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Lago Scaffaiolo, specchio d’acqua ad alta quota

I piccoli laghi di montagna sono splendidi in qualsiasi stagione: imbiancati dalla neve in inverno o ricoperti di colori magnifici in estate, ci regalano un panorama da sogno che sembra uscire da una cartolina. Oggi scopriamo il lago Scaffaiolo, incantevole perla turchese d’alta quota, la meta ideale per fare trekking o semplicemente per regalarsi un picnic fuori porta. Scopriamo la sua bellezza.

Lago Scaffaiolo, dove si trova

Siamo nel cuore dell’alto Appennino Modenese, parte della catena montuosa Tosco-Emiliana: situato nell’entroterra dell’Emilia Romagna, in provincia di Modena, il piccolo Lago Scaffaiolo si trova ad oltre 1.700 metri di quota, al di sotto della vetta del monte Cupolino. Pare che il suo nome abbia radici longobarde, derivante dal termine “scaffa” che indicherebbe un avvallamento nel terreno. A differenza della maggior parte degli altri laghi appenninici, non è di origine glaciale: si è formato a causa di alcune alterazioni chimiche e fisiche, le quali hanno portato al disfacimento della roccia, in concomitanza con l’azione di neve e vento.

Il lago Scaffaiolo è alimentato da acque piovane e dallo scioglimento delle nevi sulle vette circostanti, ma anche da una falda che si trova al di sotto del monte Cupolino. Per molti secoli, tuttavia, l’origine delle acque del bacino fu un vero e proprio mistero, e ancora oggi è oggetto di discussione. È infine a poca distanza, in direzione nord ovest, che si può ammirare un altro piccolo laghetto chiamato Lago d’Acqua Marcia, quest’ultimo situato in un avvallamento di origine glaciale. Insomma, il paesaggio è davvero incredibile e ci regala un’ottima opportunità per passare una bella giornata fuori porta tra gli Appennini.

La bellezza del lago Scaffaiolo

Panorama del lago Scaffaiolo

Fonte: iStock

Il bellissimo lago Scaffaiolo

Il lago Scaffaiolo, che si trova praticamente al confine tra l’Emilia Romagna e la Toscana, è un luogo dalla bellezza unica: nonostante le sue dimensioni piuttosto ridotte – o forse proprio per queste – offre un panorama davvero affascinante. L’ambiente naturale in cui sorge è particolare, a partire dalla scarsa fauna che popola le sue acque. Nel lago, profondo dai 6 agli 8 metri, non ci sono infatti pesci, ma solamente tantissimi girini. Tutt’intorno, inoltre, spicca l’assenza di boschi rigogliosi: piuttosto, si possono vedere ampi pascoli erbosi e distese di mirtilli.

Il clima, in questa zona, è caratterizzato da repentine escursioni termiche e da forti venti, dovuti anche all’alta quota. Per questo motivo, il lago è spesso cinto da una fitta nebbia che rende il panorama misterioso e un po’ inquietante. In ogni stagione, poi, ha il suo lato ricco di fascino: in inverno, ad esempio, il bacino è quasi sempre coperto da ghiaccio e da neve. In primavera e in estate, il risveglio della natura lo arricchisce di splendidi colori. Mentre in autunno l’atmosfera diventa più tenebrosa, dominata da tinte drammatiche.

Lago Scaffaiolo, le sue leggende

Sapevate che anche Giovanni Boccaccio e il poeta Giosuè Carducci citarono il lago Scaffaiolo nelle loro opere? Ad attirare l’attenzione furono probabilmente alcune leggende legate a questo posto così suggestivo: si dice infatti che gettare un sasso nelle sue acque faccia immediatamente comparire una spessa nebbia, ma anche che al centro del lago vi sia un pericolosissimo gorgo invisibile, in grado di catturare gli incauti bagnanti e di farli precipitare sul fondo – dove si aprirebbe una lunga serie di cunicoli che condurrebbero nientemeno che al mare!

Cosa fare al lago Scaffaiolo

Il lago Scaffaiolo non è particolarmente difficile da raggiungere, ma bisogna percorrere uno dei numerosi sentieri che si dipanano nei dintorni per poter ammirare il suo bellissimo panorama. Se avete voglia di fare un po’ di trekking (anche se non troppo impegnativo), potete sceglierlo come meta per una gita fuori porta o per un picnic sulle sponde del bacino. Uno degli itinerari più facili è quello che parte dalla vicina Baita del Sole e che si inerpica tra i prati e le piste da sci – sì, qui si trovano alcune delle principali destinazioni invernali per gli amanti degli sport sulla neve.

Panorama del lago Scaffaiolo in inverno

Fonte: iStock

Il lago Scaffaiolo in inverno

Ancora più semplice e breve è il sentiero che parte dal Passo della Croce Arcana, dove si trova un comodo parcheggio, e che si dipana lungo la cresta della montagna, per circa 1h:15m di percorso. Se siete più esperti, dal lago Scaffaiolo potete partire per numerose escursioni d’alta quota. La vetta del monte Cupolino è a poco più di 1h di cammino, mentre il Corno alle Scale si trova a circa 2h di viaggio. Ci sono alternative proprio per tutte, da chi percorre decine di km senza stancarsi alle famiglie con bambini, che hanno bisogno di sentieri più facili.

In ottica ancora più ampia, che potrà interessare i veri appassionati di trekking, presso il lago passa il Sentiero Italia. Quest’ultimo è un affascinante cammino lungo quasi 8.000 km, che attraversa la dorsale appenninica e poi si addentra lungo le Alpi, dove incontra il Sentiero Europeo E1. Questo sistema di itinerari è uno dei più belli del nostro continente, che lo attraversa per tutta la sua lunghezza: parte da Capo Nord, in Norvegia, per arrivare a Capo Passero, in Sicilia. Insomma, questa zona è un vero paradiso per chi ama camminare.

