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Il mercato di fiori galleggiante che sembra uscito da un sogno

Organizzare un viaggio ad Amsterdam è sempre una buona idea. Le cose da fare e da vedere qui sono tantissime, a partire dalla meravigliosa rete di canali sui quali si affacciano gli edifici simbolo dell’epoca d’oro della città. E poi ci sono gli scorci, che incantano e meravigliano, i musei radunati in un unico e grande quartiere che permette di osservare e contemplare i più grandi capolavori artistici.

C’è la bicicletta che è il simbolo della città intera, nonché il mezzo di trasporto preferito dai cittadini e dai viaggiatori per spostarsi da una parte all’altra di Amsterdam.

La capitale dei Paesi Bassi, questo è certo, non smette mai di sorprendere. E se è un viaggio qui che avete in mente di programmare, allora, non potete non inserire nel vostro itinerario di viaggio il Bloemenmarkt, il mercato di fiori della città. Non uno qualsiasi, intendiamoci, ma un mercato galleggiante che sembra un sogno.

Il mercato più bello d’Europa

Se c’è una cosa che i nostri viaggi ci hanno insegnato è che i mercati rappresentano in tutto e per tutto la parte più autentica di un territorio, l’anima della città e dei suoi abitanti. Ed è proprio un mercato che vogliamo raggiungere oggi, un luogo affascinante e incredibile che con gli anni è diventato una vera e propria attrazione turistica, nonché uno dei posti più celebrati in tutta Europa.

Stiamo parlando del Bloemenmarkt, il mercato dei fiori di Amsterdam, una tappa imperdibile per tutti i viaggiatori che giungono fino qui. Non vederlo è impossibile, basta lasciarsi guidare dall’odore inebriante dei fiori che conducono direttamente tra Muntplein e Koningsplein, nei pressi del canale Singel.

È qui che un tripudio di colori esplode davanti alla vista di chi guarda: ci sono i tulipani che riempiono i banchi, e che sono accompagnati da narcisi e da esemplari di ogni genere. Ci sono anche le piante e le composizioni floreali, così come non mancano i souvenir dedicati alla città.

Ma quello che stupisce per davvero, e che rende il Bloemenmarkt uno dei mercati più belli d’Europa, non è solo l’aspetto colorato e folcloristico, ma anche e soprattuto il fatto che questo è l’unico mercato di fiori galleggiante nel mondo.

Bloemenmarkt, il mercato dei fiori galleggiante

Fonte: iStock/momo11353

Bloemenmarkt, il mercato dei fiori galleggiante

Bloemenmarkt: il mercato galleggiante

Ci troviamo sul canale Singel, tra Muntplein e Koningsplein. È qui che nel 1862 è nato quello che oggi è considerato uno dei mercati più belli d’Europa.

Un tempo, proprio tra le acque del canale, i mercanti facevano una sosta dai viaggi, mettendo in mostra fiori colorati e rari su grandi chiatte per consentire ai cittadini di ammirarli. Questa tradizione del passato è stata conservata e perpetuata fino ai giorni nostri dando vita a un luogo incantato e affascinante che è diventata una vera e propria attrazione turistica.

Oggi il Bloemenmarkt ospita fioristi, negozi di giardinaggio e piccole boutique di souvenir che galleggiano su grandi zattere disposte in fila sul Singel. La sensazione, vista dall’esterno, è proprio quella di una strada variopinta e profumata che galleggia sulle acque e che rende magica l’atmosfera.

Un giro all’interno del mercato galleggiante di Amsterdam è una vera e propria esperienza sensoriale che evoca in maniera sorprendente le tradizioni del passato. Qui è possibile ammirare tantissimi fiori di diverse specie che fanno capolino tra i numerosi tulipani, che sono il simbolo della città. Non mancano composizioni floreali, semi, bulbi e fiori secchi che vengono sostituiti nel periodo di Natale con grandi e scintillanti alberi.

All’interno del Bloemenmarkt non mancano neanche i caratteristici prodotti di Amsterdam che possono essere acquistati come souvenir o come ricordo di un’esperienza incredibile.

Bloemenmarkt

Fonte: iStock/arkanto

Bloemenmarkt, Amsterdam
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In Francia esiste un albero straordinario: si donano vestiti per guarire

Viaggiare non vuol dire solo staccare la spina e organizzare una fuga dalla quotidianità, anche se non possiamo negare che farlo fa bene al corpo e alla mente, ma è molto altro. Vuol dire concedersi una possibilità per esplorare il mondo, per arricchire il bagaglio personale e per scoprire i popoli, le culture e i territori che ci circondano.

Ma vuol dire anche crescita, opportunità e coraggio, vuol dire riconoscere i propri limiti, affrontarli e superarli. Vuol dire aprirsi in maniera totale e assoluta a un’esperienza, a volte ignota, che ci permette di condurre un duplice viaggio, quello verso il mondo e quello dentro noi stessi. Ecco perché ogni partenza può trasformarsi in una terapia per l’anima.

