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L’Abbazia di Admont custodisce la meravigliosa biblioteca che ispirò “La Bella e la Bestia”

Nel cuore verde dell’Austria, ai piedi delle Alpi della Stiria, tra foreste silenziose e pascoli, sorge un luogo dove spiritualità, arte, natura e meraviglia convivono da secoli in perfetto equilibrio: è l’Abbazia benedettina di Admont, uno dei luoghi più affascinanti del Paese. Fondata nel 1074, è il più antico monastero della regione e uno dei centri religiosi e culturali più importanti.

Il vero gioiello del monastero? La sua meravigliosa biblioteca, che nel 2025 è stata eletta tra le più belle del mondo secondo la classifica 1000 Libraries Awards e che ha ispirato quella del film Disney “La Bella e la Bestia”.

Il monastero Admont

Non è un semplice abbazia, quella di Admont, ma un complesso in cui preghiera, conoscenza, arte e silenzi garantiscono un’esperienza di visita unica.

Fondata nel 1074 da Ottocaro I di Stiria e da Gebeardo, arcivescovo di Salisburgo, si staglia tra le montagne con il suo stile barocco e ospita da allora i monaci di Admont, impegnati a tramandare il sapere, l’arte e la preghiera.

La splendida chiesa collegiata dallo stile barocco è visitabile gratuitamente, con la sua facciata riccamente decorata e gli interni in cui dominano affreschi, sculture e un magnifico altare maggiore.

Chiesa collegiata dell'Abbazia di Admont

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Chiesa dell’Abbazia di Admont

Il monastero ospita anche una vasta proposta culturale: i musei d’arte sacra e contemporanea, una pinacoteca, un museo di Storia Naturale e spazi dedicati alla scienza e alla storia monastica, dove si percepisce l’antico dialogo tra fede e ragione che caratterizza la cultura benedettina.

Al suo esterno, è abbracciata da giardini fioriti che si aprono verso panorami unici con vista sulle Alpi: anche il luogo in cui è immersa invita a meditare e rallentare.

L’Abbazia di Admont è anche simbolo di rinascita e resilienza: nei secoli ha infatti conosciuto distruzioni e rinascite. Dopo un incendio nel 1152, i monaci ricostruirono il complesso e iniziarono a copiare manoscritti religiosi, creando una delle più antiche collezioni monastiche d’Europa. Con l’avvento della stampa, la biblioteca si arricchì di opere rare, divenendo un importante centro culturale.

Dopo un periodo di declino, la Controriforma e lo spirito illuminista portarono nuova linfa, culminando nella costruzione della grandiosa biblioteca barocca, completata nel 1776. Un altro incendio, nel 1865, distrusse quasi tutto il monastero, risparmiando la biblioteca. Seguì la ricostruzione in stile neogotico e, dopo le difficoltà economiche e politiche del Novecento, l’abbazia tornò a fiorire.

La biblioteca del monastero di Admont

Completata nel 1776, quella del monastero di Admont è la più grande biblioteca monastica del mondo e un capolavoro dell’architettura tardo barocca, che è stata l’ispirazione per la grande biblioteca del film Disney “La Bella e la Bestia”.

Entrare in questa biblioteca è come ritrovarsi in un dipinto sacro, una meraviglia per gli occhi: qui il bianco e gli accenti dorati prevalgono, accompagnando gli affreschi sul soffitto, i rilievi artistici e le sculture che caratterizzano ogni angolo delle pareti.

Biblioteca dell'Abbazia di Admont

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La biblioteca dell’Abbazia di Admont

L’unicità della biblioteca sta anche nella quantità di libri che custodisce: oltre 70.000 volumi visibili, tra cui rari manoscritti, incunaboli e stampe di pregio, che racchiudono nelle loro pagine secoli di storia, fede e spirito. Non a caso è stata inserita nella lista delle biblioteche del mondo dai 1000 Libraries Awards.

Visitandola, si attraversano quasi mille anni di storia europea, in un luogo dove il sapere non è solo custodito, ma continuamente rinnovato.

Come arrivare

L’Abbazia di Admont sorge nel Land della Stiria, una regione montuosa dell’Austria centrale orientale, nel distretto di Liezen. L’omonima cittadina si sviluppa lungo il fiume Enns, tra le Alpi Ennstal e il Parco Nazionale degli Alti Tauri, in un contesto dominato da montagne, foreste e vallate pittoresche.

In particolare, si trova a circa 200 km a ovest di Vienna e a 115 km a nord di Graz, capoluogo della Stiria, e ai margini del Parco nazionale Gesäuse.Si può raggiungere il monastero in auto partendo da Vienna in meno di 3 ore, oppure da città austriache vicine come Graz e Linz, percorrendo strade regionali che seguono le indicazioni verso “Admont / Stift Admont”.

Chi preferisce raggiungere l’Abbazia di Admont con mezzi pubblici, può salire a bordo del treno da Wien Hauptbahnhof di Vienna verso la stazione di Admont, per poi proseguire con una camminata di 5 minuti fino alla meta. Esistono anche tour organizzati in pullman da Vienna che includono la visita all’Abbazia di Admont.

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La Grande Chartreuse, il silenzioso monastero che ha creato il misterioso elisir di lunga vita

Incastonato tra le vette verdeggianti dell’Isère, chiamate lo “smeraldo delle Alpi”, si trova il primo monastero dell’ordine dei Certosini: il Grande Chartreuse. Fondato da San Bruno di Colonia, che si festeggia ogni anno il 6 ottobre, è oggi un luogo leggendario che fonde storia, spiritualità e natura, e dove pochi sanno che si produce quello che viene chiamato “l’elisir di lunga vita”.

Il monastero di Chartreuse tra silenzi e contemplazione

Venne costruito nel 1084 in quello che veniva chiamato il “deserto di Chartreuse“: una valle corta, chiusa e molto isolata dove San Bruno e i suoi compagni (Lanuino, Stefano di Bourg, Stefano di Die, Ugo il cappellano, e i conversi Andrea e Guarino) si stabilirono perché ideale per condurre una vita di preghiera e solitudine.

I fondatori realizzarono inizialmente strutture in legno, per poi ingrandirsi con nuove costruzioni (e distruzioni, durante la Guerra dei Cento Anni e le Guerre di Religione) fino a raggiungere l’aspetto attuale (che risale al XVII e XVIII secolo). La comunità monastica si ingrandì in poco tempo con molti seguaci e fu così che nacquero diverse certose in tutta Europa, guidate da regole comuni: vita austera basata sulla preghiera, silenzio e lavoro manuale.

Caratterizzata da un’architettura funzionale e sobria, la Grande Chartreuse riflette in ogni aspetto la vita semplice dei certosini. Al suo interno si trovano le celle individuali per i monaci, un ampio chiostro, una chiesa, laboratori ed edifici agricoli. A favorire la solitudine e la meditazione dei monaci è la presenza di un oratorio e di un giardino privato in ogni cella.

L'entrata del monastero della Grande Chartreuse

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L’entrata della Grande Chartreuse

Il mistero dell’elisir di lunga vita di Chartreuse

Il monastero della Grande Chartreuse non è solo la prima testimonianza dell’ordine certosino, ma anche il luogo in cui misteri e leggende rendono unica la storia del liquore che tutt’oggi viene prodotto al suo interno, che si racconta sia l’elisir di lunga vita.

Tutto iniziò nel 1605, quando il maresciallo d’Estrées consegnò ai monaci della Chartreuse de Vauvert, vicino Parigi, un misterioso manoscritto alchemico. Dentro si trovava la ricetta di un ‘elisir di lunga vita’ con oltre 130 erbe e spezie, ma troppo complessa per essere compresa subito.

Il segreto viaggiò fino alla Grande Chartreuse, dove silenziosamente e con sperimentazioni infinite, i certosini riuscirono nel 1737 a dare vita all’Elixir Végétal de la Grande-Chartreuse: un concentrato tonico, digestivo e… potentissimo (69°). Ottenne successo e così vennero realizzate due versioni più “bevibili”: la Chartreuse verte (1764), intensa e aromatica, e la Chartreuse jaune (1838), più dolce e dorata grazie a miele e zafferano.

Da rimedio monastico a simbolo di eleganza francese, la Chartreuse è oggi un liquore iconico nato tra le montagne e cresciuto nei cocktail bar del mondo, con una ricetta ancora avvolta nel mistero e custodita da pochissimi monaci che la tramandano esclusivamente verbalmente.

Non solo, qui si può andare alla scoperta della produzione del liquore Chartreuse recandosi per assistere a una visita guidata alle cantine della cittadina di Voiron, a circa 35 km di distanza, tra le più lunghe al mondo e con migliaia di botti dove il liquore invecchia lentamente.

Visitare il museo della Grande Chartreuse

La Grande Chartreuse non è visitabile, poiché vivono al suo interno i monaci certosini. Ma è stato allestito un museo più a valle, nella vicina località di Correrie (che un tempo fu tra le prime realizzazioni dell’ordine monastico, in cui vivevano i monaci responsabili dei compiti materiali).

Al suo interno si possono ammirare le ricostruzioni delle celle dei monaci, ma anche manoscritti, paramenti liturgici e oggetti di uso quotidiano che permettono di rivivere la storia dell’ordine monastico e della vita certosina. Nel 2025 è aperto fino all’11 novembre, per poi riaprire nel 2026 in primavera.

Come arrivare

La Grande Chartreuse si trova nelle Alpi francesi, nel comune di Saint-Pierre-de-Chartreuse (nel dipartimento dell’Isère). Spicca a circa 1.190 metri di altitudine, ai piedi del Grand Som, appartenente al massiccio della Chartreuse, spesso chiamato “lo smeraldo delle Alpi”: un paradiso per gli amanti della natura e dell’avventura, con scenari mozzafiato composti da fitte foreste, prati verdeggianti e cime maestose.

Il monastero è facilmente raggiungibile in auto in 45 minuti da Grenoble, da cui dista circa 30 km. Chi preferisce con i mezzi pubblici, può prendere un autobus per Saint-Pierre-de-Chartreuse e da lì può raggiungere il museo e l’area intorno al monastero con il servizio navetta o con una breve passeggiata.

