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Scoperta la tomba di un principe ostaggio di Silla in Cina: non era mai successo prima

È una scoperta incredibile quella fatta da un team di archeologi nella provincia dello Shaanxi, nel nord-ovest della Cina: per la prima volta, è stata rivelata la tomba di un principe ostaggio del regno di Silla, uno dei tre regni della penisola coreana, risalente alla dinastia Tang. All’interno della sepoltura, i ricercatori hanno portato alla luce un’epigrafe che, non solo identifica il defunto come Kim Young, ma ne racconta dettagliatamente anche la biografia. Potete quindi immaginare l’emozione di chi è stato protagonista di questa scoperta!

Ci troviamo davanti a un frammento di storia che riemerge dal sottosuolo per gettare nuova luce sui legami tra la Corea antica e l’impero cinese.

La scoperta della tomba in Cina

La tomba è stata scoperta da un team dell’Istituto Provinciale di Archeologia dello Shaanxi in Cina, presso il sito archeologico del villaggio di Dongjiang, poco più di un miglio a nord dell’antica capitale della dinastia Tang. Identificata come “Tomba M15”, si tratta di una camera sepolcrale costruita in mattoni blu, con un lungo corridoio inclinato che conduce a una singola sala funeraria. La sua struttura e il suo design richiamano quelli di altre tombe di medie dimensioni risalenti allo stesso periodo nella regione.

Sebbene la tomba fosse stata saccheggiata nell’antichità, i predoni hanno lasciato dietro di sé un prezioso tesoro: ben 83 oggetti funerari. Tra questi, spiccano affascinanti statuette in argilla rossa che raffigurano segni zodiacali antropomorfi, re celesti, spaventosi spiriti guardiani della tomba e una sorprendente collezione di 58 animali: cammelli, cavalli, pecore, buoi, maiali, cani e galline, un intero mondo simbolico scolpito per accompagnare il defunto nell’aldilà.

Tuttavia, il tesoro più grande è rappresentato da un’epigrafe in pietra blu: si tratta di un coperchio quadrato e a cupola decorato con nuvole e peonie lungo i bordi e agli angoli, con un’iscrizione centrale in antica scrittura sigillare che recita “Epigrafe del defunto Lord Kim del Grande Tang”. L’iscrizione principale è scolpita sul blocco in scrittura regolare, è lunga 557 caratteri e registra le gesta di Kim Young e dei suoi antenati.

Perché si tratta di un ritrovamento straordinario

Si tratta di un ritrovamento straordinario non solo perché è la seconda stele tombale conosciuta appartenente a un ostaggio di Silla, ma anche perché è l’unica a essere stata scoperta attraverso uno scavo archeologico ufficiale, con contesto originale e documentazione intatta.

Ma cosa abbiamo scoperto su Kim Young grazie all’epigrafe? Da quanto si evince dall’iscrizione, Kim Young era un principe di Silla che servì come ostaggio politico nella Cina dei Tang. Era nato nel sesto anno del regno di Tianbao (747) e morì nel 794 all’età di 48 anni nella residenza per ospiti di Taipingli a Chang’an.

Secondo i registri storici, tre generazioni della sua famiglia servirono come ostaggi nella dinastia Tang e furono insigniti di cariche ufficiali. Lo stesso Kim Young accompagnò per due volte gli inviati Tang in missioni diplomatiche a Silla e partecipò a doveri cerimoniali, comprese missioni di lutto e investitura.

Il suo funerale fu organizzato da funzionari Tang, con il magistrato della contea di Chang’an che ne supervisionò gli accordi. Sia il suo luogo di sepoltura che la bara furono concessi per decreto imperiale, a dimostrazione del favore e del rispetto della corte Tang nei suoi confronti.

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Scoperta a Tripolis: una villa romana affrescata, simbolo di lusso d’élite

Tripolis, situata nel distretto di Buldan, nella provincia turca di Denizli, è stata per secoli un importante nodo commerciale e amministrativo durante i periodi ellenistico, romano e bizantino. Considerata una delle città antiche meglio conservate dell’Anatolia occidentale, Tripolis continua a svelare i segreti di un passato opulento. Durante la campagna di scavi del 2025, un’équipe guidata dal Professor Bahadır Duman dell’Università di Pamukkale ha portato alla luce una villa romana di circa 1.600 anni fa, risalente al IV secolo d.C. Estesa su 1.500 metri quadrati, questa residenza è considerata una delle scoperte archeologiche più significative degli ultimi anni in Turchia.

Affreschi, cortili e saloni: il lusso prende forma

La villa è un esempio emblematico di architettura residenziale tardo-romana. Le sue pareti interne sono decorate con affreschi policromi in tonalità di giallo, rosso, blu e marrone, raffiguranti motivi vegetali e architettonici. Questi dipinti, sorprendentemente ben conservati, offrono una testimonianza preziosa del gusto estetico e della raffinatezza culturale delle élite anatoliche dell’epoca. Oltre agli affreschi, l’abitazione presenta due fontane ornamentali, una cisterna, quattro stanze private, due ampi saloni di ricevimento, una galleria colonnata e un grande cortile interno, probabilmente usato per ricevimenti e attività sociali.

