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Assedio di Masada, dall’archeologia nuovi dettagli sulle costruzioni romane in battaglia

Per comprendere a cosa si riferisce l’ultima ricerca di un gruppo di archeologi israeliani dobbiamo tornare indietro nel tempo fino all’Assedio di Masada, episodio conclusivo della prima guerra giudaica, combattuta tra romani e zeloti.

Uno studio pubblicato sul Journal of Roman Archaeology ha infatti portato alla luce maggiori dettagli su come siano state realizzate le opere d’assedio costruite dai romani nei pressi di Masada e su quali fossero le loro esatte funzioni originarie.

Cos’è l’Assedio di Masada

Avvenuto nel 73 d.C., l’Assedio di Masada fu l’epilogo della prima guerra giudaica, in cui gli ultimi zeloti si rifugiarono nella fortezza di Masada per sfuggire ai romani. Secondo la tradizione, al termine dell’assedio, i romani trovarono solo sette sopravvissuti, mentre gli altri si sarebbero suicidati per non cadere in mano nemica, sebbene questa parte della storia sia contestata da alcuni scavi archeologici. All’epoca, questa battaglia non venne ritenuta di grande importanza o interesse storico, ma solo successivamente fu resa famosa per via degli studi archeologici riguardanti appunto le realizzazioni architettoniche dei romani.

La scoperta degli archeologi sull’Assedio di Masada

Dev’essere attribuita a un gruppo di archeologi israeliani la recente scoperta sui dettagli del modo in cui furono costruite le fortificazioni e le cinta murarie dei romani nei dintorni del sito di Masada: lo studio, reso pubblico sulle pagine illustri del Journal of Roman Archaeology, approfondisce proprio questa vicenda dal punto di vista architettonico.

Le opere dei romani a Masada contavano all’epoca un muro di cinta, torri, forti e persino una rampa di terra, con un’estensione di oltre quattro chilometri. Il terreno dei romani era circondato da mura alte circa due metri e mezzo e protetto da torri che misuravano in altezza più di tre metri e mezzo. Secondo gli archeologi che hanno condotto lo studio, per costruire queste fortificazioni ci volle la manodopera e il sudore di più di 5.000 soldati che probabilmente impiegarono ben oltre due settimane per realizzare le imponenti strutture e un tempo ulteriore per la rampa d’accesso.

Lo studio condotto dagli archeologi israeliani per il Journal of Roman Archaeology ha inoltre mostrato che alcune sezioni delle mura sul terreno di Masada non erano state realizzate a scopo esclusivamente difensivo: è il caso di quelle vicine agli uadi (scavate nei corsi dei fiumi) e nei pressi dei burroni che sembra vennero invece costruite dai soldati romani – oltre che per evitare incursioni dall’esterno – soprattutto per poter suscitare nel nemico un effetto psicologico, con l’impressione di essere troppo imponenti e grandi per essere oltrepassate. Gli studiosi infatti hanno evidenziato il fatto che i muri fossero troppo sottili come spessore per avere una sola funzione difensiva, privi anche di parapetti per i soldati che vi si appoggiavano. Le torri, oltretutto, erano distanti eccessivamente le une dalle altre.

Il motivo, invece, per cui i romani insistettero tanto a voler conquistare una roccaforte piccola (solo un centinaio di soldati) come quella di Masada è ancora ignoto, anche se tra gli studiosi anche Guy Stiebel pensa che la conquista fosse connessa alla conservazione del commercio di balsamo a Ein Gedi.

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Guida completa al Museo del Bardo a Tunisi

Hai deciso di fare un viaggio in Tunisia e ti vorresti fermare qualche giorno nella sua affascinante capitale? Se stai cercando di costruire il tuo itinerario, non dimenticarti di inserire una visita al Museo del Bardo a Tunisi, in assoluto il museo archeologico più importante del Paese, nonché il museo più antico del mondo arabo e dell’Africa. Situato in un palazzo storico di straordinaria bellezza, e caratterizzato da una ricca collezione di reperti e manufatti, questo museo ha davvero tanto da raccontare di questo popolo e della sua cultura. In questa guida troverai tutte le informazioni che ti servono per organizzare in modo impeccabile la tua visita al Museo del Bardo a Tunisi. Pronto a partire?

Museo del Bardo a Tunisi: una storia travagliata

La storia di questo museo è lunga e travagliata e il suo destino è sempre stato legato ai profondi cambiamenti politici e sociali della sua Nazione. Inaugurato nel 1888, è ospitato all’interno di un palazzo ottomano del XIX secolo il quale, all’epoca, fungeva da residenza reale dei governatori ottomani della Tunisia. Durante il protettorato francese, si decise di convertire le stanze della residenza in sale espositive per ospitare le collezioni archeologiche e storiche del paese. Inizialmente chiamato Museo Alawi, a seguito dell’indipendenza della Tunisia avvenuta nel 1956, il museo prese il nome di Museo del Bardo (nome preso in prestito dalla zona in cui è situato che si chiama, per l’appunto, Bardo, nella periferia di Tunisi). Il museo è stato anche teatro di un triste attentato avvenuto nel 2015 che ne ha determinato la chiusura per un lungo periodo di tempo. Questo, insieme alla chiusura del 2011 avvenuta a causa della rivoluzione e quella del 2020 dovuta all’epidemia da Covid-19, ha messo a dura prova la sopravvivenza del Museo del Bardo. Tuttavia, la resilienza del museo – che nel frattempo è diventato un grande simbolo di rinascita – ha permesso la sua riapertura nell’autunno del 2023 consentendo ai visitatori di godere ancora delle bellezze delle sue collezioni.