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Varlaam, il monastero che sfida la gravità

Il monastero di Varlaam è un luogo incredibile da visitare: sospeso su una rupe, appoggiato quasi a sfidare la gravità, deve la sua fortuna all’omonimo monaco che ha deciso di realizzarlo a metà del Trecento sfruttando le torri di roccia per dar vita ad un rifugio di meditazione e preghiera. Senza funivie, gradini o passerelle raggiungerlo era piuttosto impegnativo ma grazie a fede, fatica e tenacia ci sono riusciti.

Il monastero non ebbe però una storia molto lunga: l’eremo si svuotò alla morte del fondatore lasciando il luogo in disuso e una chiesa nell’oblio fino a due secoli dopo quando i fratelli Apsarades si occuparono nuovamente di questa fortezza spiritual. È proprio grazie a Theophanes e Nectarios che oggi è possibile visitare il monastero di Varlaam che al suo interno racconta secol di fede e arte bizantina.

Scoprire il monastero di Varlaam

Sembra quasi un castello sospeso ma è un luogo di fede: il monastero di Varlaam inizia a far battere il cuore da lontano, vedendolo durante il percorso per raggiungerlo. Alla bellezza estetica, indiscutibile, si aggiunge il mosaico di storia e dettagli curiosi.

Da visitare sicuramente la cappella dedicata ai santi e decorata con affreschi attribuiti a Franco Catalano, artista cinquecentesco.

E poi ci sono le piccole meraviglie da scoprire: un mastodontico barile di quercia del XVI secolo, capace di custodire acqua per mesi, come se fosse una cisterna in versione “rustica-chic”. Oppure la vecchia torre con il sistema a carrucola: i monaci vi si lasciavano calare dentro una rete che serviva per sollevare uomini e provviste. Un’idea geniale, se non fosse che a ogni oscillazione la rete ricordava più una giostra medievale che un mezzo di trasporto.

Cosa sapere sul monastero di Varlaam in Grecia

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Il suggestivo monastero di Varlaam in Grecia

Per raggiungerlo bisogna percorrere gradini scolpiti nella roccia e un ponte che collega la rupe all’ingresso facendo pensare che ogni passo diventi un tributo per guadagnarsi lo spettacolo finale. E una volta all’interno? Il tempo sembra rallentare: i corridoi hanno il profumo della pietra antica e le stanze raccontano una vita di silenzio e contemplazione. La vera meraviglia è però quella offerta dalle terrazze che regalano una vista sui pinnacoli di meteora.

La visita al monastero di Varlaam lascia il segno con un silenzio incredibile e il contrasto tra la durezza della roccia e la leggerezza dello spirito.

Dove si trova il monastero di Varlaam e come arrivarci

Siamo nella zona della Grecia centrale tra i monasteri ortodossi di Meteora: qui sorge quello di Varlaam tra le città di Kalambaka e il villaggio di Kastraki. Arrivare richiede un po’ di fatica e impegno: da Atene servono circa 5 ore di auto e una volta raggiunta Kalambaka serviranno altri due chilometri da percorrere su una strada stretta e con pochissimi parcheggi. Ecco perché una buona idea è affidarsi ai tour organizzati. Chi sale al monastero dovrà percorrere una faticosa scalinata di 140 gradini. Tutto sommato nemmeno così esagerato, considerando che nelle vicinanze alcuni richiedono oltre 300 gradini. Un’occasione suggestiva da non perdere sul territorio che dà modo di scoprire a fondo un luogo che custodisce segreti.

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Laghi di Prespa, l’eden nascosto tra Albania, Grecia e Macedonia

C’è un angolo d’Europa dove il tempo sembra scorrere in maniera diversa rispetto a come siamo abituati, in cui tre Paesi si stringono attorno a un paesaggio che sa di silenzio, acque immobili e natura senza confini. I Laghi di Prespa, sospesi tra Albania, Grecia e Macedonia del Nord, non compaiono spesso nelle liste delle mete imperdibili, e forse è proprio questo il loro punto di forza. Niente resort o folle, ma solo villaggi semi addormentati, pellicani che sorvolano le acque turchesi e sentieri che si perdono tra colline punteggiate di mandorli e antichi monasteri.

Dove si trovano i Laghi di Prespa

Incastonati tra le montagne dei Balcani, i Laghi di Prespa si trovano in una posizione unica nel loro genere: tra Albania, Grecia e Macedonia del Nord. Si dividono in due specchi d’acqua distinti, il Grande Prespa e il Piccolo Prespa, collegati tra loro da un sottile canale naturale. Il Lago di Prespa Grande è il più esteso e lambisce le sponde di tutti e tre i Paesi, mentre il Piccolo Prespa si trova quasi interamente in territorio greco, a pochi passi dal confine albanese.

Situati a circa 850 metri di altitudine, questi laghi sono tra i più alti della penisola balcanica e sono abbracciati da rilievi che li proteggono. A differenza delle classiche destinazioni turistiche lacustri, qui non ci sono città caotiche o porti affollati, ma villaggi sonnolenti, riserve naturali e un’atmosfera sospesa.

Cosa fare in estate ai Laghi di Prespa

In estate, i Laghi di Prespa offrono un’esperienza unica per chi cerca natura autentica, silenzio e un contatto diretto con una regione rimasta fuori dai grandi circuiti turistici. Ospitano una biodiversità straordinaria, tra cui il più grande santuario di pellicani ricci al mondo e oltre 260 specie di uccelli.

Il lato greco è perfetto per escursioni e visite culturali. Da non perdere, per esempio, è l’isola di Agios Achillios, raggiungibile a piedi grazie a un ponte galleggiante, in cui si possono esplorare le rovine di una basilica bizantina del X secolo. Dal villaggio di Psarades partono le barche tradizionali che attraversano il Lago Grande per mostrare antiche chiese rupestri nascoste tra le rocce.

I sentieri di trekking sono numerosi e ben segnalati, adatti anche a chi non è esperto, e offrono viste mozzafiato sui laghi e sui villaggi tradizionali, come Agios Germanos, dove si possono gustare piatti tipici come fagioli giganti, trote fresche e tsipouro locale. Una curiosità che solo gli abitanti conoscono: la Society for the Protection of Prespa, con sede proprio qui, organizza percorsi tematici e sessioni di birdwatching guidate anche in inglese.

Chi ha tempo può anche raggiungere l’isola macedone di Golem Grad, nota come “Snake Island”, per le sue rovine archeologiche e l’ecosistema particolare. I costi per queste esperienze sono contenuti (le gite in barca vanno dai 10 ai 15  euro), ma il vero limite della zona è la scarsa presenza di servizi: i trasporti pubblici sono ridotti, ci sono poche strutture ricettive e la copertura telefonica è debole.

Meglio quindi essere organizzati con auto a noleggio, mappa offline, acqua e cibo al seguito. Come bonus, a luglio si tiene anche il Prespa Lake Festival, con concerti e iniziative culturali che danno un assaggio della vita e delle tradizioni locali.

Nei Laghi di Prespa, tra le altre cose, si può fare il bagno ma serve un po’ di attenzione. Durante la bella stagione, le acque si scaldano abbastanza da essere piacevoli (intorno ai 20–21 °C), rendendo possibile una nuotata rinfrescante, soprattutto nei tratti sabbiosi e tranquilli come quelli di Dupeni o Slivnica, sulla sponda macedone.

Parliamo di spiagge poco battute, il top se si cerca silenzio e relax. Megali Prespa, il lago più grande, è generalmente il più pulito e adatto alla balneazione. Tuttavia, in alcune zone, specialmente nel Lago Piccolo, possono verificarsi fioriture algali o presenza di cianobatteri, quindi meglio evitare quei tratti se l’acqua non sembra limpida.

Essendo un’area protetta, ci sono regole da seguire: niente saponi, rifiuti o comportamenti che possano disturbare l’ecosistema. Meglio portare con sé scarpette da scoglio, perché in certi punti i fondali sono fangosi o pieni di sassi.

Cosa fare in inverno ai Laghi di Prespa

Soddisfazioni si possono avere anche in inverno, stagione che trasforma i Laghi di Prespa in un paesaggio silenzioso e surreale, dove la natura si mostra nella sua veste più austera e affascinante. Le montagne intorno si coprono di neve e l’aria frizzante regala panorami mozzafiato, ideali per chi ama la quiete e vuole staccare davvero la spina.

A pochi chilometri di distanza si trova il Vigla–Pisoderi Ski Center, una delle località sciistiche più apprezzate della zona, con piste ben curate, rifugi accoglienti e anche qualche après-ski dove riscaldarsi dopo una giornata sulla neve. Ma il vero fascino invernale di Prespa è nelle esperienze più autentiche: le passeggiate lungo i sentieri innevati che partono da villaggi come Agios Germanos, in cui  si incrociano chiesette bizantine, vecchi mulini e scorci da cartolina, o la pesca sul ghiaccio, un’attività ancora praticata dai locali e che, se capita l’occasione giusta, si può provare affiancati da chi la conosce da generazioni.

È un’esperienza diversa, lontana dal turismo di massa. Di contro, va detto che i servizi in inverno sono ancor più ridotti, non tutti i ristoranti o gli alloggi sono aperti, il freddo è pungente e bisogna essere ben equipaggiati (scarponi, abbigliamento tecnico e magari anche una torcia frontale per non farsi sorprendere dal buio). I costi, per fortuna, sono contenuti: le escursioni guidate si aggirano sui 10–20 euro, ma molte cose si possono fare in autonomia.

Una piccola chicca da non perdere: vale la pena fermarsi in silenzio lungo la riva, perché se si è fortunati si possono avvistare i pellicani svernanti librarsi bassi sull’acqua ghiacciata, un’immagine rara e potente che da sola vale il viaggio.

Come arrivare

Arrivare ai Laghi di Prespa non è difficile, ma serve un po’ di organizzazione:

  • Versante greco: è il più accessibile e si parte solitamente da Salonicco (circa 3 ore e mezza in auto), attraversando strade panoramiche che salgono verso Florina e poi scendono dolcemente verso la regione montuosa di Prespa;
  • Lato albanese: si può partire da Korçë (a poco più di un’ora), lungo una strada di montagna che regala vedute spettacolari e villaggi sospesi nel tempo;
  • Lato macedone: è raggiungibile da Resen, e offre un accesso tranquillo e meno battuto.

In tutti i casi, è consigliato viaggiare in auto (meglio se a noleggio) perché i collegamenti pubblici non sono frequenti, soprattutto fuori stagione. Se si è in camper o moto, occorre preparasi a curve, salite e pochi distributori. Tuttavia, una volta arrivati si viene ripagati dal silenzio e uno dei paesaggi più autentici dei Balcani.

