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In bici alla scoperta del Parco Archeologico di Selinunte

Vivere un’esperienza cicloturistica tra le antiche rovine di uno dei siti archeologici più suggestivi d’Italia: oggi si può, grazie al nuovo itinerario nato all’interno del Parco Archeologico di Selinunte, dove passeggiare in bici andando alla scoperta di un prezioso patrimonio storico e culturale. Il tutto immersi in una natura incontaminata, che rende l’atmosfera ancora più magica. Ecco la prima esperienza di archeobike in Sicilia.

In bici tra le rovine di Selinunte

Il Parco Archeologico di Selinunte racchiude le rovine di un’antica città siceliota, abitata tra il V e il III secolo a.C., che sorgeva lungo la costa sud-occidentale della Sicilia, nel territorio che oggi ricade sotto la provincia di Trapani. Non è solamente una preziosa testimonianza del passato di questa florida regione, ma anche un luogo dove la natura non ha mai ceduto il passo all’uomo: il sito, affacciato sulle acque cristalline del mar Mediterraneo, è il più grande di tutta Europa e vanta ben 270 ettari di dolci colline punteggiate da templi e antichi resti di altri edifici.

Non poteva dunque esserci posto migliore per inaugurare la prima esperienza di archeobike in Sicilia: si tratta di una vera e propria avventura in sella alla due ruote, che ci porta tra sentieri circondati da una fitta macchia mediterranea sino a toccare tutti i principali siti del parco, così da poter ammirare le antiche rovine che lo hanno reso famoso in tutto il mondo. È nato così un nuovo itinerario cicloturistico che si snoda in diversi percorsi all’interno dell’antica città di Selinunte, offrendo agli escursionisti la possibilità di vivere un’esperienza sensoriale e green, a zero impatto ambientale, in uno dei luoghi più suggestivi di tutti i tempi.

Il nuovo percorso cicloturistico

L’idea alla base della nascita di un percorso di archeobike è quella di unire un’avventura outdoor su due ruote all’esplorazione di un sito archeologico tra i meglio preservati del nostro Paese. Anzi, affrontare in bici il nuovo itinerario offre anche l’occasione giusta per scoprire angoli più nascosti del parco, che solitamente sono molto più difficili da raggiungere – ma che non per questo meritano di essere dimenticati. Per il momento, sono solamente dieci le bici messe a disposizione dal parco: assieme ad esse, è possibile noleggiare delle cuffiette con audioguida per una full immersion completa tra le rovine di Selinunte.

Il percorso è ricco di sorprese, con numerose tappe che ci portano a visitare i più affascinanti templi e gli altri suggestivi resti dell’antica città. La prima fermata è sulla collina orientale, dove svetta il maestoso tempio E, accanto alle rovine di due edifici più piccoli: qui è stata allestita la mostra Ars Aedificandi, con decine di riproduzioni dei macchinari utilizzati nei cantieri greci per la costruzione dei templi. Si prosegue poi verso il Baglio Florio, dove concedersi una rapida esplorazione prima di attraversare l’alveo ormai secco del fiume Cottone e raggiungere l’Acropoli.

Eretta su un altopiano calcareo a strapiombo sul mare, regala una vista mozzafiato sulla spiaggia di Selinunte e sulle acque cristalline che la lambiscono. Lasciando per un momento la bici, potremo percorrere l’intera cinta muraria sino alla porta Nord, che fu il principale accesso alla città: è solo l’inizio di una bella passeggiata tra le rovine di antiche abitazioni e di templi suggestivi. L’itinerario si conclude di nuovo in bici sino al punto di partenza, dopo aver vissuto un’avventura che è davvero impossibile dimenticare.

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Dalle acque riemerge un capolavoro dell’antichità classica

L’antica città sommersa non finisce di sorprendere: mentre proseguono i lavoro di restauro, le acque restituiscono nuovi mosaici dell’epoca romana, ancora ben visibili dopo duemila anni.

È il continuo “miracolo” del sito sommerso di Baia, nel comune di Bacoli, all’interno del Parco Archeologico dei Campi Flegrei in provincia di Napoli.

Un autentico capolavoro dell’antichità classica

Come accennato, l’area marina protetta del Parco Sommerso di Baia, dove mare e archeologia si incontrano, è una continua ed eccezionale scoperta.

Infatti, dopo il più recente ritrovamento delle Terme di Lacus, sul fondale è riapparso anche un pavimento realizzato in un vano di oltre 50 metri quadri, probabilmente appartenuto a una stanza importante del complesso termale che regala emozioni senza fine da ormai molti anni.

Lo ha annunciato con soddisfazione il Parco Archeologico: “Solo qualche settimana fa vi avevamo presentato un nuovo mosaico dalle Terme del Lacus, ma con l’avvio dei lavori di restauro quello che abbiamo visto è molto più intrigante e complesso di quello che avevamo allora immaginato. Un intreccio di linee attorno a un ottagono centrale racchiuso in un elegante tondo, a sua volta inscritto in un quadrato circondato da una raffinatissima cornice resa con tralci di acanto allacciati“.