Lo stagno per pesci: simbolo raro di status e sofisticazione

Il vero gioiello della villa è un stagno per pesci di 40 metri quadrati, un elemento estremamente raro nei siti romani dell’entroterra. A differenza delle strutture funzionali per l’allevamento ittico lungo le coste, questo stagno aveva un valore prevalentemente decorativo e simbolico. Secondo il professor Duman, le vasche per pesci erano considerate simboli di prestigio nell’antica Roma. L’interno dello stagno è rivestito da tubi d’argilla cotta per la canalizzazione dell’acqua e include nicchie dove i pesci potevano rifugiarsi dal sole o dai predatori. È probabile che venissero allevate carpe, siluri ed anguille, servite poi durante sontuosi banchetti per ospiti d’élite.

Denizli

iStock

Antica città di Meander a Denizli

Tripolis: snodo strategico e finestra sul mondo antico

Tripolis sorgeva in una posizione strategica lungo le vie commerciali che collegavano città come Laodicea, Hierapolis ed Efeso. Questo crocevia favorì una cultura urbana fiorente, dotata di infrastrutture avanzate, mercati, silos per il grano, botteghe artigiane e luoghi di culto. Tra le altre scoperte degli ultimi anni, figurano: una villa di 2.000 anni con 12 stanze decorate da mosaici, una chiesa paleocristiana del V secolo, resti di mercati e laboratori risalenti all’epoca romana. Gli scavi fanno parte del progetto nazionale “Heritage for the Future”, promosso dal Ministero della Cultura e del Turismo della Turchia. Circa 40 archeologi e studiosi lavorano tutto l’anno per restaurare e valorizzare la città antica di Tripolis, con l’obiettivo di aprire nuove aree al turismo e allo studio accademico internazionale. Questa scoperta eccezionale non solo arricchisce il nostro patrimonio archeologico, ma riaccende l’interesse per un passato in cui l’arte, l’acqua e l’architettura si intrecciavano per celebrare il potere e la bellezza.

Come visitare Tripolis

Tripolis si trova a pochi chilometri da Yenicekent, nell’ovest della Turchia, non lontano dalle più note mete turistiche di Hierapolis e Pamukkale. Grazie ai recenti lavori di restauro e valorizzazione, l’area archeologica è sempre più accessibile al pubblico. Chi ama la storia, l’archeologia e le tracce silenziose del passato, non potrà che restare affascinato da questo angolo nascosto di Anatolia.

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Scoperta senza precedenti in Corsica: è emerso un molo tardoantico

Mentre stavano costruendo una casa nella suggestiva marina di Meria, nel Capo Corso in Corsica, il Servizio regionale di archeologia (Drac) ha deciso di fare uno scavo preventivo. E così, buca dopo buca, è saltata fuori una sorpresa: un antico molo risalente alla tarda antichità, più o meno tra il III e l’VIII secolo d.C. È la prima volta che si fa un’indagine archeologica preventiva in questa zona dell’isola, e questo fatto non è da prendere alla leggera, perché potrebbe rivoluzionare quello che sappiamo sulla storia e l’archeologia della Corsica.

La scoperta di un antico porto in Corsica

L’area interessata dagli scavi archeologici si trova ai piedi del versante nord di un piccolo promontorio roccioso che domina la Baia di Meria in Corsica. Il terreno, da queste parti, è composto principalmente da scisto e scende ripidamente verso il ruscello, per poi interrompersi poco più a valle rispetto al punto dello scavo.

Proprio alla base di tale pendenza sono stati trovati grandi blocchi di questa roccia metamorfica a grana medio-grossa, alcuni lunghi più di un metro e mezzo, disposti in modo apparentemente disordinato, ma che formano comunque una sorta di cordone di massi. Sopra questi blocchi si trova uno strato sottile di sedimenti, probabilmente depositati da un’alluvione, seguito da strati alternati di pietre e limo che insieme creano una piattaforma lastricata larga tra i 4 e i 6 metri e lunga almeno 13 metri.

Questa struttura, spessa circa 80 centimetri, continua il substrato roccioso naturale e sembra essere stata costruita per ampliare la superficie sopra il letto del ruscello. Ai bordi nord della struttura sono stati posizionati blocchi più grandi che fungono da sostegno.

Nella parte superiore della costruzione sono stati rinvenuti circa dieci fori circolari, probabilmente scavati per inserire pali di legno. Fori che indicano che sulla piattaforma c’era una struttura in legno ancorata. C’è però da considerare che l’area scavata è piccola, il che vuol dire che non è possibile ricostruire tutta la struttura. Nonostante questo, gli archeologi ipotizzano che fosse un pontile in legno sopraelevato.

Anche se la costruzione di pietra sembra semplice e un po’ rustica, non è certo il frutto del caso. E il motivo per cui si sostiene ciò è piuttosto semplice: per costruirla servivano molti materiali e una buona dose di esperienza, soprattutto per creare una piattaforma stabile in un terreno così umido. La posizione, la forma e le tracce di legno fanno pensare che fosse usata come molo, un posto dove le barche potessero attraccare e caricare o scaricare merci.