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Nel ventre della montagna, il segreto monastico di Zelve

A pochi chilometri dai centri nevralgici di Göreme e Avanos, lungo una strada panoramica che divide in due la Cappadocia, si apre uno degli scenari più sorprendenti e al tempo stesso meno affollati della regione: Zelve.

Un museo a cielo aperto che, più che un sito archeologico, appare come un luogo sospeso nel tempo, dove la roccia conserva la memoria di secoli di vita monastica, convivenza religiosa e poi abbandono.

Un’antica comunità scavata nella roccia

Zelve si sviluppa su un vasto anfiteatro naturale formato da tre valli che si intersecano, costellate di abitazioni rupestri, chiese e stanze comuni interamente scavate nella pietra tenera di origine vulcanica. Il villaggio ebbe un ruolo fondamentale tra il IX e il XIII secolo, periodo in cui divenne un centro spirituale per la comunità cristiana della zona. Non è un caso che proprio qui sorsero i primi seminari per la formazione del clero e che la Chiesa di Direkli, con le colonne e croci scolpite, rappresenti una delle più antiche testimonianze della vita religiosa nel territorio.

Il paesaggio di Zelve è tanto affascinante quanto severo: le pareti di tufo rosa e ocra si ergono verticali, incise da secoli di erosione e punteggiate da “camini delle fate” che sembrano sfidare le leggi della gravità. Ed è su questi versanti che si sviluppano le abitazioni e le chiese, oggi abbandonate.

Dalla spiritualità all’abbandono

Fino al 1924, Zelve fu un esempio di coesistenza tra musulmani e cristiani, un equilibrio spezzato con le espulsioni che seguirono il periodo delle guerre greco-turche. Nel 1952, invece, l’intero villaggio fu dichiarato inabitabile a causa dei rischi legati all’erosione delle rocce. I residenti furono costretti a trasferirsi nella vicina Aktepe, ribattezzata significativamente Yeni Zelve, ovvero “nuova Zelve”.

Il paesaggio non perse però il suo valore storico e nel 1967 Zelve venne riconvertita in museo all’aperto. Da allora, è accessibile ai visitatori che possono esplorarne in libertà le valli, anche grazie a un recente sentiero panoramico che ne migliora la fruizione, pur lasciando intatti i pericoli naturali, come le frane o i crolli, che fanno sì che alcune zone siano transennate.

Le chiese rupestri e il fascino dell’essenzialità

Museo a cielo aperto di Zelve, Cappadocia

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Suggestive rovine del monastero di Zelve

A differenza del Museo all’aperto di Göreme, Zelve non conserva molte chiese affrescate, ma ciò non significa che manchino i luoghi sacri di interesse, a partire dalla Balıklı Kilise, detta “chiesa dei pesci”, decorata con semplici simboli ittici, e dalla Üzümlü Kilise, la “chiesa dell’uva”, così chiamata per i grappoli scolpiti lungo le pareti. Entrambe testimoniano una forma d’arte primitiva e simbolica, nata in un’epoca precedente all’iconoclastia.

La Geyikli Kilise, o “chiesa del cervo”, è un altro luogo significativo, nonostante lo stato frammentario della sua struttura. E poi c’è la piccola moschea rupestre nella Terza Valle, un segno tangibile della pacifica convivenza tra le due comunità religiose che per secoli condivisero l’area.

Poco oltre il bivio per Zelve, nei pressi di una vecchia stazione di polizia incastonata dentro un camino delle fate, si apre un’altra valle difficile da descrivere: si tratta di Paşabağı, celebre per la formazione geologica a tre cime, una delle più spettacolari della Cappadocia. Qui vissero gli eremiti bizantini, che scavarono celle monastiche verticali nelle torri di tufo. Alcuni gradini portano ancora oggi a una cappella rupestre dove si conservano dipinti sacri, tra cui un’icona della Vergine con il Bambino, sopravvissuta all’iconoclastia e al tempo.

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Cosa vedere in Franciacorta, territorio che custodisce vigneti, borghi antichi e panorami da cartolina

Dolci colline ricoperte di vigneti e punteggiate da borghi medievali, castelli antichi e monasteri, che si estendono in un’area compresa tra la città di Brescia e la sponda meridionale del Lago d’Iseo. Siamo in Franciacorta, territorio rinomato per i suoi vini, le “bollicine” realizzate con metodo classico, e per i paesaggi naturali da cartolina. Una meta perfetta per un viaggio che unisce natura, enogastronomia, arte e relax.

Il modo migliore per assaporarne le diverse sfaccettature? Muoversi in bici, in moto, a cavallo o in quad, con l’aria tra i capelli e lo sguardo perso tra i vigneti. Prevedete delle soste in alcune delle cantine più belle d’Italia per degustare i loro prodotti e poi esplorate il patrimonio culturale e architettonico che racconta millenni di storia. Prendete carta e penna e annotate: queste sono le 15 cose da vedere e da fare in Franciacorta per vivere un’esperienza memorabile.

Cosa vedere in Franciacorta

Dalle cantine più prestigiose ai borghi medievali che spiccano tra le colline e i filari, dai siti storici e religiosi fino a uno dei siti naturali più importanti della Lombardia. Vi sveliamo i luoghi imperdibili della Franciacorta.

Le Cantine della Franciacorta

Sono l’anima produttiva e culturale della regione franciacortina: le cantine sono le protagoniste indiscusse. Sono tantissime e la maggior parte di loro è legata al Consorzio Franciacorta, con il suo disciplinare per la realizzazione di spumanti metodo classico con denominazione DOCG che fanno concorrenza ai vicini champagne francesi.

Tante cantine non sono solo luoghi di produzione vinicola, ma veri e propri templi culturali in cui tradizione, innovazione, ospitalità, design ed arte si uniscono per offrire esperienze immersive. Mete perfette per fare degustazioni, esplorare con guide esperte le modalità di creazione dei vini Franciacorta, assistere ad eventi culturali e mondani, ma anche immergersi nell’arte. Sì perché alcune cantine sembrano veri e propri musei, ricchi di elementi artistici e architettonici mozzafiato.

Oltre a Bellavista, Guido Berlucchi, Barone Pizzini, Ferghettina, La Montina e Contadi Castaldi, che sono solo alcune delle più note e premiate cantine franciacortine, spicca anche Ca’ del Bosco (a Erbusco), celebre per le numerose opere di arte contemporanea posizionate negli spazi interni ed esterni della cantina, offrendo un’esperienza sensoriale unica. Qui sono esposte sculture di Igor Mitoraj, Arnaldo Pomodoro, Rabarama, Stefano Bombardieri e Mimmo Pladino, per citarne solo alcuni.

I borghi medievali

Sono diversi i borghi che compongono il territorio franciacortino. Di origine medievale, sono piccoli e grandi scrigni di bellezze, tra chiese antiche, castelli, palazzi e ville nobiliari, giardini e piazzette vivaci che durante le sagre popolari riuniscono la popolazione di fronte a piatti della tradizione, musica e buon vino.

Di seguito tutti i borghi della Franciacorta:

  • Adro
  • Capriolo
  • Cazzago San Martino
  • Cellatica
  • Coccaglio
  • Cologne
  • Corte Franca
  • Erbusco
  • Gussago
  • Iseo
  • Monticelli Brusati
  • Paderno Franciacorta
  • Passirano
  • Paratico
  • Provaglio d’Iseo
  • Rodengo Saiano
  • Rovato

Impossibile stabilire quale sia il più bello: ognuno ha la propria unicità. Come Erbusco, il “cuore” della Franciacorta, sede del Consorzio e culla delle più grandi cantine del territorio (come Bellavista e Ca’ del Bosco). Passeggiando nel suo centro storico, che conserva alcuni scorci delle antiche mura del castello medievale, potrete ammirare la Pieve antica, la Chiesa di Santa Maria Assunta e le meravigliose ville nobiliari (che in eventi speciali, come Erbusco in Tavola, aprono le porte al pubblico mostrandosi in tutta la loro eleganza).

Meritano una menzione anche Bornato, uno dei borghi più pittoreschi della Franciacorta con il suo castello e gli scorci panoramici; Ome, con le antiche mulattiere, i sentieri tra i boschi e un’antica fucina del XV secolo ancora funzionante (l’Antico Maglio Averoldi); Passirano con il suo imponente castello tra i filari.

Anche Gussago, adagiato sulle dolci colline vitate (chiamate localmente i “ronchi”), è da segnare: l’icona del borgo è la Santissima (che vediamo di seguito), un complesso monastico che spicca in cima a una collina con panorama mozzafiato sul paesaggio circostante.

Iseo, invece, è affacciato sul lago e alterna il centro storico dallo stile medievale a un lungolago vivace (soprattutto d’estate) e ricco di eventi.

Castello di Gussago – La Santissima di Gussago 

Svetta meravigliosamente in cima al colle Barbisone di Gussago, dalle pendici ricche di filari, e sembra proprio uscire da una cartolina: il Castello di Gussago – La Santissima è un affascinante complesso storico (e una cantina di ottima qualità) che unisce arte, spiritualità, natura e tradizione vinicola.

Nata come convento domenicano (XVI secolo), la Santissima ha struttura romanica che dopo la soppressione dell’ordine domenicano è stata trasformata in una villa in stile neogotico moresco, conferendole l’aspetto attuale simile a un castello. Dalla sua terrazza naturale, il complesso offre viste panoramiche memorabili che nelle giornate più nitide svelano anche il Monte Rosa.

Castello di Gussago - La Santissima, Franciacorta

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Castello di Gussago – La Santissima, in Franciacorta

Il Castello di Bornato

Tra i borghi antichi che punteggiano la Franciacorta, quello di Bornato custodisce un raro esempio di castello medievale con una splendida villa rinascimentale costruita al suo interno, Villa Orlando, ancora abitata dai proprietari, con sale rinascimentali affrescate, il giardino all’italiana, una chiesetta e gli antichi sotterranei. Oggi è anche una cantina vitivinicola in cui programmare una visita, ma si dice che in passato anche Dante Alighieri vi soggiornò durante il suo esilio da Firenze. Il panorama da qui? Di rara bellezza. E nelle giornate più terse lo sguardo corre lungo la Pianura Padana fino a scorgere anche gli Appennini.