E se è vero che ogni avventura, vicina o lontana che sia, ci insegna sempre qualcosa, è altrettanto vero che esistono luoghi incredibili che ci costringono a metterci a nudo. Che ci invitano ad andare oltre il visibile e a connetterci con lo spirito, prima che con il corpo. Hasnon è uno di questi, perché è qui che esiste un albero, situato ai margini della foresta, dove i pellegrini giungono per donare i loro abiti in cambio della guarigione.

Hasnon, l’albero della guarigione

Il nostro viaggio di oggi ci porta lontano dai sentieri più battuti dal turismo di massa, in un comune francese di appena 3000 abitanti situato nel dipartimento del Nord della regione dell’Alta Francia.

Hasnon è una piccola cittadina incorniciata da paludi, boschi e salici, dove la vita scorre a ritmo lento tra passeggiate tra i negozi, circa una ventina, sport e attività outdoor. Non ci sono molti turisti qui, se non quelli che giungono durante la stagione invernale, e nel periodo natalizio, per ammirare le luci e i presepi, per vivere la magica atmosfera dell’Avvento.

Non ci sono molti turisti, dicevamo, ma ci sono i pellegrini che arrivano ad Hasnon per raggiungere la foresta di Raismes Saint Amand Wallers. Non lo fanno solo per un’immersione totale nella natura, o per avvistare gli animali che popolano l’area, ma per raggiungere l’albero della guarigione.

Immerso nella natura, e avvolto in un mistico silenzio, questo albero situato nei pressi di una piccola cappella viene raggiunto ogni giorno da persone di ogni età, e provenienti da ogni parte del Paese. Si tratta di pellegrini che donano capi d’abbigliamento con la speranza di guarire una malattia o una ferita.

Albero della guarigione, Hasnon

Fonte: IPA

Albero della guarigione, Hasnon

Un viaggio dell’anima

Quello di Hasnon non è l’unico esempio di albero della guarigione. L’usanza di appendere capi d’abbigliamento e parti di questi sui rami affonda le sue origini in una tradizione celtica, tanto antica quanto affascinante che è ancora vivida in molte parti del mondo, come in Francia, in Irlanda, in Scozia e in Inghilterra.

Le persone che arrivano nei pressi dell’arbusto, che si trova quasi sempre vicino a una fonte o a un pozzo sacro, appendono abiti o parti di essi con l’intendo di donarli all’albero, invocando con una preghiera lo spirito del bene. Lo fanno con la speranza di ottenere una cura, di guarire da una malattia o una ferita, ma anche come buon auspicio per il futuro.

Così l’albero, immerso in un silenzio mistico e spirituale, si riempie di lembi di stoffa che svolazzano al vento e che conservano e preservano la speranza di viaggiatori e dei pellegrini provenienti da ogni parte del mondo.

Albero della guarigione, Hasnon

Fonte: IPA

Albero della guarigione, Hasnon
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La straordinaria scoperta avvenuta nella nostra Capitale

Che la nostra Capitale sia una delle città più belle del mondo è certamente risaputo, così come che al di sotto delle sue strade si nascondano tantissimi tesori ancora inesplorati. Ma ciò che sorprende particolarmente è che ogni volta che viene fatta una scoperta questa ha dell’incredibile, come nel caso del ritrovamento avvenuto pochi giorni fa.

Ritrovato il manto originale di 2300 anni fa dell’antica via Latina di Roma

In via di Campo Barbarico, presso l’area di Tor Fiscale a Roma sud, in una zona della città che fa parte dello straordinario Parco archeologico dell’Appia Antica, nelle ultime 3 settimane sono tornati alla luce tesori di inestimabile valore: oltre cinque metri lineari di antica via Latina risalenti a 2300 anni fa.

Una scoperta che ha dell’eccezionale perché, come dichiarato dall’archeologo Stefano Roascio e riportato dal Messaggero, l’antica via Latina è riaffiorata in un punto in cui nessuno se lo poteva aspettare. Fino a questo momento, infatti, si pensava che questa strada fosse coperta da via di Campo Barbarico, mentre in realtà grazie ai vari scavi si è compreso che è molto più spostata verso l’asse degli Acquedotti.

Ma non solo. I segni dei carri fanno ben comprendere che si tratta di un pezzo di strada originale, che però non è stata più solcata nei millenni successivi. Molto interessante è che si è potuto osservare anche una sorta di rattoppo, probabilmente tardo antico, utilizzato per colmare una buca lungo la strada.

Sul lato destro della via, inoltre, sono riemersi due metri di un antico marciapiede acciottolato che dimostrerebbero che un tempo questo era un sistema di viabilità significativo di via consolare.