Ma non è finita qui, perché lo scavo ha restituito oltre mille frammenti di ceramica e quasi cento piccoli oggetti metallici. Tra questi meritano una menzione d’onore i numerosi chiodi in bronzo, che confermano l’ipotesi di una struttura in legno. La loro resistenza alla corrosione marina, infatti, è perfettamente coerente con un ambiente vicino al mare. Inoltre, sono stati rinvenuti alcuni oggetti legati alla pesca, che completano il quadro della vita quotidiana in quel contesto.

Antico porto in Corsica

Laure Sornin-Petit, Inrap

Sezione dei vari strati di pezzi di scisto che formano la struttura di pietra

Perché è una scoperta molto importante

Il ritrovamento di ceramiche tipiche della tarda antichità, in un contesto stratigrafico ben definito, è un evento piuttosto raro in questa isola della Francia. Lo studio di tali reperti, affidato a Josselyne Guerre dell’Inrap, potrà fornire nuove informazioni importanti su quel periodo storico.

Un aspetto fondamentale dello studio è l’approccio geoarcheologico, coordinato da Marc-Antoine Vella (Inrap). Le indagini che permettono di analizzare i sedimenti vicino alle rive di antichi specchi d’acqua sono rare in questa magnifica isola e molto preziose, perché conservano tracce uniche sull’evoluzione del paesaggio nel tempo.

Per questo saranno svolte analisi di polline (a cura di Delphine Barbier-Pain), di molluschi (Sophie Martin) e lo studio di altri resti organici chiamati ecofatti (Isabel Figueiral), con l’obiettivo di ricostruire le dinamiche ambientali fluviali e costiere legate a questa struttura portuale.

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Nel cuore dell’Impero Romano: alla scoperta della maestosa Domus Tiberiana

Era il palazzo per eccellenza, rappresentazione fisica del potere imperiale: la Domus Tiberiana, con la sua posizione predominante sul colle Palatino, osservava dall’alto tutto ciò che accadeva nella valle del Foro Romano.

È sicuramente uno dei luoghi più interessanti da visitare a Roma, tra i patrimoni custoditi dal Parco Archeologico del Colosseo che, dopo essere stata chiusa per ben 50 anni, dal 2023 è possibile visitare con un suggestivo percorso che ne racconta l’importanza e il fascino storico.

La storia della Domus Tiberiana

Eretta nel I secolo d.C. sul versante nord-occidentale del colle Palatino, una zona anticamente molto ambita dalle famiglie aristocratiche di Roma, la Domus Tiberiana è considerata il primo vero e proprio palazzo imperiale. Secondo gli studi archeologici, la costruzione iniziò sotto l’imperatore Nerone dopo l’incendio del 64 d.C., con successive ristrutturazioni e ampliamenti nel corso del tempo, sotto Domiziano (81-96 d.C.) e Adriano (117-138 d.C.).

Il palazzo, oltre alla parte residenziale, comprendeva anche diverse aree adibite a giardino, luoghi di culto e ambienti destinati alla guardia pretoriana a tutela dell’Imperatore, nonché un vero e proprio quartiere di servizi affacciato verso il Foro Romano. La Domus Tiberiana venne utilizzata nella sua funzione originaria fino al VII secolo, quando fu scelta come sede pontificia da Giovanni VII.

Venne abbandonata per diversi secoli, fino a quando la famiglia Farnese vi realizzò un sistema di terrazze scenografiche, scale e giardini noto come Horti Farnesiani, destinato a ospitare una nuova corte.

Come visitare la Domus Tiberiana

La Domus Tiberiana, dopo essere rimasta chiusa per 50 anni, ha riaperto le porte al pubblico con un nuovo percorso di visita. Venne vietato l’ingresso a causa di problemi strutturali che ne mettevano a rischio la sicurezza ma, dopo anni di lavori e restauri, sono state ritrovate anche tantissime testimonianze del tempo. Reperti in ceramica, metallo e vetro, statuette e decorazioni oggi sono state utilizzate per l’allestimento museale e per il racconto della vita che si svolgeva all’interno della reggia.

Il percorso di visita si sviluppa nelle viscere del palazzo attraverso la rampa di Domiziano e gli Horti Farnesiani: i visitatori oltrepassano le arcate del quartiere dei servizi e si avventurano alla scoperta delle sette sale espositive, quattro delle quali comunicanti tra di loro, affacciate sul Foro Romano. L’idea è quella di permettere agli ospiti di accedere al palazzo imperiale passeggiando sulla via coperta Clivo della Vittoria e calcare idealmente le orme dell’imperatore.

Sul lato opposto troverete due sale multimediali che ospitano un documentario e la ricostruzione olografica del monumento. L’allestimento si articola secondo una visione tematica all’interno degli ambienti del quartiere sostruttivo di epoca adrianea, destinato ad accogliere i servizi, le botteghe per la vendita al dettaglio e presumibilmente anche attività amministrative.