Ma c’è molto di più: in inverno, ci sono diverse piste da sci che potrete esplorare, per dedicarvi agli sport sulla neve. Il panorama stesso del lago, completamente imbiancato, è qualcosa di sensazionale. Infine, sulle sponde del lago Scaffaiolo si trova il Rifugio Duca degli Abruzzi, probabilmente il più antico dell’Italia settentrionale. Inaugurato nel 1878, grazie al lavoro del CAI di Firenze e di quello di Bologna, venne poi ricostruito nel 1902 e dedicato al Principe Luigi di Savoia, Duca degli Abruzzi. Durante la guerra fu devastato, quindi nel 1926 – e in seguito nel 1965 – venne nuovamente ristrutturato.

Quello che potete ammirare oggi, tuttavia, è molto più moderno e risale al 2001. Il rifugio non è solamente un piccolo pezzetto di storia degli Appennini, ma anche il luogo ideale dove trovare ristoro dopo una lunga camminata. Potrete assaporare così alcuni tipici cibi di montagna, o soggiornare in una cornice da sogno, approfittando delle tante bellezze vicine per regalarvi una vacanza all’insegna della natura e del relax.

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L’itinerario di trekking che unisce Albania, Macedonia e Kosovo

Camminare lungo le creste di imponenti montagne sul confine tra tre Stati, immersi nella natura più selvaggia e incontaminata, ricca di vegetazione e di fauna locale, con panorami mozzafiato sul paesaggio circostante.

Questo viaggio meraviglioso è possibile se si percorre uno specifico sentiero, molto suggestivo, alla scoperta dei luoghi più spettacolari dei Balcani: si tratta dell’High Scardus Trail che si estende per circa 500 chilometri.

Albania, Macedonia e Kosovo sono i Paesi che vengono toccati da questo itinerario, suddivisibile in circa 20 tappe. Un viaggio a passo lento che rigenera la mente e pone gli amanti delle escursioni e delle vacanze all’aria aperta in connessione con l’essenza della natura.

Le tappe dell’High Scardus Trail

Si parte da Staro Selo, a un’ora d’auto da Skopje, la capitale della Macedonia del Nord. Dopo aver toccato in più punti anche Albania e Kosovo, il punto finale del percorso è fissato a Sveti Naum, sul Lago di Ohrid, sempre in Macedonia del Nord.

Percorribile nella sua interezza in circa 20 giorni, l’High Scardus Trail è un percorso suggestivo che attraversa ben 6 parchi nazionali, ricchi di flora e fauna locali tutti da ammirare: due in Macedonia del Nord, uno in Kosovo e tre in Albania.

Il sentiero di trekking ha inizio al Rifugio Ljuboten, nel piccolo villaggio di Staro Selo, sul confine delineato dalle montagne Sharr tra Kosovo e Macedonia.

Si prosegue verso la stazione sciistica di Brezovica e poi oltre, lungo sentieri che attraversano pianure e altipiani meravigliosi, fino alla cima del Monte Korab. È la vetta più alta della Macedonia del Nord e dell’Albania, con i suoi 2500 metri, e custodisce uno splendido parco naturale. Qui trova rifugio una varietà di animali incredibile, tra i quali anche i lupi e gli orsi bruni.

Il tragitto prosegue in Albania per circa 150 chilometri con un sentiero semplice. L’ultima parte del percorso attraversa il meraviglioso Parco Nazionale Galicica e giunge a Sveti Naum, un monastero affacciato sullo splendido lago di Ocrida (Ohrid), riconosciuto come patrimonio dell’UNESCO. La vista, da qui, è mozzafiato.

Monastero Sveti Naum sul Lago Ohrid, in Macedonia del Nord

Fonte: iStock

Monastero Sveti Naum sul Lago Ohrid, Macedonia del Nord

La storia legata al percorso che attraversa tre Stati

Lungo tutto il percorso dell’High Scardus Trail si possono incontrare le testimonianze della storia del XX secolo dei Balcani occidentali, con le guerre Jugoslave: bunker nucleari, strutture di guerra abbandonate, depositi di armi.

Durante i conflitti, le cime delle montagne su questo confine tra Albania, Macedonia e Kosovo erano ottimi punti strategici militari. E proprio durante la più recente guerra in Kosovo (1998-99), furono molte le mine terrestri che vennero diffuse sul confine. Ma a partire dal 2001, dopo un lungo lavoro di bonifica, il Kosovo è stato dichiarato libero da tali ordigni, divenendo un luogo perfetto per escursioni sicure immerse in panorami mozzafiato, dove la natura e la storia si intrecciano in un racconto suggestivo.

Informazioni utili per fare trekking lungo l’High Scardus Trail

Lungo tutto il tragitto, ben segnalato da cartelli in inglese, si possono trovare ostelli e rifugi nei quali pernottare e rifocillarsi per poi ripartire all’avventura. Sono ottime occasioni anche per conoscere le tradizioni locali e assaggiare i piatti tipici di diverse nazioni.

Non è necessario percorrerlo in tutta la sua interezza. Lungo il percorso si può decidere di uscire e abbandonare il sentiero per raggiungere le varie cittadine. Per questo la durata e la difficoltà della camminata è a discrezione dell’escursionista. È, inoltre, consigliato essere accompagnati da guide locali specializzate lungo questo percorso.

Vi state chiedendo qual è il periodo migliore per vivere questa speciale esperienza? Il periodo più adatto è quello che va dalla metà di giugno alla metà di ottobre, quando le temperature sono più confortevoli e i nevai invernali non bloccano il tragitto.

Le verdeggianti pendici del Monte Korab, tra Macedonia e Albania, lungo l'High Scardis Trail

Fonte: 123RF

Monte Korab, tra Macedonia e Albania

Altri percorsi sui confini

L’High Scardus Trail non è l’unico sentiero interessante che si trova in quest’area. Molto più estesa, ad esempio, è la Via Dinarica, che può essere percorsa sia a piedi che in bicicletta e che è lunga ben 1930 chilometri, andando a congiungere otto Paesi. Dalla Slovenia fino alla Macedonia, attraverso Croazia, Serbia, Bosnia – Erzegovina, Montenegro, Kosovo e Albania. Non è un unico percorso, ma si possono scegliere tre varianti in base alla proprie capacità.

Un altro sentiero, “Le vette dei Balcani”, invece, si estende per 192 chilometri e collega le zone montuose di Montenegro, Kosovo e Albania.

