complessità e sulla ricchezza dei percorsi umani, anche nel cuore di un antico deserto.

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Deserto della Giudea: scavi archeologici senza precedenti portano alla luce tesori inestimabili

Un team di ricercatori ha scoperto una strana struttura piramidale nel Deserto della Giudea, partecipando a una delle campagne archeologiche più ricche e affascinanti mai avvenute in questa zona. Ma non è finita qui perché, oltre a questa struttura realizzata con rocce tagliate a mano, ognuna delle quali pesa oltre 180 chilogrammi, sono stati rivenuti anche reperti eccezionali quali papiri greci, armi, vasi di bronzo, mobili e monete di notevole importanza storica.

Siamo in Israele, vicino a Nahal Zohar, e lo scavo è condotto dall’Israel Antiquities Authority in collaborazione con il Ministero del Patrimonio e con la partecipazione di centinaia di volontari locali.

La scoperta della struttura piramidale e dei reperti

I direttori dello scavo, Matan Toledano, il dott. Eitan Klein e Amir Ganor della Israel Antiquities Authority hanno dichiarato: “Si tratta di uno degli scavi più complessi, ricchi e affascinanti mai realizzati nel Deserto della Giudea e in Israele. Fin dalla prima settimana sono emerse scoperte rare e significative che offrono uno straordinario spaccato della vita quotidiana in questa regione oltre duemila anni fa“.

La struttura scoperta è alta cinque o sei metri. Inizialmente, il team pensava di aver trovato una tomba, ma successivamente, notando la forma delle mura originali, ha compreso che, in realtà, si trattava di un edificio, identificato come una fortezza risalente al periodo ellenistico. Tra le scoperte più sorprendenti, figurano anche documenti in papiro in lingua greca, monete di bronzo risalenti ai regni dei Tolomei e di Antioco IV, armi antiche, mobili in legno di 2.200 anni fa, tessuti colorati, gioielli, bottoni, utensili da cucina e molto altro.

È grazie al clima secco del deserto che questi reperti si sono potuti conservare in condizioni eccezionali e arrivare fino a noi.

Reperti scoperti nel Deserto della Giudea

Fonte: Israel Antiquities Authority

Un pezzo del papiro greco ritrovato durante gli scavi

Perché si tratta di una scoperta eccezionale

Questa fatta nel Deserto della Giudea rappresenta una scoperta eccezionale perché, come hanno dichiarato i ricercatori, sta modificando la comprensione storica del sito. In precedenza, infatti, si riteneva che risalisse al periodo del Primo Tempio, ma ora le evidenze suggeriscono che la struttura sia stata costruita in epoca ellenistica.

Il periodo ellenistico in questa regione, così chiamato per la pervasiva influenza greca, iniziò nel 332 a.C., quando la Palestina fu conquistata dal re macedone Alessandro Magno. Successivamente, la regione più ampia fu governata da due imperi macedoni: il regno tolemaico d’Egitto, una dinastia fondata da Tolomeo I Sotere nel 305 a.C., e il regno seleucide, fondato da Seleuco I Nicatore nel 312 a.C. Entrambi i fondatori avevano prestato servizio come generali sotto Alessandro Magno.

Lo scopo di questa struttura piramidale rimane un enigma: i ricercatori ritengono che potrebbe essere stata
un punto di osservazione su una grande via commerciale, un sito funerario monumentale o un luogo cerimoniale. Il direttore dell’Autorità per le Antichità afferma che queste scoperte sono entusiasmanti, persino commoventi, e che la loro importanza per la ricerca archeologica e storica è enorme.

Reperti trovati durante gli scavi nel Deserto della Giudea

Fonte: Israel Antiquities Authority

Altri reperti trovati durante gli scavi nel Deserto della Giudea
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Dal Marocco all’Asia centrale: le location mozzafiato di Rambo III

Le trafficate strade di Bangkok, i sereni monasteri buddisti di Lamphun e gli affascinanti paesaggi desertici dell’Arizona sono stati luoghi testimoni di un successo. Quando si parla di film d’azione iconici degli anni ’80, Rambo III occupa un posto d’onore. Diretto da Peter MacDonald e interpretato da Sylvester Stallone nel ruolo del veterano di guerra John Rambo, il film si distingue non solo per le sue sequenze esplosive e i combattimenti spettacolari, ma anche per le sue ambientazioni mozzafiato. In questo terzo capitolo Rambo è in missione per salvare il suo ex amico e comandante, il colonnello Sam Trautman (Richard Crenna) che è stato catturato dalle forze militari sovietiche.