Per visitare il palazzo imperiale bisogna acquistare il biglietto: questo, al costo di 18 euro, è valido per un solo ingresso all’area archeologica del Foro Romano-Palatino, Fori Imperiali e siti SUPER, incluse le mostre in corso. In alternativa, sono disponibili anche i biglietti cumulativi, come quello 24h: valido per 24 ore, include un unico accesso al Colosseo (primo e secondo ordine, senza l’arena) e un unico accesso alle aree archeologiche del Foro Romano, del Palatino e dei Fori Imperiali, comprese le mostre in corso, tra cui la Domus Tiberiana e il suo museo.

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Non solo Machu Picchu: in Perù apre Peñico, la città perduta di 3.800 anni fa

C’è una nuova meta per chi ama viaggiare nel tempo senza abbandonare il presente. Non si trova nella giungla amazzonica né tra i ghiacciai delle Ande, ma a poche ore da Lima, in un paesaggio che sembra scolpito dagli dei. Il Perù, patria di misteri millenari e civiltà dimenticate, apre ufficialmente le porte di Peñico, un sito archeologico di oltre 3.800 anni che promette di affiancare e forse stupire più di Machu Picchu.

Peñico non è solo un luogo, è un racconto in pietra di una società che seppe unire costa, sierra e selva amazzonica in una rete di scambi, cerimonie e vita quotidiana. Situato a 600 metri sul livello del mare, incastonato tra montagne e terrazzamenti lungo il fiume Supe, questo antico centro urbano fu punto nevralgico di commercio e spiritualità.

Oggi, grazie a otto anni di pazienti ricerche, Peñico si mostra in tutta la sua maestosità e lo fa con stile: servizi turistici, percorsi immersivi e persino un festival andino dedicato. Curiosi? Allacciate gli stivali da Indiana Jones, si parte.

Peñico, la nuova città sacra del Perù 

Sorella meno famosa della celebre Caral, Peñico è stata definita la “Città dell’integrazione sociale” in Perù per una ragione precisa: qui si incontravano popoli della costa, delle Ande e persino della foresta amazzonica. La sua posizione strategica, su una terrazza geologica protetta, ma accessibile, favoriva gli scambi e la circolazione di beni rari, come la ematite rossa, pigmento sacro nella cosmologia andina.

Peñico, Perù

Getty Images

Veduta dall’alto del sito archeologico di Peñico in Perù

Il sito ospita 18 edifici, ma il cuore pulsante di Peñico è il Salón Ceremonial de los Pututus, un tempio decorato con bassorilievi che raffigurano i pututus, strumenti musicali andini ricavati da conchiglie marine, usati per cerimonie e annunci rituali. Qui si svolgevano i grandi eventi spirituali, le assemblee delle élite e i riti collettivi. Sono stati ritrovati anche collane conchigliate, sculture in argilla, strumenti di pietra e oggetti rituali che raccontano una cultura raffinata e simbolica, nonché una società altamente organizzata e connessa.

Peñico non è solo storia antica: è un invito alla riflessione sulla sostenibilità e il dialogo tra culture, come ha sottolineato la direttrice del progetto, Ruth Shady. Visitandolo, si entra in una narrazione viva, che unisce il passato all’oggi.

Come visitare Peñico: orari e info pratiche

Se state già pianificando il vostro prossimo viaggio in Perù, segnate questo nome in agenda. Peñico è raggiungibile da Lima in circa 4 ore e mezza, lungo la stessa rotta della Ciudad Sagrada de Caral (desvio al valle de Supe, km 184 della Panamericana Norte). Da lì, altri 34 km di strada portano dritti nel cuore del sito.

Il sito è aperto tutti i giorni, festivi inclusi, dalle 9:00 alle 16:00. Dispone di servizi turistici essenziali: parcheggio, reception e soprattutto un moderno Centro di Interpretazione, con pannelli interattivi, plastici, ricostruzioni e tour guidati. È una visita perfetta anche per chi viaggia con bambini o vuole approcciarsi all’archeologia in modo semplice e coinvolgente.

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Scoperta straordinaria: un tunnel potrebbe condurre alla tomba di Cleopatra

La storia non smette di stupire e gli archeologi continuano a studiare incessantemente per poter portare alla luce nuove scoperte. Una delle più interessanti ci fa volare in Egitto, dove è stato scoperto un tunnel sotterraneo che, secondo gli esperti, potrebbe condurre proprio alla tomba di Cleopatra.

Il ritrovamento, preziosissimo, riscriverebbe la storia collegata all’ultima regina d’Egitto: un volto che fece tremare imperatori e battere il cuore di altrettanti uomini politicamente rilevanti.

Scoperto il tunnel che si collegherebbe alla tomba di Cleopatra

A Taposiris Magna, città che già nel nome sembra custodire misteri, un team guidato dall’archeologa dominicana Kathleen Martinez ha riportato alla luce un tunnel che è stato subito ribattezzato “miracolo geometrico”. Il paesaggio scolpito nella pietra calcarea si trova 13 metri sotto terra e si estende per oltre 1.300 metri. Due metri di altezza, perfettamente scavato, come se gli antichi sapessero che un giorno qualcuno sarebbe tornato a cercare.

Una vera e propria meraviglia ingegneristica che sfida il tempo, che si posiziona proprio sotto un tempio dedicato a Osiride e Iside, divinità che Cleopatra venerava con fervore tanto da associarsi in vita alla figura della dea.