L’Abbazia Olivetana di San Nicola

Durante la vostra esplorazione lungo la Franciacorta, segnatevi questa tappa: l’Abbazia Olivetana di San Nicola, a Rodengo Saiano. Si tratta di un capolavoro architettonico rinascimentale, un complesso monastico con un affascinante chiostro, fondato dall’ordine cluniacense attorno al X secolo e poi gestito dai Benedettini Olivetani di Monte Oliveto Maggiore.

Dopo essere stata ottimamente restaurata, l’Abbazia è tornata ai suoi antichi splendori ed è oggi uno dei più ricchi monasteri del Nord Italia, che ospita opere, tra gli altri, del Moretto e del Romanino.

Il Monastero di San Pietro in Lamosa (Provaglio d’Iseo)

Abbarbicato su un colle con vista magnifica sulle Torbiere del Sebino, si trova un antico complesso monastico benedettino molto affascinante: il Monastero di San Pietro in Lamosa di Provaglio d’Iseo. Una combinazione unica di storia, arte e natura. Da visitare la chiesa romanica, il chiostro del XV secolo e la Sala dei Disciplini (oratorio barocco decorato con affreschi primo-cinquecenteschi e un maestoso crocifisso), oltre al paesaggio naturale circostante.

La Riserva Naturale Torbiere del Sebino

A sud del Lago d’Iseo si estende un’area protetta di 360 ettari, tra le zone umide più importanti della Lombardia: le Torbiere del Sebino, con specchi d’acqua alternati a sentieri immersi nella natura selvaggia, ponticelli e scorci di rara bellezza. Qui è ospitata una ricca biodiversità e una grande varietà di uccelli migratori (la Riserva Naturale Torbiere del Sebino è infatti un paradiso per gli amanti del birdwatching).

Potrete fare un’escursione a piedi scegliendo uno dei percorsi ad anello che la attraversano, dall’alba al tramonto. Il costo di accesso è di 2 euro per adulto (i bambini fino a 8 anni non pagano). Un’ottima meta per la disconnessione e il contatto autentico con la natura, per tutta la famiglia.

Riserva Naturale Torbiere del Sebino, Franciacorta

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Riserva Naturale Torbiere del Sebino, in Franciacorta

Il Convento della Santissima Annunciata di Rovato

A Rovato, uno dei Comuni più a sud della Franciacorta, c’è un convento che dall’alto del Monte Orfano osserva una buona parte del territorio vitivinicolo: si tratta del Convento della Santissima Annunciata (consacrato nel 1507), un gioiello di arte, spiritualità, storia e architettura religiosa rinascimentale.

Chiesa, sagrestia, chiostro, celle dei frati, refettorio e una cappella interna sono tutti luoghi visitabili, mentre dalla loggia panoramica si gode una vista mozzafiato sui vigneti della Franciacorta. Una chicca? A poca distanza si trova una panchina formato maxi in cui sedersi e ammirare il paesaggio, appartenente al circuito delle Panchine Giganti.

Cosa fare in Franciacorta

Non ci si annoia di certo nel territorio franciacortino. Dai tour in bici alle degustazioni di piatti tradizionali, dagli eventi culturali allo shopping, ecco 7 cose da fare in questa terra di vini e colline.

In bici, moto o quad lungo la Strada del Vino Franciacorta

Sono diverse le occasioni per noleggiare bici, Vespe o quad per vivere l’esperienza di un tour panoramico tra vigneti, colline, borghi e cantine della Franciacorta. Ma anche percorrere le stradine tra i filari a piedi è un’avventura consigliatissima. Qui potete trovare la mappa con tutti i percorsi possibili e i punti di interesse da scoprire lungo la Strada del Vino.

Eventi e sagre tra i vigneti e i borghi

Non mancano gli eventi in Franciacorta. Se capitate in questo territorio della provincia di Brescia durante la primavera, potrete ad esempio assistere a Franciacorta in Fiore, che si tiene tutti gli anni a maggio nel borgo antico di Bornato: una rassegna florovivaistica con giardini diffusi, installazioni artistiche e percorsi naturalistici meravigliosi per celebrare tutta la bellezza dei fiori e sensibilizzare sull’importanza degli insetti impollinatori. A Marzo, invece, prende vita il Festival di Primavera, un weekend dedicato all’incontro tra cultura, enogastronomia e tradizione, con degustazioni in cantina, piatti della tradizione, visite culturali guidate nei luoghi storici del territorio.

In estate, poi, sono numerose le sagre popolari in cui degustare la cucina tradizionale a suon di musica e brindisi. L’evento più atteso è poi il Festival Franciacorta in Cantina, che si tiene a settembre: tantissime cantine aprono le porte per degustazioni ed eventi esclusivi.

Degustazione dei piatti della tradizione

Nelle pause tra le visite in cantina e nei borghi, potrete recarvi nei ristoranti, negli agriturismi e nelle trattorie tipiche dove assaggiare i migliori piatti della tradizione culinaria del territorio. Non potrete lasciare la Franciacorta (e in generale la provincia di Brescia) senza aver provato i salumi locali, il manzo all’olio di Rovato, i casoncelli e i formaggi della Val Camonica.

Shopping all’Outlet Franciacorta

Dopo un’immersione della cultura e nelle tradizioni della Franciacorta, non manca anche una tappa per lo shopping sfrenato a Rodengo Saiano, presso l’Outlet Village Franciacorta, uno dei più importanti del Paese con oltre 160 negozi e boutique di marchi prestigiosi con sconti golosi tutto l’anno.

Relax e coccole di benessere

Molti hotel e agriturismi in Franciacorta offrono esperienze benessere, spa e trattamenti, spesso con vista sui vigneti o sul Lago d’Iseo. Uno dei più noti (che spesso ospita Vip italiani e internazionali) è L’Albereta Relais & Chateaux (a Erbusco), in cui si trova la SPA firmata Chenot.

Gita fuori porta a Monte Isola

Non rientra geograficamente nel territorio franciacortino, ma è una tappa obbligata durante un soggiorno in questo territorio bresciano, comodamente raggiungibile da Iseo (o da Sulzano) con il traghetto: nel cuore del Lago d’Iseo, Monte Isola è l’isola lacustre più grande d’Italia e dell’Europa Occidentale ed è uno scrigno di tesori da scoprire.

È uno dei “Borghi più Belli d’Italia” e incanta con i suoi pittoreschi borghetti sparsi lungo le sue pendici (come Peschiera Maraglio, Carzano e Novale), le tradizioni culinarie secolari (tra cui il salame di Monte Isola e le sardine essiccate), la natura rigogliosa che domina incontrastata e il Santuario della Madonna della Ceriola nel punto più alto dell’isola. Vi consigliamo di partire zaino in spalla lungo il sentiero che raggiunge questo incantevole santuario a 600 metri di altitudine: da lassù si può godere di un panorama meraviglioso a 360° su tutto il lago.

Monte Isola (Brescia), l'isola lacustre più grande d'Italia

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Monte Isola (provincia di Brescia), l’isola lacustre più grande d’Italia

Tappa in città: alla scoperta di Brescia

La Franciacorta si trova a poca distanza dal centro cittadino di Brescia, una città ricca storia che vale la pena essere scoperta a piedi, passeggiando tra piazze imponenti, chiese antiche, palazzi eleganti e viuzze acciottolate che portano fino al Castello, che dall’alto di un colle è il guardiano silenzioso della città.

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Nel cuore del deserto: il monastero incantato di San Giorgio di Choziba

Nascosto tra le pareti rocciose del canyon del Wadi Qelt, nel cuore del deserto di Giuda, in Cisgiordania, a circa 9 km da Gerico e a circa 20 km da Gerusalemme, il Monastero di Choziba – detto anche Monastero di San Giorgio – rappresenta un luogo di profonda spiritualità e bellezza architettonica. Questo monastero greco-ortodosso – situato in un’area desertica in territorio israeliano – è uno dei più antichi e suggestivi luoghi di culto della Terra Santa che attira tantissimi pellegrini che cercano, durante il loro viaggio, il senso della vita e puntano a ritrovare sé stessi. Ma anche molti visitatori amanti del trekking e della natura di tutto il mondo giungono da queste parti per meravigliarsi e entrare in contemplazione con un luogo come questo. Come un miraggio nella polvere le cupole azzurre di questo monastero appaiono infatti dal nulla dopo distese di sassi color ocra e roccia rossa del deserto. Una meraviglia per il cuore e l’anima.

Storia millenaria tra fede e resilienza

Il Monastero di San Giorgio di Choziba fu originariamente costruito intorno a una grotta nel 420 d.C. da cinque eremiti. Questi scelsero questo luogo in quanto situato vicino alla grotta dove il profeta Elia si fermò in fuga dal Sinai venendo nutrito per mesi dai corvi.
Tantissimi monaci vennero attratti da questo luogo così spirituale e questo complesso monastico venne dedicato a San Giorgio il Chozibita.

Nel VI secolo d.C. i persiani giunsero poi nella valle e massacrarono i monaci che abitavano lì. Da quel preciso momento il monastero rimase in stato di completo abbandono per ben 500 anni. Successivamente i crociati, nel 1179 d.C., si insediarono in questo spazio e tentarono di restaurarlo fino alla loro cacciata. Nel 1878 venne costruito l’attuale edificio a cura dalla Chiesa Greco-Ortodossa. Oggi il monastero di San Giorgio di Choziba è abitato da pochi monaci che continuano a vivere secondo l’antica tradizione e aprono le porte a pellegrini e turisti.

