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Ritrovata e aperta una tomba etrusca inviolata da secoli

Non finisce mai di sorprendere l’area archeologica di Vulci, l’antica città etrusca nella Maremma laziale in provincia di Viterbo, tra Canino e Montalto di Castro, una delle città più significative dell’Etruria, contraddistinta da un importante sviluppo commerciale e marittimo.

In particolare, a riservare tesori inediti è la necropoli dell’Osteria, a nord rispetto a Vulci, dove è stata ritrovata una nuova tomba intatta, la cosiddetta Tomba 58, a doppia camera, che si distingue per ricchezze e per tipologia architettonica.

La cerimonia di apertura alla presenza delle istituzioni

vulci scavi

Fonte: Ph Carlo Casi

Apertura Tomba 58 Parco di Vulci – Ph Carlo Casi

La tomba, ancora sigillata, è stata aperta venerdì 27 ottobre con la partecipazione delle istituzioni, per una giornata ricca di storia e di cultura: Presenti, per la Sabap VT-EM, la dott.ssa Simona Carosi e la dott.ssa Rossella Zaccagnini; per Fondazione Vulci il Presidente Gianni Bonazzi e il direttore scientifico del Parco, dott. Carlo Casi. Inoltre, l’ Assessore alla Cultura, Pari Opportunità, Politiche Giovanili e della Famiglia, Servizio Civile della Regione Lazio Simona Baldassarre; il sindaco di Montalto di Castro, Emanuela Socciarelli; l’assessore Simona Atti e il sindaco di Canino Giuseppe Cesetti.

Questo l’annuncio del Comune di Montalto di Castro dal Parco Archeologico di Vulci: “Oggi insieme all’Assessore alla Cultura, Pari Opportunità, Politiche Giovanili e della Famiglia, Servizio Civile della Regione Lazio Simona Baldassarre, abbiamo assistito all’apertura di una antica tomba etrusca inviolata presso la Necropoli dell’Osteria a Vulci”.

Il tesoro della Tomba 58

vulci tomba

Fonte: Ph Carlo Casi

Tesoro Tomba 58 Parco di Vulci – Ph Carlo Casi

Databile alla fine del VII secolo avanti Cristo, quando la città di Vulci aveva raggiunto il suo massimo splendore, la Tomba 58 è costituita da una camera in parte saccheggiata (la B) e un’altra miracolosamente intatta (la A).

Ed è proprio la camera A ad aver restituito un prezioso tesoro composto da anfore da trasporto etrusche, olle e pithoi in impasto, vasi in bucchero e in ceramica etrusco-corinzia, oltre a manufatti in bronzo, come un calderone. È stata inoltre notata la presenza di chiodi in ferro sulle pareti, anticamente utilizzati per appendere festoni o piccoli oggetti.

La camera B, invece, saccheggiata in antico, custodiva due anfore da trasporto della Grecia dell’est, ceramiche ioniche, corinze ed etrusco-corinzie, oltre a buccheri e impasti locali oltre a un tripod-bowl e oggetti in ferro.

Particolare poi l’architettura, caratterizzata da un setto risparmiato nella roccia che crea un arco di passaggio tra il dromos, ossia il corridoio breve con degli scalini, e il vestibolo, da cui si accedeva alle due camere, quella frontale e quella di sinistra: manca quella, consueta, di destra, evidentemente perché lo spazio era già stato occupato da altre tombe.

Si tratta di un’ulteriore scoperta venuta alla luce in una delle aree più importanti del Parco di Vulci.
Dopo una prima fase di indagini che aveva portato alla luce la tomba delle Mani d’argento nel 2012, e durata fino al 2015, gli scavi nella zona all’Osteria, sempre svolti con la direzione scientifica della Soprintendenza e di Fondazione Vulci, sono stati ampliati a partire dal 2018 e hanno portato alla luce altre tombe monumentali, tra cui la tomba 31 o del Pittore delle Rondini e, più di recente, una serie di sepolcri allineati lungo una strada, resa anch’essa monumentale da un alto muro.

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Apre un nuovo sito che racconta la storia dell’antica Roma (e non solo)

L’11 novembre (e da lì nei giorni seguenti) nel nostro Paese succederà qualcosa di straordinario: rispalancherà le porte al pubblico, dopo un’attenta e meticolosa operazione di rinnovamento, un gioiello archeologico pregno di antichi riti fondativi, tumuli funerari, dolmen e stele di pietra dal profilo umano, in cui fare un’immersione fisica nel passato, un’esperienza eccezionale per comprendere meglio le origini e la complessità della storia umana.

Riapre l’Area megalitica di Aosta del passato

Scoperta solo nel 1969, l’Area megalitica di Aosta alza di nuovo il sipario sul passato. Si tratta di uno dei siti più interessanti e ricchi d’Europa e, dopo essere stata chiusa per via di una profonda operazione di rinnovamento e riallestimento, torna da essere visitabile a partire dall’11 novembre.

Un posto davvero straordinario perché in un’area di circa un ettaro sono riassunti sei millenni di storia umana, da scoprire grazie a una struttura realizzata a protezione degli scavi dai quali, piuttosto recentemente, sono emerse anche orme umane.

Come funziona la visita

Il nuovo allestimento si presenta a partire dall’ingresso, che è stato spostato all’angolo tra corso Saint-Martin-de-Corléans e via Italo Mus. Lasciandoci alle spalle i ritmi frenetici della città, varchiamo la sua soglia per entrare in uno spazio protetto da una grande vetrata, impreziosita da una luce soffusa.

Un corridoio, la Rampa del Tempo, grazie a cui fare un viaggio nei secoli insieme al supporto di elementi tridimensionali. Si entra quindi nell’area coperta, una grande “navata” che custodisce strutture preistoriche, datate dalla fine del Neolitico all’età del Bronzo Antico.

C’è poi un preziosissimo piano seminterrato in cui ammirare i risultati di uno scavo iniziato più di cinquant’anni fa, e che oggi ci permette di scoprire testimonianze intatte di un passato ancora avvolto nel mistero. A fianco si apre una “Sala immersiva”, sulle cui pareti sono proiettate delle immagini che illustrano la successione delle fasi archeologiche. Allo stesso livello si trova anche la “Sala civica”, attrezzata per ospitare conferenze e incontri.

