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Cammino delle Terre Mutate: tappe e consigli utili

Il Cammino delle Terre Mutate è molto più di un percorso escursionistico. È un viaggio nella memoria collettiva e nella resilienza delle comunità appenniniche, tra le ferite lasciate dai terremoti e la forza di chi ha scelto di restare. Si cammina in luoghi segnati dal sisma, ma anche profondamente vivi, dove il paesaggio, la cultura e le persone raccontano ogni giorno una storia di ricostruzione, dignità e speranza.

Il cammino collega Fabriano (Marche) a L’Aquila (Abruzzo), attraversando l’Appennino umbro-marchigiano e abruzzese, passando per borghi antichi, vallate silenziose, parchi naturali e città-simbolo come Norcia, Castelluccio, Amatrice. Sono circa 250 km suddivisi in 14 tappe, pensati per essere affrontati con zaino in spalla, passo costante e occhi aperti. È un cammino lineare, ben segnalato, che unisce l’anima dell’escursionismo con quella del pellegrinaggio civile.

Le tappe del Cammino delle Terre Mutate

Il Cammino delle Terre Mutate si snoda per oltre 250 chilometri attraverso quattro regioni – Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo – collegate da un filo comune: quello della rinascita dopo il sisma. Questo itinerario a piedi collega tra loro i territori colpiti dai terremoti del 2009 e del 2016, accompagnando il camminatore in un viaggio che è allo stesso tempo paesaggistico, umano e simbolico. Ogni tappa rappresenta un incontro con una comunità che ha scelto di restare, di ricostruire, di riscoprire il senso di appartenenza alla propria terra.

Il percorso è suddiviso in diverse giornate di cammino, ciascuna con una propria identità, fatta di borghi arroccati, vallate silenziose, sentieri tra boschi, campi coltivati e panorami che si aprono su alcune delle montagne più belle dell’Appennino centrale. Le tappe sono pensate per essere affrontate con passo regolare e senza fretta, lasciando spazio all’ascolto, all’osservazione e all’incontro. In questa sezione troverai la descrizione di ogni singola tappa: distanze, dislivelli, punti di interesse, caratteristiche del territorio e informazioni utili per orientarti lungo il cammino.

Tappa 1: Fabriano – Campodonico (17 km, 550 m D+, 5h)

Il cammino prende il via da Fabriano, città dal passato ricco di artigianato e manifattura, conosciuta in tutto il mondo per la produzione della carta. Dopo pochi chilometri, ci si lascia alle spalle la vita urbana e si comincia a camminare tra strade bianche, campi coltivati e profili collinari che si fanno via via più silenziosi.

Il dislivello è ben distribuito e non presenta grandi difficoltà, ma offre l’occasione per prendere familiarità con lo zaino e con il proprio passo. L’arrivo a Campodonico, una piccola frazione immersa nel verde e nel silenzio, è una ricompensa dolce e discreta: ci si sente già altrove, eppure si è appena all’inizio.

Tappa 2: Campodonico – Cerreto d’Esi (16 km, 300 m D+, 4h30m)

Questa è una tappa che invita a rallentare e a guardarsi intorno. Il sentiero prosegue attraverso paesaggi agricoli, filari ordinati e colline morbide, dove ogni svolta regala una nuova prospettiva sulla campagna marchigiana. Si cammina su un terreno facile e ben segnato, tra silenzi ampi e colori che cambiano con le stagioni.

Cerreto d’Esi, all’arrivo, accoglie con semplicità e con quella calma tipica dei paesi dove il cammino della vita segue ritmi più lenti.

Tappa 3: Cerreto d’Esi – Matelica (14 km, 250 m D+, 4h)

Una tappa breve e piacevole, ideale per lasciarsi cullare dal paesaggio e farsi sorprendere da ciò che sembra familiare. Il percorso si snoda tra sentieri pianeggianti, stradine di campagna e distese di grano che ondeggiano al vento, in un’atmosfera che sa di armonia.