Sylvester Stallone raccontò al Los Angeles Times di aver valutato diverse location nel sud-ovest americano prima di decidere che l’atmosfera fosse quella giusta. “Per un po’ abbiamo parlato di girare questo film in Arizona o in Nevada” ha detto l’attore, “ma poi ho pensato: ‘Ehi, cosa faranno tutti? Giocheranno a dadi ogni sera dopo le riprese?‘”. La troupe si concentrò quindi sulle location all’estero. Secondo il Times, visitarono Italia, Marocco e Australia, costruirono e demolirono set per un valore di 5 milioni di dollari in Messico prima di partire per Israele.

Chiang Mai Thailandia

Fonte: iStock

Chiang Mai, Thailandia

Dove è stato girato

Grazie a una sapiente combinazione di location naturali, set costruiti e trucchi cinematografici, il film riesce a dare vita a un Afghanistan drammatico e cinematografico, pur restando ben lontano dai suoi confini. Crenna ha affermato che c’era una tensione autentica durante le riprese in Israele a causa delle tensioni persistenti: “Ogni giorno attraversavamo un posto di blocco militare per raggiungere il set, poi indossavamo i nostri costumi da soldato e ‘andavamo in guerra‘” ha detto. “Poi, quando i jet volavano sopra di noi, guardavamo in alto e ci chiedavamo dove stessero andando, o dove fossero stati“. Alcune parti del film sono state girate vicino a Sodoma, dove le temperature raggiungevano i 50 gradi Celsius, e il cast e la troupe, così numerosi, consumavano quasi 1600 litri d’acqua al giorno.

La posizione remota del set ha presentato anche sfide logistiche. Trasportare la pesante attrezzatura militare utilizzata nel film è stato difficile e costoso, e il cast e la troupe hanno dovuto alloggiare a quasi un’ora dal set che a sua volta distava mezz’ora dagli stabilimenti di produzione. Molte delle scene che nel film rappresentano il paesaggio afghano sono state girate in Israele, in particolare nel deserto del Negev e nella regione montuosa del Golan. Il kibbutz Eilot, vicino a Eilat, ha ospitato alcune sequenze chiave. La vasta distesa di rocce, sabbia e cielo terso si è rivelata perfetta per rappresentare la polverosa frontiera afghana. Anche la città vecchia di Jaffa e alcune zone rurali nei pressi di Tel Aviv sono state utilizzate per simulare villaggi e avamposti sovietici, dimostrando la versatilità delle location israeliane nel ricreare ambientazioni storiche e geografiche lontane.

Thailandia: il rifugio spirituale di Rambo

Il film si apre con un Rambo ritiratosi nella pace della Thailandia, dove si dedica alla vita monastica e combatte con i bastoni per sport. Queste sequenze sono state girate a Chiang Mai, nel nord della Thailandia, in particolare nei pressi di templi buddisti autentici e in paesaggi lussureggianti. Il contrasto tra la pace spirituale del tempio e l’imminente richiamo alla guerra contribuisce a rafforzare il dilemma interiore del protagonista.

La scena iniziale ricca d’azione di Rambo III si svolge nel cuore della vivace capitale thailandese, Bangkok. Il colonnello Sam Trautman torna indietro per reclutare John J. Rambo per la sua missione. Il film ci presenta Rambo attraverso la sequenza del combattimento in cui emerge trionfante di fronte a una folla affascinata in una struttura in rovina. Questa scena mozzafiato è stata girata vicino al tempio buddista di Wat Sangkrachai Worawihan, nel quartiere Wat Tha Phra di Bangkok. La capitale thailandese è una metropoli vivace con una miriade di templi, una vivace cultura di strada e un vasto sistema di canali alimentati dal fiume Chao Phraya, popolato di barche.

Arizona

Fonte: iStock

Arizona

La maestosa area di Rattanakosin, con il suo grande palazzo e il venerato tempio Wat Phra Kaew, è scavata nel fiume che la costeggia. Nelle vicinanze si trova il famoso tempio Wat Pho, noto per il suo enorme Buddha sdraiato. Dall’altra parte del fiume, lo straordinario tempio Wat Arun affascina con le sue ripide scalinate e la caratteristica cima in stile Khmer. Il più grande aeroporto internazionale di Bangkok, Suvarnabhumi, è il punto di atterraggio perfetto per un volo verso questa destinazione.