Nei pressi del tempio sono stati trovati monete con il volto della regina, figurine sacre, blocchi di pietra decorati, frammenti di ceramica; tutti segni di un culto, di una presenza regale, di un cammino interrotto che potrebbe riprendere proprio da lì.

Kathleen Martinez , insieme al suo team, dal 2004 cerca la tomba della regina egizia con la dedizione che la contraddistingue; per lei, questa scoperta è il segno che qualcosa sta per accadere. E tutti noi appassionati di storia osserviamo con il fiato sospeso.

Il tempio di Taposiris Magna

Getty

Il sito archeologico di Taposiris Magna

L’importanza della scoperta che ci avvicina alla tomba di Cleopatra

Perché importa così tanto dove si trovi la tomba di Cleopatra? La regina d’Egitto è un simbolo, ha incantato appassionati di storia e non, ha sedotto i grandi condottieri dell’impero di Roma e ha lasciato l’impronta restando, a tutti gli effetti, una delle donne più potenti di sempre.

Ritrovare la sua tomba significherebbe approfondire la sua vita, sapere come voleva essere ricordata. Come fu davvero, oltre i racconti dei vincitori e oltre le versioni maschili, imperiali, coloniali. Restituirebbe l’identità completa a una delle figure femminili più influenti di tutti i tempi.

Per Martinez, che ha lasciato una carriera legale per seguire questa passione, sarebbe la fine di una ricerca durata decenni e il coronamento di un sogno archeologico che unisce precisione scientifica e cuore poetico.

La scoperta porterebbe una nuova luce sull’intera epoca tolemaica, sull’incontro tra Oriente e Occidente, su un Egitto che era già crocevia di culture, lingue, amori e potere.

La vera curiosità, però, è che alcune sezioni del tempio potrebbero trovarsi sott’acqua, inghiottite da antichi terremoti e oggi sommerse nel Mediterraneo; è proprio lì che potrebbe nascondersi la parte mancante del puzzle. Insomma, una storia d’avventura in cui Indiana Jones incontra Jacques Cousteau, ma con una vera regina come protagonista. Mentre attendiamo di capire se questo tunnel conduce davvero alla tomba di Cleopatra restiamo incantati dalle bellezze storiche che l’archeologia ci sta regalando.

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Scoperta nel vento del Caucaso: il guerriero che il tempo aveva dimenticato

L’Azerbaigian, crocevia di culture millenarie, ha recentemente svelato un affascinante tesoro archeologico: un monumentale Kurgan guerriero, ovvero un tumulo funerario, risalente a 3.800 anni fa. Questa meravigliosa scoperta, avvenuta nelle pianure di Ceyranchol, getta nuova luce sulla civiltà dell’Età del Bronzo nel Caucaso meridionale e consolida il ruolo dell’Azerbaigian come destinazione chiave per turismo culturale e archeologico.

Dalle antiche tombe dei guerrieri alle raffinate tecniche di sepoltura, fino ai simboli spirituali scolpiti nella pietra, il sito di Keshikchidagh racconta una storia avvincente, che unisce scienza, tradizione e mistero, tutta da scoprire.

La scoperta fatta in Azerbaijan non è solo una preziosa testimonianza del passato, ma una porta aperta su una civiltà affascinante, ricca di mistero e profondamente radicata in questo territorio.

Visitare l’Azerbaigian oggi significa non solo esplorare paesaggi mozzafiato e città moderne, ma anche entrare in contatto diretto con la storia più antica dell’umanità. Un viaggio meraviglioso che unisce cultura, avventura e conoscenza, un’esperienza sicuramente indimenticabile.

Il Kurgan di Keshikchidagh: una scoperta che riscrive la storia

Nell’Azerbaigian occidentale, nella pianura di Ceyranchol, è stato riportato alla luce un Kurgan dell’Età del Bronzo Medio, risalente a circa 3.800 anni fa.

Questa scoperta è avvenuta nell’ambito del progetto “Scavi scientifico-archeologici e scuola estiva-5 a Keshikchidagh”, promosso dal Servizio per la protezione, lo sviluppo e il restauro del patrimonio culturale del Ministero della Cultura della Repubblica dell’Azerbaigian e dall’Istituto di Archeologia e Antropologia dell’Accademia Nazionale delle Scienze dell’Azerbaigian (ANAS).

Il progetto, giunto al suo quinto anno, è ormai riconosciuto come una delle più importanti scuole estive di archeologia dell’intero Paese – ha visto la partecipazione di quasi 2000 persone.

Il tumulo funerario, noto come Kurgan, è una tipologia di sepoltura comune tra le culture nomadi eurasiatiche antiche, come gli Sciti, i Sarmati e i primi popoli turchi.

Tuttavia, la recente scoperta nell’area di Yovşanlıdere, nella pianura di Ceyranchol – avvenuta sotto la guida del Dott. Shamil Najafov, ricercatore senior dell’ANAS – si distingue per le sue dimensioni monumentali (28 metri di diametro e 2 metri di altezza) e per l’eccezionale stato di conservazione.

