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Great Himalaya Trail: un trekking da sogno nel cuore del Nepal

Il Great Himalaya Trail, noto anche con l’acronimo di GHT, è uno dei percorsi escursionistici più spettacolari al mondo, poiché attraversa la maestosa catena montuosa dell’Himalaya, il sogno degli alpinisti e dei trekker di tutto il mondo.

Con un’estensione di oltre 4.500 chilometri, questo cammino attraversa Nepal, Bhutan, India, Tibet e Pakistan, offrendo esperienze uniche di trekking ad alta quota, immersi in paesaggi mozzafiato e a contatto con una cultura antica, accogliente e unica.

Dove si trova e perché sceglierlo

Il Great Himalaya Trail si estende attraverso le regioni più remote e selvagge dell’Himalaya, principalmente in Nepal, con percorsi che raggiungono vette imponenti e attraversano valli nascoste.

Perché sceglierlo? Perché il GHT offre la possibilità di vivere un’esperienza che unisce il trekking ad alta quota con la scoperta di culture ancestrali, come quella degli Sherpa, le antiche popolazioni locali – attenzione, sherpa è il popolo, non l’attività di guida montana, come erroneamente pensiamo in Occidente – e l’incontro con una flora e fauna uniche, con l’opportunità di avvistare il leopardo delle nevi, i pacifici yak e il panda rosso.

E poi, la bellezza dei paesaggi che spaziano dalla giungla subtropicale alle fredde altitudini alpine è semplicemente impareggiabile!

Le tappe del Great Himalaya Trail

Il Great Himalaya Trail attraversa una vasta gamma di paesaggi, villaggi remoti e offre vette mozzafiato. Le tappe possono variare in base alla scelta del percorso – High Route o Low Route – ma tutte offrono esperienze uniche di trekking attraverso l’Himalaya.

Le tappe più popolari si concentrano sulla sezione nepalese, ma il percorso si estende anche in Bhutan e in altri Paesi limitrofi. Qui trovi una selezione delle principali tappe:

Il GHT è suddiviso in diverse sezioni, ognuna con caratteristiche specifiche in termini di distanza, dislivello, paesaggi, difficoltà e durata. Ecco una sintesi delle principali sezioni:​

  1. Kanchenjunga a Makalu tramite il passo Lumba Sumba: circa 28 giorni di trekking. ​
  2. Dal Makalu all’Everest Region, attraverso tre colli: circa 26 giorni di trekking. ​
  3. Everest – Tre Passi: circa 18 giorni di trekking.
  4. Rolwaling a Everest tramite il passo Tashi Labsta: circa 20 giorni di trekking. ​
  5. Dal Manaslu all’Annapurna: circa 27 giorni di trekking. ​
  6. Dal Dolpo a Jomsom: circa 26 giorni di trekking. ​

Per quanto riguarda le distanze e i dislivelli specifici per tappa, queste possono variare significativamente a seconda dell’itinerario scelto e delle condizioni del sentiero, ma sono spesso di migliaia di metri.

Ovviamente, i percorsi vanno adattati alle condizioni del terreno, a seconda della stagione, e al livello di allenamento; si possono percorrere tratti con mezzi di trasporto come autobus o piccoli voli interni, come raccordo tra le sezioni.

In generale, il completamento dell’intero GHT richiede circa 150 giorni di cammino, attraversando passi che raggiungono altitudini fino a 6.146 metri. La difficoltà del cammino è molto elevata, con dislivelli significativi e condizioni climatiche variabili, oltre che con numerosi problemi che possono derivare dall’alta quota. Pertanto, è fondamentale una preparazione accurata e una buona condizione fisica per affrontare questo trekking impegnativo.

Si può dire che il Great Himalaya Trail è una summa di tanti altri itinerari possibili nella regione, ad esempio per un tratto in Nepal si sovrappone al celebre e tanto amato Everest Base Camp Trail, tra Lukla e il campo base dell’Everest, all’interno del Sagarmatha National Park.

La storia e i luoghi simbolo del cammino

L’idea del Great Himalaya Trail è nata negli anni ‘90, con il sogno di collegare i sentieri montani già esistenti in Nepal e nelle zone circostanti. Con il tempo, diversi esploratori e trekker pionieri hanno percorso tratti dell’Himalaya, contribuendo a realizzare questa ambiziosa visione. Nel 2008-2009, Robin Boustead è stato il primo a completare l’intero percorso, segnando una tappa fondamentale nella storia del neonato GHT.