Arizona e Stati Uniti

Anche se in modo molto limitato, alcune brevi sequenze furono girate negli Stati Uniti, in particolare in Arizona. Gli scenari desertici dell’Arizona furono utilizzati per completare alcune riprese aggiuntive, sfruttando l’ambiente simile ma più accessibile rispetto alle location mediorientali. Rambo riesce a uccidere Zaysen lanciando un carro armato contro l’elicottero del colonnello sovietico, che inizialmente aveva cercato di danneggiare con una molotov consegnatagli da un uomo a cavallo. Sorprendentemente, Rambo sopravvive all’esplosione che ne consegue ed emerge dal carro armato.

Al termine della battaglia, Rambo e Trautman salutano i loro alleati mujaheddin e lasciano l’Afghanistan per tornare a casa. Questa sequenza culminante è stata girata a Fort Yuma, situato nello Yuma Territorial Prison State Historic Park in Arizona. Il carcere territoriale di Yuma fu inaugurato nel 1876 e da allora è stato immortalato in diversi film e serie tv. Oggi, questo sito storico è gestito e mantenuto come museo dall’Arizona State Parks.

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In Israele è stato scoperto un sigillo cananeo di 3.800 anni fa, ed è stata una bambina

Circa un mese fa, quindi a inizio marzo 2025, una bambina stava passeggiando con i suoi genitori a Tel Azeka, una collina archeologica vicino a Beit Shemesh, in Israele. Durante questa camminata, per puro caso, è riuscita a fare una scoperta eccezionale, in quanto ha trovato nella terra un antico amuleto a forma di scarabeo, di ben 3.800 anni anni fa. La scoperta, seppur apparentemente piccola, riveste una grande importanza in ambito storico e archeologico e nelle prossime righe vi spiegheremo il perché.

La scoperta del sigillo cananeo in Israele

La sorella della bambina di soli 3 anni ha raccontato che, mentre stavano camminando lungo il sentiero, la piccola, il cui nome è Ziv Nitzan, si è chinata per guardare le pietre, fino a che ne ha notata una davvero suggestiva che ha deciso di raccogliere. Dopo averla pulita, entrambe si sono rivolte ai genitori, con i quali si sono rese conto che tra le mani avevano un vero e proprio reperto archeologico. A quel punto il ritrovamento è stato immediatamente segnalato all’Autorità israeliana per le antichità, che a sua volta ha fatto sapere, per mano della dottoressa Daphna Ben-Tor, esperta di amuleti e sigilli antichi, che si tratta di uno scarabeo cananeo dell’Età del Bronzo Medio, quindi di circa 3.800 anni.

Parliamo perciò di un minuscolo oggetto originario dell’antico Egitto, disegnato a forma di scarabeo stercorario che, agli occhi dell’antico popolo, era estremamente importante in quanto simbolo di nuova vita a causa della palla di sterco che creava e nella quale deponeva le uova (propio da dove, quindi, sarebbe venuta al mondo una nuova vita). Il suo nome in egiziano deriva dal verbo “nascere” o “essere creato”, poiché per gli Egizi lo scarabeo era un simbolo dell’incarnazione di Dio Creatore.

Sigillo cananeo, Israele

Fonte: Autorità israeliana per le antichità@Emil Aladjem

Il sigillo cananeo nelle mani della bambina

Perché si tratta di una scoperta importante

Lo scarabeo trovato da Ziv è stato rinvenuto ai piedi di Tel Azeka, un importante sito archeologico vicino a Beit Shemesh, dove già in passato sono state riportate alla luce scoperte che hanno dato prova di molti cambiamenti culturali nel corso della storia di questa zona. Per esempio, gli scavi dell’Università di Tel Aviv hanno rivelato reperti risalenti all’epoca del regno giudaico, tra cui mura di cinta, impianti agricoli e altro ancora.

Ma non è di certo tutto, perché Tel Azekah era anche nota come elemento chiave nella scena della battaglia biblica tra Davide e Golia, descritta nel Libro di Samuele (Samuele I 17:1).

A tal proposito, la dottoressa Daphna Ben-Tor ha dichiarato: “In questo periodo gli scarabei venivano usati come sigilli e come amuleti. Sono stati trovati nelle tombe, negli edifici pubblici e nelle case private. A volte recano simboli e messaggi che riflettono credenze religiose o status”.