Del resto, la via Latina è una delle strade più antiche. Fino ad ora si conoscevano i tratti certi delle tombe Latine e del parco degli Acquedotti, ma grazie a questi ultimi interventi diretti dal Parco archeologico dell’Appia Antica si sono aggiunti un tratto in prossimità della villa dei Sette Bassi e quest’ultimo del Campo Barbarico.

Le dichiarazioni degli addetti ai lavori

Aver riportato alla luce questo tratto di Via Latina consentirà agli studiosi di capire meglio il monumento del Mausoleo di Campo Barbarico e di connetterlo con il sistema antico della viabilità. Gli scavi diretti dal funzionario architetto Michele Reginaldi, eseguiti con la ditta Kleos di Davide Mancini, hanno fatto luce anche sull’identità del Mausoleo.

Le indagini all’interno di questo edificio hanno permesso di datare ad epoca Adrianea l’impianto, e di precisarne la pianta. Infatti, come spiegato da Roascio, questa è una struttura sepolcrale a rito misto con arcosoli per i loculi sul registro inferiore e nicchie su quello superiore per le urne cinerarie.

Il direttore del Parco archeologico dell’Appia Antica, Simone Quilici, ha invece fatto sapere al Messaggero che il dato più interessante è il perfetto stato di conservazione e anche la posizione a ridosso del Mausoleo. Una locazione che si rivelerà anche una grande occasione di riqualificazione basata sui valori archeologici di un ambito urbano caratterizzato da abusivismo storico. La settimana prossima è infatti previsto un incontro con il presidente del VII Municipio, Francesco Laddaga, per studiare insieme e dare il via al progetto di sistemazione dell’area.

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Il lago italiano che ha rubato i colori all’arcobaleno

Esiste un posto di incantevole bellezza, nel nostro Paese, incastonato tra i fitti boschi di abeti che si snodano alle pendici delle Dolomiti. Si tratta di un lago che incanta lo sguardo e riscalda il cuore perché ha rubato i colori all’arcobaleno.

È lo stesso specchio d’acqua che custodisce una leggenda tanto antica quanto affascinante, che oggi esattamente come ieri rende questo lago uno dei luoghi più magici del nostro stivale da vedere almeno una volta nella vita.

Il suo nome è Lago di Carezza, ed è uno scrigno prezioso che si estende ai piedi del massiccio del Latemar, lì dove i colori della natura che lo circondano si riflettono nell’acqua cristallina creando un gioco di luci e riflessi che lascia senza fiato.

Il Lago di Carezza

Esistono dei luoghi che sono così belli da non sembrare reali. Panorami plasmati dalle mani sapienti di Madre Natura che custodiscono la grande bellezza che appartiene al mondo che abitiamo. Il Lago di Carezza è uno di questi.

Situato nell’alta Val d’Ega, a un’altezza di 1534 metri, questo specchio d’acqua si snoda tra i fitti boschi che puntellano le pendici del Latemar. Il lago fa parte del comune di Nova Levante e si trova a circa 20 chilometri da Bolzano.

Esplorarlo è una vera e propria esperienza sensoriale, che travolge e sconvolge, che incanta e meraviglia. Non solo per lo scenario che lo circonda, che è un vero e proprio patrimonio naturalistico, ma anche per quei colori che brillano sotto la luce del sole e ricreano un paesaggio da fiaba, proprio lì dove è custodita tutta la magia delle Dolomiti.

Privo di immissari visibili, e alimentato dalle sorgenti sotterranee, questo specchio d’acqua viene chiamato nella lingua ladina Lec de Ergobando, che vuol dire lago arcobaleno, perché in effetti i suoi colori ricordano proprio le suggestive tinte che appaiono in cielo quando si verifica questo fenomeno atmosferico.

Il lago arcobaleno che nasconde una leggenda

Il Lago di Carezza è raggiungibile percorrendo un sentiero di circa 30 minuti che conduce proprio lì, sulle sponde di uno degli specchi d’acqua più belli d’Italia.

Magico in autunno, suggestivo in primavera, straordinario in estate e in inverno: visitare il lago è sempre un’ottima idea, in qualsiasi periodo dell’anno. Proprio con l’alternarsi delle stagioni, infatti, i suoi colori si modificano, diventano più intensi o delicati, e regalano ogni volta un paesaggio inedito e straordinario.

Non è un caso che sia stato ribattezzato Lec de Ergobando, perché i colori che tingono le sue acque sembrano proprio essere stati rubati a un arcobaleno. Tutto merito delle montagne circostanti che si riflettono nelle acque cristalline e che brillano sotto il sole, dando vita a un effetto ottico che ricorda l’arcobaleno.

I colori prismatici che hanno reso questo lago famoso in tutto il mondo, sono spiegati anche da una leggenda antica e suggestiva che viene tramandata da generazioni. Secondo la credenza popolare, infatti, un tempo il Lago di Carezza era abitato dalla bellissima ninfa Ondina che con il suo canto melodioso accompagnava il tragitto dei numerosi viandanti che giungevano fin qui. Si narra che un giorno, la sua voce, arrivò fino all’orecchio del mago Masarè che si innamorò perdutamente di lui.