La fase più antica risale al quinto millennio avanti Cristo, ed è quella dell’aratura cultuale, carica di simbolismi. L’itinerario prosegue soffermandosi su pali di legno e lastre litiche, fino ad arrivare nella “Grande Sala delle stele”, con tantissime sculture antropomorfe in pietra che riproducono uomini e donne con abbigliamento, ornamenti, armi.

Arriviamo poi alla fase della transizione tra età del Rame ed età del Bronzo, all’inizio del II millennio a.C, sfociando in una sala dedicata alla Protostoria. Il simbolo di questa trasformazione è un grande tumulo funerario che per la prima volta si può ammirare con il suo piano di calpestio originale.

Continuiamo a salire di livello per catapultarci nell’epoca romana. Qui una prima sezione riguarda l’insediamento rustico ed è pregna di oggetti legati alla vita quotidiana risalenti ai tempi di Augusta Praetoria, l’antica Aosta. Una seconda sezione permette di visitare le necropoli scavate lungo la strada, sotto la chiesa parrocchiale e l’asilo: ci sono quasi 20 tombe che al loro interno contenevano ricchissimi corredi.

Conclude il percorso la sezione medievale: in quest’epoca l’area di Saint-Martin-de-Corléans presentava varie strutture che gravitavano intorno alla piccola chiesa locale, citata in una bolla papale del 1176.

In occasione di questa grandissima e attesissima riapertura, nelle giornate di sabato 11 e domenica 12 novembre, verranno proposte visite guidate gratuite a cura degli archeologi della Soprintendenza dalle ore 10.00 alle 18.00. In seguito, da lunedì 13 a domenica 19 novembre, saranno a disposizione visite accompagnate gratuite con orario continuato 10.00 -18.00.

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Al mare in Giordania: dove andare e cosa fare

Ricchissima di storia e meta prediletta degli amanti della storia e dell’archeologia, la Giordania è anche la località ideale per prolungare l’estate e per godersi il sole sulle spiagge e i tuffi in acque limpide e tiepide.

Sì perché grazie al clima mite e alle temperature favorevoli, ai suoi favolosi litorali e ai panorami mozzafiato, è una nazione “regina delle vacanze balneari” con mirabili fiori all’occhiello che si suddividono tra il territorio unico al mondo del Mar Morto e la sabbia dorata del Mar Rosso.

Pronti a lasciarvi sorprendere?

L’incanto del Mar Morto

Parlando di Giordania come destinazione balneare non si può non mettere al primo posto il “mare che non ti aspetti”, il Mar Morto, che non esiste da nessun altra parte se non qui.

In realtà, si tratta di un lago salato le cui rive si trovano a circa 400 metri al di sotto del livello del mare, il punto più basso della terraferma.

Le sue acque straordinariamente salate consentono di galleggiare con facilità e i fanghi ricchi di minerali sono rinomati a livello internazionale per le proprietà cosmetiche e terapeutiche.
Trascorrere del tempo di qualità presso una delle SPA che sorgono sulle sue spiagge è un modo indimenticabile di prendersi cura di sé stessi.

Ma dove fare il bagno nel Mar Morto?

Sono presenti una decina di resort con spiagge attrezzate e non mancano alcune spiagge libere per fare il bagno in tutta libertà senza spendere.

Da ricordare, nell’omonima città di Amman, Amman Beach Dead Sea, dove è possibile accedere in giornata alla spiaggia attrezzata con bar, spogliatoi e piscina.
Poco più a sud, altrettanto interessante è O-Beach.

Tra le spiagge libere (ben segnalate) da vedere vi sono, senza dubbio, i punti indicati come “Dead Sea Free Swimming” dove i candidi blocchi di sale cristallizzato disegnano un paesaggio incredibile, e “Salt Beach – Spiaggia Salina” dove fanno bella mostra di sé enormi granelli.

Invidiabile Mar Rosso

A differenza del Mar Morto, il Mar Rosso è un mare a tutti gli effetti, comunicante con il Mediterraneo e con l’Oceano Indiano.

Regala alcune delle spiagge più favolose della Giordania ed è una “destinazione vacanziera” per eccellenza: infatti, come si può non citare il golfo di Aqaba, una delle zone migliori del Paese, autentico paradiso per lo snorkeling e le immersioni?
Si tratta di uno dei siti più importanti del mondo per i sub, che pullula di coralli, di una biodiversità marina di notevole importanza e i cui fondali ospitano anche svariati relitti.

Tra le spiagge da non perdere assolutamente spicca South Beach, incastonata nella caratteristica città costiera di Aqaba, dove la sabbia dorata si alterna a piccole e graziose conchiglie nel bacio di un’acqua cristallina.
Adatta sia a famiglie che a gruppi di amici, è dotata di tutti i servizi.

Sempre ad Aqaba, ecco Berenice Beach, seconda soltanto a South Beach, un vero e proprio “complesso balneare” grazie ai numerosi hotel e alle infrastrutture dedicate ai turisti.

E come non nominare anche City Beach e Aqaba Beach? Infatti, Aqaba è il principale porto turistico della Giordania e da qui partono tour organizzati e sessioni di snorkeling per ammirare tutta la meraviglia che gli incredibili fondali del Mar Rosso hanno da offrire.

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Dall’altra parte del mondo esiste una “Stonehenge” davvero particolare

Esistono dei luoghi che da sempre, per un motivo o per un altro, capeggiano le nostre travel wish list. Si tratta di destinazioni dalla fama mondiale che ospitano attrazioni iconiche, capolavori creati da Madre Natura o monumenti artistici e architettonici che portano la firma dell’uomo e che, col tempo, sono diventati patrimonio dell’intera umanità.