Architettura e luoghi sacri

Il Monastero di San Giorgio di Choziba è una straordinaria costruzione in pietra bianca sospesa e immersa nell’arida roccia desertica. Si tratta di un’architettura meravigliosa e desolata qui dove vivono solo i monaci accompagnati dal silenzio e dalla fede. Il Monastero di Choziba, che ospita anche un ossario con i resti dei 14 monaci martirizzati dai persiani, è composto da tre livelli che includono:

  • la chiesa principale dedicata alla Vergine Maria, presenta una cupola e mosaici bizantini, tra cui l’aquila bicefala simbolo dell’Impero Bizantino,
  • la cappella di San Giovanni e San Giorgio che contiene un pavimento a mosaico risalente al VI secolo e le reliquie di San Giovanni di Choziba,
  • la grotta del Profeta Elia dove, secondo la tradizione, il profeta trovò rifugio e fu nutrito dai corvi per tre anni e sei mesi. La grotta è decorata con affreschi antichi assolutamente da vedere.
cosa vedere nel monastero di san giorgio nel deserto di giuda

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Monastero di San Giorgio di Choziba

Come raggiungere il Monastero di San Giorgio di Choziba

Il monastero si trova a circa 9 km da Gerico e 20 km da Gerusalemme. Un tempo questo luogo era accessibile solo a piedi attraverso una strada dissestata. Bisognava calarsi nel profondo canyon roccioso camminando lungo un sentiero soleggiato facendosi aiutare solo eventualmente dai muli. Oggi però le cose sono cambiate e il monastero è accessibile anche attraverso una nuova strada.

  • In auto: nel 2010 è stata costruita una strada. Dalla Highway 1, che collega Gerusalemme a Gerico – nell’itinerario che scende verso il Mar Morto – bisogna seguire le indicazioni per Mitzpeh Yeriho e prendere quindi la strada che conduce al Canyon di Nahal Prat. Da qui, dopo aver parcheggiato, bisogna percorrere un pezzetto a piedi,
  • in autobus  – n. 486, 487 –  percorrendo sempre l’autostrada 1 da Gerusalemme e uscendo a Mizpe Yericho,
  • a piedi percorrendo sentieri panoramici da Gerico o Mizpe Yericho attraverso il Wadi Qelt, con un livello di difficoltà medio-difficile.

Orari di visita e consigli utili

La visita al Monastero di San Giorgio di Choziba è da inserire in programma durante un viaggio on the road in questa zona. Questo monastero è anche citato nelle scritture come luogo di ritiro spirituale di Gioacchino – padre di Maria di Narareth – che proprio qui ricevette la visita di un angelo che gli preannunziava la gravidanza di sua moglie Anna. Ecco alcune informazioni e consigli utili per visitare questo luogo:

  • orari di apertura: tutti i giorni dalle 8 alle 11 e dalle 15 alle 17. Il sabato l’orario di visita è invece dalle 9 alle 12,
  • ingresso libero,
  • abbigliamento: essendo un monastero è richiesto un abbigliamento rispettoso e consono per il luogo,
  • attrezzatura: si consiglia di indossare scarpe da trekking e portare acqua e protezione solare, data la posizione desertica del sito.

Eventi e celebrazioni

Il 20 gennaio di ogni anno si celebra la festa di San Giorgio, patrono del monastero. In questa data molti pellegrini e religiosi ortodossi giungono qui da ogni parte di mondo per festeggiare insieme con cerimonie religiose e momenti conviviali aperti a tutti.
Inoltre, in ogni periodo dell’anno, sono invece tante le donne che lo raggiungono per chiedere la grazia della maternità vista la citazione del luogo nei vangeli.

In alternativa inserire questa tappa del Monastero di Choziba in un itinerario di viaggio in Israele, sarà sicuramente non deludente. Un luogo spirituale, bello e indimenticabile come altrettanto lo è il deserto di Giuda soprattutto se visitato alle prime luci dell’alba.

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Sulle orme di San Benedetto: un cammino tra silenzio, fede e Appennino

Il Cammino di San Benedetto è un itinerario a piedi di circa 300 km, che collega Norcia (luogo di nascita di San Benedetto) a Montecassino (dove si trova la sua tomba), attraversando l’Umbria e il Lazio. Si tratta di un percorso spirituale e naturalistico che si sviluppa lungo 20 tappe, prevalentemente su sentieri collinari, strade sterrate e tratti di montagna, toccando borghi medievali, monasteri, eremi e paesaggi straordinari.

Questo cammino, sebbene meno noto di altri percorsi italiani, è perfettamente segnalato, molto curato e capace di offrire un’esperienza intensa, che coniuga ritmo lento, natura e silenzio. È adatto a camminatori con un livello medio di allenamento: non ci sono tratti tecnici, ma la lunghezza e i dislivelli di alcune tappe richiedono preparazione.

Storia del Cammino di San Benedetto

Il cammino ripercorre i luoghi legati alla vita di San Benedetto da Norcia, fondatore dell’Ordine Benedettino e figura fondamentale del monachesimo occidentale. Nato a Norcia nel 480 d.C., visse tra l’Umbria e il Lazio, fondando numerosi monasteri e diffondendo la regola “Ora et Labora”, che ha plasmato la cultura spirituale e sociale dell’Europa medievale.

Tra i luoghi più significativi ci sono Subiaco, dove visse da eremita per anni e fondò dodici monasteri, e Montecassino, dove scrisse la Regola di San Benedetto e fondò l’abbazia madre del suo ordine. Il cammino tocca anche luoghi simbolici come Cascia, Rieti, Rocca Sinibalda, Tivoli, in un viaggio che attraversa secoli di spiritualità, architettura e paesaggi ancora incontaminati.

Le 16 tappe del Cammino di San Benedetto

Il Cammino di San Benedetto si articola in 16 tappe e attraversa l’Appennino centrale da Norcia a Montecassino, seguendo le orme del Santo in un itinerario lineare e coerente, che tocca i luoghi più significativi della sua vita e della spiritualità benedettina.

Tappa 1: Norcia – Cascia (17,4 km, 648 m D+, 5h30m)

Il cammino comincia nel cuore di Norcia, la città dove nacque San Benedetto. L’emozione della partenza si mescola al silenzio delle vie antiche e al paesaggio che già si apre davanti. Dopo i primi chilometri, la strada comincia a salire con decisione: si attraversano colline coperte di boschi, prati aperti e piccoli borghi.

La salita è continua ma mai troppo dura, e regala scorci splendidi sulla Valnerina. Arrivati a Cascia, si viene accolti dalla presenza forte del Santuario di Santa Rita, meta di pellegrinaggi da tutto il mondo. È una tappa che mette alla prova le gambe, ma che offre fin da subito il senso del cammino: lentezza, silenzio, e spiritualità diffusa.

Tappa 2: Cascia – Monteleone di Spoleto (15,8 km, 530 m D+, 5h)

Si lascia Cascia percorrendo strade secondarie e sentieri che attraversano una campagna ampia e silenziosa. La salita iniziale è dolce e progressiva, mentre il percorso si snoda tra colline e altopiani, con pochi centri abitati. Il cammino qui ha un ritmo tranquillo, perfetto per chi vuole rallentare e iniziare a trovare un passo più meditativo.

Monteleone di Spoleto appare all’improvviso su un crinale, con le sue mura antiche e le viuzze in pietra. È uno dei borghi più alti dell’Umbria e conserva un’atmosfera autentica, quasi fuori dal tempo. Conviene arrivare con un po’ di margine per esplorarla.

Tappa 3: Monteleone – Leonessa (13,9 km, 234 m D+, 4h30m)

Dopo due giornate intense, questa tappa più breve permette di rifiatare. Si parte in discesa, lungo una valle che apre lo sguardo verso il Lazio. Il paesaggio è vario: boschi, campi coltivati, e tratti di strada bianca. Non ci sono difficoltà tecniche, ed è una buona occasione per ascoltare il silenzio e osservare i dettagli.

Leonessa è un borgo accogliente, con un centro storico ben conservato e tutto ciò che serve per un pellegrino: bar, farmacia, negozi. Qui si respira già un’aria diversa, più montana, e si inizia a percepire l’isolamento di alcune tappe che verranno.

Tappa 4: Leonessa – Poggio Bustone (18,7 km, 697 m D+, 6h)

La quarta tappa è una delle prime vere sfide fisiche del cammino. Si comincia in piano, poi si affrontano tratti in salita alternati a discese più ripide. Si attraversano boschi densi e si cammina su sentieri poco battuti, con un senso di solitudine che in certi momenti può diventare potente.

Ma proprio in questo isolamento si comprende lo spirito del cammino. L’arrivo a Poggio Bustone, in alto sulla valle, è particolarmente suggestivo. Il paese è legato anche a San Francesco, e ospita un eremo affacciato sulla pianura reatina. La salita finale è ripagata da un senso di pace e da un panorama ampio e luminoso.

Tappa 5: Poggio Bustone – Rieti (20,4 km, 405 m D+, 5h)

La tappa comincia con una lunga discesa, tra boschi e sentieri che si fanno via via più aperti. Si entra nella Valle Santa di Rieti, uno dei luoghi più ricchi di spiritualità del centro Italia. Il percorso non presenta particolari difficoltà, ma è piuttosto lungo, quindi conviene partire con un buon ritmo.

L’arrivo a Rieti segna il passaggio a una dimensione più urbana: la città è viva, con un bel centro storico e tutti i servizi necessari per rifornirsi. È un buon punto per riposarsi, organizzare le tappe successive e, se serve, fare una piccola manutenzione allo zaino o all’equipaggiamento.

Tappa 6: Rieti – Rocca Sinibalda (21,6 km, 588 m D+, 6h)

Una tappa dal profilo collinare, molto varia, che alterna sentieri boscosi a tratti di campagna aperta. I primi chilometri sono facili, poi la salita si fa più costante man mano che ci si avvicina a Rocca Sinibalda, borgo raccolto e dominato da un castello che sembra uscito da una fiaba.

Il colpo d’occhio è notevole, soprattutto quando si arriva nel tardo pomeriggio, con la luce bassa sui tetti in pietra. Non ci sono molti servizi lungo la tappa, quindi è importante portare acqua e qualcosa da mangiare. In compenso, la quiete è totale.

Tappa 7: Rocca Sinibalda – Castel di Tora (18 km, 620 m D+, 6h)

Il cammino prosegue tra saliscendi regolari e boschi che si aprono all’improvviso su vedute spettacolari del Lago del Turano. È una delle tappe più belle dal punto di vista paesaggistico: i riflessi sull’acqua, i profili delle montagne, i borghi in pietra che si affacciano sul lago rendono il percorso memorabile.

Castel di Tora è un piccolo gioiello, arroccato sul lago, con poche strutture ma molto accoglienti. In estate può essere affollato nei weekend, in bassa stagione invece si gode di un silenzio perfetto. L’ultimo tratto in salita può essere faticoso se fatto nel caldo: meglio partire presto.