Come dono d’amore, e con l’aiuto della strega Lanwerda, il mago costruì un arcobaleno scintillante dal Catinaccio al Latemar fingendosi un gioielliere per attirare l’attenzione della ninfa. Ma quando Ondina lo vide corse a nascondersi tra le acque e da quelle non uscì più. Disperato e addolorato dal rifiuto, Masarè distrusse l’arcobaleno e gettò i suoi frammenti nel lago.

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Halloween: puoi nuotare in una piscina a forma di croce nella tua suite

Ottobre è un mese molto stimolante per i viaggiatori di tutto il mondo, perché è questo il periodo durante il quale è possibile organizzare le avventure più incredibili e originali di sempre.

E non solo perché entriamo nel vivo dell’autunno, e ci prepariamo ad assistere agli incantati spettacoli firmati da Madre Natura, ma anche perché sta per arrivare la notte più attesa e temuta dell’anno, quella di Halloween.

Se volete festeggiare il 31 ottobre in maniera inedita e alternativa, senza però rinunciare al comfort e al lusso, allora, abbiamo l’alloggio che fa per voi. Si tratta di una suite intrigante e misteriosa, e anche un po’ spaventosa, con tanto di piscina a forma di croce che campeggia al centro della stanza. Pronti a entrare?

Aspettando Halloween

Gli amanti delle pellicole horror la chiamano La notte delle streghe, come omaggio al celebre film diretto da John Carpenter. E in effetti, il 31 ottobre, di streghe se ne vedono molte in giro e non sono sole, perché accompagnate da zombie, mostri e altri personaggi spaventosi mentre, tutto intorno, zucche intagliate di diverse dimensioni incorniciano un’atmosfera inquietante e al tempo stesso seducente.

È la notte di Halloween, e come tale merita di essere celebrata in grande stile. Gli Americani, in questo, sono bravissimi, ed è proprio da loro che abbiamo ereditato alcune delle tradizioni più celebri per festeggiare questa notte come gli eventi in maschera e il famoso rito del “Dolcetto o scherzetto”, perpetuato da grandi e bambini per trascorrere in maniera inedita questo giorno dedicato al terrore.

Ma c’è anche chi approfitta di Halloween per organizzare viaggi unici e straordinari destinati a far restare con il fiato sospeso. Le proposte sono tantissime e vanno dal dark tourism, che riguarda tutti quei luoghi storicamente associati a tragedie reali, ai parchi giochi sapientemente addobbati e destinati a grandi e bambini, passando anche per gli alloggi, che diventano elementi caratterizzanti per un’esperienza da brividi.

Ed è proprio in un alloggio che vogliamo portarvi oggi, una suite di un motel situato tra i colli novaresi che non assomiglia a nulla di tutto ciò che avete prenotato, e visto, fino a questo momento.

Suite Gotica dell’EGM Hotel

Fonte: Ufficio Stampa

Suite Gotica dell’EGM Hotel

Dormire in una suite gotica in un motel

Non c’è bisogno di volare dall’altra parte del mondo per vivere un’esperienza unica durante la notte di Halloween, basta solo prenotare l’alloggio giusto. E noi lo abbiamo trovato, proprio li tra Borgomanero e Novara.

Si tratta dell’Emotional Gran Motel, una struttura ricettiva che sorge a pochi chilometri dal casello autostradale e che, in occasione di questo Halloween, ha pensato bene di creare un’atmosfera misteriosa e seducente dedicata a tutti gli amanti del brivido.

All’interno della suite gotica, infatti, è possibile vivere un’esperienza incredibile. Tutto merito di un arredamento ricercato e suggestivo che gioca con materiali, forme e colori che stimolano i sensi di tutti gli amanti del genere horror.

La stanza, infatti, è arredata in stile gotico ed è caratterizzata da un grande letto in pelle rossa e una stanza del trono. Completa la suggestione la scelta dei colori, che alterna il nero al rosso e viceversa. Ma la vera star dell’alloggio è quella piscina a forma di croce che campeggia al centro della camera e che è illuminata di rosso. Chi vuole tuffarsi?

Suite Gotica dell’EGM Hotel

Fonte: Ufficio Stampa

Suite Gotica dell’EGM Hotel
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La straordinaria scoperta avvenuta in un Paese incredibile

Resti di templi perduti e strutture buddiste, iscrizioni e grotte inesplorate. Un vero tesoro archeologico se n’è stato sepolto per millenni tra antiche foreste, in un’area naturale protetta di una terra ricca di fascino e mistero, dimora di svariate specie selvatiche e ambita meta di jeep safari. Una scoperta straordinaria, che aggiunge un nuovo capitolo nella storia di un Paese che non smette mai di stupire.