Cosa vedere al Museo del Bardo: le collezioni

Il Museo del Bardo è strutturato in sei dipartimenti – per un totale di 34 sale – che seguono un filo logico ben preciso: ogni dipartimento rappresenta una tappa archeologica del Paese, coprendo così circa 40 mila anni di storia della Tunisia. Le sei tappe sono:

  • Periodo preistorico
  • Periodo punico
  • Periodo romano
  • Periodo cristiano
  • Periodo arabo-islamico
  • Archeologia sottomarina

Tra i migliaia di pezzi esposti ce n’è uno in particolare che fa gola ai musei di tutto il globo, ovvero l’impressionante collezione di mosaici romani del II-IV secolo. Tra le più grandi e importanti al mondo, questa collezione espone mosaici incredibili rinvenuti durante gli scavi in diverse zone della Tunisia, tra cui Cartagine e Dougga. I disegni, in finissime tessere dai colori brillanti e perfettamente conservate, rappresentano scene mitologiche, di vita quotidiana e raffigurazioni religiose. Tra i pezzi più celebri potrai ammirare:

  • Il mosaico di Perseo e Andromeda: dove vediamo la scena, narrata da Ovidio, di Perseo intento a liberare Andromeda incatenata, avvenuta a seguito della sua vittoria contro un mostro marino. Questo mosaico è rinomato per l’impeccabile uso delle luci e delle ombre e la sua funzione principale era quella di decorare una villa romana.
  • Un altro dei pezzi più noti del museo è il mosaico di Virgilio tra Clio e Melpomene, rinvenuto durante gli scavi di Susa. La scena raffigura Virgilio, circondato dalle Muse, mentre tiene un rotolo dell’Eneide.
  • Infine, il mosaico risalente al 260 d.C che raffigura Ulisse e le sirene, ritrovato durante gli scavi di Dougga.

Visitare il Museo del Bardo a Tunisi: informazioni utili

Per godere appieno delle bellezze che il Museo del Bardo ha da offrire, è necessario conoscere tutte quelle informazioni di tipo logistico che ti permettono di pianificare in anticipo la tua visita, inserendola nel punto migliore del tuo itinerario di viaggio a Tunisi. Le abbiamo raccolte tutte qui:

  • Orari: il museo è chiuso il lunedì. Il resto della settimana è aperto dalle 9 alle 17 dal primo di giugno al 15 di settembre; dalle 9.30 alle 16.30 dal 16 di settembre al 30 di maggio. Gli orari possono variare nel tempo dunque ti consigliamo di controllare sempre il sito ufficiale del Museo del Bardo.
  • Costi del biglietto: l’ingresso costa l’equivalente di circa 3-4 euro. È previsto anche un ingresso ridotto per studenti e gruppi. Come per gli orari, anche i costi del biglietto possono variare di mese in mese, pertanto è necessario consultare il sito ufficiale poco prima della tua visita.
  • Visite guidate: prenotando in anticipo – o chiedendo direttamente sul posto – è possibile prendere parte a una visita guidata. Le lingue disponibili sono diverse, tra queste puoi trovare visite in inglese, francese e arabo. Verrai accompagnato da una guida esperta per un percorso della durata di circa un’ora e mezza durante la quale potrai scoprire la storia del museo e dei suoi pezzi più importanti.
  • Come arrivare: Il Museo del Bardo è a pochi chilometri dal centro di Tunisi ed è molto facile da raggiungere. Puoi optare per un taxi dal centro della città, prendere la linea TGM e scendere alla fermata “Le Bardo” oppure, se hai noleggiato l’auto, puoi arrivare autonomamente e parcheggiare nelle vicinanze del museo.

In sintesi, se hai in programma un viaggio a Tunisi e ami scoprire l’anima di un luogo conoscendo il suo passato, allora una fermata al Museo del Bardo è d’obbligo. Lasciati incantare dall’opulenza di oggetti e pezzi di inestimabile valore che si celano nelle sue 34 stanze e preparati a un viaggio nel tempo alla scoperta di questa terra ricca di storia e cultura.

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Pompei, dal 7 settembre al via le visite serali

Un’esperienza che trasporta gli spettatori indietro di quasi duemila anni, a quella fatidica notte del 79 d. C. precedente all’eruzione che cancellò la città di Pompei e la sua popolazione dalla faccia della Terra. Dal prossimo sabato 7 settembre, e per tutti gli altri sabati del mese di settembre, prendono il via gli appuntamenti serali nel sito archeologico, uno spettacolo incredibilmente suggestivo all’interno degli scavi.

Le passeggiate serali a Pompei

Le passeggiate serali a Pompei prevedono due itinerari, nello splendido scenario degli scavi archeologici dell’antica città alle falde del Vesuvio che nel 1997 è entrata a far parte della lista dei Patrimoni dell’umanità dell’Unesco con accesso ad alcune case del lato orientale della città antica e alla Palestra grande, e dall’altro lato alla Villa dei Misteri, uno degli edifici più visitati degli scavi di Pompei, soprattutto per la serie di affreschi del triclinio, raffiguranti riti misterici, ben conservati, da cui la struttura prende il nome.

Primo itinerario

Il primo itinerario parte da piazza Anfiteatro e prevede una passeggiata tra alcune delle più eleganti domus pompeiane: i Praedia di Giulia Felice, una villa urbana con ampio giardino e dallo scenografico porticato con colonne in marmo scanalate, la Casa della Venere in Conchiglia, che prende il nome dal grande affresco che si trova su una parete del giardino, e la casa di Loreio Tiburtino. Il percorso include l’accesso alla mostra “L’altra Pompei. Vite comuni all’ombra del Vesuvio” allestita nella Palestra grande degli scavi.

Da piazza Anfiteatro partirà anche l’attività dedicata ai bambini e alle loro famiglie, organizzata dal Pompeii Children’s Museum, che prevede la visita didattica speciale nelle domus del percorso, preceduta da una performance nella Casa Rosellino, sotto il grande Cavallo rosso di Mimmo Paladino.

Il costo è di 5 euro, oltre al biglietto d’ingresso al sito pari a 7 euro, e la durata della visita + performance è di circa un’ora e 40 minuti, con inizio alle ore 20.00. Gli orari delle passeggiate serali per il percorso da Anfiteatro sono i seguenti: 19.30-23.30 con ultimo ingresso alle 21.45.