Ciò che salta subito all’occhio e affascina è la raffinatezza e ricchezza di ogni elemento, con ogni linea caratterizzata da elementi decorativi e ogni spazio colmato con motivi differenti uno dall’altro e dai ricchi colori: si va dalle cornici riprodotte con vari tipi di onde simmetriche ai traci d’uva nelle lunette triangolari.

Entusiasmo anche da parte del sindaco di Bacoli, Josi della Ragione che ha scritto: “È magia! La Città Sommersa di Baia svela nuovi mosaici d’epoca romana. Sono lì da due millenni. Sott’acqua. Sul fondale della nostra città. Uno spettacolo. Il Parco Archeologico Sommerso più grande del mondo. Ringrazio CSR Restauro Beni Culturali e Naumacos. Ringrazio il direttore Fabio Pagano, ed Parco Archeologico dei Campi Flegrei, per il grande lavoro svolto”.

Nelle prossime settimane proseguiranno le operazioni di messa in sicurezza del mosaico, a cura della CSR Restauro Beni Culturali in collaborazione con Naumacos, cui seguirà un periodo di stop per verificarne la tenuta e progettare gli scavi completi della sala.

Il Parco Archeologico Sommerso di Baia, stupore senza fine

Area marina protetta dal 2002, il Parco Archeologico Sommerso di Baia fa subito comprendere quanto qui sia forte il legame tra la vita del mare e l’archeologia.

Proprio qui, infatti, la maggior parte del substrato solido dei fondali è costituito da manufatti dell’Antica Roma, sommersi dal Bradisismo, il particolare fenomeno che si verifica nelle zone vulcaniche e che provoca l’innalzamento o l’abbassamento del livello del suolo a causa delle variazioni di volume di una camera magmatica vicina alla superficie o delle fluttuazioni di calore che hanno un impatto sul volume dell’acqua presente in un suolo molto poroso.

L’antica fascia costiera ha, quindi, subito uno sprofondamento e gli edifici che ospitava, come ad esempio la Villa dei Pisoni, il Palazzo Imperiale dell’Imperatore Claudio, i piloni di Porto Giulio sono precipitati sott’acqua.

I primi ritrovamenti risalgono agli anni Venti durante i lavori per l’ampliamento della banchina del porto e, da allora, si susseguono senza sosta: chissà quale sarà la prossima meraviglia?

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La misteriosa necropoli bosniaca che incanta il mondo

La Bosnia ed Erzegovina, un territorio immerso nella natura dei Balcani, è un Paese che pullula di straordinarie città antiche, mare cristallino che bagna spiagge paradisiache e maestose cime incontaminate. Non mancano di certo le campagne, che anzi costudiscono un vero e proprio simbolo di questa terra: delle particolari lapidi che incantano il mondo.

La necropoli di Radimlja

La misteriosa necropoli bosniaca di cui vi vogliamo parlare si chiama Radimlja e si trova nei pressi di Stolac, la città più antica di tutto il Paese. Proprio qui sorgono ben 133 (c’è chi dice 135) particolari lapidi medievali disposte in diverse file. Guardandole si notano alcuni motivi geometrici, lune e stelle magistralmente incise su pietre bianche. Si tratta perciò di monumenti che custodiscono non solo quel che resta dei corpi di anime che un tempo hanno abitato questo mondo, ma anche centinaia di anni di storia di questo Paese.

Sono chiamate stećci e sono delle pietre tombali monolitiche che oggi rappresentano i monumenti più riconoscibili e, allo stesso tempo, enigmatici della Bosnia ed Erzegovina. In questa precisa necropoli ce ne sono poco più di un centinaio, ma in realtà in tutta l’estensione del Paese se ne contano più o meno 60.000.

Da secoli colpiscono storici e viaggiatori, ma al contempo sono anche simbolo di orgoglio nazionale e identità tra la popolazione multietnica della Bosnia.

Necropoli di Radimlja

Fonte: iStock

Alcune tombe della necropoli di Radimlja

La storia degli stećci

I primi stećci, che è giusto specificare che sono presenti anche in alcune zone delle odierne Croazia, Montenegro e Serbia, sono iniziati a comparire su prati e colline verdi nel corso dell’XI secolo. Hanno poi raggiunto la massima diffusione nel XIV e XV secolo, prima di scomparire del tutto sotto la dominazione ottomana.

La loro origine è incerta: c’è chi sostiene che siano state edificate dei valacchi, ovvero i discendenti delle popolazioni che furono romanizzate tra il primo e il sesto secolo nei Balcani e nel bacino del basso Danubio, mentre altri ritengono che facciano riferimento a una tradizione della chiesa bosniaca per fedeli, sia cattolici che ortodossi.

Pochissime certezze si hanno anche sui defunti che vi si seppellivano e sul significato dei messaggi simbolici incisi su queste misteriose pietre sepolcrali. Quel che è certo è che ci sono anche rappresentazioni della vita bosniaca durante il periodo di riferimento, quindi il Medioevo.

Alcuni di questi stećci mostrano iscrizioni in cirillico contenenti informazioni sul defunto, così come osservazioni filosofiche. Inoltre, data l’importanza del loro significato storico e culturale, gli stećci sono stati iscritti nella lista del patrimonio mondiale dell’Unesco per il loro “eccezionale valore universale”.