La sensazionale scoperta nella Riserva della Tigre

Un team dell’Archaeological Survey of India (ASI) ha fatto una incredibile scoperta nell’area del Bandhavgarh National Park, situato nel distretto di Umaria nel Madhya Pradesh, nell’India centrale, e riconosciuto come Riserva della Tigre nel 1993. Stando a quanto dichiarato dall’ASI, l’esplorazione di circa 170 chilometri nell’aera centrale della riserva “è stata intrapresa per la prima volta dal 1938”.

Sono così venute alla luce 26 grotte antichissime, risalenti al II-V secolo d.C, coeve a quelle di Ajanta ad Aurangabad, patrimonio dell’umanità dell’UNESCO, e collegate alla setta buddista Mahayana. Oltre alle grotte, il team ha scoperto anche i resti di 26 templi, due monasteri (matha), due stupa (monumenti destinati a conservare sacre reliquie o a ricordare eventi memorabili della vita terrena del Buddha), 46 idoli e sculture, 26 frammenti e 19 corpi idrici.

I templi sono di epoca più recente, datati nel periodo Kalachuri (IX-XI secolo), mentre i corpi idrici risalgono al II-XV secolo d.C. Tra i reperti sono menzionati anche un frammento di pilastro buddista contenente un’incisione di uno stupa in miniatura, risalente al II-III secolo d.C., e 24 iscrizioni Brahmi del II-V secolo d.C. Su alcune di queste sono stati decifrati i nomi di luoghi come Kaushambi, Mathura, Pavata, Vejabharada e Sapatanaairikaa, mentre altre riportano i nomi di importanti sovrani come Maharaja Shri Bhimsena, Maharaja Pothasiri e Maharaja Bhattadeva.

Ciò che ha sorpreso di più gli archeologi, sono stati i nomi di antiche città situate nell’Uttar Pradesh (tra le tappe del Golden Triangle) , lontane da Bandhavgarh. Ciò potrebbe dimostrare l’esistenza di legami commerciali fra le diverse aree. Tra i ritrovamenti, ci sono anche monete appartenenti all’epoca Mughal e alla dinastia Sharqi del sultanato di Jaunpur, resti di porte, celle contenenti letti di pietra e giochi da tavolo.

Le polemiche intorno alla scoperta

Il ritrovamento avvenuto nell’area del Bandhavgarh National Park è stata oggetto di controversie. Un gruppo di ricercatori della Ashoka Univeristy avrebbe, infatti, condotto un’esplorazione archeologica nello stesso sito in quattro fasi, iniziando nel marzo 2021 e terminando nel giugno 2022, con un report pubblicato sulla rivista Current Science il 25 settembre, pochi giorni prima dell’annuncio dell’ASI.

I risultati, però, divergono da quelli dell’Archaeological Survey of India, soprattutto per quanto riguarda la datazione dei resti e la loro connotazione religiosa. Intanto, Shivakant Bajpai, soprintendente archeologo del circolo ASI di Jabalpur, ha dichiarato che dovrebbero esserci più di 100 grotte nell’area, che verranno alla luce durante le prossime fasi dell’esplorazione.

Bandhavgarh, tra reperti e tigri

Oltre a regalare scoperte uniche, il Bandhavgarh National Park offre una vera immersione nel verde lussureggiante delle regioni boschive, dimora naturale di diverse specie selvatiche. Il più famoso dei parchi nazionali indiani, si estende su una superficie di 105 chilometri quadrati e prende il nome dalla collina più importante della zona di Umaria.

Quest’area è ricca di una grande biodiversità e il luogo è famoso anche per la più alta densità di popolazione di tigri in India, oltre che per la presenza di altre specie che raramente si possono ammirare altrove, come i leopardi e l’orso bradipo. Un safari qui è un viaggio nella natura più selvaggia e nella storia più antica.

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Le splendide location di “Viola come il mare”

È una delle città più affascinanti d’Italia ed è stata scelta come set della fiction di Canale 5 “Viola come il mare”, che vede protagonisti l’ex Miss Italia Francesca Chillemi e Can Yaman, tratta dal romanzo “Conosci l’estate?” di Simona Tanzini.

Stiamo parlando della bella Sicilia, la più esotica delle regioni italiane. La serie Tv è ambientata soprattutto a Palermo, con alcune “fuitine” nella vicina Terrasini.

Viola Vitale (Francesca Chillemi) ha trent’anni, una bellezza prorompente e un superpotere: vede i sentimenti degli altri attraverso i colori. Si chiama sinestesia, è la sovrapposizione spontanea e incontrollata di più sensi, che nel caso di Viola, le permette di associare colori specifici alle emozioni delle persone. “Qui ogni cosa è più potente: l’arte, la natura, la storia”, dice Viola. “Ma la cosa più potente sono le emozioni delle persone e io le vedo attraverso i colori che mi trasmettono”.