Secondo itinerario

Il secondo itinerario, incluso nel biglietto d’ingresso di 7 euro, prevede l’accesso diretto dalla strada urbana esterna alla Villa dei Misteri illuminata. L’orario di accesso alla villa è dalle 19.30 alle 23.30, con ultimo ingresso alle 22.30. La durata del percorso è di circa 40 minuti. Sarà possibile usufruire del servizio navetta Pompeii Artebus in partenza da piazza Esedra. È consigliata la prenotazione online.

Un modo originale ed emozionante per visitare gli scavi di Pompei, che al tempo dell’antica Roma era una cittadina florida e pulsante. Un luogo che tutt’oggi rappresenta la maggiore espressione urbanistica e architettonica dell’ingegneria dell’epoca, ma anche un ricordo, a causa dell’eruzione, triste e malinconico di un popolo scomparso sotto la lava e la cenere.

Visite notturne ad altri siti

Le visite notturne prevedono anche quelle ad altri luoghi tra cui Villa Arianna e Villa San Marco, il Museo archeologico libero D’Orsi a Stabia, Villa di Poppea a Oplontis, l’Antiquarium e Villa Regina a Boscoreale. La Villa di Poppea a Oplontis è la maestosa dimora attribuita alla seconda moglie di Nerone e sarà aperta per le passeggiate serali del 7 settembre in occasione della Notte Bianca, organizzata dal comune di Torre Annunziata, e a seguire il 13 settembre. Il percorso serale consente di ammirare anche la suggestiva esposizione di statue e opere che arricchiscono la visita agli ambienti della villa, nell’ambito di un progetto di Museo diffuso permanente. Per la Notte Bianca sono in programma visite sul tema “Vinalia Rustica” con degustazione di vini locali e lettura di versi di poeti greci e latini a cura dell’Archeoclub di Torre annunziata – “Mario Prosperi”.

La Villa Arianna e Villa San Marco a Castellammare di Stabia, due esempi di grandiose ville aristocratiche romane, un tempo con affaccio panoramico sul mare, saranno visitabili di sera il 13 e il 20 settembre.

Anche il Museo archeologico di Stabia, presso la Reggia del Quisisana, sarà visitabile la sera del 13 e del 20 settembre, nel suo allestimento di recente rinnovato e arricchito di nuovi reperti provenienti dal territorio e dalle ville di Stabia. Il 13 settembre è prevista anche l’apertura straordinaria dei depositi archeologici. A conclusione del percorso di visita del museo, il visitatore sarà calato fisicamente nei sotterranei del palazzo reale, per visitare il nuovo allestimento dei depositi.

L’Antiquarium di Boscoreale e la Villa Regina saranno aperti il 7, 14 e 21 settembre. La passeggiata serale consente la vista a Villa Regina, un esempio di fattoria romana dedita alla produzione del vino, e all’Antiquarium che dall’anno scorso espone, oltre e reperti del territorio vesuviano, anche una nuova sala interamente dedicata alle recenti scoperte della villa suburbana in località Civita Giuliana, tra le quali il celebre carro cerimoniale e il calco del cavallo.

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Asia Gerusalemme Israele itinerari culturali mete storiche Notizie siti archeologici Viaggi

Israele, scoperta una delle fortificazioni che proteggevano Gerusalemme

La città più antica del mondo non smette mai di riservare sorprese. Migliaia di anni, di storia, di popoli hanno lasciato quantità infinite di testimonianze che spuntano come funghi non appena si fa un buco nel terreno. L’ultima scoperta, fatta proprio per caso durante i lavori in un parcheggio, ha del sensazionale e riscrive una parte di storia di questa terra crocevia di culture.

Nel Parco nazionale delle mura di Gerusalemme, gli archeologi dell’Autorità israeliana per le antichità e dell’Università di Tel Aviv hanno appena scoperto un enorme fossato, profondo almeno nove metri e largo almeno 30 metri. La scoperta è stata presentata in occasione della conferenza “Jerusalem Studies Experience” che si è svolta a Gerusalemme.

La nuova scoperta in Israele

Un tempo Gerualemme era divisa in due da un fossato. Nessuno, però, era mai riuscito a trovarlo. Nel corso degli ultimi 150 anni sono stati fatti molti tentativi di scavi per riuscire a trovare questo fossato, e ora finalmente è stato rivelato per la prima volta. Il fossato serviva probabilmente a separare la città alta, dove si trovavano il tempio e il palazzo, dalla città bassa e a proteggerla. Creato mediante estese attività estrattive, il fossato formava un enorme canale che separava la città di Davide dal Monte del Tempio e dall’area dell’Ofel. Le scogliere perpendicolari su entrambi i lati del fossato lo rendevano impraticabile.

gerusalemmeLa fortificazione settentrionale di Gerusalemme-fossato-scoperta

Fonte: @Eric Marmur, Città di David

La fortificazione settentrionale di Gerusalemme

Inizialmente, lo scopo dell’incisione rupestre che era stata rinvenuta non era chiaro, ma ulteriori scavi e il collegamento con alcune scoperte avvenute in passato hanno aiutato a rivelare che si trattava di una linea di fortificazione a Nord della città bassa.

Secondo i direttori dello scavo, il professor Yuval Gadot del Dipartimento di archeologia e culture del vicino Oriente antico dell’Università di Tel Aviv e il Dottor Yiftah Shalev dell’Autorità israeliana per le antichità “non si sa quando il fossato fu originariamente tagliato, ma le prove suggeriscono che fu utilizzato durante i secoli in cui Gerusalemme era la Capitale del Regno di Giuda, quasi 3.000 anni fa, a cominciare dal re Josiah. In quegli anni, il fossato separava la parte residenziale meridionale della città dall’acropoli dominante nella parte superiore città dove si trovavano il palazzo e il tempio”.ocper

Questa scoperta ribalta completamente la teoria secondo cui il fossato si sarebbe trovato in un altro punto della città. Gadot ha infatti dichiarato: “Abbiamo riesaminato i rapporti degli scavi precedenti scritti dall’archeologa britannica Kathleen Kenyon, che ha scavato nella città di David negli Anni ’60, in una zona situata leggermente ad Est dell’odierna Givati. Ci è apparso chiaro che la Kenyon aveva notato che la roccia naturale degrada verso Nord, in un luogo dove avrebbe dovuto naturalmente sollevarsi. Pensava che fosse una valle naturale, ma ora si scopre che aveva scoperto la continuazione del fossato, scavato a Ovest. Il collegamento dei due tratti scoperti crea un fossato profondo e ampio che si estende per almeno 70 metri, da Ovest a Est”. E aggiunge che “si tratta di una scoperta eccezionale che apre una rinnovata discussione sui termini della letteratura biblica che si riferiscono alla topografia di Gerusalemme, come l’Ofel e il Millo”.