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Toscana: 5 piccoli borghi da scoprire all’ombra del monte Amiata

Con le temperature che si alzano, le giornate che si allungano e i fiori che sbocciano sui rami, la primavera è la stagione ideale per l’esplorazione di nuove mete.

Se vi piace spaziare con lo sguardo fra morbide colline coperte di ulivi e punteggiate dai vividi colori delle fioriture, con un campanile che si erge su ogni vetta a segnalare la presenza di un piccolo borgo in attesa di essere esplorato, il sud della Toscana potrebbe essere il luogo adatto a voi.

Nella zona del monte Amiata, gruppo montuoso di origine vulcanica che si erge nell’entroterra, potrete trovare tanti piccoli borghi immersi in un’atmosfera davvero senza tempo, dimenticati dai circuiti del turismo mainstream e come addormentati in un limbo sonnacchioso.

Il visitatore può entrarvi in punta dei piedi, da un punto di vista privilegiato, senza filtri.

L’Amiata, la cui vetta raggiunge i 1738 metri, domina un’ampia zona di territorio fra la Val d’Orcia, la Val di Paglia e la parte più interna della Maremma grossetana. Quest’ultima zona, punteggiata di piccoli borghi, nasconde panorami naturali favolosi, per via delle sua conformazione e di una mano dell’uomo che ha modellato elegantemente il territorio. Storie e arte si abbracciano nel cuore dei paesi oggi scarsamente popolati, ma il cui retaggio è evidente camminando per i loro vicoli secolari.

Fonte: Lorenzo Calamai

Le pendici del Monte Amiata viste da Montegiovi

Castel del Piano, bellezza immutabile

L’area del monte Amiata, vetusto vulcano ormai spento da più di duecentomila anni, è poco densamente abitata, formata perlopiù da piccoli centri disposti lungo le valli del monte.

Uno dei centri principali, punto di riferimento per tutti i servizi sia per gli abitanti delle vallate che per i turisti, è Castel del Piano.

Scriveva Enea Silvio Piccolomini, poi Papa Pio II, nella seconda metà del Quattrocento: “Ad occidente l’Amiata digrada fino alla Maremma e guarda Casteldelpiano (che è un paese situato alle radici del monte) e che per la bellezza del luogo, per la comodità della posizione e per l’amenità del paese, senza dubbio è il primo tra quanti sorgono su quel versante. È irrigato da fonti limpidissime e, fino a mezzo giro di mura, circondato da un fiumicello di acqua perenne. Quel nome gli fu dato perché sito su un ubertoso piano che si estende per circa un miglio, verdeggiante di alberi e ridente di prati e campi lavorati.”

Fonte: Lorenzo Calamai

Nel territorio di Castel del Piano si trova buona parte del massiccio del Monte Amiata

Parole ancora oggi autentiche, a testimonianza dell’immutabile bellezza che da questa cittadina si può ammirare.

Non è solo la bellezza del territorio circostante, però, a caratterizzare Castel del Piano: il centro storico raccolto tra le mura è, infatti, punteggiato di palazzi gentilizi ed edifici religiosi che spuntano dall’intricato reticolo di vicoli a nord di Corso Nasini, la via principale del centro che pullula di enoteche, ristoranti ed altri esercizi commerciali.

Montegiovi, una terrazza sull’Amiata

A poca distanza da Castel del Piano, e difatti sotto la giurisdizione municipale di quest’ultimo comune, ecco Montegiovi, un piccolissimo borgo arroccato sulla cima di un colle che domina le ondulate colline circostanti.

Fonte: ph. Zyance con licenza CC BY-SA 3.0

Il borgo di Montegiovi, nella sua posizione panoramica

Il panorama è la ragione principale per recarsi a Montegiovi. La strada termina in Piazza della Vittoria, un largo balcone con una spettacolare vista sulle pendici dell’Amiata.

Il borgo è piccolissimo, ma si possono riconoscere le antiche mura e la trecentesca chiesa di San Martino, che domina la parte centrale del paese.

Scorrendo con lo sguardo il panorama in direzione del Monte Amiata si possono indovinare i contorni dei corsi dei fiumi Ente e Vivo, due dei numerosi corsi d’acqua che sgorgano dalle pendici dell’antico vulcano.

Alla confluenza tra loro, danno vita a uno spettacolare susseguirsi di piscine naturali, riparate dall’ombra dei boschi, meta dei giovani del luogo durante le calde estati della Toscana meridionale

Rocchette di Fazio, vestigia di un passato nobile

Frazione del comune di Semproniano, Rocchette di Fazio è un tipico e scenografico borgo medievale, arroccato su una rupe calcarea, alle porte della Riserva naturale Bosco dei Rocconi, in cima alla quale svettano i ruderi dell’imponente Rocca aldobrandesca un tempo simbolo dell’abitato.

In epoca medievale centro di rilevanza militare e strategica, Rocchette di Fazio ha perso sempre di più d’importanza nel corso del tempo e oggi è una località sostanzialmente disabitata, ma ben tenuta da chi possiede appartamenti usati a fini turistici o come seconda casa.

Fonte: Lorenzo Calamai

Il borgo di Rocchette di Fazio, con le sue facciate in pietra

Il paese si snoda in pochi vicoli acciottolati, nella piazza principale si trova un ristorante con orari di apertura intermittenti e il silenzio avvolge le pietre della Rocca e della Pieve di Santa Cristina, i due edifici monumentali del borgo.

Intorno, fitti boschi si snodano in precipitosa discesa verso la sottostante valle dell’Albegna, il terzo fiume più lungo di Toscana. Un sentiero collega il paese alle cosiddette Strette dell’Albegna, un canyon scavato dal fiume in un tratto dove ampie pareti di roccia bianchissima lo circondano. Un luogo naturale magico e ideale per un picnic.

Santa Fiora, il centro turistico dell’Amiata

Uno de I Borghi più belli d’Italia, Santa Fiora ha buona fama e sorge a sud-ovest del Monte Amiata, a metà strada tra Castel del Piano e Roccalbegna.

Ha un delizioso centro storico di chiaro stampo medievale, fatto di vicoli e stradine pavimentate, archi e porte che ne muovono il panorama urbano e una composizione su più livelli, ovvero i terzieri di Castello, Borgo e Montecatino.