Tappa 8: Castel di Tora – Orvinio (22,6 km, 1.078 m D+, 7h)

Una tappa lunga, con un dislivello impegnativo e lunghi tratti immersi nel bosco. È una di quelle giornate in cui si cammina tanto e si parla poco: le salite sono numerose e i punti di ristoro assenti. Il sentiero è ben segnato ma isolato, e nei mesi più caldi è importante portare molta acqua.

Quando si arriva a Orvinio, uno dei borghi più belli del Lazio, il senso di fatica si mescola alla soddisfazione. L’atmosfera qui è autentica e tranquilla, con strutture semplici e persone abituate ad accogliere chi arriva a piedi. È una tappa che richiede costanza, ma regala una sensazione profonda di avanzamento.

Tappa 9: Orvinio – Mandela (22,1 km, 726 m D+, 7h)

Si parte da Orvinio lasciandosi alle spalle i crinali silenziosi del Parco dei Monti Lucretili, per scendere progressivamente verso territori più dolci e aperti. Il paesaggio cambia: dalle faggete si passa a colline punteggiate di uliveti e casali isolati. È una tappa lunga, ma con un dislivello ben distribuito e poche vere difficoltà tecniche.

Attenzione però ai tratti assolati, specie in estate: è bene partire presto e avere con sé una buona scorta d’acqua. L’arrivo a Mandela, borgo discreto e raccolto, segna l’ingresso in un’area più densamente abitata. Gli alloggi sono pochi: conviene prenotare.

Tappa 10: Mandela – Subiaco (21,2 km, 662 m D+, 6h)

Questa tappa ha un valore simbolico importante: porta a Subiaco, uno dei luoghi più legati alla figura di San Benedetto. Il percorso si snoda tra colline, tratti boscosi e strade secondarie, con salite e discese mai troppo impegnative ma costanti.

L’arrivo è spettacolare: ci si avvicina alla cittadina dominata dai Monasteri di San Benedetto e di Santa Scolastica, incastonati nella roccia, in una gola scavata dal fiume Aniene. Vale la pena fermarsi un giorno in più per visitarli con calma: il Sacro Speco, in particolare, è uno dei luoghi spirituali più intensi del cammino.

Tappa 11: Subiaco – Trevi nel Lazio (15,2 km, 1.107 m D+, 5h30m)

Nonostante la distanza contenuta, questa tappa è una delle più impegnative in salita dell’intero cammino. Il dislivello si fa sentire, ma la bellezza dei boschi dei Monti Simbruini e la qualità dei sentieri aiutano a mantenere il ritmo.

Dopo ore di salita in mezzo al verde, si sbuca tra le case di Trevi nel Lazio, borgo di montagna autentico e poco turistico, adagiato su un crinale. I servizi sono pochi ma sufficienti. È una giornata che mette alla prova le gambe, ma rafforza il senso di progressione del cammino.

Tappa 12: Trevi nel Lazio – Guarcino (17,4 km, 776 m D+, 5h30m)

Si parte con una discesa tra i boschi, che lascia spazio a tratti più collinari e aperti. Questa tappa offre un bel mix di ambienti: tratti ombrosi alternati a panorami ampi sulla valle. Guarcino è un paese vivo, con negozi e bar, ottimo per una sosta ristoratrice.

Il percorso è ben segnalato, ma in caso di pioggia alcuni tratti nel bosco possono essere scivolosi. Vale la pena fare scorte qui: le tappe successive sono più solitarie e servite da meno strutture.

Tappa 13: Guarcino – Vico nel Lazio (17,7 km, 725 m D+, 5h)

Una giornata tranquilla, con un percorso ondulato tra boschi di querce e ulivi, piccoli campi e crinali erbosi. È una tappa di respiro e contemplazione, senza particolari difficoltà, ma che invita a rallentare e godersi l’ambiente.

L’arrivo a Vico nel Lazio, borgo cinto da mura medievali perfettamente conservate, è suggestivo. Il paese è piccolo e molto accogliente, e in serata il silenzio domina. Una tappa che ricarica lo spirito senza affaticare troppo il corpo.

Tappa 14: Vico nel Lazio – Collepardo (13,2 km, 716 m D+, 4h30m)

Tappa breve ma ricca di salite, da non sottovalutare. Dopo un tratto iniziale panoramico, si entra in una zona più selvaggia, dove i sentieri salgono tra boschi e rocce. In prossimità di Collepardo, il paesaggio diventa sempre più spettacolare.

Il paese è posto su un’altura e regala ampie vedute sulla valle. Da qui si può deviare per visitare la vicina Certosa di Trisulti, un luogo che merita assolutamente. Il consiglio è di arrivare presto e prendersi il tempo per l’escursione pomeridiana.

Tappa 15: Collepardo – Casamari (14,8 km, 331 m D+, 4h30m)

Tappa più tranquilla e meno impegnativa, perfetta per recuperare energie. Si scende dolcemente tra colline e paesaggi agricoli, su un percorso sempre ben tracciato.

L’arrivo a Casamari è emozionante per chi ama l’architettura sacra: l’Abbazia di Casamari, in stile gotico-cistercense, è tra le più belle d’Italia. È possibile visitarla e, in alcuni periodi, pernottare nelle foresterie adiacenti. Una tappa che invita alla calma, alla riflessione e al raccoglimento.

Tappa 16: Casamari – Montecassino (29,1 km, 1.112 m D+, 8h)

L’ultima tappa è la più lunga e impegnativa: quasi trenta chilometri e oltre mille metri di dislivello per raggiungere la meta finale. Si attraversano borghi, colline e lunghi tratti su sentieri di crinale, fino all’imponente Abbazia di Montecassino, visibile da lontano, in cima al monte.

L’emozione cresce passo dopo passo, fino a diventare travolgente negli ultimi chilometri di salita. Arrivati in cima, si può accedere alla tomba di San Benedetto, concludendo il cammino nel luogo dove visse gli ultimi anni della sua vita. È una giornata da affrontare con rispetto, buon passo e orari ben calcolati: l’arrivo a Montecassino segna il compimento di un percorso che è insieme fisico e interiore.

Il Cammino di San Benedetto: sulle tracce del padre del monachesimo occidentale

Il Cammino di San Benedetto è un itinerario spirituale e paesaggistico che collega i tre luoghi chiave della vita del Santo: Norcia, dove nacque; Subiaco, dove visse da eremita e fondò dodici monasteri; e Montecassino, dove scrisse la celebre Regola e fondò il monastero destinato a diventare simbolo del monachesimo occidentale. Il cammino si snoda per circa 300 km, in 16 tappe attraverso l’Appennino centrale, tra Umbria e Lazio, toccando borghi medievali, abbazie millenarie e paesaggi silenziosi, in un equilibrio profondo tra spiritualità, natura e cultura.

A differenza di altri cammini religiosi, questo itinerario non è costruito attorno a un pellegrinaggio devozionale verso una singola meta, ma rappresenta un percorso lineare nella vita e nel pensiero di Benedetto da Norcia. È un cammino di disciplina e riflessione, in cui l’esperienza spirituale si vive nella sobrietà delle foresterie monastiche, nel silenzio dei boschi, nella verticalità delle abbazie arroccate sui crinali.

Quando partire per il cammino benedettino

Il Cammino di San Benedetto si sviluppa tra l’Appennino umbro-laziale e la Ciociaria, zone caratterizzate da dislivelli importanti, boschi fitti e panorami aperti sulle valli. Il periodo migliore per intraprenderlo va da maggio a ottobre, quando le giornate sono lunghe e i sentieri più praticabili. In primavera, i prati si riempiono di fioriture spontanee e le foreste si risvegliano in una varietà di toni verdi che accompagnano il camminatore tra Norcia, Cascia e Monteleone di Spoleto. In autunno, i colori caldi dei boschi della Valle dell’Aniene o del Parco dei Monti Simbruini restituiscono al cammino un’atmosfera raccolta e meditativa.

L’inverno non è consigliato: l’altitudine di alcuni tratti (come tra Leonessa e Poggio Bustone) può comportare neve e fango, rendendo le tappe difficoltose. D’estate, invece, è meglio partire presto al mattino, soprattutto nelle tappe che attraversano zone più esposte, come quelle tra Rocca di Corno, Collepardo e Arpino, per evitare le ore più calde.

Dove dormire lungo il Cammino di San Benedetto

Una delle esperienze più autentiche del Cammino di San Benedetto è l’incontro con la cultura dell’ospitalità benedettina. In diversi tratti è possibile pernottare in monasteri, conventi e strutture religiose, dove l’accoglienza si basa sul principio “ora et hospita“: preghiera e ospitalità. A Subiaco, è possibile alloggiare nei pressi del Sacro Speco, uno dei santuari più suggestivi d’Italia, incastonato nella roccia, dove il tempo sembra essersi fermato.

Quando non si trova ospitalità religiosa, si può contare su B&B, case private e piccoli alberghi gestiti da persone del luogo, spesso sensibili alla spiritualità del cammino. A Trevi nel Lazio, Casamari o San Pietro Infine, è facile essere accolti con semplicità, magari con un pasto preparato in casa e racconti del posto. La prenotazione è consigliata, specie nelle zone più isolate, dove le alternative sono poche. In alcune tappe (come a Filettino o Roccasecca), si sta sviluppando una rete di ospitalità a donativo dedicata ai pellegrini del cammino, in espansione grazie al lavoro di associazioni locali.

Credenziale del cammino benedettino

La Credenziale del Cammino di San Benedetto è molto più di un semplice taccuino di timbri: è un simbolo di appartenenza, una traccia concreta del viaggio intrapreso sulle orme del Santo. Ogni pellegrino può richiederla compilando un modulo online, che consente di riceverla comodamente per posta o di scegliere un punto di ritiro sul percorso. In caso di gruppi o coppie, è sufficiente compilare un solo modulo, indicando nel campo apposito i nomi di tutti i partecipanti: le credenziali verranno spedite insieme all’indirizzo indicato.

Per chi preferisce ritirarla all’inizio del cammino, sono numerosi i punti di distribuzione a Norcia, tra cui l’Ostello Capisterium, il Bar d’Angelisa in Piazza San Benedetto (aperto dalle 6 alle 23), l’Edicola del Corso, l’Hotel Benito e l’Emporio della Sibilla. A Subiaco, invece, la credenziale si può trovare presso il negozio di souvenir dell’Abbazia di Santa Scolastica, punto di riferimento storico e spirituale del tratto centrale del cammino.