Il dottor Shalev sottolinea che “la data in cui fu tagliato il fossato è sconosciuta. Tali importanti piani di costruzione e di estrazione a Gerusalemme sono solitamente datati all’età del bronzo medio – circa 3.800 anni fa (all’inizio del II millennio a.C.). Se il fossato fu tagliato durante questo periodo, allora aveva lo scopo di proteggere la città da Nord, l’unico punto debole del pendio della Città di Davide. In ogni caso, siamo sicuri che fosse utilizzato all’epoca del Primo Tempio e del Regno di Giuda (IX secolo a.C.), creando così un chiaro cuscinetto tra la città residenziale a Sud e la città alta a Nord”.

L’antica Gerusalemme era costruita in cima a un crinale stretto e ripido, espandendosi su colline e valli che la dividevano in parti distinte, rendendo difficile lo spostamento da un’unità all’altra. Pertanto, non sorprende che molte delle imprese edili di Gerusalemme fossero legate alla necessità di rimodellare la topografia.

Secondo Eli Escusido, direttore dell’Autorità israeliana per le antichità “Gli scavi nella Città di Davide non smettono mai di stupire; ancora una volta vengono rivelate scoperte che gettano una luce nuova e vivida sulla letteratura biblica. Quando ti trovi in fondo a questo gigantesco scavo, circondato da enormi mura sbozzate, è impossibile non essere pieni di meraviglia e di apprezzamento per quegli antichi popoli che, circa 3.800 anni fa, spostarono letteralmente montagne e colline”.

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Rocca di Manerba: panorami e spiagge selvagge sul Lago di Garda

È il più grande lago italiano, e pertanto non poteva mancargli un lato wild: il Lago di Garda regala una zona di natura incontaminata, grandi panorami e l’eredità di un passato importante nella Riserva della Rocca di Manerba, un ampio parco naturalistico e archeologico sulle rive dello specchio d’acqua più noto del Belpaese.

Una zona del lago abitata fin dalla preistoria, che regala al visitatore la possibilità di conoscere le vestigia di questo passato remoto, che offre escursioni e passeggiate in una flora rigogliosa e inaspettata per queste latitudini, tra le quali spicca la salita all’antica fortezza seduta su uno sperone di roccia che domina tutta l’area circostante e dalla quale si gode di uno dei panorami più spettacolari sul lago e sulle sue isole.

Il parco si trova sul lato lombardo del bacino, nel comune di Manerba del Garda, abitato suddiviso nelle sette frazioni di Solarolo, Montinelle, Balbiana, Pieve, Trevisago, Campagnola e Gardoncino. Da Montinelle si può arrivare in auto fino al Museo Civico Archeologico della Valtenesi, da cui poi parte la breve salita fino alla Rocca e si può accedere a tutti i sentieri del Parco.

Storia e cultura: la Rocca di Manerba e il Museo Archeologico

Lago di Garda Rocca Manerba

Fonte: Guido Adler via Wikimedia Commons con licenza CC-BY SA 3.0

La Rocca di Manerba, l’Isola di San Biagio e lo Scoglio dell’Altare

Il Museo Civico Archeologico della Valtenesi, che è anche centro di accoglienza e di prima informazione per i visitatori della Riserva della Rocca di Manerba, sono presenti i resti degli insediamenti preistorici di cui sono state trovate tracce nella zona del fortilizio.

Se infatti la leggenda narra che il nome di Manerba derivi dalla fondazione in omaggio alla dea romana Minerva, le origini di un insediamento sono ben precedenti. Questa zona costiera del lago fu abitata fin dal tardo Neolitico, con le prime tracce che si fanno risalire a una datazione intorno al 4000 a.C.

Prima di entrare all’interno dei domini romani qualche millennio più tardi, l’area di Manerba fu occupata dalla popolazione dei Galli cenomani, una delle popolazioni di ceppo celtico presenti in Italia settentrionale. Secondo alcuni studiosi si dovrebbe a loro, piuttosto che a Minerva, il toponimo della zona: Manerba deriverebbe dalle parole mon ed erb, la cui unione starebbe a significare un luogo fortificato dimora di un sovrano. Una rocca, insomma.

La Rocca vera e propria, però, quella odierna, risale al XII secolo. Fu costruita su un precedente fortilizio altomedievale e divenne un baluardo contro le numerose turbolenze dei secoli successivi, dalle lotte fra Guelfi e Ghibellini fino a quelle tra le signorie locali degli Scaligeri e dei Visconti. Le sue mura vennero distrutte nel 1576, quando la Repubblica di Venezia, entrata in controllo del territorio valtenese, decise di porre fine ai traffici illeciti di banditi e fuorilegge che trovavano rifugio nel castello.

Lago di Garda Rocca Manerba

Fonte: Getty Images

Vista sul Monte Baldo

La Rocca di Manerba dista appena una decina di minuti di cammino dal Museo, percorrendo un agile sentiero in salita che porta al punto più alto del parco. Dalla vetta si gode di una straordinaria vista panoramica a 360 gradi sul Lago di Garda e sulle sue sponde: verso nord ovest si scorge immediatamente l’Isola di San Biagio, nota come Isola dei Conigli, riconoscibile dall’inconfondibile sagoma dei cipressi che la punteggiano; poco più avanti lo Scoglio dell’Altare, dove una volta si celebrava il giorno di San Pietro con una messa annuale che attirava tutte le comunità di pescatori del lago; a nord est si staglia la sagoma del massiccio del Monte Baldo, in territorio veronese; nelle giornate con maggiore visibilità si può scorgere a sud est anche la penisola di Sirmione; infine, tutt’intorno, il verde delle coltivazioni rurali della Riserva e il territorio di Manerba del Garda.