Non ci sono salite impegnative né difficoltà tecniche, e proprio per questo la giornata si presta ad allungare lo sguardo, ad alzare la testa e a lasciarsi ispirare. Matelica si fa trovare pronta: una cittadina vivace, ricca di storia e cultura, che offre tutto il necessario per rigenerarsi. Un pomeriggio qui, tra un bicchiere di Verdicchio e una passeggiata nel centro, ha il potere di ricaricare corpo e pensieri.

Tappa 4: Matelica – Camerino (18 km, 600 m D+, 6h)

La giornata comincia con passo regolare, ma ben presto si avverte un cambio di tono: il dislivello cresce gradualmente e accompagna il camminatore in un paesaggio che si fa via via più ampio e silenzioso. Si sale tra campi coltivati, tratti boscosi e crinali aperti che offrono scorci ampi sull’Appennino umbro-marchigiano.

Il percorso è vario, ben segnalato, e nonostante la lunghezza si lascia affrontare con piacere. Camerino, città universitaria colpita duramente dal terremoto, si raggiunge dopo una lunga ma gratificante salita. L’arrivo è denso di significato: si entra in un luogo che porta ancora le cicatrici, ma anche la vitalità di una comunità che ha scelto di resistere con determinazione.

Tappa 5: Camerino – Fiastra (20 km, 650 m D+, 6h30m)

Questa è una delle tappe che segna l’ingresso nel cuore più verde e montano del cammino. Il paesaggio si alza, si restringe e poi si riapre, alternando boschi profondi, sentieri di mezza costa e lunghi silenzi, quelli che fanno bene all’anima. Il percorso è più esigente rispetto ai giorni precedenti, ma regala una sensazione di immersione totale nella natura, con lunghi tratti in cui si cammina senza incontrare nessuno.

Quando finalmente si scorge il lago di Fiastra, il contrasto tra acqua e montagna crea un effetto quasi cinematografico. L’arrivo sulle sue sponde è una vera pausa visiva e mentale, un momento per respirare profondamente e lasciarsi cullare dalla quiete.

Tappa 6: Fiastra – Ussita (16 km, 700 m D+, 5h30m)

Si parte costeggiando le acque del lago, con una luce che, nelle prime ore del mattino, trasforma ogni riflesso in poesia. Ma è una tappa che richiede attenzione: la salita si fa sentire, i sentieri si fanno più stretti, e alcuni tratti possono risultare faticosi, specie con il caldo o dopo piogge recenti.

Si entra sempre più dentro ai Monti Sibillini, tra panorami vasti e silenzi assoluti, dove il solo rumore è quello dei propri passi. L’arrivo a Ussita, uno dei luoghi simbolo del sisma del 2016, è carico di emozione: il borgo porta ancora addosso le ferite, ma anche una voglia di rinascere palpabile. Camminare fin qui non è solo turismo lento, è una forma di solidarietà concreta.

Tappa 7: Ussita – Castelluccio di Norcia (18 km, 850 m D+, 6h30m)

È una delle giornate più attese, e non delude. Il cammino si arrampica tra i versanti del monte Bove, regalando scorci spettacolari e tratti dove il cielo sembra più vicino. È una tappa fisicamente impegnativa, ma ogni metro guadagnato aggiunge un tassello alla bellezza che esplode poco prima dell’arrivo: l’altopiano di Castelluccio di Norcia, immenso, irreale, avvolto dal vento e dalla luce.

In primavera e inizio estate, la fioritura delle lenticchie trasforma il paesaggio in un mosaico vivente, ma anche nei mesi più quieti, l’altopiano conserva una magia che difficilmente si dimentica. Il borgo, ancora segnato dal sisma, accoglie con semplicità e dignità: si respira aria d’alta quota, ma anche un senso profondo di comunità.

Tappa 8: Castelluccio di Norcia – Norcia (18 km, 250 m D+, 5h)

Dopo l’intensità del giorno precedente, questa tappa offre un cambio di ritmo. Si lascia lentamente l’altopiano, camminando tra strade bianche e sentieri in discesa che seguono il profilo del Pian Grande, con la montagna alle spalle e la valle che si apre davanti. È una giornata da respirare a pieni polmoni, dove il paesaggio invita a rallentare e ad ascoltare.