Al centro del Kurgan è stata individuata una camera funeraria rettangolare – larga 2 metri, lunga 6 e profonda 3 – accuratamente suddivisa in tre sezioni simboliche: una per il corpo del defunto e le sue armi, una per ceramiche rituali e una terza lasciata volutamente vuota, forse per rappresentare il viaggio dell’anima nell’aldilà. Questo schema riflette una complessa simbologia spirituale e una struttura sociale ben definita.

Il guerriero di 3.800 anni fa: un gigante dell’Età del Bronzo

La scoperta più sorprendente riguarda i resti del defunto: un uomo alto oltre 2 metri, sepolto in posizione semi-flessa. Tra le sue mani è stata rinvenuta una rara lancia in bronzo a quattro punte, un reperto unico nel suo genere in tutta la regione del Caucaso meridionale. Questo dettaglio suggerisce che si trattasse di un individuo di alto rango, forse un capo tribale o un guerriero venerato.

Attorno al corpo sono stati trovati numerosi oggetti funerari: ornamenti in bronzo per le caviglie, strumenti in ossidiana, perline in pasta vitrea, ben dodici brocche in ceramica finemente decorate e ossa cotte di animali. I motivi geometrici, gli intarsi bianchi e la cura nei dettagli testimoniano un’artigianalità avanzata e un forte senso estetico.

Sopra la tomba erano disposte quattordici lastre di calcare, ciascuna del peso di circa una tonnellata. Accanto, un idolo in pietra a forma di toro e un sigillo circolare, probabilmente utilizzato per scopi rituali o per marcare la proprietà, rivelano una sofisticata concezione del sacro e un possibile sistema proto-amministrativo. Elementi che arricchiscono ulteriormente l’importanza storica e antropologica di questo sito.

Archeologia viva: tra scienza, educazione e turismo culturale

Il progetto Keshikchidagh non è solo un’impresa scientifica, ma anche un esempio virtuoso di valorizzazione del patrimonio culturale – il termine “Keshikchidagh Kurgan” sta addirittura entrando nel dibattito accademico.

Alla campagna di scavi partecipano ogni anno studenti, ricercatori, istituzioni regionali, docenti universitari di storia e personale museale provenienti da tutto il Paese. Università come quella Statale di Baku e l’Università ADA collaborano attivamente con l’obiettivo di formare una nuova generazione di archeologi e specialisti della conservazione.

Ogni reperto è stato catalogato, disegnato e restaurato sul posto, mentre sono in corso analisi avanzate come la datazione al carbonio-14, lo studio isotopico, l’analisi metallografica e test di composizione mineralogica. I risultati saranno pubblicati su riviste archeologiche internazionali, insieme a una monografia scientifica completa di fotografie, illustrazioni e interpretazioni dettagliate.

Anche il Direttore dell’Istituto di Archeologia e Antropologia, il Professore Associato Farhad Guliyev, ha constatato l’importanza di questo sito sottolineando il grande potenziale per la collaborazione internazionale.

Ma il vero valore aggiunto di questa scoperta è la sua capacità di attrarre l’interesse del grande pubblico e dei turisti. Il sito di Keshikchidagh ha tutte le potenzialità per diventare un punto di riferimento per il turismo culturale in Azerbaigian, inserendosi in itinerari che uniscono natura, storia e archeologia.

La scoperta del Kurgan del guerriero rappresenta una vera e propria “capsula del tempo” dell’Età del Bronzo. Offre uno sguardo autentico su usanze funerarie, armamenti, arte e spiritualità di un’epoca ancora poco conosciuta, ma fondamentale per comprendere l’evoluzione delle civiltà del Caucaso meridionale dell’Età del Bronzo Medio e colloca l’Azerbaigian al centro degli studi archeologici eurasiatici.

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Una scoperta archeologica in Portogallo riscrive la storia dei Neanderthal

È in un tratto incontaminato della costa sud-occidentale del Portogallo che un team internazionale composto da scienziati e archeologi ha svelato un segreto millenario. Tra le dune di Monte Clérigo e Praia do Telheiro sono state individuate le prime impronte di Neanderthal mai scoperte nella regione, tracce che risalirebbero a circa 82.000-78.000 anni fa.

Camminavano sulla sabbia umida, cacciavano, si spostavano in gruppo: quelle impronte, impresse nella pietra, raccontano una storia straordinaria di vita preistorica in riva all’oceano.

La scoperta delle impronte di Neanderthal

In base a quanto riferito nello studio pubblicato su Scientific Reports, il team ha scoperto le impronte nei siti a Monte Clérigo e Praia do Telheiro, in Portogallo, conservate sull’arenaria fossilizzata. In particolare, presso il sito di Monte Clérigo, sono state trovate le impronte di un adulto, di un bambino tra i sette e i nove anni e di un bambino piccolo sotto i due anni.

L’impronta lasciata dal bambino ha rivelato dettagli sorprendenti: il piede non era ancora completamente sviluppato e mancava dell’arco plantare tipico dell’uomo moderno, una caratteristica che conferma quanto già noto sull’evoluzione del piede nei Neanderthal durante l’infanzia. Ma non solo: la presenza di un bambino così piccolo insieme agli adulti suggerisce che questi antichi umani vivevano in piccoli gruppi familiari, in cui anche i più giovani partecipavano attivamente alla vita quotidiana.