Caratteristiche

Presso la necropoli di Radimlja, al momento attuale, si contano ben nove tipi diversi di stećci: 36 lastre, 1 lastra con piedistallo, 27 cassapanche, 24 cassapanche con piedistallo, 4 cassapanche alte, 5 cassapanche alte con piedistallo, 2 sarcofagi, 31 sarcofagi con piedistallo e 3 cruciformi.

Mentre nelle vicinanze di questo antico cimitero sono presenti anche alcuni tumuli illirici che stanno ad indicare che, molto probabilmente, questo luogo venisse utilizzato già da tempi remoti come eterna dimora per i morti. Una tradizione che è stata poi continuata, tanto che alcuni scavi condotti negli anni ’60 hanno rivelato altre tombe a una profondità di 120–135 centimetri. Le analisi effettuate sui corpi hanno invece fatto emergere che erano persone piuttosto alte e con un torace ben sviluppato.

Quasi la metà delle pietre è ancora – e per fortuna – decorata. Gli ornamenti utilizzati includono linee curve con trifoglio, zigzag plastici, cerchi radiali, rosette, raffigurazioni di cerchi plastici, grappoli, aste a forma di lettera T e curve a spirale.

Le rappresentazioni figurative possono invece essere suddivise in quelle di figure maschili, con la mano destra alzata, e scene di caccia, tornei cavallereschi ed elementi di idee pagane e cristiane.

Tra le altre cose, queste misteriose lapidi sono fatte di pietra calcare bianca come il latte tagliata dalla collina di Ošanići, che è stata poi affilata a trasferita nella necropoli per i lavori finali e per inserire le varie decorazioni del caso.

Radimlja, decorazioni lapidi

Fonte: iStock

Dettagli delle lapidi di Radimlja

Le altre necropoli

La necropoli di Radimlja è senza ombra di dubbio quella meglio conservata di tutto il Paese grazie alle sue lapidi decorate risalenti al 1480. Ma la verità è che nelle campagne bosniache sono presenti altri interessanti stećci. È il caso della necropoli di Boljuni che, nei fatti, ne conserva persino di più: ben 274.

Poi ancora a 100 chilometri verso nord, negli emozionanti altopiani del Parco naturale di Blidinje e nel lago alpino di Blidinje, c’è la necropoli di Dugo polje che conta approssimativamente 150 pietre tombali.

Cosa vedere a Stolac

Visitare gli stećci è anche un’ottima occasione per conoscere la città di Stolac. Come vi accennavamo in precedenza, è la più antica di tutta la Bosnia ed Erzegovina tanto che mostra tracce di popolamento di ben 15.000 anni fa. Ciò vuol dire che non mancano di certo i siti archeologici e di interesse storico e culturale da scoprire, oltre all’affascinante necropoli di Radimlja.

Nella Grotta di Badanji, per esempio, sono presenti incisioni rupestri che sono databili tra 12.000 e 16.000 anni a.C., mentre in località Ošanići vengono ancora conservati i resti della cittadella di Daorson, un sito archeologico preistorico che risale al III secolo a.C., dove sopravvivono antichi edifici, statue e sculture in pietra e anche un’area sacra.

Ma andando più in profondità, si scopre che a Stolac vale la pena visitare il Monastero di Blagaj – situato a soli 3 chilometri a sud della città – che è uno dei complessi religiosi più antichi e meglio conservati di tutto il Paese. È stato costruito nel XVI secolo ed è circondato da una natura rigogliosa che regala al visitatore un panorama più che emozionante.

C’è poi il Lago Radimlja, un bacino d’acqua di origine glaciale, dove per merito della ricca vegetazione è possibile dedicarsi al relax, un magnifico ambiente dove regna un’atmosfera pregna di pace e tranquillità.

Infine la Grotta di Vjetrenica che è una delle più grandi grotte carsiche della Bosnia ed Erzegovina, ma anche la più ricca di biodiversità sotterranea al mondo.

Tutto questo senza dimenticare che Stolac è un importante centro culturale che vanta numerosi edifici storici e monumenti, così come è un centro commerciale pieno di negozi, bar e ristoranti. Infine, questa deliziosa città bosniaca è anche patria di un bellissimo paesaggio naturale impreziosito da alcune delle più suggestive spiagge della zona.

Non resta che organizzare un viaggio in Bosnia ed Erzegovina alla scoperta della necropoli di Radimlja e dei suoi eccezionali dintorni.

Stolac, cosa vedere

Fonte: iStock

Veduta di Stolac
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Sott’acqua si nasconde un’antica strada: la scoperta sensazionale

Se è vero che sotto terra si celano ancora tesori preziosissimi e tutti da scoprire, cosa si nasconde nelle profondità del mare? Gli archeologi hanno appena trovato qualcosa di inaspettato al largo delle coste della Croazia, durante una missione volta ad esplorare gli antichi resti di un villaggio sommerso, appartenenti ad una civiltà perduta.