Il professor Oded Lipschits, direttore degli scavi archeologici dell’Università di Tel Aviv, ha invece fatto sapere: “Stiamo scavando qui da quasi 15 anni e i risultati degli scavi dimostrano che durante il Bronzo Medio e il Bronzo Tardo, qui a Tel Azekah, prosperava una delle città più importanti della Giudea”. Ha poi continuato specificando: “Lo scarabeo trovato da Ziv si aggiunge a una lunga lista di reperti egiziani e cananei rinvenuti qui, che attestano gli stretti legami e le influenze culturali tra Canaan ed Egitto in quel periodo”.

Questo antico reperto sarà inserito in una mostra speciale allestita per la Pasqua ebraica presso il Jay and Jeanie Schottenstein National Campus for the Archaeology of Israel, insieme ad altri oggetti risalenti all’epoca dell’Egitto e di Canaan, molti dei quali saranno esposti al pubblico per la prima volta in assoluto.

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Israele, scoperto il più grande monastero bizantino del sud del Paese

Mentre si progettava il nuovo quartiere a nord di Kiryat Gat, nel sud di Israele, le autorità per le antichità hanno avviato alcuni scavi archeologici portando alla luce un’importante scoperta. Durante le attività è emerso un complesso monastico di epoca romana bizantina, un’autentica meraviglia che aumenta il suo valore grazie al pavimento a mosaico multicolore decorato con motivi geometrici e floreali a cui si aggiungono figure di animali e un’iscrizione in greco con riportato un versetto biblico. All’interno del sito è stato poi trovato un torchio per il vino e diversi edifici appartenenti al medesimo periodo: lo studio condotto ha dato modo di approfondire quella che era l’organizzazione economica della comunità attiva diventando una testimonianza unica della vita quotidiana.

Monastero bizantino di epoca romana scoperto in Israele

Fonte: Ufficio Stampa

Israele: scoperto un monastero decorato con mosaici bizantini

Scoperto in Israele un monastero con pavimento bizantino

Protagonista della scoperta è proprio il pavimento mosaicato di inestimabile valore simbolico e artistico. Si stima risalga al V o VI secolo dopo Cristo. Il mosaico è in grado di attirare l’attenzione grazie alla composizione raffinata ma è soprattutto il messaggio al centro a colpire gli storici e gli archeologi. Appartiene al passaggio biblico del Deuteronomio e recita: “Benedetto sarai quando entri e benedetto sarai quando esci”. La benedizione è rivolta soprattutto a fedeli e viaggiatori che attraversavano le porte in cerca di protezione e prosperità.

La scritta biblica sul pavimento mosaicato del monastero

Fonte: Ufficio Stampa

La scritta scoperta sul pavimento mosaicato

Il mosaico bizantino con un messaggio biblico

Il mosaico rivenuto all’interno del monastero bizantino emerso in Israele è di grande rilevanza. È composto da tessere minuziosamente disposte che rappresentano un trionfo di simbolismo e maestria. All’interno delle raffigurazioni ancora ben conservate si osservano croci, leoni, colombe, anfore e complessi motivi geometrici e floreali. Alcuni hanno un simbolo cristiano associato, altri sono prettamente decorativi. Interessante anche la palette cromatica ricca così come sono evidenti i dettagli precisi e opulenti che confermano l’importanza sociale del monastero per la comunità dell’epoca.

Perché è importante la scoperta

Gli scavi hanno portato alla luce un complesso articolato composto da almeno 10 edifici: oltre al monastero in sé fanno parte del ritrovamento un magazzino e un torchio per la produzione vinicola dotato di vasche decorate con motivi mosaicati in pietre blu e bianche. La testimonianza è davvero rilevante e mostra come l’economia fosse basata sulla produzione vinicola; lo studio è rafforzato dalla presenza di tracce di pittura rossa sulle pareti.

Gli archeologi hanno avuto in più l’opportunità di portare alla luce ceramiche, monete e manufatti in marmo a cui si aggiungono oggetti in vetro e metallo. Il sito è di rilevanza non solo per i ritrovamenti ma per la posizione strategica: si trovava infatti lungo un’arteria commerciale che collegava l’entroterra alla pianura costiera.