Le bellezze di Punta Sasso

Dalla Rocca di Manerba si può proseguire lungo il sentiero in discesa verso Punta Sasso. Per raggiungere lo scenografico punto panoramico a strapiombo sul Lago di Garda ci vogliono all’incirca 15 minuti. Si tratta di un percorso a tratti impervio, non difficile ma da affrontare con un minimo di prudenza e con il giusto equipaggiamento.

Negli scavi archeologici nell’area di Punta Sasso sono state rinvenute tracce di un insediamento del Mesolitico databile da 8000 a 5000 anni fa. Sono inoltre venute alla luce tre cerchi di mura databili fra il XII e XIII secolo di cui il più interno racchiude la sommità della Rocca di Manerba.

Lago di Garda Rocca Manerba

Fonte: Getty Images

Le scogliere di Punta Sasso

Punta Sasso offre una vista del lago diversa: si tratta di una scogliera a strapiombo per circa 90 metri sulle acque del lago, immersa in un contesto più selvaggio. Il sentiero in discesa dalla Rocca incrocia qui il sentiero CAI che percorre tutta la costa del lago all’interno della Riserva, un emozionante percorso in saliscendi fra punti panoramici e tratti di folta boscaglia, per poi passare più all’interno tra vigne e ulivi, caratteristiche coltivazioni delle colline intorno al Garda.

Wild swimming al Lago di Garda

Le ampie scogliere nei dintorni di Punta Sasso sembrano impedire di trovare alcuni angoli dove fare il bagno su queste sponde del Lago di Garda, ma non è così.

Nei pressi della punta le calette di scogli, piccoli tesori incontaminati, sono raggiungibili solamente con delle imbarcazione che tassativamente non siano a motore. Si tratta di veri e propri paradisi naturali dove godere delle acque cristalline del lago e del silenzio totale che vi regna.

Non è però strettamente necessaria una barca a remi o a vela per poter raggiungere le spiagge d’acqua dolce della Riserva della Rocca di Manerba.

Lago di Garda Rocca Manerba

Fonte: Filippo Tuccimei

Le spiaggette nascoste della Riserva della Rocca di Manerba

Nella parte meridionale del parco, infatti, tra il parcheggio di Via Agello e il Casella del Reparto di Alta Velocità, che nella prima parte del novecento serviva per calcolare la velocità degli idrovolanti che competevano sullo specchio d’acqua, si trova un impervio sentiero nel bosco dal quale si dipartono alcune tracce per scendere in piccole e nascoste calette di sassi sulle rive del lago.

Spiagge rocciose, con un ingresso in acqua non sempre facile, ma che lasciano presto il passo a grandi profondità, regalando una splendida esperienza di wild swimming.

Per chi invece ama maggiormente le comodità, al limitare settentrionale della Riserva si può accedere con facilità alla spiaggia di Pisenze, una lunga e stretta spiaggia di sassolini dove si adagia la risacca delle onde del lago. Un posto più antropizzato, ma molto rilassante e scenografico: alla destra dell’ingresso in acqua, le pareti rocciose del promontorio di Punta Sasso, ricoperte di vegetazione, di fronte l’Isola di San Biagio e la suggestiva sponda opposta del lago, con i suoi colli e le sue montagne.

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Scoperto il più grande osservatorio astronomico dell’antico Egitto

Se è vero che il popolo Egizio veniva da un altro pianeta, la nuova scoperta non fa altro che confutare sempre più questa teoria. La loro conoscenza sovrannaturale, il loro forte legame con astrologia e l’universo, dimostrata nella realizzazione delle piramidi ma anche di tutto ciò che hanno costruito nei secoli del loro antico regno, oggi ha una prova in più.

È di pochi giorni fa il ritrovamento di un sito incredibile che altro non è se non un osservatorio astronomico. A dire del ministero del Turismo e delle antichità egiziano sarebbe addirittura il più grande mai rinvenuto in Egitto. Secondo gli archeologi serva per misurare i movimenti del Sole e delle stelle. Il direttore generale del consiglio superiore delle antichità dell’Egitto, Mohammad Ismail, ha sottolineato che ciò che è stato scoperto “conferma l’ingegno e le capacità degli antichi Egizi nel campo dell’astronomia fin dai tempi più remoti”.

Il più grande osservatorio astronomico dell’antico Egitto

Risalente al VI secolo a.C., il grande osservatorio astronomico si troverebbe all’interno del perimetro del Tempio dei Faraoni a Kafr el-Sheikh, nel Nord del Paese, dove erano in corso alcuni scavi. Comprenderebbe una decina di ambienti, con cinque grandi stanze, quattro più piccole e un corridoio con pareti dipinte di giallo e i resti di una decorazione blu, dove sono stati rinvenuti anche degli oggetti impiegati per la misurazione, come un particolare tipo di meridiana che serviva per misurare lo spostamento del Sole, e una torre di osservazione. L’area comprendeva una superficie di ben 850 metri quadrati.

L’ingresso dell’osservatorio, di cui resta ancora parecchio fatto di mattoni e fango, si trova in direzione Est, dove sorge il Sole, e si apre su un edificio a forma di “L” dove si osservano ancora alcuni pilastri di sostegno. Di fonte si trova una enorme parete di mattoni pendente verso l’interno. Secondo gli archeologi qui venivano osservate e trascritte tutte le informazioni relative ai movimenti del Sole, inclusa l’inclinazione ora dopo ora e la sua ombra.