Tra questi non possiamo non menzionare Stonehenge, il sito neolitico di Amesbury, nello Wiltshire, che da secoli affascina, incanta e attira viaggiatori provenienti da ogni parte del mondo. Caratterizzato da maestose e colossali pietre erette e disposte in circolo, questo luogo iscritto alla lista del Patrimonio Mondiale dell’Umanità dell’Unesco dal 1986 attira ogni anno migliaia di visitatori desiderosi di toccare con mano le storie, le leggende e la magia che da sempre permeano questo territorio.

Questo è uno di quei luoghi che dovremmo visitare almeno una volta nella vita, è i motivi li conosciamo tutti. Quello che non tutti sanno, però, è che da qualche parte del mondo esiste un’altra Stonehenge, meno leggendaria e poco conosciuta, ma più moderna e sicuramente bizzarra. Il suo nome è Carhenge e, vi anticipiamo, che si tratta di un’attrazione davvero unica al mondo.

Viaggio in Nebraska: alla scoperta dell’altra “Stonehenge”

Se volete arricchire il vostro bagaglio esperienziale con la visione di luoghi poco conosciuti e decisamente al di fuori dell’ordinario, allora, il vostro prossimo viaggio potrebbe condurvi in Nebraska. Proprio qui, tra i vasti territori della regione delle Alte Pianure degli Stati Uniti, un uomo ha deciso di replicare in maniera originale uno dei più grandi e misteriosi capolavori che appartengono al mondo che abitiamo. Si tratta di Carhenge.

Per scoprire quella che è una copia bizzarra della più popolare Stonehenge dobbiamo recarci nei pressi di Alliance, capoluogo della contea di Box Butte. Qui, non lontano dal centro abitato, è possibile scorgere un particolare monumento circolare che ricorda in tutto e per tutto il leggendario sito inglese.

Avvicinandosi a Carhenge, però, è possibile notare la grande peculiarità che contraddistingue questa opera che non è composta da colossali pietre, ma da automobili americane d’epoca verniciate.

Benvenuti a Carhenge: la Stonehenge creata con le auto

Sono 38, in tutto, le automobili che compongono questa bizzarra e inaspettata replica di Stonehenge. I veicoli sono disposti in maniera circolare e posizionati in verticale, alcuni di questi, poi, sono stati posizionati e saldati sopra gli altri per ricreare degli archi.

Un monumento contemporaneo, e uguale a nessuno, che negli anni ha riscosso entusiasmo e curiosità sia da parte della comunità locale che dei viaggiatori. Carhenge è stata inaugurata nel giugno del 1987, proprio in occasione del solstizio d’estate, ed è nata da un’idea dell’artista Jim Reinders che ha voluto omaggiare il sito inglese in maniera tutt’altro che ordinaria.

La grande popolarità della replica di Stonehenge in Nebraska ha visto poi la nascita di un centro visitatori inaugurato nel 2006. Nei pressi del sito di Carhenge – che negli anni è stata utilizzato anche come set di programmi televisivi e spot pubblicitari – sono state inoltre installate altre opere contemporanee create sempre con vecchi modelli di automobili.

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Cnosso, il più importante sito archeologico di Creta

L’isola di Creta, la più grande e la più popolosa della Grecia, oltre a essere un vero e proprio gioiello del Mediterraneo è anche un fazzoletto di terra dalla storia molto antica. Tantissime sono le testimonianze del suo passato che possono essere ammirate ancora oggi, ma c’è un sito che riveste un’importanza fondamentale, un luogo leggendario e in qualche modo profondamente legato ai miti antichi. Parliamo di Cnosso, il sito archeologico più famoso di Creta e anche uno dei più prestigiosi di tutto il nostro pianeta.

La sua contestata scoperta

Cnosso è un sito archeologico che risale all’età del bronzo, e quindi un importante centro della civiltà minoica (la civiltà cretese dell’età del bronzo). Della sua esistenza lo si sapeva già da tempo, ma solo nel 1878 Minos Kalokairinos, un antiquario e commerciante, fece una prima importante scoperta: riportò alla luce due magazzini del palazzo di Cnosso.

All’epoca, tuttavia, i padroni del terreno lo costrinsero a fermare le ricerche: Creta era sotto il dominio dell’Impero Ottomano che richiedeva ingenti somme di denaro per lavori come questi. Bisogna quindi arrivare al 1900, anno in cui Sir Arthur Evans, archeologo e direttore dell’Ashmolean Museum di Oxford, decise di intraprendere con l’aiuto del suo assistente, l’archeologo inglese Duncan Mackenzie, alcuni scavi sistematici lungo questo territorio.

Fu così che, più o meno verso la fine del 1903, quasi tutto il palazzo venne riportato alla luce. Evans continuò poi con i suoi scavi fino al 1931, facendo emergere dalle viscere della terra monumenti e affreschi che ancora oggi incantano i visitatori per via delle loro ottimali condizioni e dei vividi colori.

Cnosso, isola di Creta

Fonte: iStock

Un angolo di Cnosso, Creta

Tuttavia, lo scopritore di questo immenso tesoro non fu esente da critiche: scelse di ricostruire alcune parti del palazzo con l’ausilio di abbondante cemento armato, e quindi con l’uso di materiali estranei all’architettura minoica.

Seppur contestato – probabilmente a ragione – è impossibile non ammettere che si deve comunque a lui – e in grandissima parte – la scoperta del mondo minoico poiché, fino a quel momento, era ritenuta solamente pura mitologia greca. Al giorno d’oggi gli scavi di questo prezioso angolo della Grecia continuano, ma per mano della Scuola Britannica di Atene.

La storia del palazzo

La spettacolare isola di Creta presenta diversi palazzi che sono stati edificati per ospitare i suoi quattro re. E, come tutti gli edifici che svettano nel territorio, anche il palazzo di Cnosso fungeva da centro politico, religioso ed economico dell’impero marittimo minoico, oltre a possedere un carattere sacro.

Sito archeologico Cnosso

Fonte: iStock

Cnosso vista dall’alto

Secondo le ricostruzioni, occupava una superficie di 22.000 metri quadrati, aveva più piani e una pianta molto complessa e intricata. Una struttura mastodontica: pare che potesse ospitare fino a 12.000 persone nelle sue 1.300 stanze, sale per il culto e per i ricevimenti, alloggi del re, della regina e dei funzionari dell’amministrazione.