Viola è venuta a Palermo per occuparsi di costume e società per Sicilia Web News (anche se il vero motivo è un altro), ma diventerà giornalista di cronaca nera, lavorando a stretto contatto con l’affascinante ispettore capo Francesco Demir (Can Yaman). Ogni puntata, un nuovo omicidio su cui indagheranno entrambi.

Una Palermo inedita

Viola scoprirà la vera anima di Palermo, una città caotica ma, proprio per questo, bellissima. Verrà travolta dai profumi delle zagare e dei mercati, dalle sfumature del mare e della terra e dalle passioni dei siciliani, che vivono tutto con più energia. Una Sicilia del tutto inedita, crocevia di culture diverse, che l’hanno plasmata dall’antichità fino a oggi e l’hanno resa un luogo privilegiato di incontro.

Nelle scene si riconosce il porto di Palermo, che si estende per diversi chilometri da via Francesco Crispi, inglobando le zone marinare dell’Arenella e dell’Acqua Santa.

Si vede la maestosa Cattedrale, inserita dall’Unesco nella lista dei Patrimoni dell’umanità l’origine arabo-normanna, insieme alle cattedrali di Cefalù e di Monreale.

Si riconoscono il Teatro Massimo, il più grande edificio teatrale lirico d’Italia nonché uno dei più grandi d’Europa e la Palazzina dei Quattro Pizzi, meglio conosciuta come Casa Florio (chi ha letto i romanzi di Stefania Auci sa bene il perché), che si trova nel quartiere Arenella, nell’area della ex Tonnara Florio. Costruita in stile neogotico, fu la residenza privata di Vincenzo Florio e della sua famiglia.

Le location siciliane

Alcune scene di “Viola come il mare” sono state girate fuori città. In particolare, lungo la spiaggia di Mondello, famosa per essere, da sempre, la spiaggia dei palermitani. Il centro abitato si affaccia sull’omonimo golfo, un’insenatura tondeggiante che si stende sino alla preziosissima Riserva Naturale di Parco Gallo.

La storia di Mondello affonda in un lontano passato, quando era ancora un piccolo borgo di pescatori in un territorio paludoso. Sul finire dell’800, le sue sorti sono completamente cambiate: un’importante opera di bonifica lo ha riqualificato e ben presto ha visto fiorire splendide ville in stile Liberty, molte delle quali sono ancora oggi in perfetto stato di conservazione e abbelliscono il lungomare.

Nella fiction si riconosce anche il lungomare di Terrasini, intitolato a Peppino Impastato, che s’affaccia sul Golfo di Castellammare, con la Torre Alba, detta anche Torre Fanara. La sua piazza è dominata dal Duomo, una delle chiese più grandi del territorio, ed è famosa per il museo del carretto siciliano, ma soprattutto per le sue splendide spiagge. La sua costa, che si estende dalla spiaggia della Ciucca fino a quella di San Cataldo, è fatta di splendide calette e di dirupi a picco sul mare. Set naturali perfetti per la Tv.

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La città d’oro perduta premiata come scoperta dell’anno

Va alla scoperta della “città d’oro fondata da Amenhotep III, riaffiorata dal deserto in Egitto” l’ottava edizione dell’International Archaeological Discovery Award, il Premio intitolato a Khaled al-Asaad. Si tratta dell’unico riconoscimento a livello internazionale dedicato al mondo dell’archeologia e in particolare ai suoi protagonisti, gli archeologi, che con sacrificio, dedizione, competenza e ricerca scientifica affrontano quotidianamente il loro compito nella doppia veste di studiosi del passato e di professionisti al servizio del territorio.

Rimasta sotto la sabbia per migliaia di anni, “la più grande città mai trovata in Egitto” in buono stato di conservazione e con mura quasi complete, è stata riportata alla luce dal team di Zahi Hawass, alla ricerca in verità del tempio funerario di Tutankhamon.

La ‘città d’oro perduta’ è stata la scoperta più straordinaria del 2021

La ‘città d’oro perduta’, di cui vi abbiamo parlato qui, si trovava vicino al palazzo di Amenhotep III, dall’altra parte del Nilo rispetto a Tebe, oggi Luxor, dove è stato inaugurato anche il Viale delle Sfingi. Le iscrizioni geroglifiche indicano che la città era chiamata Tjehen-Aten, o Aton “abbagliante” e che fu fondata dal nonno di Tutankhamon, Amenhotep III.

In realtà non è una città esattamente ‘perduta’, visto che alcuni muri erano già stati scoperti negli anni ’30 dai francesi Robichon e Varille a 100 metri di distanza. Inoltre, finora non ha prodotto alcun reperto d’oro. Ma allora perché la chiamano così? La risposta ci arriva da Hawass. “La chiamo così perché fondata durante l’età d’oro d’Egitto”, ha spiegato l’archeologo ed egittologo egiziano, già Ministro delle Antichità e direttore della missione archeologica.