Oltre alla natura lussureggiante, si possono osservare i simboli del buddhismo tibetano, come gli “stupa”, piccoli templi presenti in punti panoramici del cammino, con le loro classiche “bandiere di preghiera” colorate che volano nel vento, e i “muri mani”, muretti presenti in ogni villaggio, su cui sono incise come iscrizioni preghiere e mantra.

I luoghi simbolo lungo il GHT sono innumerevoli. Tra i più iconici troviamo:

  • Kanchenjunga, la terza montagna più alta del mondo;
  • Makalu Barun, famosa per la sua flora unica;
  • Regione dell’Everest (Khumbu), impareggiabile, con le sue vette maestose come l’Everest e l’Ama Dablam, tagliata a metà dallo scorrere del fiume Dud Khosi, con i suoi proverbiali “ponti tibetani”, sospesi su valli profondissime;
  • Rolwaling Himal, ricca di fauna selvatica;
  • Ruby Valley e Ganesh Himal, tra paesaggi incontaminati e accoglienza locale.
Passo Larkya, Manaslu

Fonte: 123RF

Passo Larkya nel circuito di Manaslu

High Route e Low Route

La High Route e la Low Route della Great Himalaya Trail rappresentano due esperienze completamente diverse, pur seguendo entrambe l’asse della catena himalayana nepalese. La High Route è un percorso estremo, pensato per escursionisti esperti, che attraversa alcuni dei passi più alti del Nepal, spesso oltre i 5.000 metri di quota. Questa variante è immersa in ambienti selvaggi e remoti, dove l’autosufficienza, la capacità di orientamento e una buona preparazione all’alta quota sono essenziali. In compenso, regala panorami spettacolari e un’autenticità difficile da trovare altrove.

La Low Route, invece, si sviluppa a quote più basse, attraversando villaggi, colline coltivate e foreste subtropicali. È più accessibile in termini tecnici, ma altrettanto impegnativa dal punto di vista fisico per la sua lunghezza e la varietà di condizioni climatiche. È ideale per chi cerca un contatto più diretto con le comunità locali e non vuole affrontare i rischi dell’alta montagna.

Quando andare: stagioni e clima lungo il GHT

Scegliere il periodo giusto per affrontare la Great Himalaya Trail è fondamentale, soprattutto se si percorre la High Route, dove le condizioni meteorologiche possono rendere alcuni passi completamente impraticabili. Le stagioni ideali sono la primavera (marzo-maggio) e l’autunno (settembre-novembre). In primavera, le giornate si allungano, le temperature sono miti e i rododendri colorano i sentieri; tuttavia, la neve può ancora ostacolare i tratti più alti. L’autunno, invece, offre cieli limpidi e visibilità straordinaria, soprattutto dopo il monsone, ma le notti iniziano a farsi più fredde, specie sopra i 4.000 metri.

Durante il monsone (giugno-agosto) i sentieri della Low Route diventano scivolosi e soggetti a frane, mentre l’inverno (dicembre-febbraio) è adatto solo a brevi tratti a bassa quota, poiché neve e gelo bloccano gran parte della High Route. Chi sogna di completare l’intero percorso dovrà quindi pianificare attentamente, scegliendo di partire in primavera da est (Kanchenjunga) e cercando di arrivare a ovest (Humla) entro la fine dell’autunno.

Preparazione fisica per il Great Himalaya Trail

Affrontare la Great Himalaya Trail richiede una preparazione fisica accurata e costante nei mesi precedenti alla partenza. Questo trekking non è solo lungo: è fisicamente massacrante, spesso in quota, su terreni impervi e senza punti di appoggio nei tratti più isolati. È fondamentale abituarsi a camminare con uno zaino pesante (12-15 kg), su pendenze variabili e per molte ore consecutive. L’allenamento ideale combina escursioni settimanali in montagna, esercizi per rafforzare gambe, schiena e core, e sessioni cardio per migliorare resistenza e capacità polmonare.

Chi sceglie la High Route dovrà anche considerare una fase di acclimatazione progressiva, con trekking ad alta quota nei mesi precedenti, per ridurre il rischio di mal di montagna. La preparazione mentale è altrettanto cruciale: il GHT mette a dura prova non solo il corpo, ma anche la determinazione e la capacità di affrontare giorni di fatica, solitudine e condizioni meteo spesso imprevedibili.