Croazia, trovata una strada sommersa

Questa volta è stato il mare Adriatico a fare da scenario ad un’incredibile scoperta archeologica: sott’acqua è stata trovata un’antica strada, costruita probabilmente più di 7.000 anni fa. Il ritrovamento è avvenuto in maniera del tutto casuale. Proprio qui, sul sito della baia di Soline (situata lungo la costa dell’isola di Korčula), un paio d’anno fa due docenti universitari si erano imbattuti in ciò che resta di un villaggio ormai sommerso da millenni. Secondo le prime analisi, durante le quali si è usato anche il metodo della datazione al radiocarbonio, le rovine risalirebbero al 4.900 a.C.

Nelle scorse settimane, alcuni ricercatori dell’Università di Zara, in Croazia, hanno dato il via ad una missione subacquea con l’obiettivo di trovare nuovi reperti appartenuti al villaggio, così da poter fare luce sul suo passato e sui suoi abitanti. Nel corso della ricognizione sottomarina, il sorprendente ritrovamento: la strada, lastricata in pietra, è stata ritrovata a circa 5 metri di profondità nelle vicinanze dei resti sommersi del villaggio, nascosta tra depositi di sedimenti e alghe. Questo passaggio, largo 4 metri e dall’aspetto piuttosto stabile, collegava probabilmente l’isola di Korčula all’insediamento rinvenuto nelle profondità marine nel 2021.

L’antica civiltà Hvar

“Nel corso della ricerca archeologica sottomarina presso il sito neolitico sommerso di Soline, sull’isola di Korčula, gli archeologi hanno trovato dei resti che li hanno sorpresi” – si legge nel comunicato social diffuso dall’Università di Zara – “In particolare, sotto gli strati di fango marino, hanno scoperto una strada che collegava l’insediamento preistorico sommerso degli Hvar con la costa dell’isola di Korčula”. Secondo gli esperti, dunque, saremmo davanti alle tracce dell’antichissima civiltà Hvar, caratterizzata da una forte inclinazione alla cultura marittima.

Probabilmente, questa popolazione aveva trovato lungo le coste croate il luogo ideale dove stabilire il loro villaggio, grazie anche ad un clima mite, ad una terra fertile, ricca di vegetazione e di fauna, e ad acque abbondantemente pescose. Ed è impressionante pensare che gli abitanti percorrevano abitualmente l’antica strada, ora sommersa, già 7.000 anni fa. Il team di ricerca, guidato dal professor Mate Parica, continuerà le sue indagini sui resti appena ritrovati, per poter ricostruire il più dettagliatamente possibile la storia della civiltà Hvar.

Gli esperti preleveranno alcuni frammenti delle lastre di pietra per poterli studiare in laboratorio, procedendo nel contempo con analisi più approfondite – tra cui la già citata datazione al radiocarbonio. Il tutto nel rispetto di un sito archeologico sommerso preziosissimo, che può raccontarci qualcosa di sensazionale. Intanto ha già avuto inizio lo studio accurato dei reperti trovati sott’acqua: lame di selce, asce di pietra, frammenti di macine e rudimentali strumenti utilizzati per cacciare e per pescare sono stati trasferiti in laboratorio, per scoprire qualcosa in più su una civiltà che fino ad oggi era considerata perduta.

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Vulci regala un’altra scoperta straordinaria

Un’altra pagina della storia del popolo etrusco si celava dietro una porta fatta di blocchi di tufo a Vulci, il famoso Parco naturalistico archeologico immerso nella Maremma laziale, che regala sempre incredibili sorprese. La campagna di scavo ha riportato alla luce una tomba rimasta nascosta per più di 2.500 anni. Una scoperta straordinaria per tanti motivi.

Scoperta a Vulci una tomba intatta del VI secolo a.C.

A Vulci, antica città etrusca nel territorio di Canino e di Montalto di Castro, a pochi chilometri da Viterbo, un’accurata campagna di scavo archeologico ha riportato alla luce una tomba intatta, risalente al VI secolo a.C. Una scoperta che ha dell’incredibile, considerando che l’ambiente è rimasto inviolato fino a oggi, scampata persino alle grinfie dei tombaroli.

Stando a quanto hanno svelato i reperti che si nascondevano dietro due pesanti lastre di tufo, si tratterebbe della sepoltura di una donna di classe medio-agiata. Gli archeologi sono arrivati a questa conclusione a un primo esame del corredo funerario della tomba a camera, in cui è presente una fuseruola, un oggetto utilizzato per filare i tessuti, ma anche decine di vasi, anfore e bicchieri.

Vulci tomba vasellame

Fonte: Carlo Casi

Anfore e vasi rinvenuti nella tomba appartenente a una donna

Tra i reperti rinvenuti, spicca un braciere in bronzo che conserva ancora i carboni e lo spiedo in ferro dove erano infilzate le carni arrostite di un pasto mai consumato. Gli archeologi sono al lavoro per recuperare gli oggetti contenuti nella tomba e inviarli in laboratorio, così da studiarli accuratamente e sottoporli al restauro. L’ambiente sepolcrale appena scoperto consentirà di aggiungere un altro tassello nello studio dei legami tra le famiglie sepolte nelle necropoli dell’antichissima città etrusca di Vulci.