Si sostiene, inoltre, che fu raso al suolo da un drammatico terremoto che avvenne intorno al 1628 a.C., e per questo all’inizio del XVI secolo a.C fu eretto un “secondo palazzo”. Questa seconda struttura era ancor più complessa della prima, tanto da essere considerata il famigerato labirinto del mito del Minotauro e del filo di Arianna.

Cosa c’è nel Palazzo di Cnosso?

Dalle premesse fatte, è abbastanza palese che parliamo di un sito archeologico di eccezionale importanza e bellezza. Le cose da vedere nel Palazzo di Cnosso sono davvero numerose, ma di certo non si possono non menzionare i due pozzi di forma circolare in cui venivano gettati oggetti sacri e da dove partivano due corridoi: il primo conduceva al Propileo Occidentale, luogo in cui il re riceveva i visitatori, mentre l’altro è noto come Corridoio della Processione per via degli affreschi che raffigurano processioni di sacerdoti, uomini e donne.

Più che straordinaria è la Sala del Trono in cui il tempo sembra non essere passato mai: è ancora splendidamente affrescata. Poi c’è il Megaron della Regina, dove sono stati rinvenuti gli affreschi più belli di tutta la Grecia arcaica, che conduce alla Sala da Bagno della Regina che anche ai giorni nostri presenta vasca e gabinetto.

È inoltre interessante sapere che, secondo studi approfonditi, sarebbero i bagni più avanzati di tutta l’antichità poiché erano presenti canalizzazioni sotterranee, fogne, canali di scarico ed acqua calda sempre disponibile. Per l’epoca, quindi, una sorta di miracolo.

Molto interessante è anche l’Area dei Magazzini che a dirla tutta è stata anche la prima sezione del parco ad essere stata scoperta. Si tratta di una zona di enorme importanza perché aiuta a comprendere più a fondo lo stile di vita della civiltà minoica.

Infine, ma ci teniamo a specificare che in queste poche righe abbiamo menzionato solo alcune delle cose che è possibile visitare presso Cnosso, l’Area Teatrale che all’epoca poteva ospitare fino a 500 persone.

Sala del Trono, Cnosso

Fonte: iStock

La splendida Sala del Trono

I meravigliosi affreschi

Arrivare a Cnosso vuol dire immergersi in un microcosmo di straordinari affreschi: i cretesi dipingevano sulle pareti del palazzo opere pregiate seguendo la visione di profilo dell’arte egizia. Molte di queste opere sono attualmente conservate e gelosamente protette presso il museo archeologico di Candia, mentre altre sono ancora osservabili presso questo meraviglioso sito archeologico.

È il caso dei dipinti che tuttora impreziosiscono il Corridoio della Processione e che raffigurano uomini e donne che trasportano doni come vasi, anfore e coppe. Tra i più noti c’è il Principe dei Gigli, ovvero un affresco che rappresenta un giovane sacerdote che indossa un copricapo fatto di gigli e piume di pavone.

Da queste parti è possibile visitare anche l’affresco più emblematico di Cnosso: il Toro in un Paesaggio con Ulivi. Situato sul muro del balcone occidentale, rappresenta questo possente animale immerso in un tipico paesaggio locale, un affresco che inevitabilmente ha contribuito ad alimentare la Leggenda del Labirinto di Cnosso.

Straordinario è anche l’Affresco della Taurocatapsia che raffigura un toro durante l’evento più popolare tra i cretesi e in tutte le fasi della gara: la presa del toro per le corna, il salto e persino l’atterraggio.

Infine, da non perdere è l’affresco che è stato definito il più poetico di tutta l’area archeologica: quello dedicato ai delfini e posto nel Megaron della Regina.

Affresco dei Delfini, Cnosso
L’Affresco dei Delfini

Il labirinto di Cnosso e la leggenda del Minotauro

Non si più parlare del Palazzo di Cnosso senza raccontare del Labirinto e dell’affascinante Leggenda del Minotauro. Si narra che il re di Creta, il mitico Minosse, decise di far costruire un labirinto – che corrisponderebbe a questo sito archeologico –  per catturare e chiuderci dentro il mostruoso Minotauro, ovvero una creatura nata dall’unione di sua moglie, Pasifae, con un toro: aveva la testa di questo animale e il corpo di uomo.

Stando al curioso racconto, l’intricatissimo labirinto fu progettato dall’architetto ateniese Dedalo e dal figlio Icaro. Ciò che crearono fu talmente complesso che, una volta terminata la costruzione, loro stessi ne rimasero prigionieri. Fu così che Dedalo decise di produrre delle ali che attaccò con la cera alle loro spalle: in questo modo riuscirono a fuggire, ovvero volando.

Il re Minosse aveva un figlio di nome Androgeno ma che purtroppo morì per mano di alcuni ateniesi. Per questo motivo, decise di vendicarsi e proprio usando lo spaventoso Minotauro: ordinò che Atene avrebbe dovuto inviare a Creta, ogni nove anni, sette fanciulli e sette fanciulle da offrire in pasto a questa mitologica creatura.

La leggenda a questo punto narra che il massacro terminò solo quando Teseo, figlio del re ateniese Egeo, si offrì di uccidere il Minotauro. Fu Arianna, figlia di Minosse e Pasifae, ad aiutare l’eroe greco a ritrovare la via d’uscita dal labirinto utilizzando un gomitolo rosso che, una volta srotolato, gli avrebbe permesso di seguire a ritroso i propri passi.

Teseo, quindi, riuscì a trovare il Minotauro, ucciderlo e grazie al “filo di Arianna” evase da questo complesso labirinto. Se vi state chiedendo se questa struttura costruita in modo tale che risulti difficile per chi vi entra trovare l’uscita esista, la risposta è no. Si narra di essa solo nella mitologia e nelle leggende.