Il Regolamento del Great Himalaya Trail

Dal 2018, il governo nepalese ha introdotto la normativa che richiede a tutti i trekker stranieri di registrarsi con un lasciapassare ad hoc, da richiedere nelle varie tappe del percorso – ad esempio, per il tratto nel Sagarmatha National Park, il lasciapassare si richiede all’ingresso del parco, nel minuscolo villaggio di Manju – ed essere accompagnati da una guida certificata per percorrere il GHT. Questa misura mira a garantire la sicurezza dei trekker e a promuovere un impatto positivo sulle comunità locali.

Inoltre, l’accesso ai sentieri potrebbe essere limitato in alcune aree remote per motivi di conservazione e di sicurezza, oltre ad essere proibiti durante la stagione dei monsoni.

Logistica e organizzazione

Organizzare un trekking lungo la Great Himalaya Trail significa prendere decisioni cruciali sul livello di autonomia, il tipo di supporto desiderato e la disponibilità di risorse lungo il cammino. Chi opta per la Low Route potrà contare su un discreto numero di teahouse (rifugi locali) nei villaggi principali, ideali per dormire e mangiare senza portare tenda e fornello. Tuttavia, anche in questo caso è importante prevedere alcuni giorni in autonomia, soprattutto nei tratti meno frequentati. Per chi sceglie la High Route, invece, l’autonomia è spesso obbligata: è necessario portare con sé tenda, sacco a pelo termico, fornello e scorte alimentari per diversi giorni.

Un’alternativa intermedia è affidarsi a guide locali e portatori, molto esperti e preziosi sia per la logistica che per l’interazione con le comunità. Alcune aree (come Manaslu, Dolpo e Kanchenjunga) richiedono obbligatoriamente la presenza di una guida autorizzata. È bene ricordare che non tutti i tratti del GHT sono segnalati, quindi una mappa topografica dettagliata e un buon sistema GPS (offline) sono strumenti imprescindibili per chi viaggia in indipendenza.

Sicurezza e salute lungo il GHT

Il Great Himalaya Trail attraversa ambienti estremi, e garantire la propria sicurezza significa essere preparati, autonomi e previdenti. Il rischio più comune lungo la High Route è il mal di montagna (AMS), che può manifestarsi già dai 3.000 metri. Per evitarlo, è essenziale salire gradualmente, prevedere giornate di acclimatazione, idratarsi molto e conoscere i sintomi più pericolosi (mal di testa, nausea, confusione mentale).

In aree isolate, l’unico mezzo rapido di soccorso è l’elicottero, quindi è indispensabile avere un’assicurazione che copra il soccorso alpino e l’evacuazione in alta quota. Dal punto di vista sanitario, è importante proteggersi da infezioni intestinali: mai bere acqua non trattata, usare pastiglie purificanti o filtri, e mantenere buone abitudini igieniche, anche nei villaggi. Infine, ogni escursionista dovrebbe avere con sé una farmacia da campo completa, comprendente antibiotici, antidolorifici, cerotti, disinfettanti, crema solare ad alta protezione e un dispositivo di geolocalizzazione satellitare (tipo Garmin InReach) per comunicare in caso di emergenza anche dove non c’è rete.

Annapurna, Himalaya

Fonte: 123RF

Circuito di trekking ad Annapurna, sull’Himalaya

Dove dormire sul Great Himalaya Trail

Lungo il GHT, ci sono diverse opzioni di alloggio, che vanno dalle tea house tradizionali alle sistemazioni in campeggio. Le tea house, dette anche lodge, sono gestite localmente dalla popolazione dei villaggi e offrono una sistemazione spartana ma accogliente, con letti di legno, servizi igienici e pasti caldi. Se scegli l’avventura, il campeggio può essere una buona alternativa, ma richiede attrezzatura adeguata e tanto spirito di adattamento.

Dove mangiare sul Great Himalaya Trail

La cucina locale lungo il GHT è semplice ma gustosa. Potrai gustare piatti tipici come il dal bhat (riso con lenticchie speziate), i momo (ravioli al vapore, simili ai gyoka), e il thukpa (zuppa di noodle). Ma si possono trovare anche cibi più “comuni”, come uova, verdure, patate – coltivate in quota, ad esempio nella zona di Portse – pancake e bibite confezionate.

È importante essere consapevoli dell’igiene alimentare, diversa dalla nostra, soprattutto nei villaggi più remoti: disinfetta sempre le mani prima di mangiare, se puoi usare le tue posate da campeggio, non bere mai l’acqua corrente ma solo da bottiglie chiuse, e porta con te integratori e fermenti lattici per supportare l’organismo nell’adattarsi alla situazione.