Il fondo è facile, il passo si fa regolare. L’arrivo a Norcia, città natale di San Benedetto, segna un nuovo punto centrale nel cammino. La città, ancora in ricostruzione, trasmette una spiritualità silenziosa e una forza che non si ostenta, ma si sente. Vale la pena fermarsi qualche ora in più per visitarla, ascoltare, mangiare bene e riposare davvero.

Tappa 9: Norcia – Campi Alto (17 km, 400 m D+, 5h)

Si riparte da Norcia lasciandosi alle spalle le sue mura e la sua memoria, per risalire lungo una valle stretta, accompagnati dal suono dell’acqua e dal verde che si fa sempre più fitto. La tappa si svolge quasi interamente su sentieri sterrati e strade secondarie, tra boschi e piccoli nuclei abitati.

Il dislivello è dolce ma continuo, con tratti in salita che richiedono costanza, senza mai essere tecnici. Campi Alto è poco più di una manciata di case, un punto fermo nel silenzio dell’Appennino. Qui ci si sente lontani da tutto, e per molti è proprio questa la vera bellezza del cammino.

Tappa 10: Campi Alto – Monteleone di Spoleto (15 km, 450 m D+, 5h30m)

La decima tappa è una giornata piena, dal punto di vista paesaggistico ed emotivo. Si cammina lungo crinali morbidi, salite lente e discese tra pascoli e piccoli boschi, dove il tempo sembra scorrere con un altro ritmo. Il cammino attraversa territori ancora poco toccati dal turismo, dove la vita quotidiana si intreccia con il camminare lento.

Monteleone di Spoleto è uno dei borghi più belli dell’intero itinerario: la cinta muraria, le viuzze medievali e la vista sulla valle regalano un senso di quiete e protezione. È un buon posto per fermarsi, riflettere e fare il punto sul proprio viaggio.

Tappa 11: Monteleone di Spoleto – Leonessa (14 km, 300 m D+, 4h30m)

Una tappa tranquilla, che permette di respirare e lasciare sedimentare le emozioni dei giorni precedenti. Il percorso si sviluppa su saliscendi lievi, con lunghi tratti tra campi e radure che invitano alla contemplazione.

Il contesto cambia lentamente: dall’Umbria si passa al Lazio, e il paesaggio si fa più ampio, le montagne si allontanano un po’. Leonessa, con il suo bel centro storico, offre un’accoglienza calorosa, fatta di pietra viva e piazze tranquille. È una giornata in cui si ritrova la leggerezza, ma senza perdere profondità.

Tappa 12: Leonessa – Posta (19 km, 600 m D+, 6h)

Una tappa di media difficoltà, che alterna sentieri boscosi a lunghi tratti panoramici. Si cammina spesso in mezzo alla natura incontaminata, con dislivelli che si fanno sentire ma senza mai risultare eccessivi. Il fondo è buono, la segnaletica chiara, e il paesaggio invita a un cammino meditativo.

Posta, all’arrivo, è un piccolo centro agricolo che conserva un ritmo antico e una gentilezza autentica. È uno di quei luoghi dove il cammino ti regala la sensazione di essere semplicemente nel posto giusto, al momento giusto.

Tappa 13: Posta – Amatrice (16 km, 500 m D+, 5h)

Questa è una delle tappe simboliche dell’intero percorso, perché porta ad Amatrice, uno dei nomi più tristemente legati al sisma del 2016. Il tragitto attraversa ambienti rurali e collinari, con qualche salita ben distribuita e tratti che scorrono fluidi.

Ma più che il paesaggio, è la meta a fare la differenza: l’ingresso ad Amatrice è carico di emozione, e camminare tra ciò che resta e ciò che rinasce mette in moto pensieri che vanno oltre il cammino. Fermarsi qui non è solo utile: è necessario. Anche solo per mangiare un piatto di pasta, per ascoltare una storia, per esserci.

Tappa 14: Amatrice – L’Aquila (22 km , 700 m D+, 6h30m)

Ultima tappa, e come spesso accade, carica di significato e aspettativa. Si sale e si scende tra vallate silenziose, con la catena del Gran Sasso che inizia a dominare l’orizzonte, mentre l’altitudine si fa sentire. Il cammino è fisicamente impegnativo ma mai ostile, e il paesaggio accompagna con generosità.