Perché scegliere il Cammino di San Benedetto

Il Cammino di San Benedetto è diverso dagli altri cammini italiani. È meno affollato, più silenzioso, spesso più isolato, ma proprio per questo regala un’esperienza profonda, lontana dalla frenesia e dal rumore. È un percorso che alterna spiritualità, natura e autenticità, senza forzature. Non c’è bisogno di essere religiosi per percorrerlo: basta avere il desiderio di camminare in modo vero, continuo, per giorni, attraversando paesaggi che cambiano, borghi dimenticati e luoghi pieni di memoria.

È un cammino che non ti prende per mano, ma ti lascia spazio: spazio per pensare, per ascoltare il tuo passo, per accettare la fatica e scoprire quanto può fare bene una giornata passata tra cielo, alberi e silenzio. Dà tanto, ma non subito: è un cammino che va vissuto con pazienza, giorno dopo giorno, lasciandosi guidare dalla regola benedettina che lo ispira — ora et labora, prega e lavora, ma soprattutto cammina.

Chi lo sceglie spesso non cerca la meta, ma una trasformazione lenta. E il Cammino di San Benedetto, con la sua austerità gentile, la offre a chi sa guardare con occhi semplici.

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Il Cammino di San Francesco: un viaggio tra fede, paesaggi e memorie

Il Cammino di San Francesco, o Via di Francesco, è un pellegrinaggio spirituale e naturalistico che collega i luoghi chiave della vita di San Francesco d’Assisi, attraversando territori di straordinaria bellezza e significato.

Questo cammino non è un unico tracciato, ma un insieme di percorsi convergenti su Assisi, cuore del francescanesimo, con estensioni che proseguono fino a Roma o che partono dalle montagne della Romagna e della Toscana. Lungo il tragitto si incontrano eremi, monasteri, santuari, borghi medievali e paesaggi incontaminati, che rendono il viaggio un’esperienza intensa e trasformativa, anche per chi lo affronta in chiave laica.

Si tratta di un cammino ben segnato, in buona parte su sentieri CAI o percorsi escursionistici consolidati, con tappe di varia lunghezza e dislivello. È percorribile da marzo a novembre, ed è adatto a chi ha un minimo di allenamento.

Origine e significato della Via di Francesco

Il Cammino ripercorre idealmente le orme di San Francesco d’Assisi, vissuto tra il XII e il XIII secolo, visitando i luoghi in cui ha predicato, pregato e compiuto opere significative. Lungo questo itinerario si incontrano siti storici come il Santuario della Verna, dove ricevette le stimmate, il Sacro Speco di Greccio, dove inventò il primo presepe, e ovviamente Assisi, dove nacque, visse e morì.

Questo non è solo un cammino devozionale, ma anche un’opportunità per riscoprire una parte d’Italia fatta di natura, spiritualità e silenzio, con un ritmo lento, sulle tracce di uno dei santi più amati al mondo.

Itinerari principali del Cammino  di San Francesco

Il Cammino di San Francesco non è un unico sentiero, ma un insieme di quattro itinerari principali, tutti legati ai luoghi significativi della vita del Santo. Ogni percorso ha una sua logica geografica, spirituale e paesaggistica, e può essere affrontato in modo autonomo o come parte di un cammino più lungo. Tutti convergono su Assisi:

  • La Via del Nord, da La Verna ad Assisi, è l’itinerario più spirituale e montano.
  • La Via del Sud, da Roma ad Assisi, ripercorre le tappe del ritorno simbolico del pellegrino verso le radici francescane. È un itinerario più collinare e agricolo, ricco di storia e spiritualità, e con molte opportunità di sosta e riflessione.
  • La Via di Roma, che collega La Verna, Assisi e Roma, è il tracciato completo per chi desidera un’esperienza lunga, profonda e continuativa. Unisce la Via del Nord e la Via del Sud in un unico percorso di oltre 500 km. È ideale per chi ha tempo e desidera vivere l’intero arco della vita di Francesco, dalle montagne dell’isolamento alla città simbolo della cristianità.
  • Il Cammino di Assisi, da Dovadola ad Assisi, è un percorso alternativo che parte dalla Romagna e attraversa la dorsale appenninica passando per luoghi mistici come Camaldoli, La Verna e Gubbio. È un itinerario più selvaggio e silenzioso, molto immerso nella natura, adatto a chi cerca isolamento, boschi e la dimensione più contemplativa del cammino.

La Via del Nord (La Verna – Assisi)

La Via del Nord è l’itinerario più spirituale e silenzioso, immerso nella natura appenninica tra Toscana e Umbria. Si parte dal Santuario de La Verna, luogo chiave della vita di San Francesco, dove ricevette le stimmate nel 1224, e si prosegue per circa 190 km in direzione di Assisi.

Le tappe attraversano luoghi ricchi di significato francescano come Sansepolcro, Città di Castello, Pietralunga e Gubbio, dove si svolse il celebre episodio del lupo. Il percorso è mediamente impegnativo: si sviluppa su sentieri montani e collinari, con dislivelli frequenti ma gestibili, alternando tratti boscosi a zone coltivate e borghi storici.

I luoghi da vedere sono molti: il centro rinascimentale di Sansepolcro, le mura di Citerna, la spiritualità di Gubbio, le pievi umbre immerse nei boschi, e naturalmente la Basilica di San Francesco ad Assisi, punto d’arrivo e simbolo del cammino.

La Via del Sud (Roma – Assisi)

La Via del Sud parte da Roma, precisamente dalla Basilica di San Pietro, e risale verso Assisi attraversando circa 250 km di paesaggi vari e carichi di spiritualità. È il percorso che ripercorre il cammino “a ritroso” del pellegrino moderno verso le origini della fede francescana.

Dopo l’uscita da Roma, si cammina tra campagne e colline fino a raggiungere la Valle Santa di Rieti, luogo fondamentale per San Francesco, dove si trovano i quattro santuari francescani: Greccio (dove inventò il presepe), Fontecolombo, La Foresta e Poggio Bustone. Si prosegue poi attraverso borghi medievali come Spoleto, Trevi, Foligno e Spello, tra uliveti, colline umbre e sentieri poco frequentati.

La difficoltà è media: le tappe sono più lunghe ma con dislivelli più contenuti rispetto alla Via del Nord. I paesaggi sono più aperti e collinari, e l’esperienza è arricchita da numerose chiese, abbazie e testimonianze storiche legate alla vita del Santo.

La Via di Roma (La Verna – Assisi – Roma)

La Via di Roma è il cammino più lungo e completo, unendo in un unico itinerario le due vie principali: si parte dal Santuario de La Verna, si attraversa Assisi e si prosegue fino a Roma, per un totale di circa 500 km suddivisibili in 24 tappe.

È un cammino adatto a chi ha tempo a disposizione e desidera un’esperienza profonda, che racchiuda tutti i luoghi più significativi della vita di San Francesco: dalla montagna della contemplazione (La Verna), passando per i luoghi della predicazione (Gubbio, Città di Castello, Foligno), fino alla meta universale della cristianità. Le tappe sono mediamente impegnative, con una varietà di terreni che alternano tratti montani, sentieri collinari, strade sterrate e vie urbane.

I luoghi di interesse sono tantissimi: l’eremo di Montecasale, il centro storico di Spoleto, la Valle Santa, la Basilica di San Francesco ad Assisi e quella di San Pietro a Roma. È un itinerario completo e profondo, perfetto per un viaggio trasformativo.

Il Cammino di Assisi (Dovadola – Assisi)

Meno conosciuto ma estremamente affascinante, il Cammino di Assisi parte dall’eremo di Montepaolo vicino a Dovadola, in provincia di Forlì, e raggiunge Assisi in circa 13 tappe e 300 km.

È un itinerario molto immerso nella natura, che attraversa le Foreste Casentinesi, l’eremo di Camaldoli, il Santuario della Verna e poi si innesta nella Via del Nord. È un percorso ideale per chi cerca solitudine, boschi e contemplazione, con dislivelli importanti soprattutto nella prima metà.

La difficoltà complessiva è medio-alta, ma è ripagata da paesaggi straordinari: faggete, ruscelli, crinali panoramici e borghi nascosti. I luoghi da visitare sono meno turistici ma densi di significato: l’eremo di Camaldoli, il monastero di Corniolo, il santuario della Verna e, più avanti, Gubbio e Assisi. È il cammino ideale per chi desidera un’esperienza profonda, meno battuta, all’insegna della connessione con la natura e la spiritualità francescana.

Credenziale e Testimonium: i segni concreti del pellegrinaggio francescano

Nel Cammino di San Francesco, la Credenziale non è solo un documento funzionale: è un segno tangibile dell’ingresso nel pellegrinaggio. Viene rilasciata in numerosi punti del percorso – tra cui La Verna, Gubbio, Rieti, Greccio, Spoleto, Roma e Assisi – e permette di raccogliere i timbri delle tappe, custodendo simbolicamente le orme del proprio cammino verso la città del Santo. Ogni timbro rappresenta un passaggio fisico ma anche spirituale, che diventa parte di un racconto personale fatto di strade, incontri, silenzi.

Al termine del cammino, giungendo ad Assisi, il pellegrino che ha percorso almeno gli ultimi 100 km a piedi (o 200 km in bicicletta) può presentare la credenziale presso l’Ufficio del Pellegrino del Sacro Convento di San Francesco (Porta San Francesco, ingresso basilica inferiore) per ricevere il Testimonium Viae Francisci, l’attestato ufficiale del pellegrinaggio francescano. È una pergamena rilasciata gratuitamente come segno di compimento del percorso, legata alla spiritualità dell’accoglienza francescana. Il cammino stesso, timbro dopo timbro, diventa un pellegrinaggio vissuto anche nei gesti.

Quando partire per la Via di Francesco

Il Cammino di San Francesco si snoda tra zone montane, collinari e appenniniche, e attraversa territori come il Casentino, l’Appennino umbro, la Valle Santa reatina e l’Umbria centrale. Le stagioni più adatte per percorrerlo sono la primavera (aprile–giugno) e l’inizio autunno (settembre–ottobre), quando i sentieri sono percorribili e la luce valorizza i paesaggi francescani: i boschi della Verna, i campi tra Spello e Assisi, le querce di Greccio, i colli di Spoleto.