E non sprecare nulla: considera che ogni alimento o oggetto utile che arriva a queste altitudini è stato trasportato a mano – o sulla schiena – da un portatore, con tanta fatica e abnegazione.

Perché scegliere il Great Himalaya Trail

Il Great Himalaya Trail è una delle esperienze più affascinanti e immersive per chi cerca un’avventura fuori dal comune, dove sperimentare i propri limiti.

Non solo ti porterà vicino ad alcune delle vette più alte del mondo, ma ti farà anche entrare in contatto con culture affascinanti e con un modo di vivere del tutto diverso dal nostro. Se desideri unire sfida fisica, esplorazione e spiritualità, il GHT è la scelta perfetta!

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Asia Bhutan Notizie Viaggi

Il Buthan è pronto a costruire la futura città della consapevolezza

Il Bhutan, il piccolo regno dell’Himalaya celebre per aver introdotto il concetto di Felicità Nazionale Lorda (Gross National Happiness, GNH), è pronto a compiere un nuovo passo verso lo sviluppo sostenibile. Lunedì 18 novembre 2024, il governo lancerà un’emissione di obbligazioni da 100 milioni di dollari per finanziare la costruzione della Gelephu Mindfulness City (GMC), una “città della consapevolezza” progettata per promuovere valori buddisti e principi di sostenibilità.

Un polo di connessione economica e spirituale

La GMC sorgerà in una regione amministrativa speciale al confine con l’India, dotata di leggi autonome per favorire un corridoio economico tra l’Asia meridionale e il Sud-est asiatico. La città, che si estenderà su un’area di oltre 2.500 km² (circa un sesto della superficie totale del Bhutan) offrirà spazio a settori strategici come finanza, turismo, energia verde, tecnologia, sanità e istruzione.

Tra le sue peculiarità, la GMC prevede spazi verdi per la meditazione, infrastrutture per il cammino e la bicicletta, centri di benessere ed ecoturismo. Un esempio ambizioso di urbanizzazione che intende integrare la spiritualità buddista con i principi della tutela dell’ambiente.

Il progetto sarà inizialmente finanziato dal Nation Building Bond, un’obbligazione decennale aperta ai bhutanesi residenti all’estero fino al 17 dicembre 2024. I fondi saranno utilizzati per costruire le prime infrastrutture, garantire energia verde e migliorare la connettività. Secondo Lotay Tshering, governatore della GMC ed ex primo ministro, l’iniziativa potrebbe trasformare il panorama economico del Bhutan, promuovendo un futuro prospero e resiliente.

L’immagine di un Bhutan resiliente

Con meno di 800.000 abitanti e incastonato tra i giganti India e Cina, il Bhutan fatica a diversificare la propria economia da 3 miliardi di dollari, ancora fortemente dipendente da aiuti esterni, turismo e idroelettrico. La pandemia di Covid-19 ha accentuato tali difficoltà, aggravando il problema della disoccupazione, che nel 2022 ha raggiunto il 30% tra i giovani. Uno scenario che ha alimentato un esodo di lavoratori, molti dei quali hanno trovato opportunità in Australia.

La GMC mira a invertire questa tendenza attirando investimenti, sviluppando competenze locali e creando posti di lavoro. Una volta completata, la città potrebbe ospitare oltre un milione di persone e diventare un modello di urbanizzazione sostenibile.

La costruzione della Gelephu Mindfulness City si articolerà in diverse fasi e richiederà circa 21 anni per essere portata a termine. Tra le infrastrutture previste vi sono strade, ponti, un aeroporto, scuole, ospedali e abitazioni, tutte progettate con un’attenzione particolare alla sostenibilità. Nei primi 7-10 anni, le autorità prevedono che la città accoglierà circa 150.000 residenti.

Una visione ispirata dal buddismo

La visione della GMC nasce da un’idea del re Jigme Khesar Namgyal Wangchuck e si fonda sui principi del GNH. “La consapevolezza è al centro della nostra città basata sui valori e si allinea con l’etica e l’identità della nostra nazione“, ha dichiarato Rabsel Dorji, un alto funzionario del progetto. Secondo il sito web ufficiale della città, l’iniziativa combina tradizione buddista, architettura eco-compatibile e una visione moderna di benessere e felicità collettiva.