Accompagnavano i genitori nei loro spostamenti, osservavano, imparavano e iniziavano fin da piccoli ad acquisire le abilità necessarie per sopravvivere in un ambiente spesso ostile. Si tratta di una scoperta eccezionale anche perché mette in evidenza un nuovo dato sui Neanderthal: le impronte fossilizzate nelle antiche arenarie mostrano come questi antichi umani esplorassero il paesaggio costiero, probabilmente pianificando spostamenti e battute di caccia tra le dune.

Cosa ci svela questa scoperta

Le impronte trovate dal team di scienziati e archeologi dimostrano che i Neanderthal vivevano vicino al mare e sfruttavano le risorse offerte dall’ambiente costiero. Tuttavia, dalle analisi eseguite sui resti faunistici trovati nei siti lungo la costa della Penisola Iberica utilizzando un metodo chiamato “network analysis”, si evidenzia un dato interessante sulla loro dieta, incentrata soprattutto su grandi erbivori come cervi, cavalli e uri (una specie di bovino oggi estinta), oltre che su lepri.

La costante presenza di questi mammiferi suggerisce che rappresentassero una fonte di cibo affidabile, indipendentemente dai diversi ambienti in cui i Neanderthal si insediavano, come sottolinea lo studio. Allo stesso tempo, non disdegnavano animali marini provenienti dagli habitat circostanti, come molluschi e pesci, segno di una strategia alimentare flessibile e ben adattata alle risorse locali.

Inoltre, le impronte indicano che le dune venivano sfruttate come terreno di caccia: grazie alla loro vegetazione rada e ai rilievi irregolari, erano considerati luoghi ideali per avvicinarsi alle prede senza essere visti. Una dinamica che trova conferma anche in altri siti come Matalascañas, in Spagna, dove sono state scoperte impronte di Neanderthal accanto a strumenti in pietra e resti di animali cacciati.

Questa ricerca aggiunge nuovi tasselli alla conoscenza della vita dei Neanderthal e rafforza l’idea che si trattasse di un’umanità molto più adattabile di quanto si sia pensato in passato, capace di sfruttare al meglio le risorse costiere e di modulare la propria dieta in base alla disponibilità alimentare.

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Scoperte piramidi in Polonia: un viaggio magico tra i segreti di 5.500 anni fa

Nel cuore della Polonia, una scoperta archeologica di grande rilievo ha recentemente catturato l’attenzione di studiosi e appassionati di storia antica. Sono state rinvenute due imponenti strutture megalitiche, comunemente denominate “piramidi polacche”, risalenti a oltre 5.500 anni fa.

Questi monumenti funerari neolitici sono stati scoperti nel Parco Paesaggistico General Dezydery Chlapowski, situato nel villaggio di Wyskoc, nella regione di Wielkopolska.

Questo straordinario ritrovamento fornisce nuove e preziose informazioni sulla complessità sociale, religiosa e architettonica dell’Europa del IV millennio a.C., arricchendo il bagaglio di conoscenze sulle antiche civiltà del continente.

La scoperta è di particolare interesse anche perché queste strutture sono contemporanee a siti famosi come Stonehenge e addirittura precedono le piramidi egizie, sfidando alcune delle idee tradizionali sulle origini delle grandi costruzioni preistoriche.

La scoperta delle piramidi polacche: un salto nel passato di 5.500 anni

Gli archeologi dell’Università Adam Mickiewicz, impegnati negli scavi, hanno portato alla luce due gigantesche tombe megalitiche nel cuore della regione di Wielkopolska in Polonia.

Questi monumenti furono costruiti dalla cultura del bicchiere imbutiforme, una società neolitica caratterizzata da avanzate pratiche agricole e da un’architettura funeraria monumentale.

Le strutture, soprannominate “piramidi polacche” per la loro imponenza, hanno una forma trapezoidale allungata e misurano fino a 200 metri di lunghezza, con un’altezza che raggiunge i 4 metri.

Per la loro costruzione sono state utilizzate enormi pietre megalitiche, alcune con un peso fino a 10 tonnellate, trasportate e posizionate con tecniche sofisticate, che testimoniano una notevole capacità organizzativa e ingegneristica degli antichi costruttori.

Un aspetto particolarmente affascinante di queste strutture è l’accurato allineamento delle tombe, che rivela una profonda conoscenza dell’astronomia. Questo dettaglio indica l’esistenza di figure chiave all’interno della comunità, come capi tribù, sacerdoti o sciamani, che godevano di uno status elevato e che venivano sepolti in queste imponenti tombe.

Ogni generazione della comunità ha contribuito alla costruzione di nuovi megaliti, creando così un patrimonio collettivo che testimonia la continuità culturale e il rispetto per i propri antenati.

I resti archeologici e il loro significato culturale

All’interno delle piramidi polacche sono stati rinvenuti resti scheletrici, probabilmente di singoli individui sepolti in posizione supina, con le gambe rivolte verso est. Questi corredi funerari includono oggetti preziosi come ceramiche finemente lavorate, asce di pietra e recipienti di argilla, alcuni utilizzati per contenere oppio, sostanza probabilmente impiegata in rituali o cerimonie.