Anfora e oggetti rivenuti negli scavi

Fonte: Ufficio Stampa

Un’anfora rinvenuta tra gli oggetti scoperti negli scavi

L’autorità per le antichità di Israele ha già sottolineato l’importanza della scoperta e la direttrice della regione Sud Svetlana Talis ha commentato “Questa scoperta evidenzia la ricchezza storica dell’area e il ruolo di Kiryat Gat come crocevia di culture e attività economiche nell’antichità”. Le operazioni ora permetteranno il trasferimento del mosaico verso un’area pubblica così da consentire ai visitatori di poterne ammirare la bellezza e comprenderne l’importanza storica. Per poterla visitare bisognerà attendere però che le operazioni di trasporto e restauro siano complete: si tratta di uno dei mosaici più rari scoperti in Israele e una volta completate le attività sarà esposto ottenendo il risalto che merita.

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Per viaggiare in Israele servirà l’Eta: cos’è

Dal 1° gennaio 2025, Israele introdurrà una nuova procedura obbligatoria per tutti i turisti provenienti da Paesi esenti da visto. Si tratta dell’ETA-IL, un sistema elettronico che consentirà alle autorità israeliane di effettuare un controllo preventivo sui passeggeri in arrivo, migliorando la sicurezza e semplificando le formalità di ingresso nel Paese.

Grazie a questa nuova procedura, infatti, i viaggiatori non solo avranno un’esperienza più fluida e rapida al momento dell’ingresso, ma Israele potrà garantire anche un maggiore controllo sulle persone che accedono al suo territorio. La possibilità di evitare sorprese all’arrivo è senza dubbio un vantaggio significativo per chi viaggia verso la Terra Santa, rendendo l’esperienza di viaggio più semplice e serena.

Cos’è l’ETA-IL e come funziona?

Il termine ETA sta per Electronic Travel Authorization (Autorizzazione Elettronica di Viaggio), ed è un sistema che permette alle autorità di esaminare in anticipo i dati dei passeggeri prima del loro ingresso nel Paese. A partire dal 1° gennaio 2025, chiunque arrivi in Israele da uno dei Paesi che godono dell’esenzione dal visto, dovrà compilare il modulo ETA-IL prima di imbarcarsi. Questo modulo digitale fornirà alle autorità israeliane una serie di informazioni personali, compreso il motivo del viaggio, i dettagli del volo e una serie di domande di sicurezza.

In pratica, prima che il passeggero possa salire a bordo del volo, il sistema ETA verificherà automaticamente la sua idoneità all’ingresso in Israele. Se la richiesta dovesse suscitare qualche dubbio o problema, il viaggiatore riceverà un’ulteriore comunicazione per risolvere la questione con l’Ambasciata israeliana del proprio Paese di origine. Questo passaggio consentirà di ridurre al minimo i disagi al momento dell’arrivo, evitando che i viaggiatori si trovino sorpresi da una decisione di rifiuto all’ingresso all’ultimo minuto.

L’ETA-IL è, infatti, uno strumento pensato per migliorare la sicurezza nazionale, ottimizzare i controlli di immigrazione e garantire una gestione più fluida dei flussi turistici. Un altro vantaggio di questo sistema è che permette di ridurre i tempi di attesa al controllo passaporti una volta arrivati in Israele. I passeggeri che avranno completato la procedura online saranno già registrati nel sistema, consentendo loro di passare rapidamente ai controlli finali.

L’ETA israeliano avrà un costo di circa 25 NIS, pari a 6,55 euro, una cifra modesta che coprirà l’intero processo di registrazione online.

I vantaggi dell’ETA per il turismo 

L’introduzione dell’ETA-IL non solo servirà a rafforzare la sicurezza, ma avrà anche l’effetto di snellire le operazioni burocratiche per i viaggiatori. Il sistema mira a prevenire situazioni problematiche in cui il rifiuto di ingresso è già noto in anticipo, permettendo al passeggero di affrontare la situazione con maggiore tranquillità, evitando inutili disagi all’arrivo.

Inoltre, il processo sarà particolarmente semplice per chi ha già esperienza con sistemi simili, come quello implementato negli Stati Uniti, in Canada e in Australia, dove l’ETA è in uso da anni. Si prevede che il sistema si espanda anche nell’Unione Europea, aumentando l’efficienza delle procedure di ingresso non solo per Israele ma per altri Paesi.

Per coloro che dovessero avere difficoltà nel completare la procedura, sarà disponibile un centro di assistenza che fornirà supporto per risolvere eventuali problematiche o rispondere a domande aggiuntive. Il servizio sarà accessibile attraverso il sito web ufficiale dell’Autorità Israeliana per la popolazione e l’Immigrazione, che offre informazioni dettagliate in diverse lingue.