“Gli Egizi erano tra i più esperti astronomi dell’antichità”, hanno osservato gli esperti in seguito alla nuova scoperta. “È proprio nell’antico Egitto che è nato il calendario di 365 giorni che usiamo ancora oggi. Questo popolo riuscì a mappare la volta cleste, aveva le proprie costellazioni e l’oroscopo”. La scoperta dell’osservatorio rappresenta un contributo significativo alla comprensione odierna dell’astronomia e della scienza degli antichi Egizi. Secondo il ministereo del Turismo e delle anticihtà si tratta di “uno dei più precisi strumenti di misurazione del tempo dei tempi antichi”.

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Penisola di Halkidiki: i tropici sono in Grecia e costano poco

Un viaggio non dev’essere per forza solo mare o montagna, solo baie nascoste o movida. Questo lo sa bene la Grecia, ricca di luoghi unici in grado di offrire il mix perfetto per chi cerca esperienze diverse. In particolare è la penisola Calcidica – Halkidiki – a dare il meglio in questo senso anche se, molto spesso, il suo fascino viene facilmente sottovalutato. Eppure, la penisola a tre dita che si estende a sud di Salonicco, nella regione della Macedonia centrale, ha molto da offrire.

I suoi 550 chilometri di spiagge candide, lambite da acque cristalline, unite ai siti archeologici, ai villaggi tradizionali e alla sua atmosfera vacanziera, la rendono una vera e propria perla del Mediterraneo. Un mondo di meraviglie da scoprire se siete alla ricerca di una Grecia inedita, inaspettata, che si discosta dall’immaginario collettivo.

Halkidiki, dove si trova

La penisola Calcidica è una regione della Grecia settentrionale, distante un’ora di auto da Salonicco. Famosa per i suoi paesaggi costieri mozzafiato, per le foreste di pini che emanano un profumo inebriante e per le spiagge di sabbia dorata e finissima, è in realtà formata da tre penisole più piccole (che i greci chiamano affettuosamente “gambe”): Kassandra, Sithonia e il Monte Athos.

Ognuna di queste penisole vanta un’atmosfera propria, da Kassandra amata soprattutto da un pubblico più giovane in cerca di divertimento a Sithonia, perfetta invece per le famiglie, per chi ama fare campeggio e l’aria aperta in generale. Il Monte Athos, infine, è quello più adatto per gli avventurieri desiderosi di scoprire sentieri meno battuti fra cascate e monasteri Patrimonio UNESCO.

Penisola Athos Grecia

Fonte: iStock

Monastero nella penisola di Athos

Viaggio nella penisola di Halkidiki: cosa vedere

Iniziamo il nostro viaggio alla scoperta della penisola di Halkidiki visitando ognuna delle sue penisole affacciate sul Mar Egeo. Ecco le cose da vedere e le esperienze da fare per godervele al meglio in tutta la loro bellezza: culturale, storica e naturale.

Kassandra, la più popolata e vivace

Cominciamo dalla penisola più popolata e vivace: Kassandra è ricca di alberghi di lusso, discoteche, taverne tipiche, bar e spiagge bellissime. Dall’atmosfera spensierata, qui potete staccare la spina, dimenticare le preoccupazioni quotidiane e lasciarvi avvolgere dal comfort dei suoi servizi: il litorale, infatti, è attrezzato per la balneazione e le spiagge sono adatte anche a famiglie con bambini. Troverete diverse opportunità per divertirvi come campi da beach volley, aree giochi, locali e ristoranti dove assaggiare le migliori pietanze della tradizione.

Tra le spiagge più famose vi sono quella di Palioúri, comunemente chiamata Golden Beach (spiaggia d’oro), considerata una delle più belle di tutto il territorio, e la lunga e suggestiva Kriopigi. Seppur la maggior parte delle persone venga qui per godersi la bellezza del suo mare, questa non è l’unica attrattiva.

Prima di arrivare a Kassandra fate tappa nell’entroterra e scoprite la Grotta di Petralona, dove negli anni ’60 sono stati scoperti resti umani risalenti a circa 300.000 anni fa e fossili di animali preistorici. Molto interessanti, soprattutto per gli appassionati di storia, sono il monastero bizantino di Fokea del 1407, i resti del santuario dorico dedicato a Zeus Ammone, del santuario di Dioniso e delle Ninfe.

Sithonia, la più selvaggia e poco abitata

Più tranquilla rispetto a Kassandra, oltre che più selvaggia, Sithonia è la penisola perfetta per chi desidera soddisfare il proprio spirito esplorativo e, allo stesso tempo, concedersi giornate dove le uniche cose da fare sono nuotare, prendere il sole e godersi il panorama. Ad attendervi troverete calette sabbiose, uliveti, un mare da togliere il fiato, foreste rigogliose e alloggi adatti a tutte le tasche. Qui potrete optare sia per spiagge libere e isolate che per quelle dotate di stabilimenti balneari attrezzati con tanto di beach bar. Tra le spiagge più famose, soprattutto per chi viaggia con i bambini, citiamo quella di Kalogriá e di Tristiníka.

Oltre a rilassarvi sulla sabbia, potete anche divertirvi praticando sport acquatici o fare escursioni a piedi, con la bici o a cavallo. In alternativa, se fa troppo caldo per fare qualsiasi tipo di attività, potete optare per il noleggio di una barca per la giornata ed esplorare i dintorni, come l’isola di Diáporos, in autonomia. Se invece volete dedicarvi alla scoperta di alcune città, segnate sulla mappa quella di Nikíti e di Sykiá, quest’ultima situata ai piedi del Monte Ítamos.

Spiaggia Sithonia Grecia

Fonte: iStock

Spiaggia sulla costa di Sithonia

Monte Athos, la più spirituale delle penisole

La “gamba” più orientale della penisola Calcidica è quella del Monte Athos, considerata anche la più spirituale e luogo ideale in cui riconnettersi con la natura e con se stessi. Questo lo pensava anche lo scrittore Bruce Chatwin che, ammaliato da questi luoghi, desiderava tornarci in pellegrinaggio ed entrare a far parte ufficialmente della chiesa ortodossa. Un sogno mai realizzato perché, sfortunatamente, lo scrittore morì prima di compiere questo viaggio.