Il terziere del Castello è quello che coincide con il centro storico, dove visitare la Pieve delle sante Flora e Lucilla decorata delle opere dei Della Robbia, il palazzo Sforza e il suo Museo delle Miniere di Mercurio, eredità di un passato cruciale per la regione: nella non lontana Abbadia San Salvatore, tra i primi del Novecento e gli Anni Settanta, è stata aperta una delle più grandi miniere di mercurio al mondo.

Fonte: Lorenzo Calamai

Santa Fiora, terziere Castello

Perdersi a passeggio nelle antiche vie del borgo è una delle attività più attraenti del terziere principale.

Il terziere di Borgo si trova a sud del centro, leggermente più in basso rispetto alla sommità della collina su cui sorge la cittadina. Qui si trovava il ghetto ebraico di Santa Fiora, dal XVI al XVIII secolo. La piazza del Ghetto è una delle poche in città con un unico ingresso da cui si entra e si esce, ornata dalla Chiesa di Santa Chiara.

Infine, ancora più in basso ecco il terziere Montecatino con la grande Peschiera del XVI secolo, costruita attorno alle sorgenti del fiume Fiora per raccogliere e convogliarne le acque. L’adiacente Chiesa della Madonna della Neve ha un pavimento a vetrate che consente di vedere le acque del fiume sgorgare proprio sotto i propri piedi.

Roccalbegna, uscito da una fiaba

Percorrendo la statale 323 del monte Amiata in direzione sud non è subito facile realizzare la straordinarietà del luogo verso il quale ci si sta dirigendo, Roccalbegna.

Sarà solo una volta attraversata e lasciata la cittadina che, guardandosi indietro, si rimarrà a bocca aperta, osservando la rocca che sorge sulla vetta della rupe che domina, anzi incombe, sull’abitato: un borgo medievale che neanche il miglior autore avrebbe potuto immaginare.

Fonte: Lorenzo Calamai

Roccalbegna, la chiesa dei Santi Pietro e Paolo

Oltre ad una panoramica passeggiata per ammirare la vista dalla Rocca aldobrandesca che domina il paese dalla vetta della rupe, Roccalbegna merita una passeggiata per ammirare la Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, nella piazza centrale dove si affaccia la Torre Civica con il suo orologio. All’interno della Chiesa si trova una prestigiosa pala d’altare, che raffigura una Madonna col bambino, attribuita ad Ambrogio Lorenzetti (1340 ca.).

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Le location in Abruzzo del film “Un mondo a parte”

Un mondo a parte” è il nuovo film di Riccardo Milan con protagonisti Antonio Albanese e Virginia Raffaele. Si tratta di un lungometraggio che punta a farci ridere, e allo stesso tempo anche farci riflettere sull’importanza dell’impegno sociale. Le location in cui è stato girato sono tutte magnifiche, luoghi d’Italia, per la precisione d’Abruzzo, che nella loro autenticità sono in grado di lasciare senza fiato.

“Un mondo a parte”, la trama

Il film “Un mondo a parte” racconta di Michele Cortese (Antonio Albanese), un maestro delle elementari che sembrerebbe ritrovarsi di fronte una svolta della propria vita: dopo 40 anni di insegnamento nel caos di Roma, riesce a farsi assegnare una cattedra presso l’Istituto Cesidio Gentile, detto Jurico, che si trova immerso nel cuore del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.

Si tratta di una scuola composta da un’unica pluriclasse, con bambini dai 7 ai 10 anni, dove grazie all’aiuto della vicepreside Agnese (Virginia Raffaele) e degli alunni, riesce a superare il suo modo di fare metropolitano e diventare, quindi, uno di loro. Ma come in tutte le migliori storie c’è sempre un però: quando le cose sembrano andare veramente per il meglio, arriva la notizia peggiore, ovvero che la scuola sarà costretta a chiudere alla fine dell’anno scolastico, a causa della mancanza di iscrizioni. Inizia così una corsa contro il tempo, con lo scopo di evitarne la chiusura.

Dove è stato girato

Sono tante e tutte in Abruzzo le location dove è stato girato “Un mondo a parte”. C’è il borgo di Opi, per esempio, che nel 2009 è stato eletto uno dei “Borghi più Belli d’Italia” e nel 2016 Bandiera Arancione . Si tratta di un comune della provincia dell’Aquila che si trova appollaiato sulla cima di un promontorio roccioso, dominando l’incantevole vallata sottostante.

Dal fascino caratteristico dei paesi di montagna abruzzesi, vanta una struttura urbana che, se vista dall’alto, d’inverno pare una nave incastonata in una distesa di ghiaccio, mentre d’estate sembra un’isola che si fa spazio in una rigogliosa vegetazione.

Nella pellicola è possibile intravedere anche Pescasseroli, sempre in provincia dell’Aquila, che è considerato il centro principale del Parco Nazionale d’Abruzzo. Vanta un ricchissimo patrimonio storico, culturale e naturale, tanto da essere la meta ideale per fare diverse attività all’aria aperta.

Un’altra location scelta per girare “Un mondo a parte” è Villetta Barrea, che sorge nel cuore verde delle montagne della provincia dell’Aquila, e che si distingue da tante altre località non solo per la sua bellezza, ma anche perché è attraversata dal fiume Sangro che si addentra in una gola dai ripidi fianchi boscosi, fino a sfociare nel suggestivo Lago di Barrea, altro set del film.

Il Lago di Barrea è come un sogno che si avvera: qui è possibile trascorrere giornate in mezzo alla natura incontaminata, e d’estate c’è anche una piccola spiaggia per prendere il sole, noleggiare pedalò e fare un tuffo in acque fresche. Per i più sportivi esistono persino diversi percorsi da scoprire, sia pedonali che ciclabili.

Voliamo poi a Sperone, una frazione del comune di Gioia dei Marsi, nella provincia dell’Aquila, il cui centro storico fu quasi completamente distrutto dal sisma, per poi essere ricostruito delocalizzando le abitazioni poco più a valle.

Nel film compare anche Civitella Alfedena, che è un vero e proprio gioiello architettonico arroccato a 1123 metri d’altitudine nel cuore dei Monti Marsicani. Dalla storia antichissima, sfoggia un centro storico meraviglioso e ricco di edifici di pregio.