“Puntare sulla ricerca quale elemento fondamentale della valorizzazione come il Parco Archeologico di Vulci sta facendo da qualche anno sta cominciando a dare i suoi frutti e anche la scoperta odierna ne è frutto è tangibile testimonianza”, ha raccontato a SiViaggia Carlo Casi, direttore scientifico del Parco archeologico di Vulci.  “È tutto dovuto alla stringente collaborazione tra la Soprintendenza, la Regione Lazio, il Comune di Montalto di Castro e la Fondazione Vulci”, spiega Casi.

Vulci tomba

Fonte: Carlo Casi

Il braciere in bronzo rinvenuto nella sepoltura

Un parco archeologico che regala scoperte sorprendenti

Il parco archeologico più grande dell’Etruria meridionale non finisce mai di sorprendere. Questa è, infatti, solo l’ultima delle scoperte che ha regalato Vulci. Dal 1° luglio dello scorso anno, data d’inizio della nuova campagna di scavi a Poggio delle Urne, sono state riportate alla luce ben 88 tombe a pozzetto e un’urna cineraria a capanna risalente al IX secolo a.C. Nell’ottobre del 2022, è avvenuta una scoperta record: sono emersi degli scheletri ben conservati risalenti a circa 2.900 anni fa. Rappresentano qualcosa di davvero unico, secondo gli esperti.

Nel 2021, gli scavi hanno portato alla luce tre urne funerarie della prima Età del Ferro, come vi abbiamo raccontato qui. Le tombe, rinvenute in una zona isolata del parco, su una collinetta del versante Est della necropoli di Poggetto Mengarelli, risultavano perfettamente conservate.

Un’altra scoperta sensazionale risale al 2020, nella necropoli di Poggetto Mengarelli, dove è stata rinvenuta la tomba di un bambino appartenente a una famiglia aristocratica di origine etrusca risalente a 2.700 anni fa. All’interno del sarcofago è emerso un ricco corredo funerario. Il pezzo di maggiore rilievo è un’anfora di argilla con motivi geometrici che ha delle decorazioni soprelevate nella parte alta a forma di piccole brocche. “Una decorazione rarissima, di cui esistono pochissimi pezzi simili, uno dei quali è conservato al Louvre di Parigi”, ha commentato Carlo Casi, intervistato da SiViaggia.

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I segreti della piramide di Djoser, la più antica d’Egitto

La piramide di Djoser, o piramide ‘a gradoni‘ di Saqqara, è la più antica d’Egitto. Si trova a una trentina chilometri a Sud del Cairo e una ventina dalle piramidi di Giza. La piramide del faraone Djoser è la prima struttura di cemento completa esistente al mondo. Costruita dall’architetto Imhotep, uno dei più importanti d’Egitto nonché il primo architetto della storia, sepolto nella piramide insieme al faraone Djoser, conta ben 4700 anni.

Per 90 anni è stata chiusa, ma dopo un lungo restauro, iniziato nel 2006, interrotto nel 2011 e ripreso due anni dopo, è stata riaperta solo nel 2020. I restauri hanno riguardato la facciata esterna, le scalinate dei due ingressi, i corridoi interni che portano alla camera funeraria e il sarcofago in pietra. Oggi la piramide di Djoser si può visitare.

La scoperta più importante d’Egitto

A scoprirla fu nel 1818 lo svizzero Heinrich Menu von Minutoli, ma fu un italiano, l’egittologo Girolamo Segato tre anni dopo a entrare per la prima volta nella piramide e a raggiungere la camera sepolcrale, dove trovò un sarcofago di granito rosso vuoto. La tomba, infatti, era già stata violata. Gli unici ritrovamenti furono un pezzo di mummia, una maschera funeraria, un paio di sandali dorati, frammenti di vasi e un contenitore con sigilli originali con del liquido denso ed oleoso. Tutti i reperti, però, andarono persi quando la nave che li trasportava affondò nel Mare del Nord. Solo nel XX secolo si realizzò l’esplorazione della piramide e la ricostruzione di parte del complesso funerario di Djoser.

La piramide e la necropoli di Saqqara

L’altezza della piramide supera i 60 metri (in origine era molto più alta) ed è larga oltre cento metri, ma tutta la necropoli si estende su una superficie di circa 15 ettari, che comprende anche 211 bastioni e 14 false porte. L’ingresso vero e proprio è solo uno ed è situato vicino all’angolo di Sud-Est che garantisce l’accesso al corridoio dove inizia il colonnato. Originariamente era rivestito da blocchi calcarei di Tura.

Intorno alla piramide si trova una grande corte circondata da strutture cerimoniali e da strutture decorative. La piramide si innalza in sei mastabe (tombe a base rettangolare) decrescenti. Le mastabe, costruite l’una sull’altra, mostrano come il progetto sia stato modificato in itinere.

La piramide di Djoser è la principale attrazione della necropoli di Saqqara che ospita molti complessi funerari di varie dinastie. Tra le principali, le Tombe Arcaiche della I dinastia, il sepolcro dei tori Apis, la tomba del faraone Horemheb della XVIII dinastia e i complessi dei re Pepi I, Pepi II, della VI dinastia, e Ibi dell’VIII dinastia.

Saqqara viene da alcuni ritenuta anche più significativa rispetto alla necropoli di Giza dal punto di vista archeologico. Questo enorme sito, infatti, ospita le tombe di epoca di poco antecedente all’antico Regno fino a quelle del periodo greco.