L’arrivo a L’Aquila è un momento forte: si entra in una città che ha conosciuto il dolore e la rinascita, una capitale che sta lentamente tornando a splendere. Concludere qui il cammino non è solo simbolico, è profondamente giusto. È il punto d’arrivo di un percorso che attraversa ferite, speranze e comunità che continuano a camminare, ogni giorno.

La filosofia del Cammino delle Terre Mutate

Il Cammino delle Terre Mutate non è soltanto un itinerario escursionistico: è un’esperienza umana, civile e culturale. Nasce da un’idea di turismo lento e responsabile, che mette al centro non la performance sportiva, ma l’incontro con i territori e le comunità colpite dai terremoti del 2009 e del 2016. Camminare lungo queste tappe significa scegliere consapevolmente di dare voce e valore a luoghi fragili ma vivi, dove la ricostruzione è ancora in corso e dove ogni presenza, ogni passo, può rappresentare una forma concreta di vicinanza.

La filosofia del cammino è quella del ritorno alla relazione, con sé stessi e con gli altri. I ritmi sono lenti, adatti all’osservazione e all’ascolto. Si attraversano paesi che portano ancora i segni della distruzione – chiese chiuse, case transennate, cantieri aperti – ma che resistono grazie all’impegno delle persone che hanno scelto di restare o tornare, spesso con coraggio e inventiva. Molti camminatori raccontano di essere partiti con l’idea di fare un trekking e di aver scoperto, tappa dopo tappa, una rete umana fatta di accoglienza, storie, sguardi, mani che aiutano. In questo senso, il Cammino delle Terre Mutate è anche un percorso interiore: insegna ad accettare l’imperfezione, a convivere con il vuoto e a cogliere il valore profondo della cura del territorio.

Camminare in queste terre mutate è un gesto politico, ecologico e affettivo. Significa contribuire, con il proprio tempo e la propria attenzione, a sostenere un’idea di futuro condiviso, radicato nei luoghi e non nelle metropoli. Significa scoprire l’Italia che resiste e che ricostruisce, passo dopo passo.

Cosa mangiare lungo il Cammino delle Terre Mutate

Mangiare lungo il Cammino delle Terre Mutate è un vero e proprio viaggio dentro la tradizione gastronomica dell’Appennino centrale, tra ricette contadine, sapori autentici e ingredienti a km 0. Ogni regione attraversata – Marche, Umbria, Lazio e Abruzzo – offre specialità locali che parlano della storia agricola e pastorale del territorio, spesso preparate con passione da chi accoglie i camminatori in agriturismi, rifugi e case private.

Tra i piatti da non perdere ci sono i vincisgrassi marchigiani, una variante ricca e sostanziosa delle lasagne, e la lenticchia di Castelluccio, regina della piana umbra, presidio Slow Food e simbolo della rinascita agricola locale. In Umbria e Abruzzo abbondano le zuppe di cereali, le pappardelle al cinghiale, i formaggi di pecora e il pecorino stagionato, spesso prodotto artigianalmente in piccole aziende a conduzione familiare. Nel Lazio è facile trovare amatriciana autentica, preparata secondo la ricetta originaria di Amatrice con guanciale e pecorino.

Non mancano poi i dolci della tradizione, come il pan nociato, i tozzetti umbri o le ferratelle abruzzesi, perfetti per una pausa energetica lungo il cammino. In molti casi, i pasti vengono serviti in modo informale, spesso in tavolate condivise, dove è facile scambiare parole, racconti e indicazioni con altri viandanti. Ogni pasto diventa così parte integrante dell’esperienza, un’occasione per entrare in contatto con il vissuto delle persone del luogo e contribuire direttamente all’economia di prossimità. Il consiglio è di affidarsi alle proposte dei gestori, che conoscono il territorio e valorizzano i prodotti locali: ne uscirai sazio!