Dominata dall’omonimo monte, alto 2.033 metri, la terza ‘falange’ della mano è abitata da 1.700 monaci ortodossi. È una Repubblica indipendente sin dall’883 d.C. e l’accesso non è consentito alle donne, mentre gli uomini necessitano di un permesso speciale, dunque l’unico modo per poter ammirare i bellissimi monasteri affacciati sul mare è prenotando un’escursione in barca o in battello.

A pochi chilometri si trova la minuscola isola di Ammouliani, un piccolo paradiso fatto di spiagge di sabbia bianca e di acque cristalline. Nel suo pittoresco porto vedrete le barche lanciare riflessi colorati nelle acque calme, mentre il centro abitato è stato costruito come un anfiteatro sopra la baia, con bellissimi tetti di tegole, giardini verdeggianti e vicoli che scendono fino al mare. Non lasciate la penisola senza prima aver fatto tappa a Stagíra, città natale di Aristotele: qui è presente un parco tematico da visitare soprattutto se viaggiate con bambini.

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Stonehenge sorprende ancora, scoperta la vera origine della sua pietra

Stonehenge, straordinario sito neolitico che si trova vicino ad Amesbury, in Inghilterra, da secoli affascina archeologi e studiosi per via delle sue leggende e dei suoi innumerevoli misteri. Su di esso, infatti, esistono pressoché infinite teorie sulla modalità e sullo scopo della sua costruzione, ma fino a questo momento ancora non si era trovata alcuna prova schiacciante per dimostrare la veridicità delle varie ipotesi. Tuttavia, un nuovo studio affermerebbe che è appena stata scoperta la vera origine della pietra con cui è stato costruito.

Lo studio che svela l’origine della pietra di Stonehenge

Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature e svolto da un team internazionale di ricerca guidato dal geologo britannico Anthony Clarke dell’australiana Curtin University, sostiene che la composizione chimica dei minerali della monumentale Pietra dell’Altare di Stonehenge dimostrerebbe che il blocco di arenaria, per moltissimo tempo ritenuto originario del Galles, provenga in realtà dalla Scozia. Ciò vorrebbe dire, quindi, che questo sasso di ben 6 tonnellate sarebbe stato trasportato per oltre 700 chilometri.

Nel dettaglio, l’analisi effettuata dai ricercatori avrebbe rilevato che specifici granuli di minerali nella Pietra dell’Altare avrebbero un’età compresa tra 1.000 e 2.000 milioni di anni, mentre altri minerali circa 450 milioni di anni. Secondo il loro illustre e fondamentale parere emerso a seguito dello studio, questi dati fornirebbero un’impronta chimica distinta che suggerirebbe che la pietra provenga da rocce nel bacino delle Orcadi, in Scozia, ad almeno 750 chilometri di distanza da Stonehenge.

A questo punto, quindi, si aprono ancor più domande affascinanti su come tutto questo sia stato effettivamente possibile, considerando i vincoli tecnologici dell’epoca per trasportare una pietra così massiccia su distanze altrettanto gigantesche (soprattutto in quel momento storico). Stando alle prime ipotesi, vi è stata una probabile rotta di spedizione marittima lungo la costa della Gran Bretagna.

Perché è una scoperta importantissima

La Pietra dell’Altare è uno dei più grandi megaliti al centro di Stonehenge e il suo trasporto, per circa 750 chilometri, suggerirebbe che l’organizzazione della società neolitica britannica fosse molto più complessa e avanzata di quanto pensato fino a questo momento.

Gli studiosi avevano precedentemente stabilito che questo enorme sasso provenisse dalle colline del Galles occidentale, ma essendo la Pietra dell’Altare fatta di una roccia diversa rispetto alle altre la sua origine è stata spesso dibattuta, tanto che già lo scorso anno un gruppo di ricercatori dell’Università di Aberystwyth, in Galles, aveva messo un punto in modo definitivo sul fatto che la pietra non potesse provenire dal Galles. Tuttavia, la sua origine era rimasta sconosciuta, almeno fino a quest’ultima e interessantissima scoperta.

In questo recente studio, infatti, i dati raccolti dalla Pietra dell’Altare sono stati confrontati con i depositi sedimentari presenti in diverse aree del Paese, che hanno fatto emergere una corrispondenza con una sequenza di rocce situate nell’estremo nord-est della Scozia.

Tutto ciò suggerirebbe, dunque, che i popoli del Neolitico non fossero isolati, ma che al contrario possedevano una rete di contatti e scambi che si estendeva su distanze notevoli.

La scoperta appena effettuata ci fornisce quindi importantissime informazioni sull’origine di questo sito, che possono essere un ideale punto di partenza per provare a risolvere gli ancora tantissimi misteri e segreti che racchiude.

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Pompei sorprende ancora, la nuova scoperta dell’eruzione

Proseguono con successo le ricerche archeologiche nella Regio IX, Insula 10 di Pompei, un’area particolarmente ricca di scoperte che da tempo alimenta l’interesse degli studiosi. Le indagini in corso, parte di un progetto più ampio volto a mettere in sicurezza i fronti di scavo, hanno recentemente portato alla luce un altro importante ritrovamento: un piccolo ambiente che custodisce i resti di due vittime dell’eruzione del Vesuvio del 79 d.C.

La nuova scoperta negli Scavi di Pompei

Questa nuova scoperta, oggetto di un primo inquadramento scientifico pubblicato sull’E-Journal degli Scavi di Pompei, ci riporta ai tragici istanti della catastrofe. All’interno del vano scoperto, un cubicolo adibito a stanza da letto temporanea, sono stati trovati i corpi di un uomo e di una donna. Quest’ultima, sul letto, portava con sé un piccolo tesoro composto da monete d’oro, d’argento e di bronzo, oltre a preziosi monili, tra cui orecchini in oro e perle, testimonianze della ricchezza e dello status sociale della vittima.