Gli ambienti conservano oggetti legati alla vita quotidiana: preziosi anelli, scarabei, vasi di ceramica colorata, mattoni di fango con i sigilli a cartiglio di Amenhotep III, oltre a iscrizioni geroglifiche su tappi di argilla dei vasi di vino, hanno contribuito a datare l’insediamento. È stata individuata anche una panetteria, una zona per cucinare e preparare il cibo, con forni e stoviglie di stoccaggio.

La seconda zona, ancora in gran parte sepolta, coincide con il quartiere amministrativo e residenziale, circoscritta da un muro a zig-zag. La terza area era, invece, predisposta per i laboratori: lungo un lato è la zona di produzione dei mattoni di fango usati per costruire templi e annessi, nell’altro un gran numero di stampi da fonderia per l’elaborazione di amuleti e delicati elementi decorativi. Due sepolture insolite di una mucca o di un toro sono state trovate all’interno di una delle stanze, cui si aggiunge la sepoltura di una persona con le braccia distese lungo i fianchi e i resti di una corda avvolta intorno alle ginocchia. A nord dell’insediamento è stato scoperto, infine, un grande cimitero con un gruppo di tombe scavate nella roccia di diverse dimensioni.

Le altre scoperte finaliste del 2022

L’Archaeological Discovery Award sarà consegnato a Zahi Hawass venerdì 28 ottobre, durante l’edizione 2022 della Borsa Mediterranea del Turismo Archeologico che si svolgerà a Paestum dal 27 al 30 ottobre. Quest’anno, lo “Special Award” per il maggior consenso sulla pagina Facebook della BMTA, è risultata la scoperta di “un santuario rupestre di oltre 11mila anni fa, il sito di Karahantepe in Turchia”. L’Università di Istanbul, con l’équipe guidata dal professore Necmi Karul, ha scoperto un ambiente sotterraneo di 23 metri di diametro e profondo 5.50, con ben conservata la scultura di una imponente testa dai tratti umani, affiorante dalla parete rocciosa che pare “guardare come da una finestra” una serie di undici alti pilastri scolpiti a forma di fallo. Un tempio sacro che affonda le radici nella preistoria, con numerosi artefatti in pietra lavorata e almeno 250 monoliti.

Tra le scoperte finaliste c’erano, inoltre, la stanza degli schiavi ritrovata nella villa di Civita Giuliana a Pompei, il più antico tempio buddista urbano della valle dello Swat, emerso a Barikot, e il mosaico con le scene dell’Iliade ritrovato in Inghilterra nella contea di Rutland.

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Come in una fiaba: il castello galleggiante sospeso tra cielo e acqua

Il mondo che abitiamo non smette mai di sorprenderci perché custodisce luoghi straordinari che sono così belli da non sembrare veri. Alcuni portano la firma indelebile di Madre Natura, altri sono creati dall’uomo, ma ciò che li accomuna è che sono reali e per questo ancora più incredibili.

Posti che per forme, dimensioni e lineamenti ricordano tutti quegli scenari che abbiamo visto solo tra le pagine dei libri della buonanotte, come quel castello solitario arroccato su un piccolo isolotto immerso in un lago in Lituania. Un edificio straordinario che sembra uscito da una fiaba e che oggi vogliamo scoprire insieme a voi.

Un castello da fiaba in Lituania

Ci troviamo in Lituania, in uno dei Paesi più sorprendenti del nostro continente, lì dove la storia e la cultura delle antiche città convive con un paesaggio naturale di immensa bellezza che lascia senza fiato.

Organizzare un viaggio qui è sempre un’ottima idea, soprattutto perché ci permette di scoprire un territorio sorprendente. Non solo per una visita alla splendida capitale, celebre per la città vecchia di origine medievale e l’architettura gotica e barocca, ma anche per un’esplorazione ai suoi territori circostanti che, vi anticipiamo, sono straordinari.

Bellissima, per esempio, è la cittadina di Trakai, situata a meno di 30 chilometri da Vilnius, e situata nell’omonima contea. È qui che si trova un castello incredibile, un edificio delle meraviglie che si spalanca davanti agli occhi dei viaggiatori.

Si tratta del castello di Trakai eretto sulle acque del lago Galve, lì dove ancora oggi galleggia e si rispecchia creando un’atmosfera surreale e bellissima.

Il castello di Trakai

Considerato uno dei castelli più belli d’Europa, quello di Trakai è situato in una posizione strategica che rende la sua vista ancora più affascinante. L’edificio, infatti, campeggia nel bel mezzo del Parco Nazionale della Lituania, un’area naturale che si estende per oltre 8000 metri e che è stata istituita nel 1992.