La credenziale del Cammino delle Terre Mutate

La credenziale del Cammino delle Terre Mutate è il documento che accompagna il viandante lungo tutte le tappe, fungendo da testimonianza personale del cammino compiuto. È composta da una serie di spazi dedicati alla raccolta dei timbri distribuiti lungo il percorso, che possono essere apposti in rifugi, strutture ricettive, bar, uffici turistici e altri presìdi del territorio. Ogni timbro rappresenta un piccolo racconto visivo del luogo, e la credenziale si trasforma così in un diario concreto del proprio passaggio, pagina dopo pagina.

La credenziale può essere ordinata gratuitamente online attraverso il sito ufficiale del cammino, semplicemente compilando un modulo con i propri dati. Non viene richiesto alcun pagamento: la spedizione è gratuita e il camminatore è invitato – se lo desidera – a lasciare una donazione libera, finalizzata al sostegno delle attività dell’associazione Movimento Tellurico e della Rete dei Cammini nel cratere. Questa scelta coerente con la filosofia del cammino ne rafforza i valori: gratuità, condivisione e sostegno reciproco.

Una volta completato il cammino, la credenziale può essere presentata per ricevere un attestato simbolico di avvenuto completamento del percorso. Ma al di là del valore formale, ciò che la credenziale rappresenta è molto più profondo: è una traccia fisica di incontri, territori, emozioni, un documento che si riempie di storie, persone, resistenza e rinascita.

Perché scegliere il Cammino delle Terre Mutate

Perché è un cammino necessario. Non solo per chi ama la montagna, il silenzio, i paesaggi appenninici. Ma anche per chi vuole dare valore al camminare, essere presente, sostenere territori che spesso restano ai margini. Ogni passo è un gesto di solidarietà, ogni incontro è una possibilità di ascolto.

Il Cammino delle Terre Mutate è questo: un viaggio reale, umano, vero.

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Santo Stefano di Sessanio: la piccola perla d’Abruzzo

Immerso tra le maestose vette del Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga, Santo Stefano di Sessanio è uno dei Borghi più belli d’Italia. Il piccolo paesino, posizionato a 1250 metri di altezza, si erge come una gemma preziosa nel cuore dell’Abruzzo. Sembra che qui il tempo si sia fermato. Le sue strade acciottolate ad alta quota e la Torre Medicea che domina il paesaggio fanno di questa piccola cittadina, di appena 114 abitanti, una perla da scoprire. Il piccolo borgo arroccato, dove regna il silenzio e un’atmosfera incantata, è inoltre un simbolo di eccezionale recupero del territorio perché ospita un raro e raffinato esempio di albergo diffuso tra le sue vecchie case abbandonate a causa dello spopolamento.

Il paese è anche famoso come produttore di una qualità rara e antica di lenticchie che viene coltivata solo nelle aride terre di alta montagna tra i 1200 e i 1450 metri. La storia, le bellezze, la cultura culinaria e le attrazioni di Santo Stefano di Sessanio meritano di sicuro un weekend di esplorazione dedicato.

Santo Stefano di Sessanio (foto 123RF)

Santo Stefano di Sessanio: tra i borghi più belli d’Italia

Nel cuore delle maestose montagne abruzzesi, avvolto dal silenzio e dall’atmosfera magica delle alture, si erge Santo Stefano di Sessanio, una perla tra i borghi storici d’Italia. Questo antico borgo, insignito del prestigioso titolo di “Uno dei Borghi più Belli d’Italia“, è, tra i monumenti dell’uomo, forse il più suggestivo dell’intero Parco Nazionale del Gran Sasso e dei Monti della Laga.

Il piccolo paese arroccato è una testimonianza vivente del ricco patrimonio culturale e ambientale dell’Abruzzo. Le sue stradine lastricate, le case di pietra e il panorama mozzafiato, fanno di Santo Stefano di Sessanio un vero e proprio gioiello architettonico. Costruito in calcare bianco, questo borgo medievale porta con sé le tracce della sua illustre storia, essendo stato un tempo feudo della potente famiglia Medici di Firenze. Qui, tra le vie acciottolate e le antiche mura, si respira un’atmosfera unica, dove la natura selvaggia e incontaminata si fonde con la storia millenaria del borgo.