Tuttavia, quando Evans riportò alla luce questo straordinario sito assai complesso a livello architettonico – in particolare per l’epoca a cui apparteneva – lo ricondusse al mito del Minotauro. Ma non solo, c’è anche un riferimento morfologico lessicale che si connette al famigerato labirinto: il simbolo del palazzo era un’ascia bipenne, il cui nome in greco antico corrisponde alla parola labyrinthos, ovvero labirinto. Quel che è certo, quindi, è che si tratta di un sito altamente importante e sorprendente.

Toro in un Paesaggio con Ulivi, Cnosso

Fonte: iStock

Il Toro in un Paesaggio con Ulivi, l’affresco che contribuì alla Leggenda del Minotauro

Dove si trova e come arrivare

Sì, almeno una volta nella vita bisogna visitare Cnosso. Tale complesso è situato a circa a 6 chilometri a sud della moderna città di Heraklion e per questo risulta facilmente raggiungibile dal centro principale di Creta.

È stato edificato sulle alture del piccolo villaggio di Kefala, non troppo distante dal sacro Monte Ida, luogo dove secondo la leggenda si sarebbe nascosto Zeus per non farsi uccidere dal padre Crono.

Se non si ha a disposizione un’automobile, si può usufruire dell’autobus numero 2 che collega il porto di Heraklion al Palazzo più o meno ogni 20 minuti. Nel caso in cui si arrivi comodamente con mezzi propri, è disponibile un parcheggio a pagamento vicino all’ingresso.

Non resta che fare un viaggio a Creta e dedicare un giorno al mito e alla storia antica visitando le maestose rovine di Cnosso.

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L’importante scoperta avvenuta in un sito archoelogico italiano

L’Italia, con la sua storia millenaria, conserva ancora tantissimi tesori da scoprire e che possono raccontarci molto di più di quello che già sappiamo sul nostro passato. Non a caso, vengono spesso fatti degli interessanti ritrovamenti come quello che è appena avvenuto in un nostro prezioso sito archeologico.

La scoperta avvenuta a Selinunte

Questa volta un’interessante scoperta è stata effettuata presso il prestigioso Parco Archeologico di Selinunte, l’area archeologica più grande d’Europa che si trova in provincia di Trapani.

Durante dei semplici lavori di disboscamento e ripristino del Vallone del Gorgo Cottone, sono emersi dal suolo una struttura lunga 15 ben metri e quattro filari di blocchi per un’altezza di circa 1,80 metri. Tutto ciò è venuto alla luce casualmente e in un punto situato a pochissima distanza da quella che doveva essere la darsena collegata al mare. Per questo motivo si sostiene che potrebbe essere parte di uno dei due porti dell’antica ex colonia di Megara Iblea.

Di questa costruzione non ci sono informazioni nei documenti dei viaggiatori tra Settecento e Ottocento, tanto da sostenere che sia molto antica e che probabilmente fu distrutta o sommersa. Tra le ipotesi effettuate fino a questo momento c’è quella secondo cui fosse una costruzione deputata al contenimento del fiume – il georadar registra altri complessi che giacciono sotto la sabbia.

Ad emergere inizialmente è stato solo l’angolo di un blocco e successivamente, grazie al lavoro di tutti, è stato possibile far affiorare l’intera larghezza della facciata della struttura.

Stando a quanto ritengono gli archeologi, la posizione della costruzione sulla sponda occidentale del Gorgo Cottone potrebbe indicare un collegamento con il traffico navale del porto orientale, ma la verità è che questa ipotesi, seppur accettata da Dieter Mertens, uno dei più grandi conoscitori dell’impianto urbanistico della colonia di Selinunte, è ancora tutta da approfondire.

Occorre perciò attendere i risultati di ulteriori ricerche per avere maggiori informazioni relativamente alle forma e alla funzione di questa struttura.

Le dichiarazioni degli addetti ai lavori

Stando a quanto si può leggere su AGI – Agenzia Italiana, Renato Schifani, presidente della Regione Siciliana, ha dichiarato che: “Appena pochi giorni dopo il ritrovamento a Segesta, arriva un’altra scoperta che conferma la Sicilia un inesauribile giacimento di reperti che contribuiscono a ricostruire una storia millenaria gloriosa e figlia di scambi culturali ed economici incessanti”.

Mentre Francesco Paolo Scarpinato, assessore regionale ai Beni culturali e all’Identità siciliana, sottolinea che: “Questa volta si tratta della straordinaria Selinunte e del suo antico porto che la rendeva uno dei centri di commercio del Mediterraneo. Siamo sempre più certi che bisogna sostenere nuove missioni di scavo, e Selinunte sarà tra le priorità: il nostro impegno è quello di riportarla alla luce nella sua complessità e interezza. Siamo felici che la scoperta sia interamente del Parco con i suoi archeologi”.

È stata invece Linda Adorno, l’archeologa responsabile della sorveglianza dei lavori,  con l’aiuto della collega Melanie Jonasch che era in missione in zona per un altro progetto insieme a un gruppo di studenti dell’Università di Palermo, ad aver compreso sin da subito l’importanza di questo tesoro, tanto da far sì che venisse assolutamente riportato alla luce.

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Visitare Pompei oggi diventa più facile: l’incredibile novità

Una città rimasta cristallizzata nei secoli, quasi intatta così come la terribile eruzione del Vesuvio l’ha lasciata tanto tempo fa: Pompei è una delle testimonianze più suggestive del nostro passato, e il suo parco archeologico è tra i più famosi al mondo, in grado di attirare milioni di turisti ogni anno. E oggi andare alla sua scoperta diventa ancora più facile, grazie al nuovo collegamento diretto di Trenitalia dalla capitale.

Frecciarossa, il nuovo collegamento Roma-Pompei

C’è una splendida novità in arrivo: domenica 16 luglio parte un nuovo collegamento ferroviario diretto tra Roma Termini e Pompei, per condurre i turisti alla scoperta dell’affascinante parco archeologico campano. Nato dalla collaborazione tra il Ministero della Cultura e le Ferrovie dello Stato Italiane, il treno permette di arrivare praticamente alle porte dell’antica città, senza più dover effettuare cambi in stazione. Si tratta di un progetto innovativo che, almeno per il momento, prevede un solo viaggio mensile – verrà proposto ogni terza domenica del mese.