La caratteristica di questo parco sta proprio nella sua estensione e nel fatto che si snoda tra laghi, colline di origine glaciale e natura lussureggiante. Proprio qui sono conservati e valorizzati alcuni dei monumenti storici di tutto il Paese. Tra i più celebri c’è lui, il castello di Trakai che sorge su un’isolotto immerso nel lago e circondato da altri lembi di terra dove sorgono foreste e boschi.

Le tegole rosse dei tetti, incorniciate da alti torrioni e da una cinta muraria, si affacciano direttamente sulle acque placide e turchesi del lago creando un’atmosfera incantata che non conosce eguali.

Il castello di Trakai è l’unica fortezza di tutta l’Europa orientale costruita sulle acque. Le sue origini affondano nel 1300 quando, per volere del granduca Gediminas, venne creata qui la sua dimora. Fu suo figlio, poi, a voler fortificare l’edificio e a trasformarlo in quel castello che ancora oggi incanta e stupisce.

Con gli anni la struttura è stata ampliata, modificata e fortificata fino ad arrivare all’aspetto che oggi vediamo e che è stato preservato grazie a lavori di restauro conclusi  dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale.

Il castello, che è diventata una delle mete turistiche più amate di tutta la Lituania, è collegato alla terra ferma da un ponte che conduce direttamente all’interno della fortezza. L’edificio, che ospita diversi eventi e manifestazioni artistiche e musicali, può essere visitato da marzo a fine settembre.

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Il bosco italiano che “suona” e che ha rapito Stradivari

I boschi ci affascinano da sempre. Lo fanno perché popolano le fiabe che abbiamo letto e l’immaginario onirico di ognuno di noi, perché sono custodi di segreti antichi e mai svelati, di storie che si nascondono tra i rami degli alberi, in mezzo ai prati verdeggianti e tra i tappeti di foglie e ghiande.

Ed è proprio un segreto meraviglioso, suggestivo e affascinante, che vogliamo scoprire oggi. Quello che appartiene a un luogo immerso nel ventre delle Dolomiti, lì dove il celebre Stradivari ha lasciato il cuore. Sempre lì dove esiste il bosco che suona.

Bentornati in Val di Fiemme

Caratterizzate da creste, guglie e picchi, le cime delle Dolomiti incorniciano altopiani rocciosi e valli verdeggianti, creando atmosfere magiche e incantate. Organizzare un viaggio in questi luoghi è sempre una buona idea perché ci permette di vivere esperienze a stretto contatto con una natura autentica e incontaminata.

E oggi è proprio in uno di questi luoghi che vogliamo portarvi, una delle più celebri valli dolomitiche, nonché un paradiso naturalistico per tutti gli amanti delle attività outdoor. Ci troviamo in Val di Fiemme, lì dove è possibile vivere e respirare la natura circondati da vette che sono Patrimonio Mondiale dell’Unesco, sempre lì dove si snoda un bosco magico e incantato.

Per scoprire questo luogo straordinario dobbiamo recarci tra Predazzo e Valmaggiore, è qui che centinaia di abeti rossi svettano verso il cielo. Sono quelli che hanno incantato Antonio Stradivari, il più grande liutaio italiano di tutti i tempi, che proprio in questi esemplari ha trovato il materiale per la produzione di violi perfetti. Da quel momento, e ancora oggi, la natura e la musica sono diventata una cosa sola in Val di Fiemme, trovando nel Bosco che suona la massima rappresentazione di questa storia d’amore senza fine.

Il Bosco che suona

Le storie locali raccontano che Stradivari si aggirava spesso tra i boschi della Val di Fiemme, ma che uno più degli altri catturò la sua attenzione. Si trattava della Foresta di Paneveggio, caratterizzata da abeti rossi dai legni pregiati. Dopo di lui sono stati tantissimi i maestri liutai, come i membri delle famiglie Guarnieri e Amati, a tornare proprio in questi boschi e a perpetuare quella che è diventata una tradizione da celebrare e preservare.

Ancora oggi, infatti, gli abeti rossi della foresta di Panaveggio, che nel frattempo è stata ribattezzata Bosco che Suona, vengono selezionati per le loro qualità con una tradizione secolare e bellissima che vede la collaborazione tra i boscaioli e i musicisti.

Per celebrare questa storia d’amore infinita, tra la natura e la musica, ogni anno viene organizzato il celebre festival ad alta quota I Suoni delle Dolomiti. È proprio in questa occasione che si svolge anche il suggestivo Battesimo degli alberi: i musicisti provenienti da ogni parte del mondo vengono invitati a scegliere un abete, che porterà il loro nome, e per lui suonano un brano che sarà poi custodito dal bosco.

Visitare questo luogo è una vera e propria esperienza magica e suggestiva, arricchita dalla presenza di un’applicazione per smartphone., che prende il nome di Bosco che Suona, e che permette ai visitatori di scoprire il nome e il carattere degli abeti rossi, nonché di ascoltare i brani che i musicisti hanno dedicato agli alberi.