Gioia dei Marsi è invece considerata la porta d’ingresso del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise ed è pieno di siti d’interesse archeologico e chiese che vann ad arricchire questo spettacolare territorio.

Infine, compare anche la bellissima città dell’Aquila, dove le riprese si sono svolte sopratutto tra corso Vittorio Emanuele, piazza Duomo, all’interno di Palazzo Betti e presso gli uffici che ospitano il Comune.

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Colobraro, il borgo famoso per portare iella

Nel cuore della Basilicata, su una collina da cui domina un bellissimo panorama rurale, sorge un borgo che – almeno a prima vista – sembra davvero grazioso. Pare impossibile che qualcuno ne sia addirittura spaventato, ma leggenda vuole che il suo nome porti sfortuna. Tanto che gli abitanti dei paesi vicini lo chiamano “chille paise” (ovvero “quel paese” in dialetto lucano). Ma di che cosa stiamo parlando? Andiamo alla scoperta del borgo di Colobraro e della sua storia inquietante.

La storia di Colobraro

Il piccolo borgo di Colobraro si trova in Basilicata, e più precisamente nella provincia di Matera: è incastonato nel cuore dell’Appennino Lucano, arroccato su uno sperone roccioso lungo le pendici meridionali del Monte Calvario, a circa 600 metri di altitudine. È un luogo davvero splendido, dove la natura è ancora incontaminata. La sua storia affonda le radici in un lontano passato, quando il paese era ancora legato alla badia di Santa Maria di Cersosimo.

Nel XII secolo, dopo essere appartenuto al conte Bertaimo d’Andria, divenne di proprietà dei conti di Chiaromonte e, in seguito ai Sanseverino di Tricarico. Passando di mano in mano, il borgo di Colobraro continuò a prosperare. In seguito, con l’unità d’Italia, visse periodi difficili a causa del brigantaggio. Mentre in epoca fascista vi vennero confinati alcuni oppositori del regime e dei profughi ebrei. Ma sono alcune vicissitudini ben più recenti ad aver segnato per sempre il paese.

La bizzarra leggenda sul “borgo portasfortuna”

Colobraro è considerato un paese porta iella, tanto che in molti, da quelle parti, si rifiutano di chiamarlo con il suo nome. Come si sia arrivati a tanto è presto detto: pare che tutto sia accaduto negli anni ’40 del secolo scorso, quindi in epoca piuttosto vicina a noi. In quel periodo, venne tenuta una normale riunione di amministratori locali presso Matera. Biagio Virgilio, podestà di Colobraro, tenne un lungo discorso al termine del quale, così si narra, avrebbe detto qualcosa come: “Se non sto dicendo la verità, che possa cadere questo lampadario” – indicando verso l’alto.

Ebbene, leggenda vuole che il lampadario cadde davvero – non si sa se subito dopo le sue parole o nei giorni seguenti. Pare addirittura ci siano state delle vittime a causa dell’incidente. A nulla valsero le obiezioni di Virgilio, il quale si affrettò a smentire che un episodio del genere accadde davvero. La voce si sparse rapidamente, e nei paesi vicini si prese l’abitudine di non pronunciare più il nome di Colobraro, pensando che questo bastasse a portare sfortuna.

Ma non è finita qui: c’è infatti un altro aneddoto legato all’attuale superstizione che circonda Colobraro. Si dice che alcune donne del paese fossero esperte in arti magiche, delle moderne streghe. Tra di esse vi sarebbe anche Maddalena La Rocca, che venne considerata una “masciara” (ovvero una maga) per lungo tempo. In realtà, pare che si trattasse solamente di una contadina e tessitrice, tuttavia la sua notorietà non si è mai spenta. Altri eventi sfortunati avrebbero infine portato a pensare che Colobraro fosse davvero avvolto da una maledizione, ma nulla è mai stato documentato seriamente.

Colobraro

Fonte: Getty Images

Colobraro

Cosa vedere a Colobraro

Nonostante la brutta reputazione che il borgo si è fatto nel corso dell’ultimo secolo, da qualche anno a questa parte è diventato anche una sempre più frequentata meta turistica. Proprio il suo fascino da “portasfortuna” avrebbe iniziato ad attirare visitatori, i quali poi si sono innamorati di questo luogo incantevole. Insomma, un perfetto caso da manuale di come sfruttare un proprio lato negativo per trarne vantaggio. Ma cosa si può vedere di bello a Colobraro?

Abitato da poco più di mille anime, il paesino vanta un graziosissimo centro storico. Le sue strette viuzze si inerpicano verso la cima dello sperone su cui sorge, e lungo di esse si affacciano alcune architetture particolarmente affascinanti. È il caso, ad esempio, della Cappella di San Rocco o della vicina fontana di piazza Garibaldi. Di grande bellezza è poi la Chiesa Nuova di San Nicola di Bari, situata quasi nel punto più alto di Colobraro: da qui si gode di una vista pazzesca sulla Valle del Sinni.

Anche al suo interno, la chiesa è molto suggestiva. Realizzata negli anni ’70 del secolo scorso dall’architetto Nicola Pagliara, è stata costruita in pietra bianca di Trani e in blocchi di cemento. Nonostante la sua semplicità, è un vero gioiello che si inserisce perfettamente nel tessuto urbano locale, mescolando tradizione e modernità. Infine, salendo sulla vetta del paese, ecco le rovine di un antichissimo castello di origine medievale. Oltre ai preziosi resti, c’è da ammirare un panorama spettacolare che ci permette di spingere lo sguardo sino al vicino paese di Valsinni.

Per immergersi completamente nell’atmosfera ancora ferma indietro nel tempo di questo bellissimo borgo, presso il Palazzo delle Esposizioni si può visitare il Museo della Civiltà Contadina. È il luogo ideale dove respirare le antiche tradizioni rurali di Colobraro, osservando abiti, oggetti e attrezzi da lavoro che venivano utilizzati in passato. Vi sono anche la ricostruzione di un’aula scolastica e di una casa contadina e una mostra fotografica realizzata dall’antropologo Ernesto De Martino, che approfondisce il legame tra queste terre e la leggendaria figura magica delle “masciare”.