Sfide e prospettive future

Nonostante le ambizioni, il progetto non è privo di sfide. La connettività internazionale rappresenta un ostacolo notevole per un Paese senza sbocchi sul mare come il Bhutan. L’esperto nepalese Surya Raj Acharya sottolinea che il successo della GMC dipenderà anche dalla capacità dell’India, il principale partner commerciale del Bhutan, di migliorare le proprie infrastrutture logistiche. “Dovrebbe essere attraente anche per gli investitori internazionali, ma questi aspetti non sono sotto il controllo diretto del Bhutan“, ha osservato Acharya.

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Perché un viaggio in questo Paese può renderti davvero felice

Se dovessimo misurare la felicità con i parametri utilizzati dalla cultura occidentale, probabilmente, non prenderemmo mai in considerazione l’idea di lasciarci ispirare in termini di stile di vita da quel piccolo stato montuoso dell’Asia che Lonely Planet ha scelto come uno dei posti migliori da visitare nel mondo nel 2020.

Sì perché il Bhutan, nella classifica mondiale del Prodotto interno lordo, risulta uno dei paesi più poveri del nostro globo. Eppure – nonostante questo – è anche il più felice. Non sono i soldi, qui, a scandire la quotidianità delle persone, ma è un altro parametro ancora più importante. Si tratta della FIL, Felicità Interna Lorda, l’indice che viene misurato tenendo in considerazione la salute, il benessere e le relazioni sociali della comunità e che si traduce in una vita semplice, fatta di cose genuine, proprio quelle dietro le quali è nascosta la felicità.

Gli uomini e le donne più felici del mondo sono qui

Il Bhutan è il Paese più felice al mondo. È quello fatto di ritmi lenti, di poco stress e di rispetto e condivisione. Quello in cui, girando per le strade, si vedono le auto ma non si sentono i rumori assordanti dei clacson. Dove le mucche camminano al fianco della carreggiata insieme ai cani e altri animali che vivono in libertà.

Gangtey Valley, Bhutan

Gangtey Valley, Bhutan

Sono le famiglie a prendersi cura di loro, lasciando il cibo per le strade affinché loro si nutrano. E non c’è caos né disordine in questo microcosmo dove natura, uomini e felicità si incontrano e si fondono annullando tutti i confini.

Si riuniscono tra le strade e si incontrano durante le feste nazionali o in occasione delle partite di calcio anche se sono ultimi nelle classifiche mondiali. A loro non interessa vincere, quanto più assaporare il valore più autentico delle competizioni e del gioco di squadra.

E in quei templi suggestivi incastonati tra le vette delle montagne, i villaggi rurali e i mercati locali appaiono i falli. Sono situati sulle pareti dei muri e dei negozi, nei dipinti murali. Ma non la loro presenza non ha nulla a che fare con la pornografia o con i richiami sessuali, si tratta di un simbolo sacro che serve a scacciare gli spiriti maligni, un simbolo nazionale contro il male.

Ed è proprio in tutte queste meraviglie, così diverse e distanti dalla nostra cultura, che il Bhutan si è conquistato il nome di Paese più felice nel mondo. Tutto è successo quando, più di due ventenni fa, il Re Jigme Dorji Wangchuck decise di abbandonare i parametri del PIL e adottare quelli del FIL. La felicità dei cittadini doveva essere messa al primo posto e così è stato fatto.

Lo stesso modo in cui viene trattato il turismo internazionale – con tanto di tariffa turistica giornaliera – fa parte di questo stile di vita, di questa personale filosofia della città. Un viaggio in questo Paese equivale a un’esperienza di alto valore in grado di segnare per sempre la vita dei viaggiatori, ma al contempo di garantire un basso impatto sulla quotidianità del Paese e della vita dei suoi abitanti.

Taktshang Monastery

Taktshang Monastery

Cosa aspettarti dal Paese della felicità

Un viaggio in Bhutan significa così tante cose che poterle descrivere tutte è quasi in possibile. L’intero territorio è impregnato dal Buddismo, pensate che questo è l’unico Paese al mondo ad aver mantenuto il Buddismo mahāyāna come religione ufficiale. Una scelta, questa, evidente in ogni aspetto della loro vita, nel rispetto nei confronti di tutte le creature viventi.

Un viaggio in Bhutan non è solo un’esperienza, ma un vero e proprio privilegio che ci allontana da tutte le convinzioni che riguardano la cultura occidentale. Ci permette di toccare con mano un mondo antico preservato da una cultura estremamente all’avanguardia, di osservare i suggestivi panorami del territorio e di entrare nel vivo delle tradizioni buddiste. Di imparare a vivere secondo altri ritmi, quelli che seguono le regole della felicità.

Punakha Dzong

Punakha Dzong