Questi reperti rappresentano una fonte importante di informazioni sulle pratiche religiose e sociali di questa antica cultura, confermando l’importanza rituale delle tombe e la complessità delle loro credenze.

La scoperta, annunciata dal Complesso dei Parchi Paesaggistici del Voivodato di Wielkopolska, contribuisce a riscrivere la storia delle prime civiltà europee. Molte strutture simili, infatti, sono andate perdute o sono state danneggiate nel corso dei millenni. Solo quelle situate in zone boschive più isolate sono giunte intatte fino all’era moderna.

Grazie a questa scoperta, gli archeologi hanno ora l’opportunità di approfondire la conoscenza della società neolitica europea, mettendo in luce un livello di sofisticazione sociale, religiosa e architettonica finora poco conosciuto.

Le piramidi polacche rappresentano dunque un ponte tra passato e presente, aprendo nuove prospettive di ricerca e valorizzazione culturale per la storia antica dell’Europa.

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Ludus Magnus: al via il restauro milionario della palestra dei gladiatori a Roma

A pochi metri dal Colosseo, tra via Merulana e via di San Giovanni in Laterano, si nasconde un tesoro dell’antica Roma troppo spesso ignorato da residenti e turisti: il Ludus Magnus.

Questa era la principale palestra dei gladiatori della città eterna. Oggi il sito si presenta trascurato, con erba secca, resti archeologici poco valorizzati e numerosi “lucchetti dell’amore” attaccati alle ringhiere che ne oscurano la vista.

Ma presto tutto questo cambierà: è stato avviato un intervento di restauro e valorizzazione da oltre 3,5 milioni di euro, promosso dalla Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali. L’obiettivo è restituire dignità e visibilità a questo straordinario spazio, rendendolo finalmente accessibile e immersivo per tutti.

Cos’è il Ludus Magnus e cosa si può visitare

Il Ludus Magnus fu la più grande delle palestre gladiatorie dell’antica Roma. Costruito dall’imperatore Domiziano (81-96 d.C.), venne poi ristrutturato. I resti oggi visibili appartengono alla seconda fase quella attribuita all’imperatore Traiano (98-117) dove il piano del Ludus venne rialzato di circa un metro e mezzo.

Sorgeva proprio accanto all’Anfiteatro Flavio, oggi noto come Colosseo, ed era collegato ad esso tramite un passaggio sotterraneo, una galleria, che permetteva ai gladiatori di entrare direttamente nell’arena.

La struttura originale comprendeva un edificio rettangolare – di almeno due piani – con un cortile porticato al centro intorno al quale si aprivano delle celle (14 sono state conservate ed è stata restaurata anche una delle originarie quattro piccole fontane triangolari all’angolo nord-occidentale del quadriportico – le celle fungevano da alloggi e servizi per gli spettatori).

Ludus Magnus verrà restaurata

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I resti del Ludus Magnus a Roma

Una piccola arena centrale poi serviva per l’addestramento dei gladiatori. Questa era circondata da gradinate per ospitare un numero limitato di spettatori.

Fino ad oggi l’ingresso al monumento era consentito solo su prenotazione a gruppi – massimo 30 persone per visita – con una guida propria. Inoltre erano possibili anche visite, sempre su prenotazione, per singoli visitatori.

Un grande progetto di restauro e valorizzazione

Il restauro del Ludus Magnus, che terminerà a marzo 2026, rientra nel programma Caput Mundi e prevede una serie di interventi profondi e strutturati, non solo estetici.

Il progetto include indagini archeologiche e geognostiche volte a migliorare la conoscenza del sito e nuove campagne di scavo, in particolare nella cosiddetta domus repubblicana presente nell’arena.

Parallelamente, verranno ripuliti i resti antichi, riorganizzati gli spazi e predisposti nuovi allestimenti per la fruizione turistica. L’illuminazione giocherà un ruolo centrale: una nuova luce architettonica metterà in evidenza i dettagli strutturali e decorativi delle rovine, creando un’atmosfera evocativa che sottolineerà il valore storico del sito.

Particolare attenzione è stata poi riservata all’accessibilità, con l’introduzione di percorsi senza barriere, informazioni digitali e supporti tecnologici per permettere a tutti, comprese le persone con disabilità, di vivere pienamente la visita.

Infine, i residenti auspicano anche la rimozione definitiva dei lucchetti che deturpano le ringhiere: un gesto simbolico, ma importante, per restituire bellezza e visibilità a un sito unico nel suo genere.

Il Ludus Magnus è pronto a riemergere dal degrado e a diventare una nuova tappa imprescindibile del turismo culturale romano.
Con il nuovo progetto di riqualificazione, l’area sarà aperta in modo regolare al pubblico, grazie alla realizzazione di passerelle, punti di osservazione sicuri e un percorso inclusivo.

Inoltre, sarà installata una biglietteria vetrata all’ingresso e saranno adottate soluzioni tecnologiche per offrire un’esperienza multimediale e immersiva, capace di raccontare la storia del Ludus e dei suoi protagonisti: i gladiatori.