I meravigliosi uliveti che cingono Colobraro ci raccontano un’altra storia: quella dell’antica arte olearia del paese. Per chi volesse approfondire questo aspetto, non resta che visitare il Museo dell’Olio, ospitato all’interno di una struttura che funge anche da azienda agricola e da ristorante. Vi è la possibilità di ammirare un antico frantoio dell’800 completamente restaurato, dove si trovano tutti i macchinari che un tempo servivano per produrre l’olio, tra cui delle splendide macine in pietra e un torchio a vite.

Infine, non resta che esplorare un po’ i dintorni di Colobraro, per fare un tuffo nella natura. Ci sono diversi sentieri che si abbarbicano tra gli Appennini Lucani, per gli amanti del trekking. Particolarmente suggestivo è poi il panorama del lago di Monte Cotugno, un bacino artificiale nato dalla costruzione di una grande diga di terra battuta. È il luogo perfetto per fare un pic nic o per rilassarsi un po’, ma anche per un giro in mountain bike o per fare birdwatching.

Lago di Monte Cotugno

Fonte: 123RF

Il lago di Monte Cotugno
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Ripartono le “Gite in treno” e i “Treni del mare” in Lombardia

Scoprire e riscoprire la Lombardia in treno, con itinerari che uniscono al viaggio esperienze uniche di visita, cultura, arte, divertimento e sport, più corse verso i laghi nei weekend e collegamenti diretti con le Riviere Liguri di Levante e Ponente. Dal 30 marzo ripartono le “Gite in treno” e i “Treni del mare”. Ecco le tappe di questa imperdibile iniziativa.

Le “Gite in treno” per la primavera/estate 2024

Con la primavera tornano le “Gite in treno” di Trenord, percorsi proposti per promuovere un turismo di prossimità in Lombardia, suddivisi in quattro cluster tematici: “laghi”, “divertimento e relax”, “trekking”, “città d’arte”. Sono compresi percorsi treno + battello sui grandi laghi lombardi – Como, Maggiore, Garda, Iseo – e pacchetti che uniscono al viaggio l’ingresso ai più grandi parchi divertimenti della regione, Gardaland e Movieland The Hollywood Park.

Gli sportivi e amanti delle escursioni possono usufruire di opzioni come il biglietto “Viandante sul lago”, che comprende il viaggio in treno fino a Lecco e la libera navigazione fra gli scali fino a Colico, consentendo di alternare tratti in battello a camminate fra i diversi borghi sul Lario, avventurandosi sul bellissimo percorso di trekking “Sentiero del Viandante”.

Dal weekend di Pasqua e Pasquetta, Trenord potenzia il servizio nei festivi sulle linee dirette verso i laghi. Saranno aggiunte due corse sulla linea Milano-Gallarate-Arona-Domodossola e due sulla linea Milano Cadorna-Laveno Mombello Lago, per aumentare i collegamenti fra il capoluogo lombardo e il Lago Maggiore. Due corse in più circoleranno, invece, sulla linea Milano Cadorna-Como Lago, per i turisti diretti sul Lario.

Questi potenziamenti si affiancano alle sette corse aggiuntive introdotte negli anni scorsi nei giorni festivi, sulla linea Milano-Brescia-Verona, che raggiunge il Lago di Garda, e che ora sono state inserite stabilmente nell’orario.

In treno per una gita fuori porta: le proposte più belle

Tra le proposte per delle splendide escursioni vicino a Milano e navigazione dei laghi della Lombardia c’è il Bellagio Tour, lungo quella che viene chiamata “la rotta delle ville sull’acqua”. Si potranno ammirare imponenti residenze storiche come Villa d’Este o Villa Carlotta, ma anche scorci naturali unici e piccoli borghi tipici, da un punto di vista insolito e privilegiato, quello del lago.

Chi punta al binomio divertimento e relax, può scegliere tra diverse offerte entusiasmanti, come quella che permette di raggiungere in treno la Funicolare Como-Brunate e visitare uno dei gioielli della Lombardia, un balcone con vista sulle Alpi. Ad appassionati di trekking, sportivi e pellegrini diretti alle tappe lombarde della Via Francisca del Lucomagno, l’antico cammino storico che collega il centro Europa alla Pianura Padana, e della Via Francigena, l’antica via che da Canterbury giunge a Roma, Trenord riserva invece uno sconto dedicato per raggiungere in treno i due itinerari. Non mancano i collegamenti con le città d’arte, per riscoprire, in maniera comoda e sostenibile, le bellezze dei centri della nostra regione, visitando mostre, musei e monumenti.

“Treni del mare” fra Lombardia e Liguria

Dal 30 marzo ripartono anche i ‘Treni del mare’, che torneranno a collegare Lombardia e Liguria ogni sabato e nei festivi. Le tratte speciali, da Milano e da città come Bergamo, Treviglio, Como, Monza, Seregno, Gallarate, Busto Arsizio, Legnano, Pavia e Voghera porteranno i passeggeri direttamente alle spiagge della Riviera di Levante e di Ponente.

L’offerta sarà di cinque coppie di treni al giorno, effettuate in collaborazione da Trenitalia e Trenord. Grazie a questa iniziativa, sarà ancora più facile raggiungere la splendida Baia di San Fruttuoso, un gioiello al centro del Parco naturale regionale di Portofino e dell’Area Marina Protetta.

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Fonte: BookMe-Cab

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Fonte: BookMe-Cab

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Castelmezzano, l’antico borgo templare

E’ uno dei borghi più belli d’Italia e non è difficile intuirne i motivi. Basta uno sguardo dall’alto, per questo paesino in provincia di Potenza, immerso in una cornice di eterea bellezza, abbarbicato tra le alte guglie delle Dolomiti Lucane.

Si tratta di Castelmezzano, poco distante dal Parco Naturale di Gallipoli Cognato – Piccole Dolomiti Lucane, in una posizione così suggestiva da assomigliare, soprattutto durante l’inverno, a un favoloso presepe.

Castelmezzano, la storia del borgo templare

Le sue origini sono comprese tra il VI ed il V secolo a.C., quando alcuni coloni greci penetrarono nella valle del Basento e fondarono il centro abitato di Maudoro, ossia ‘mondo d’oro’. Nel X secolo d.C., le invasioni saracene costrinsero la popolazione locale a fuggire e a cercare riparo tra le vette delle montagne degli arabi che stavano invadendo la zona.