Si accorcia dunque la distanza tra la capitale e l’antico sito archeologico di Pompei, che ora verrà coperta in appena un’ora e 47 minuti dal Frecciarossa 1000, treno di punta della flotta di Trenitalia. Ma il nuovo collegamento diretto è molto più che un semplice viaggio: è l’occasione perfetta per scoprire una bellezza tutta italiana, con una gita organizzata già nel dettaglio – basta solo acquistare il biglietto! Ebbene sì, date e orari sono già fissati, e ai turisti non resta che prepararsi per le sorprese che li attendono al parco archeologico.

Un nuovo modo per visitare Pompei

Si parte la domenica mattina alle ore 8:53 da Roma Termini, a bordo del Frecciarossa: la prima fermata è a Napoli Centrale e, dopo meno di due ore di viaggio, si giunge alla stazione di Pompei alle ore 10:40. Da qui, il bus navetta Pompei Link conduce i visitatori presso il sito degli scavi, dove trascorrere una giornata incredibile. Ed è sempre la navetta a riportare i turisti in stazione, dove alle 18:40 parte il treno diretto di nuovo a Roma Termini (con fermata a Napoli Centrale), che arriva alla capitale alle ore 20:55.

A bordo del treno, durante il breve viaggio di andata, ci si può già tuffare tra le meraviglie di Pompei grazie alla clip – trasmessa sui monitor – che regala ai passeggeri uno sguardo affascinante alla storia di quello che è uno dei siti archeologici più belli e conosciuti al mondo. In preparazione della visita vera e propria, è un’ottima idea per trascorrere ancora più velocemente il tempo che separa Roma dall’antica città partenopea.

Questo è un nuovo modo per visitare gli scavi archeologici campani, ma rimane comunque soltanto un’alternativa ai servizi che Trenitalia offre già ai suoi passeggeri. La compagnia mette infatti a disposizione ben 50 corse giornaliere, andata e ritorno, tra Roma e Pompei – sempre a bordo del Frecciarossa. Tuttavia, ognuno di questi viaggi permette di arrivare solamente a Napoli Centrale con l’alta velocità, per poi dover proseguire sino a destinazione con i treni regionali, scendendo alla stazione di Piazza Garibaldi, e prendere la navetta per il parco archeologico.

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A due passi da Petra c’è un sito che nessuno conosce

Tra i siti archeologici più affascinanti di tutti i tempi c’è senza dubbio Petra, la città di roccia situata nel cuore della Giordania che è stata inserita non solo tra i Patrimoni dell’UNESCO, ma anche tra le sette meraviglie del mondo moderno. Tuttavia, basta allontanarsi di qualche decina di chilometri per incontrare un luogo ancora più magico, che conserva un’atmosfera speciale – anche perché è quasi completamente sconosciuto. Andiamo alla scoperta del sito di Sela, tra le montagne giordane.

L’affascinante storia di Sela

Meta perfetta per chi ama il turismo culturale, la Giordania ha davvero molto da offrire. Oltre a Petra, infatti, c’è di più: per trovare un luogo che conserva intatto il suo fascino particolare, dobbiamo spostarci più a nord e addentrarci tra le montagne rocciose del Governatorato di al-Tafila. È qui che ci imbattiamo nei resti di un’antichissima città conosciuta con il nome di Sela (es-Sela’ in arabo, un termine che significa roccia). Il panorama è spettacolare, e ancora di più la storia che si cela dietro le poche rovine ancora in piedi.

Questa sarebbe infatti – secondo gli archeologi – la celebre Sela più volte citata nella Bibbia ebraica, la quale in passato veniva erroneamente identificata proprio con Petra. D’altra parte, entrambe le città portano nomi con lo stesso significato (uno in arabo e uno in latino), quindi non sorprende che ci sia stata confusione. Solo attorno al 2010 sono stati compiuti degli scavi tra le montagne dell’antico regno di Edom, dove sono emersi i resti che oggi vengono attribuiti a Sela. La città sarebbe stata abitata nel corso del I millennio a.C., ed è a questo periodo che risale la maggior parte dei reperti trovati in questa zona.

Cosa vedere presso il sito archeologico

Sela è un sito archeologico davvero speciale: incastonato tra le rocce di arenaria, si erge fino a 200 metri di altezza a picco su burroni ripidissimi. Era in passato un rifugio usato dagli abitanti dei dintorni per mettersi al riparo in caso di pericolo, ma anche una vera e propria fortezza. L’altopiano che ospita la maggior parte delle rovine era infatti difficilmente raggiungibile, offrendo il luogo ideale per sfuggire dagli assalti dei nemici. Oggi si possono ammirare i resti di antiche torri e strutture difensive, oltre che di edifici residenziali, luoghi di culto e case scavate nella roccia.

Poiché in quest’area non vi erano pozzi o sorgenti d’acqua, la popolazione vi aveva costruito un centinaio di cisterne e di vasche dove stoccare l’acqua piovana: alcune di esse sono ancora molto ben conservate, regalandoci un piccolo assaggio di quello che Sela doveva essere un tempo. Avvicinandoci alla montagna su cui si inerpica l’antico villaggio, si può notare qualcosa di sorprendente: in alto, sulla parete rocciosa, c’è un rilievo conosciuto come l’iscrizione di Nabonide. Si tratta di una raffigurazione che immortala un uomo con una lunga veste, un bastone e un copricapo, il quale probabilmente non è altri che l’ultimo re dell’impero babilonese.

Per giungere a Sela, occorre arrampicarsi su una lunga scalinata costruita nella roccia. Prima di arrivare in cima, il passaggio si restringe all’interno di una gola che poi si apre sull’altopiano: qui ci sono i resti di antiche mura che un tempo proteggevano l’ingresso al villaggio, il quale poteva essere chiuso con un’alta cancellata in legno. Tutt’intorno, si possono ammirare torri di difesa e pavimentazioni riemerse da sotto terra, dove erano rimaste per tanti secoli, cisterne intonacate, antichi altari e tante altre meraviglie, a riprova di quanto questo luogo sia magico.