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Populonia, meraviglia toscana, è il miglior sito archeologico d’Italia

È stato eletto miglior sito archeologico d’Italia, battendo luoghi anche più famosi, in occasione della prima edizione del premio GIST ACTA, Archeological & Cultural Tourism Award assegnato a Firenze durante “TourismA”, l’annuale salone dell’archeologia e del turismo culturale che si svolge a Firenze, patrocinato dal ministero della Cultura.

A vincere il prestigioso riconoscimento è stato inaspettatamente il Parco Archeologico di Baratti e Populonia, in Toscana, l’antica città etrusca affacciata sul mare. Il sito comprende l’area dove sorgeva la città etrusca e romana di Populonia, nota fin dall’antichità per l’intensa attività metallurgica legata alla produzione del ferro. Un luogo di grande fascino, immerso in un paesaggio naturale unico, con le sepolture dei princìpi guerrieri affacciate sul golfo, la macchia mediterranea che nasconde tombe etrusche scavate nella roccia, fino a giungere sull’acropoli, con i suoi edifici sacri affacciati sulle isole dell’Arcipelago Toscano.

Populonia, il più bel sito archeologico d’Italia

Antichissima città etrusca, Populonia si erge sulla punta Nord del promontorio di Piombino, con una bellissima vista mare. Circondata dalla natura, questa località era una dei 12 centri della Dodecapoli, città-Stato che facevano parte dell’Etruria, l’unica a sorgere sulla linea di costa. Ancora oggi racchiude moltissimi tesori, anche di diverse epoche.

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Fonte: 123rf

Una tomba etrusca a Populonia

A iniziare dalla Rocca, situata in cima alla collina. Sorta sull’acropoli dell’antica “Pupluna” e poi edificata nella prima metà del XV secolo, la fortezza s’impone tra le viuzze strette e lastricate del centro storico, dove oggi si alternano antiche botteghe, bar e negozietti.

Qui il tempo sembra essersi fermato in un’epoca passata e, ancora oggi, si possono ammirare i resti della città antica, tra mura etrusche, antichi edifici d’epoca romana e medievale, tra cui la torretta che regala, una volta raggiunta, una splendida vista a 360 gradi.

Castello di Populonia

Fonte: iStock

Il Castello di Populonia

Il panorama da qui è davvero meraviglioso e riporta anche al Golfo di Baratti, che si apre all’estremità Sud-orientale del Mar Ligure. Qui c’è una spiaggia libera, preceduta dalle pinete, ma anche moltissime testimonianze etrusche che si estendono tra il Parco Archeologico di Baratti e Populonia, in cui si possono ritrovare i resti dell’antica città. Diviso tra parte alta e bassa, il parco mostra due necropoli di fase etrusca, le cave e gli antichi quartieri industriali dove si lavorava per produrre il ferro, oltre a templi, edifici, capanne e mosaici ricavati lungo le mura e risalenti alla fase romana.

Alla scoperta del Parco Archeologico di Baratti e Populonia

Non solo storia e archeologia. In questa zona si possono percorrere sentieri o fare trekking, magari seguendo le antiche mura, all’interno del parco, oppure salendo lungo il sentiero boscoso di via delle Cave fino al Belvedere, per ammirare dall’alto la baia di Baratti. Per gli amanti dell’aria aperta e dello sport non ci sarà proprio da annoiarsi: diversi sono gli itinerari per scoprire questi bellissimi luoghi, seguendo le strade rivestite di roccia, attraversando i boschi o, ancora, attraversando la macchia mediterranea.

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Fonte: 123rf

Il sito archeologico di Populonia in Toscana

Dalla città antica alle insenature, ci si può spingere anche verso i ruderi del monastero benedettino di San Quirico, complesso ecclesiastico situato alle pendici del Poggio Tondo. Per poi tornare giù, verso il mare e le spiagge rossastre, colorate così per via dei residui minerali legati all’estrazione del ferro in epoca etrusca. Godersi il panorama, seduti in riva al mare, con alle spalle la natura, sarà davvero fantastico, così come immergersi nei fondali cristallini del Golfo, certamente ancora ricchi di tesori.

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Fonte: iStock

Il Golfo di Baratti visto da Populonia
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È stata scoperta una sfinge che sorride

L’Egitto, terra di antiche testimonianze di una civiltà lontanissima da noi, continua a regalarci sorprese: nelle ultime settimane, gli archeologi hanno portato alla luce una struttura d’epoca romana che conteneva qualcosa di unico. All’interno di una vasca, infatti, è stata ritrovata una sfinge che sorride. Di che cosa si tratta?

La nuova scoperta in Egitto

Nei giorni scorsi si è parlato moltissimo del tunnel segreto individuato all’interno della Piramide di Cheope, una scoperta che potrebbe finalmente condurci verso la tanto cercata (e finora mai trovata) tomba del faraone. Ma questo non distoglie l’attenzione da altri siti archeologici, dove continuano ad emergere reperti davvero curiosi e interessanti. È il caso del recente ritrovamento avvenuto nei pressi di Dendera, un’antica città egiziana famosa per il suo tempio d’epoca greco-romana dedicato alla dea Hathor.