Dopo l’occupazione longobarda, vi si insediarono i Normanni tra il XI e il XIII secolo d.C. e vi costruirono un castello: questo fu un periodo di pace e di sviluppo, ma con gli Angioini conobbe un forte declino. Poi gli Aragonesi, tra il XIV e il XVI secolo, quando le condizioni economiche e sociali rimasero perlopiù invariate. Nel XIX secolo, Castelmezzano fu toccata dal fenomeno del brigantaggio, che contribuì non poco alla scelta di molte famiglie a trasferirsi oltreoceano.

Oggi la storia secolare di questo borgo è ancora presente, seppur sciupata dalla polvere del tempo, che contribuisce ad arricchire il luogo di magia e di suggestione. La città, che era magione templare, presenta diverse testimonianze distribuite in tutto il paese, a partire dallo stemma. Questo rappresenta inequivocabilmente lo stemma dei Templari, in quanto raffigura due cavalieri su un unico cavallo. Un simbolo che riassume, in una sola immagine povertà, carità e la dualità spirituale, bianco e nero, bene e il male.

Del castello sono ancora visibili una parte del muro di cinta, resti di mura rialzati sulla roccia, una cisterna per la raccolta delle acque meteoritiche e la lunga e ripida scalinata scavata nella roccia, che oggi appare decisamente consumata e logora, ma non per questo meno affascinante. Questa porta a un probabile posto di vedetta, da cui era possibile sorvegliare la vallata del fiume Basento. O, forse, è una scorciatoia per il Paradiso.

Le tappe da non perdere

Come accennato, la millenaria storia di Castelmezzano risuona ancora oggi tra le ripide scalinate e gli antichi vicoli del borgo templare dove le abitazioni sono inserite direttamente nella roccia e si svela nelle tappe che non si possono perdere, a partire dalla Chiesa Madre di Santa Maria dell’Olmo, che svetta nella centrale Piazza Caiazzo e che affascina al primo sguardo con l’imponente facciata in stile romanico.
Al suo interno, conserva la tela della Sacra Famiglia a opera del pittore lucano Giovanni De Gregorio (conosciuto come il Pietrafesa), una statua lignea della Madonna e un affresco raffigurante San Rocco, patrono di Castelmezzano.

Altrettanto degna di nota è la Chiesa del Santo Sepolcro, tra le più antiche del paese, di origine bizantina, custode della statua lignea della Madonna dell’Ascensione risalente al XIV secolo che, leggenda vuole, sia stata rinvenuta in mare da due pescatori cui Maria stessa avrebbe chiesto di essere portata proprio a Castelmezzano.

Da vedere anche, oltre al già citato castello del XI-XIII secolo d.C., svariati ed eleganti palazzi nobiliari nonché le cappelle di San Marco, di Santa Maria, della Madonna dell’Annunziata e di Santa Maria “Regina Coeli”, mentre da provare è l’adrenalinico “Volo dell’Angelo“, percorso mozzafiato sospeso a più di 800 metri di altezza che porta da Pietrapertosa a Castelmezzano.

Se ti è piaciuto il nostro racconto ascolta il podcast: Virgilio e Italia ti guideranno alla scoperta di questo borgo e degli altri 100 borghi del cuore scelti da SiViaggia.

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Il Cammino dei Setteponti, il percorso più bello della Toscana

Un percorso storico attraversa paesaggi di grande bellezza, punteggiati di vigneti e uliveti e di incredibili formazioni morfologiche. Si trova in Toscana ed è il Cammino dei Setteponti che parte da Pieve di Cascia, in provincia di Firenze, attraversa Reggello al Ponte, il bellissimo borgo di Castelfranco di Sopra, Montemarciano, San Giustino Valdarno e percorre 60 chilometri fino a Buriano di Castiglion Fibocchi, già in provincia di Arezzo.

L’itinerario del Cammino dei Setteponti

L’itinerario si sviluppa prevalentemente su strade secondarie asfaltate, che si possono percorrere anche in bicicletta. Il paesaggio che si attraversa è di un’incredibile bellezza, con colline caratterizzate da coltivazioni di vino e olio e formazioni rocciose uniche come le Balze del Valdarno.

La via dei Setteponti è una strada di origine etrusca che, nel Medioevo, conobbe una particolare fortuna non solo per i collegamenti tra Firenze e i dintorni, ma anche come itinerario per raggiungere Roma, per la possibilità che offriva di utilizzare, a partire da Arezzo, la via dell’Alpe di Serra, un’importante alternativa alla già ben nota Via Francigena.

Il nome Setteponti (o Sette Ponti) deriva dai numerosi passaggi sopra i torrenti che scendevano dal Pratomagno nel Valdarno. In realtà, i ponti erano molti di più, ma questo numero nel Medioevo aveva un forte significato religioso. Il numero sette, infatti, per molte culture rappresenta il numero perfetto, per la religione cristiana, che lo associa ai giorni della creazione, significa completezza.

I ponti erano di pietra a schiena d’asino, con una sola arcata, come il ponte romano di Loro Ciuffenna. Tuttavia, ce n’era uno che aveva sette arcate – lo attraversò anche da Leonardo da Vinci nei suoi viaggi da Firenze in Val di Chiana -, il Ponte a Buriano, che ancora oggi conserva inalterata la sua bellezza. Qualcuno sostiene che il nome Setteponti derivi proprio dalle sette arcate di questo ponte.

La strada è punteggiata da antiche pievi romaniche, borghi medievali e chiese millenarie, luoghi che sono stati fonte di ispirazione per artisti come Masaccio, Piero della Francesca e Leonardo stesso, che riprese le famose Balze per dipingere lo sfondo della Gioconda.

Le tappe del percorso

Prima tappa

Il punto di partenza del Cammino dei Setteponti è dalla pieve di Cascia di Reggello per raggiungere, dopo circa 15 km di cammino, Castelfranco di Sopra. Lungo il tragitto, si passa per un sentiero che conduce al ponte romanico di Pian di Scò e si risale per una vecchia strada romanica verso la pieve di Pian di Scò. Fino a Castelfranco, la strada è percorribile solo a piedi e conserva ancora un antico selciato di pietra.