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Nuovi e interessanti reperti emergono in Italia

Trovare nuove testimonianze del nostro passato ci permette di fare luce su culture e tradizioni ormai molto lontane da noi: la recente scoperta avvenuta presso la Necropoli di Crocifisso del Tufo, in provincia di Orvieto, è da questo punto di vista davvero interessante. Gli archeologi hanno infatti rinvenuto alcuni antichi reperti della civiltà etrusca, che rappresentano un patrimonio di immenso valore.

I reperti etruschi tornati alla luce

In maniera del tutto inaspettata, da sotto terra è riemerso un tesoro preziosissimo. Un team di esperti, sotto la guida della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria assieme alla Direzione Regionale Musei dell’Umbria, stava lavorando infatti ad un progetto di recupero e valorizzazione del sito, promosso dal Comune di Orvieto, quando si è imbattuto in qualcosa di sorprendente. Le operazioni, attualmente ancora in corso, mirano a recuperare parte della Necropoli di Crocifisso del Tufo per renderla fruibile al pubblico.

Durante il restauro di una tomba nell’area sud-ovest della necropoli, gli archeologi hanno trovato nuovi reperti appartenenti alla civiltà etrusca. Si tratta di una dozzina di antichi cimeli, tra cui pezzi di calici in ferro e alcuni buccheri – ceramiche nere, lucide e molto sottili impiegate nella realizzazione di vasi, solitamente usati per contenere il vino. Questi oggetti risalirebbero al 500 a.C., e sarebbero tutto ciò che rimane del grave saccheggio che la necropoli ha subito verso l’inizio dell’800, in particolare nell’area in cui è avvenuto in ritrovamento.

“Dal passato di questa città continuano ad emergere testimonianze della vita di oltre 2.500 anni fa. Un patrimonio, quello archeologico, che vogliamo valorizzare attraverso gli interventi che si stanno portando avanti alla Necropoli di Crocifisso del Tufo, ma che interesseranno pure gli scavi del Campo della Fiera, di cui abbiamo recentemente approvato il progetto esecutivo, anche questo finanziato con 200mila euro dalla Strategia delle Aree interne” – ha dichiarato Roberta Tardani, sindaco di Orvieto e assessore alla Cultura.

La Necropoli di Crocifisso del Tufo

Situata poco fuori dalla città di Orvieto, la Necropoli di Crocifisso del Tufo è un prezioso sito archeologico risalente all’epoca etrusca. Il suo nome, decisamente particolare, deriva da un crocifisso inciso nel tufo ritrovato all’interno di una cappella rupestre, che è ancora oggi visitabile. Il sito accoglie oltre 200 tombe a camera a pianta rettangolare, di dimensioni omogenee e disposte in maniera piuttosto ordinata. Sono realizzate in blocchi di tufo e chiuse con lastre dello stesso materiale, mentre sull’architrave portano inciso il nome del defunto e della sua famiglia.

Gran parte della storia di coloro che vi sono sepolti è raccontata dai manufatti che sono stati rinvenuti all’interno delle tombe. Le salme, infatti, erano accompagnate da un corredo funebre composto da oggetti in bronzo e terracotta, ma anche strumenti in ferro e lance, nel caso di corpi di genere maschile, o decorazioni in metalli preziosi, nelle sepolture di persone di sesso femminile. Purtroppo, molti di questi reperti non sono giunti sino a noi. Un po’ a causa delle razzie dei secoli passati, un po’ perché gli scavi, inizialmente compiuti in maniera disordinata, hanno portato alla dispersione dei cimeli sia nel resto d’Europa che persino in America.

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Giornate Europee dell’Archeologia: visitare i più bei Beni del FAI

Il 16, 17 e 18 giugno di quest’anno si terranno le Giornate Europee dell’Archeologia, tre appuntamenti dedicati tanto agli appassionati di storia quanto ai semplici curiosi, per scoprire il patrimonio archeologico che impreziosisce il nostro Paese. Ad aderire all’edizione del 2023 è anche il Fondo Ambiente Italiano (FAI) che per l’occasione spalancherà le porte di vere e proprie meraviglie d’Italia.

Le Giornate Europee dell’Archeologia

Le Giornate Europee dell’Archeologia, gestite da Inrap, l’Istituto nazionale di ricerca archeologica preventiva della Francia (Institut national de recherches archèologiques prèventives) e organizzate in Italia dal Ministero della Cultura – Direzione Generale Musei e Direzione Generale Archeologia, belle arti e paesaggio, avranno luogo nei 46 Stati membri del Consiglio d’Europa.

Saranno tre imperdibili giorni di speciali visite guidate in compagnia di esperti, con tante attività dedicate a bambini e adulti e con conferenze con specialisti del settore, in collaborazione con Università e Soprintendenze che lavorano sul territorio.

Il FAI darà la possibilità di scoprire ben sei dei suoi tesori: le Abbazie di Santa Maria di Cerrate a Lecce e quella di San Fruttuoso a Camogli, Parco Villa Gregoriana a Tivoli, la Baia di Ieranto a Massa Lubrense, il Giardino della Kolymbethra nella Valle dei Templi di Agrigento e il Monastero di Torba a Gornate Olona.

Parliamo quindi di vere e proprie meraviglie che rappresentano uno spaccato della passata frequentazione del territorio nazionale e la cui varietà e localizzazione permette di fare un vero e proprio viaggio attraverso l’Italia alla scoperta di epoche, usi e costumi di tempi ormai andati.

Abbazia di San Fruttuoso. Bene FAI

Fonte: Marco Ligabue e Matteo Girola_2017_© FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano

La meravigliosa Abbazia di San Fruttuoso

In onore di queste tre giornate, in alcuni Beni verranno eccezionalmente aperte le porte ad aree generalmente non visitabili, con lo scopo di far conoscere ai visitatori le scoperte recenti avvenute in zona.