Il cubicolo, situato alle spalle del Sacrario blu, già documentato in precedenti scavi, e con accesso dal grande salone decorato in II stile, sembra fosse utilizzato come rifugio durante i lavori di ristrutturazione della casa. Le due vittime, sperando di sfuggire alla pioggia di lapilli che stava invadendo ogni spazio della domus, si rifugiarono in questa stanza, ignare del tragico destino che le attendeva.

L’ambiente, grazie alla porta chiusa, rimase sgombro dalle pomici, a differenza del salone adiacente, che si riempì rapidamente, bloccando la possibilità di fuga ai due sfortunati. Intrappolati nell’angusto spazio, furono infine travolti dai letali flussi piroclastici.

Le impronte nella cenere, perfettamente conservate, hanno permesso agli archeologi di ricostruire l’arredamento della stanza, rivelando la presenza di un letto, una cassa, un candelabro in bronzo e un tavolo con piano in marmo, ancora ornato con suppellettili in bronzo, vetro e ceramica. Questi reperti offrono uno spaccato straordinario della vita quotidiana a Pompei, permettendo di approfondire le conoscenze sulla società pompeiana e sulle tragiche storie individuali che si intrecciano con il dramma collettivo dell’eruzione.

I progetti del Parco Archeologico di Pompei

Il progetto di scavo in questione si inserisce in un più ampio approccio multidisciplinare adottato negli ultimi anni dal Parco Archeologico di Pompei. Questo metodo mira non solo alla conservazione del sito, ma anche al miglioramento dell’assetto idrogeologico e della sicurezza dei fronti di scavo. Sulla base dei dati raccolti, il Parco sta adattando continuamente le proprie strategie, concentrandosi sul restauro, la salvaguardia e l’accessibilità del patrimonio, e delimitando con precisione le nuove aree di scavo all’interno della città sepolta.

Contemporaneamente, il Ministero della Cultura e il governo hanno destinato importanti investimenti a nuovi scavi nel territorio circostante, tra cui Civita Giuliana, Villa dei Misteri e l’antica Oplonti nel Comune di Torre Annunziata. Questi interventi consentiranno di arricchire ulteriormente la nostra comprensione della vita nell’antica Pompei e nei suoi dintorni.

Secondo Gabriel Zuchtriegel, Direttore del Parco Archeologico di Pompei, l’analisi dei dati antropologici relativi alle vittime rinvenute fornirà informazioni preziose sulla vita quotidiana degli antichi pompeiani e sulle loro microstorie. “Pompei rimane un grande cantiere di ricerca e restauro”, – ha dichiarato Zuchtriegel, – “ma nei prossimi anni ci aspettiamo importanti sviluppi negli scavi archeologici e nella valorizzazione del territorio, anche grazie agli investimenti Cipess recentemente annunciati dal Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano”.

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Nuova scoperta a Selinunte: ritrovato un tempio antichissimo

Il sito archeologico di Selinunte, in Sicilia, non smette mai di stupire. Nuovi edifici legati all’area sacra, tra l’età arcaica e quella classica, e una struttura che sembrerebbe un piccolo tempio, alle spalle del Tempio C, pari a circa due terzi del Tempio R, sono alcune delle ultime scoperte legate alla campagna di scavi in corso nel Parco archeologico di Selinunte da parte della New York University e dell’Università Statale di Milano. Gli esperti hanno riferito che la scoperta è di estremo interesse e valore, che potrebbe ridisegnare il perimetro dell’area.

L’eccezionale ritrovamento

Da più di dieci anni, gli archeologi dell’Institute of Fine Arts–NYU e dell’ateneo milanese stanno effettuando scavi archeologici a Selinunte, studiando a fondo i santuari urbani all’interno del grande muro di peribolo sull’Acropoli e portando alla luce porzioni di abitati e interessanti manufatti.

In particolare, in questa ultima campagna di scavi, sono stati fatti grandi passi in avanti, tanto che, se le ipotesi dovessero risultare esatte, si potrebbe riscrivere il perimetro dell’intera area del sito archeologico. I risultati degli ultimi scavi sono stati presentati lo scorso 11 agosto dal direttore del Parco archeologico Felice Crescente e dall’archeologo Clemente Marconi, che coordina 60 collaboratori e studenti che hanno effettuato diversi lavori di indagine a Selinunte.

“Le attività di ricerca effettuate in questa zona”, ha commentato l’assessore ai Beni culturali e all’identità siciliana Francesco Paolo Scarpinato “riservano sempre nuove scoperte. In questo caso, si tratta di rinvenimenti di grande valore. In autunno, quando riprenderanno le attività, avremo dettagli più chiari sulla portata del ritrovamento”.

La missione di scavi ha individuato un accesso monumentale a Nord Ovest dell’Acropoli e anche un ambiente con un pozzo circolare contenente diversi oggetti, tra cui alcune monete e gioielli d’oro. Ma il ritrovamento più importante è stata una struttura che parrebbe condurre a un tempietto non ancora conosciuto, non grandissimo e senza colonne.

Il parco archeologico di Selinunte

Selinunte era un importante centro urbano della Magna Grecia in Italia, che sorgeva lungo la costa Sud-occidentale della Sicilia, nel territorio che oggi ricade sotto la provincia di Trapani. Non è solamente una preziosa testimonianza del passato di questa florida regione, ma anche un luogo dove la natura non ha mai ceduto il passo all’uomo: il sito, affacciato sulle acque cristalline del Mar Mediterraneo, è il più grande di tutta Europa e vanta ben 270 ettari di dolci colline punteggiate da templi e antichi resti di altri edifici.

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Fonte: Ansa

Gli scavi archeologici in corso a Selinunte

Al suo apice, la città ospitava 30.000 abitanti e copriva un’area di 670 acri. Il Tempio C, situato in questo quadrante, fu costruito in stile dorico intorno alla metà del VI secolo a.C. Scavi precedenti hanno portato alla luce centinaia di antichi sigilli, indicando che il tempio probabilmente fungeva da archivio ed era dedicato ad Apollo. Eretta su un altopiano calcareo a strapiombo sul mare, regala una vista mozzafiato sulla spiaggia di Selinunte e sulle acque cristalline che la lambiscono.