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Fonte: 123RF

Il borgo di Loro Ciufenna in Valdarno

Seconda tappa

Da qui inizia il percorso più scenografico del cammino, quello che passa dalla Balze del Valdarno, delle formazioni fatte di sabbia, argilla e ghiaia stratificata che assumono i colori dell’ocra e che possono essere alte fino a un centinaio di metri. Modellate da aria e acqua nel corso dei secoli, formando uno scenario bizzarro e ricco di gole e canyon. Una sorta di “Monument Valley” italiana, insomma.

Il sentiero passa attraverso i boschi e risale verso il magnifico borgo di Pantravigne prima di giungere a Montemarciano, un altro bellissimo borgo medievale, e poi a quello di Loro Ciuffenna. Proseguendo, si arriva a Gropina, dove si trova una bella Pieve che è stata inserita tra i simboli del cammino, e la tappa si conclude dopo circa 30 km da Castelfranco a San Giustino Valdarno.

Terza tappa

L’ultima parte del cammino è lunga circa 17 km e fa tappa prima di tutto al Borro, un borgo medievale trasformato in un albergo diffuso da mille e una notte. Il percorso qui è molto bello fino a giungere al Ponte di Buriano con le sue sette arcate, uno dei gioielli più preziosi della strada dei Setteponti, situato nell’omonima Riserva naturale, un’area di circa 7 km lungo il letto dell’Arno che arriva fino alla diga della Penna, amata anche da Leonardo da Vinci che venne qui a studiare il territorio dell’Arno tra il 1502 e 1503 per bonificare la Val di Chiana. Il Genio fu colpito dal paesaggio delle Balze e le riprodusse in molti suoi dipinti.

Info utili sul Cammino dei Setteponti

Per percorrere interamente il cammino dei Setteponti ci vogliono circa tre giorni, con pernottamenti in tenda oppure nei paesi che s’incontrano lungo la strada, dove si trovano diversi agriturismi. Tuttavia, è anche possibile fare un breve percorso in giornata seguendo anche solo una delle tappe. Il cammino è adatto a tutti e non ci sono dislivelli particolarmente impegnativi. Il Cammino dei Setteponti è una vera cartolina.

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Fonte: Ufficio stampa

Il Borro, un borgo medievale trasformato in albergo diffuso
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luoghi misteriosi mete storiche Notizie Pompei Viaggi

Pompei: la scoperta che rivela i segreti dell’edilizia romana

Pompei è uno scrigno di tesori che sa riservare ancora tante sorprese. A confermarlo è l’ultimissima scoperta, che fa emergere nuovi dati sull’antica edilizia romana. Negli ambienti delle domus che lo scavo archeologico sta portando alla luce, sono riaffiorati importanti testimonianze di un cantiere che, secondo gli studiosi, sarebbe stato attivo fino al giorno dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., che iniziò intorno all’ora di pranzo e durò fino alla mattina del giorno successivo.

Pompei, nelle domus riaffiora un antico cantiere

Strumenti di lavoro, cumuli di calce, tegole e mattoni di tufo accatastati, sono solo alcuni dei materiali edili ritrovati dagli archeologi all’interno nell’area di scavo della Regio IX, insula 10, che sta attestando la presenza di un cantiere antico che interessava tutto l’isolato.

Restituisce numerose testimonianze dei lavori in corso la casa con il panificio di Rustio Vero, dove è stata già documentata, nei mesi scorsi, una natura morta con la raffigurazione di una focaccia e un calice di vino. L’atrio era parzialmente scoperto con materiali per la ristrutturazione accatastati a terra, mentre su un’anta del tablino (ambiente di ricevimento), decorato in IV stile pompeiano con un quadro mitologico con “Achille a Sciro”, si leggono numeri romani scritti a carboncino che con molta probabilità erano i conteggi del cantiere, facilmente cancellabili a differenza dei graffiti incisi nell’intonaco.

Sono state trovate tracce delle attività corso anche nell’ambiente che ospitava il larario, dove sono riaffiorate anfore riutilizzate per “spegnere” la calce impiegata nella stesura degli intonaci. E ancora, in diversi ambienti della casa sono stati scoperti strumenti di cantiere, dal peso di piombo per tirare su un muro perfettamente verticale (“a piombo”) alle zappe di ferro, usate per la preparazione della malta e per la lavorazione della calce.

Numerose testimonianze di un grande cantiere sono state riscontrate, infine, anche nella domus vicina, raggiungibile da una porta interna, e in una grande dimora alle spalle delle due abitazioni, per ora solo parzialmente indagata. Lo si evince dagli enormi cumuli di pietre da impiegare nella ricostruzione dei muri e dalle anfore, ceramiche e tegole raccolte per essere trasformate in cocciopesto.

Cosa svela l’ultima scoperta a Pompei

Nell’analisi dei materiali e delle tecniche costruttive, il Parco Archeologico di Pompei si è avvalso del supporto di un gruppo di esperti del Massachusetts Institute of Technology, negli Stati Uniti. Stando a quanto scrivono gli autori di un articolo pubblicato sull’E-Journal degli Scavi di Pompei, l’ipotesi portata avanti dal team è quella dello hot mixing, “ovvero la miscelazione a temperature elevate, dove la calce viva (e non la calce spenta) è premiscelata con pozzolana a secco e successivamente idratata e applicata nella costruzione dell’opus caementicium”. Questa ennesima scoperta, ci aiuta così a comprendere ancora di più quali erano le pratiche edilizie impiegate dagli antichi Romani.

“I dati che emergono sembrano puntare sull’utilizzo della calce viva nella fase di costruzione dei muri, una prassi già ipotizzata in passato e atta ad accelerare notevolmente i tempi di una nuova costruzione, ma anche di una ristrutturazione di edifici danneggiati, per esempio da un terremoto – spiega il Direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel – Questa sembra essere stata una situazione molto diffusa a Pompei, dove erano in corso lavori un po’ ovunque, per cui è probabile che dopo il grande terremoto del 62 d.C., diciassette anni prima dell’eruzione, ci fossero state altre scosse sismiche che colpirono la città prima del cataclisma del 79 d.C.”.