I Beni da non perdere

Tra le meraviglie da visitare c’è l’Abbazia di San Fruttuoso di Camogli, in provincia di Genova. Si tratta di uno dei siti più importanti della regione Liguria ma anche di un vero e proprio testimone della storia e del patrimonio religioso italiano.

Per l’occasione, saranno gli archeologi che hanno curato gli ultimi cantieri di scavo a guidare i visitatori e a presentare i dati inediti ottenuti dagli studi.

Venerdì 16 giugno, dalle ore 16 alle ore 18, presso il Salone degli Stucchi Villa Durazzo a Santa Margherita Ligure, si terrà una conferenza dal titolo “Presentazione dei risultati delle ultime campagne di scavo archeologico” che si sono svolte presso l’Abbazia di San Fruttuoso.

Sabato 17 giugno, a partire dalle ore 10.30, un trekking archeologico condurrà alla scoperta di Chiesa Vecchia, un vero e proprio esempio di architettura romanica altomedioevale. Poi ancora domenica 18 giugno, dalle ore 10 alle 16, sarà possibile partecipare ad alcune visite guidate alla scoperta delle indagini archeologiche di San Fruttuoso, dalle prime campagne degli anni ’80 fino agli ultimi scavi.

Presso il Giardino della Kolymbethra, un prezioso sito archeologico che si trova in una piccola valle nel cuore della Valle dei Templi di Agrigento, le Giornate Europee dell’Archeologia saranno all’insegna di attività dedicate a piccoli e grandi visitatori, approfondendo soprattutto il tema del connubio fra pietra e acqua.

Giardino della Kolymbethra, Bene FAI

Fonte: iStock

Un angolo del Giardino della Kolymbethra

Sabato 17 e domenica 18 giugno, dalle ore 11.30, delle speciali visite guidate porteranno a conoscere elementi archeologici che caratterizzano il Bene e che lo hanno definito prima che divenisse un giardino lussureggiante come lo è oggi.

Mentre domenica 18 giugno, a partire dalle ore 11, sarà il momento del laboratorio per bambini: i visitatori dai 5 ai 10 anni potranno scoprire l’interessante funzionamento degli acquedotti progettati dall’architetto Feace, di epoca greca, analizzando gli elementi che compongono gli ipogei che attraversano la Kolymbethra.

Poi ancora il Monastero di Torba situato a Gornate Olona, in provincia di Varese. Si tratta di un complesso monumentale che sorge nella natura e raccolto attorno a un’imponente torre con interni affrescati. Per questa occasione, non solo si lascerà scoprire grazie a delle visite speciali con i responsabili dei cantieri di scavo, vi si potrà gustare anche un pranzo longobardo in cui antiche ricette popolari torneranno a vivere.

Nel dettaglio: venerdì 16 giugno, ore 16.30 – 18, presso la Chiesa di Santa Maria ci sarà una conferenza dal titolo “Torba e Castelseprio: dieci anni di ricerche archeologiche dell’Università di Padova tra ricerca e innovazione”.

Sabato 17 giugno dalle ore 10.30, invece, si potrà partecipare a una visita guidata agli scavi che hanno interessato l’area del Monastero dal 2013 al 2020, mentre alle ore 12.30 arriverà il momento di far gioire le proprie papille gustative grazie a uno speciale menù a tema “La storia in cucina: pranzo longobardo” presso il ristorante Antica Torre interno al Bene.

Monastero di Torba, Bene FAI

Fonte: Barbara Verduci_2021_© FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano

Veduta del Monastero di Torba

Lo stesso pranzo verrà ripetuto domenica 18 giugno, mentre alle ore 14.30 e 16 avrà luogo il laboratorio per bambini dal titolo “Il mestiere dell’archeologo”, dove i visitatori dai 7 agli 11 anni incontreranno un archeologo che farà loro conoscere i suoi strumenti di studio, i metodi con cui si scelgono e conducono le ricerche e come si riorganizzano le informazioni che aiutano a scrivere la storia di questo misterioso e antichissimo posto.

Altri imperdibili appuntamenti

Le Giornate Europee dell’Archeologia saranno l’occasione perfetta anche per visitare il Parco Villa Gregoriana di Tivoli, in provincia di Roma, un insieme di boschi, sentieri, antiche vestigia, grotte naturali, che poi si aprono in una spettacolare cascata.

Durante questi 3 giorni degli specialisti racconteranno la componente archeologica del Parco mettendola in relazione al territorio tiburtino, estremamente fragile e legato indissolubilmente a una condizione di dissesto idrogeologico e sismico.

La Baia di Ieranto è invece una meravigliosa area naturale situata in una insenatura nella costiera sorrentina che fa parte del territorio del comune di Massa Lubrense, nella città metropolitana di Napoli.

Baia di Ieranto, Bene FAI

Fonte: iStock

la meravigliosa Baia di Ieranto

Da queste parti, sabato 17 giugno dalle ore 9.30 alle 15:30 circa, sarà l’occasione per partecipare a uno speciale trekking guidato per approfondire la storia del sito archeologico di Punta Campanella.

Infine l’Abbazia di Santa Maria di Cerrate, situata sulla strada provinciale che collega i comuni di Squinzano e Trepuzzi a Casalabate, in provincia di Lecce, che è uno dei più significativi esempi di Romanico otrantino. Qui, venerdì 17 giugno alle ore 17.30, i più piccoli potranno prendere parte a un laboratorio dal titolo “Archeologi in erba” in cui scopriranno tecniche e metodologie da veri esperti del mestiere.

Sabato 17 giugno, alle  17.30, ci sarà un incontro dal titolo “Archeologia a Cerrate. Nuovi scenari di conoscenza”, al termine del quale l’archeologo porterà gli ospiti a compiere una visita guidata speciale sulle tracce dei più recenti scavi archeologici. Non resta che approfittare di queste tre incredibili Giornate Europee dell’Archeologia per approfondire e conoscere meglio alcune incredibili meraviglie del territorio italiano.

Abbazia di Santa Maria di Cerrate, Bene FAI

Fonte: Filippo Poli, 2018 © FAI – Fondo per l’Ambiente Italiano

L’Abbazia di Santa Maria di Cerrate