Proprio nell’area a est del tempio, una missione guidata dall’ex Ministro delle Antichità Egiziano Mamdouh El Damaty ha portato alla luce una struttura romana realizzata su due livelli, utilizzando pietra calcarea e malta. Le prime ipotesi sulla presenza di qualcosa ancora nascosto sotto terra erano state formulate all’inizio dell’anno, quando gli archeologi hanno effettuato delle scansioni radar e delle scansioni magnetiche nei pressi del tempio. Gli scavi hanno quindi permesso di scoprire di che cosa si trattava.

Se i resti della struttura hanno subito affascinato gli esperti, ad attirare l’attenzione è stata soprattutto la vasca trovata nel livello inferiore: doveva essere un bacino di stoccaggio dell’acqua, realizzato con mattoni rossi ricoperti di ardesia e dotato di una scala per accedervi più facilmente. Secondo le prime analisi, sarebbe risalente al periodo bizantino. La vera sorpresa, però, è un’altra. Durante le operazioni di pulizia, all’interno della vasca è riemersa una sfinge che sorride: è un reperto preziosissimo.

Trovata una sfinge che sorride

La statua, costruita in pietra calcarea, rappresenta una sfinge davvero particolare. I tratti del volto appartengono probabilmente a Claudio, il quarto imperatore romano che ha regnato fino al 54 d.C. A sorprendere maggiormente sono i dettagli: la sfinge è stata raffigurata con indosso il Nemes, ovvero il tipico copricapo egiziano indossato dai faraoni a simboleggiare il loro potere. Sulla fronte della statua, inoltre, spicca un Uraeus, una decorazione a forma di serpente, anch’essa simbolo di sovranità. La particolarità più affascinante? Il lieve sorriso che compare sul volto della sfinge.

La scoperta è stata minuziosamente descritta sui profili social del Ministero delle Antichità Egiziano: “L’ispezione preliminare del volto della sfinge suggerisce che quest’ultima rappresenti l’imperatore romano Claudio. La statua è davvero bella, il viso presenta elementi realistici raffigurati in modo molto preciso. L’imperatore è rappresentato con il sorriso e due fossette laterali“. Inoltre, sul volto sono state trovate tracce di colorante giallo e rosso, mentre al di sotto della statua è stato rinvenuto un dipinto romano con geroglifici.

Perché la sfinge è stata trovata sul fondo della vasca? Gli archeologi ipotizzano che la statua sia stata originariamente situata sull’edificio d’epoca romana, come omaggio al grande imperatore. In seguito, durante l’età cristiana, sarebbe poi stata gettata in acqua e ricoperta poi di terra, una volta che il bacino è caduto in disuso. Ora gli esperti continueranno a cercare nei dintorni della struttura, nella speranza di trovare nuove testimonianze risalenti allo stesso periodo.

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Bibione: dalla spiaggia emerge una villa di epoca romana

Sarà un 2023 speciale quello di Bibione, nota e apprezzata località veneta per le vacanze balneari, con lunga e ampia spiaggia di sabbia finissima accarezzata dalle limpide acque dell’Adriatico.

Città di nascita recente, con nemmeno settant’anni alle spalle, tempio del benessere termale, è pronta a diventare anche meta prediletta per gli appassionati di storia e archeologia: è custode, infatti, di una villa romana, testimonianza di un passato più antico di quanto si possa immaginare.

Al via le ricerche a Villa Mutteron dei Frati

Nelle prossime settimane, gli archeologi daranno inizio alle ricerche presso la villa romana di Bibione, Villa Mutteron dei Frati, unica nel suo genere grazie al perfetto stato di conservazione, con strutture fino a due metri di altezza rimaste inalterate dal tempo.

L’obiettivo è inoltre quello di organizzare, in data da destinarsi, un’apertura straordinaria per il pubblico.

Il sito archeologico è noto fin dal Settecento e la sua importanza è stata segnalata in più di un’occasione: a inizio Ottocento dall’avvocato concordiese Dario Bertolini e poi negli anni Trenta del Novecento dal latisanese Aulo Gellio Cassi che compì il primo scavo nell’area della villa.

Negli anni Novanta, conscia dell’eccezionale scoperta, la Soprintendenza Archeologica del Veneto mise in moto una campagna di scavi che portò alla luce alcuni ambienti della villa ricchi di decorazioni.

L’interesse per Villa Mutteron dei Frati è rimasto sempre vivo con il trascorrere degli anni ma l’assenza di risorse ha bloccato il proseguimento delle indagini: qualche anno fa, tuttavia, è stato intrapreso un nuovo dialogo che ha portato, oggi, all’avvio di una nuova entusiasmante stagione di scavi e ricerche.

Gli studi previsti per il 2023

Gli studi cominceranno innanzitutto nella pineta Valgrande dove verrà eseguita una campagna di prospezioni geofisiche su una superficie di 200 metri quadrati accanto ai resti della villa ancora in parte visibili ovvero strutture murarie con pavimenti a mosaico e affreschi sulle pareti.

In questo modo, si mira a ottenere una mappa di anomalie collegabili a eventuali strutture presenti nel sottosuolo così da individuare con precisione l’area oggetto degli scavi.