In estate, l’esposizione di molti tratti collinari (come nella zona tra Foligno, Trevi e Spello) rende il cammino più faticoso per via del caldo. In inverno, invece, la neve può rendere inaccessibili tappe alte come La Verna – Pieve Santo Stefano o Citerna – Gubbio. Ogni stagione, però, ha una valenza simbolica: la fioritura primaverile ricorda la gioia di Francesco, mentre l’autunno evoca il tempo del ritorno e della contemplazione. Prima di partire, è bene informarsi sulle condizioni meteorologiche e sulla disponibilità delle strutture religiose, alcune delle quali chiudono nei mesi più freddi.

Dove dormire: ospitalità francescana e accoglienza autentica

Lungo il Cammino di San Francesco si trova una rete di ospitalità spirituale e rurale che riflette la filosofia del Santo: semplicità, condivisione, essenzialità. I pellegrini possono alloggiare in conventi francescani, parrocchie, monasteri, ostelli e case di accoglienza che spesso offrono donativo o contributi simbolici. Tra i più significativi vi sono la foresteria della Verna, le accoglienze parrocchiali a Pietralunga, i conventi di Fontecolombo e Poggio Bustone nella Valle Santa.

Accanto a queste, esistono numerose strutture laiche (B&B, agriturismi, locande) che hanno aderito al progetto Via di Francesco, offrendo accoglienza con spirito collaborativo e attento al pellegrino. Il consiglio è di prenotare sempre con qualche giorno di anticipo, soprattutto nei mesi centrali o nei tratti meno battuti come la Via del Sud tra Poggio San Lorenzo e Narni.

Cosa portare nello zaino per un cammino francescano

Il Cammino di San Francesco richiede uno zaino leggero ma ben pensato, adatto a terreni variabili tra boschi, colline e centri abitati, spesso alternando strade bianche, sentieri CAI e tratti asfaltati secondari. Uno zaino da 35-40 litri è sufficiente per chi viaggia in autonomia con soste in strutture. L’essenziale include scarponcini da trekking impermeabili, bastoncini, cappello, giacca antivento e antipioggia, oltre a uno o due cambi tecnici a strati.

Chi percorre la Via del Nord attraversa ambienti montani: La Verna, Montecasale, i crinali tra Umbria e Toscana, dove il clima può cambiare rapidamente. Serve quindi una giacca calda, una coperta termica, e in primavera/inverno anche guanti e berretto. Sulla Via del Sud, invece, prevalgono tratti agricoli e collinari, dove sono utili protezioni solari, boraccia da almeno 1,5 L e un coprizaino impermeabile. Non deve mancare una credenziale plastificata, una torcia frontale, una carta dei sentieri o app GPS (con le tracce della Via scaricate da siti ufficiali), oltre a uno spazio per il diario di viaggio.

Camminare lungo le vie di Francesco non è un’impresa tecnica, ma serve cura: non tanto per superare ostacoli, quanto per rimanere fedeli a una scelta di sobrietà, ascolto e rispetto dei luoghi. Ogni oggetto portato dovrebbe rispondere al principio: “mi serve davvero?” — come avrebbe chiesto il Poverello d’Assisi.

Perché scegliere il Cammino di San Francesco

Il Cammino di San Francesco non è solo un percorso fisico: è un viaggio interiore, un invito a rallentare, osservare, ascoltare. È un cammino che unisce natura, silenzio e spiritualità, adatto a chi vuole vivere giorni di semplicità e autenticità. Lungo la strada, ogni bosco diventa un luogo di riflessione, ogni borgo un’opportunità di incontro. Sia che tu parta da La Verna, da Roma, da Dovadola o da Assisi, troverai un cammino che ti cambia.

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La Linea di San Michele, il mistero di un cammino immaginario che attraversa storia e leggenda

Uno dei santi più venerati al mondo? San Michele: proprio per questo esistono tantissimi luoghi di culto dedicate proprio a questa figura. Una curiosità però riguarda la creazione di 7 santuari che sono collegati tra loro da quella che viene chiamata “Linea Sacra di San Michele”. Di cosa si tratta? Una sorta di riga immaginaria che si sviluppa per più di 2000 chilometri e collega tra loro sette monasteri dedicati proprio all’arcangelo. Ma quali sono? E di cosa si tratta? Approfondiamolo insieme.

Cos’è la linea di San Michele

Esiste una linea invisibile che collega l’Europa al Medio Oriente, una sorta di filo sottile che unisce luoghi carichi di storia e fede che molti chiamano linea di San Michele. Una leggenda racconta che sarebbe nata da un colpo di spada dell’arcangelo stesso durante una lotta epica contro il male. Un gesto potente che avrebbe inciso una traccia perfetta attraverso i secoli e i continenti. In realtà, più che una prova storica o scientifica, siamo di fronte a una suggestione, un insieme di santuari e monasteri dedicati all’arcangelo che, osservati su una mappa, sembrano disporsi lungo una traiettoria sorprendentemente lineare.

Si parte dall’Irlanda, da un isolotto battuto dal vento dove sorge l’antichissimo monastero di Skellig Michael. La linea prosegue per la Cornovaglia e la Normandia, attraversa l’Italia e prosegue fino alla Grecia per arrivare alla Terra Santa.

Dal punto di vista storico, non esiste alcuna prova che questi luoghi siano stati pensati per allinearsi. In effetti, se si osservano i dati con occhio critico, si scopre che alcuni di questi santuari si discostano dalla linea retta di diversi chilometri. Ma forse non è importante che tutto sia matematicamente perfetto. Il fascino della Linea di San Michele sta proprio nella sua capacità di evocare una connessione antica, spirituale e immaginifica, che resiste al tempo e alla razionalità.

E poi c’è un dettaglio che rende tutto ancora più intrigante: questa linea sacra si allinea con il tramonto del solstizio d’estate, quasi a voler sottolineare, ancora una volta, un legame segreto tra cielo e terra. Oggi la si percorre idealmente o fisicamente con un pellegrinaggio che accoglie ogni anno devoti al santo. Vediamo nel dettaglio quali sono i 7 santuari disposti sulla linea di San Michele.

Skellig Michael in Irlanda

Il viaggio inizia tra le onde impetuose dell’oceano Atlantico, su un isolotto roccioso al largo delle coste irlandesi. Qui si trova Skellig Michael, un monastero fondato dai monaci irlandesi intorno al VI secolo. Isolati dal resto del mondo, questi uomini vivevano tra capanne di pietra a secco, sfidando la furia degli elementi. Dedicato a San Michele solo più tardi, tra il X e l’XI secolo, questo luogo oggi è conosciuto anche per aver prestato la sua bellezza selvaggia a celebri riprese cinematografiche, ma il suo spirito resta profondamente legato alla ricerca della solitudine e della contemplazione.

Skellig Michael in Irlanda

Fonte: iStock

Sulla linea di San Michele il primo monastero è quello di Skellig Michael in Irlanda

St Michael’s Mount nel Regno Unito

Proseguendo verso sud, si incontra il St Michael’s Mount, in Cornovaglia. Anche questo è un isolotto, raggiungibile a piedi solo durante la bassa marea, come se il cammino stesso richiedesse rispetto e attesa. Il culto della figura è arrivato sul territorio anglosassone nell’VIII secolo e l’abbazia ne mostra le prove creando un legame forte con Mont Saint Michel in Francia tanto nell’architettura quanto nello spirito.

Mont Saint Michel in Francia

Ed eccoci al Mont Saint Michel, in Normandia, forse il più famoso santuario della linea. Un vero e proprio capolavoro dal punto di vista architettonico che ha come plus la posizione privilegiata su una penisola che diventa una vera e propria isola quando il mare non si ritira. Il complesso nasce come struttura in stile gotico creando un equilibrio tra cielo e terra e offrendo ai visitatori l’invito profondo di guardare oltre l’orizzonte.

Linea di San Michele in Francia con Mont Saint Michel

Fonte: iStock

Lungo la linea di San Michele c’è anche Mont Saint Michel in Francia

Sacra di San Michele in Italia

E nel Belpaese? In Piemonte si trova la prima struttura religiosa dedicata all’arcangelo: si tratta della sacra di San Michele. Domina la Val di Susa con una posizione privilegiata e veste i panni di una sentinella silenziosa. A portare la venerazione del santo ci hanno pensato i longobardi che vedevano nella figura un protettore potente e che aveva in comune il desiderio di lottare contro il male. Il complesso così come lo vediamo oggi risale all’XI e al XII secolo e pare abbia persino ispirato Umberto Eco nella scrittura del romanzo Il nome della rosa, libro in cui l’edificio religioso diventa teatro di intrighi e rivelazioni.

Santuario di San Michele Arcangelo in Italia

Scendendo lungo l’Italia, si raggiunge il Gargano, in Puglia, dove si trova il Santuario di San Michele Arcangelo. Costruito intorno a una grotta, meta di pellegrinaggi già in epoca altomedievale, questo luogo è legato a varie apparizioni dell’arcangelo, raccontate con devozione da secoli. I Longobardi, dopo la loro conversione al cristianesimo, fecero del culto di San Michele un vero pilastro della loro identità, trasferendo su di lui le virtù guerriere un tempo attribuite agli antichi dei germanici. Oggi il santuario, protetto dall’UNESCO, conserva intatta la sua anima antica, accogliendo chiunque sia in cerca di protezione e spiritualità.

Monastero di San Michele Arcangelo di Panormitis in Grecia

Attraversato il mare, si approda sull’isola di Simi, nel Dodecaneso greco. Qui si trova il Monastero di San Michele Arcangelo di Panormitis. La storia di questo luogo? Si perde nel tempo ma il design che conosciamo oggi risale al XVIII secolo. Tuttora è un luogo di devozione profonda e il popolo ne è profondamente legato considerando l’arcangelo il protettore dei marinai e dei viandanti.

Monastero di Stella Maris in Israele

L’ultima tappa di questo lungo percorso si trova in Israele, sul Monte Carmelo. È qui che sorge il Monastero di Stella Maris, ad Haifa. Oggi il santuario è dedicato alla Madonna ma resta un luogo di culto di San Michele. Basti pensare che fin dal medioevo monaci e pellegrini cercavano rifugio proprio nelle grotte di questo monte sperando che l’arcangelo guerriero facesse da faro spirituale. Insomma, ad oggi questo luogo carico di spiritualità unisce 7 abbazie dedicate proprio a San Michele lungo una linea immaginaria da scoprire.