Dal 6 al 31 marzo 2023 si terrà lo scavo stratigrafico che interesserà un’area di almeno 60 metri quadri, indagata da un team internazionale composto da 20 archeologi tra responsabili e studenti delle università di Regensburg e Padova.

Le aspettative sono quelle di portare alla luce ambienti tuttora sconosciuti per integrare la pianta oggi nota della villa e anche di acquisire dati importanti relativi a una datazione più precisa del periodo in cui l’antico edificio venne costruito e abitato, alle dimensioni e decorazioni, ai possibili proprietari e alle attività economiche che si svolgevano al suo interno, magari in relazione con le risorse dell’ambiente circostante e i collegamenti via acqua e via terra.

Per delineare le caratteristiche del paesaggio di cui la villa era parte integrante, nell’arco di tutto il 2023 gli esperti eseguiranno carotaggi, analisi sedimentologiche, palinologiche e ricognizioni archeologiche in estensione nella Valgrande e nel territorio alla sue spalle, in un zona compresa tra il canale Nicesolo a ovest e il fiume Tagliamento a est.

L’obiettivo è recuperare e fornire un’immagine precisa dell’antico paesaggio da cui si possano ricavare le forme dei luoghi e il quadro economico, insediativo e strutturale dell’ambiente costiero di oltre duemila anni fa e mettere i risultati a disposizione del pubblico grazie a visite guidate del sito (già durante gli scavi) e a momenti d’incontro.

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Scoperta sensazionale in Egitto: dove conduce il passaggio segreto

L’Egitto è patria di splendide testimonianze archeologiche, monumenti incredibili che sono conosciuti in tutto il mondo – e che ogni anno attirano milioni di turisti. Ma alcuni di essi celano ancora dei segreti davvero suggestivi: è il caso del misterioso tunnel scoperto all’interno della Piramide di Cheope, che ha per lungo tempo ossessionato gli archeologi. Dopo anni di studi, finalmente sappiamo cosa c’è al suo interno.

Piramide di Cheope, il cunicolo segreto

Facciamo un passo indietro: la Piramide di Cheope è la più antica delle tre rinvenute all’interno della necropoli di Giza, uno dei più famosi siti archeologici d’Egitto. È un vero capolavoro d’ingegno, nonché l’unica delle sette meraviglie dell’antichità ancora in perfetto stato di conservazione. Costruita circa 4.500 anni fa, è stata a lungo studiata ed esplorata dagli scienziati, ma è ancora ricca di misteri tutti da scoprire. Come ad esempio il tunnel segreto che è stato rinvenuto al suo interno: dove conduce, e qual è la sua funzione?

La presenza del cunicolo è stata ipotizzata nel 2016, quando alcuni archeologi avevano individuato uno spazio vuoto dietro l’entrata principale della piramide. Per evitare di danneggiare questa immensa opera architettonica, gli studiosi hanno messo in piedi un progetto durato diversi anni. Dapprima hanno utilizzato la radiografia muonica, una tecnica non invasiva sviluppata presso l’Università di Nagoya, in Giappone, per poi spingersi attraverso il passaggio segreto con una specie di endoscopio, una minuscola telecamera introdotta attraverso una fessura di pochi millimetri. Così, finalmente dli scienziati hanno potuto esplorare questo tunnel.

Lungo circa 9 metri, con una larghezza pari a 2,10 metri e un’altezza di 2,3 metri, è un cunicolo non rifinito caratterizzato da monoliti che formano un soffitto spiovente. Secondo quanto affermato da Mostafa Waziri, direttore del Consiglio Supremo delle Antichità d’Egitto, è possibile che sia stato costruito per alleviare il peso della piramide sull’ingresso principale e ridistribuirlo su tutta la struttura. Ma ci sono ancora molte domande in attesa di una risposta. Potrebbero infatti esserci dei segreti ancora da scoprire, come una camera non ancora individuata che potrebbe trovarsi al di sotto del tunnel.

Il tunnel segreto all'interno della Piramide di Cheope

Fonte: ANSA Foto

Il tunnel segreto all’interno della Piramide di Cheope

Dove porta il passaggio segreto

Ci sono davvero altri misteri da svelare, attorno a questo cunicolo segreto? Secondo gli esperti, le sorprese potrebbero essere ancora molte. “Continueremo la nostra scansione, per capire cosa possiamo scoprire al di sotto del cunicolo o alla fine di esso” – ha dichiarato Waziri. Cosa si aspettano di trovare all’interno della Piramide di Cheope, in un luogo rimasto ben nascosto per migliaia di anni? Qualche dettaglio in più lo ha svelato l’archeologo egiziano Zahi Hawass, presente alla conferenza stampa con cui è stata annunciata la scoperta.

“Crediamo che qualcosa sia nascosto sotto il tunnel” – ha ammesso Hawass. E quel qualcosa potrebbe essere la camera in cui giace il sepolcro di Cheope, faraone della IV dinastia d’Egitto, che nonostante le lunghe ricerche non è mai stato ritrovato. Sarebbe dunque una scoperta epocale, addirittura la più importante del secolo. Ci vorranno però ancora molte indagini per poter capire se davvero c’è un’altra stanza segreta da individuare, e se al suo interno ci sono altri segreti meravigliosi da riportare alla luce.