Santo Stefano di Sessanio (foto 123RF)

Le origini e la storia di Santo Stefano di Sessanio

Il nome “Sessanio” affonda le sue radici nella storia antica dell’Italia, derivando probabilmente da una correzione di “Sextantio”, piccolo insediamento romano situato nelle vicinanze dell’attuale borgo. Si dice che questo insediamento fosse distante sei miglia da un importante villaggio romano, evidenziando già all’epoca la sua posizione strategica.
Le prime notizie certe dell’esistenza del borgo fortificato di Santo Stefano di Sessanio risalgono al 1308. In quel periodo, si assiste alla formazione del vasto dominio feudale della Baronia di Carapelle, di cui Santo Stefano diventa un importante centro confinante con il Contado aquilano, sotto il controllo della Signoria di Firenze.

L’Era dei Medici e il Fiorente Commercio della Lana

Tra il 1579 e il 1743 Santo Stefano raggiunge il suo massimo splendore come base operativa della Signoria di Firenze nelle mani della potente famiglia de’ I Medici per il fiorente commercio della lana “carfagna”. La lana, prodotta qui e lavorata in Toscana, veniva esportata in tutta Europa, contribuendo alla prosperità economica del luogo.

Declino e Trasformazioni

Tuttavia, con l’avvento del Regno di Napoli nel 1810, il territorio della Baronia venne diviso in cinque comuni, tra cui Santo Stefano. La fine dell’attività millenaria della transumanza, causata dalla privatizzazione delle terre del Tavoliere delle Puglie, segna l’inizio di un periodo di decadenza per il borgo. L’emigrazione diventa un fenomeno diffuso, causando una significativa riduzione della popolazione e portando a una progressiva perdita di vitalità del centro abitato. Oggi Santo Stefano di Sessanio continua a essere un luogo che incanta e affascina, testimone di un passato glorioso e di una promettente rinascita nel presente.

Santo Stefano di Sessanio tra le montagne

Fonte: iStock

Una veduta di Santo Stefano di Sessanio in Abruzzo

Sextantio, un albergo diffuso

Santo Stefano di Sessanio non è solo un monumento storico, è anche un esempio straordinario di recupero del territorio. Abbandonato a causa dell’emigrazione che aveva causato in 100 anni uno spopolamento del 90%, il borgo è stato riportato in vita grazie al progetto di Daniele Kihlgren. L’imprenditore meneghino ha trasformato le antiche case in un raro e raffinato esempio di albergo diffuso: Sextantio, ispirato al nome di origine del borgo. Ogni angolo di Santo Stefano di Sessanio è una testimonianza della dedizione e dell’amore con cui è stato restaurato, conservando intatta la sua bellezza architettonica e il suo fascino storico.

Le principali attrazioni di Santo Stefano di Sessanio

Interamente costruito in pietra calcarea bianca, il borgo conserva l’incanto del tempo che sembra essersi fermato. Le sue antiche case, con le coperture realizzate con coppi, offrono uno spettacolo armonioso e suggestivo. Da ogni angolo, lo sguardo si perde tra le eleganti linee dei loggiati, i portali ad arco decorati e le finestre finemente lavorate, testimonianze della raffinata civiltà che qui ha lasciato il suo segno.

Un Viaggio tra Arte e Storia

Le strade di Santo Stefano di Sessanio, percorribili solo a piedi, sono un vero e proprio viaggio nel tempo. Dall’erta scalinata che costeggia la Chiesa di Maria in Ruvo, risalente al XIII-XIV secolo, ai tortuosi selciati che si insinuano tra le abitazioni, ogni passo rivela un nuovo tesoro di storia e di bellezza. Si possono ammirare le abitazioni quattrocentesche, come la Casa del Capitano, e la Torre Medicea risalente al Trecento, dalla cui sommità si gode di un panorama mozzafiato che abbraccia le valli circostanti fino alle catene montuose della Maiella e del Sirente.

Gli edifici del borgo, appartenenti al dominio dei Medici, raccontano storie di eleganza e raffinatezza. Le bifore meravigliose, le mensole dei balconi finemente decorate e gli stemmi della Signoria di Firenze che svettano sulle porte d’ingresso sono solo alcune delle testimonianze di questa straordinaria eredità.

Scorcio della Torre medicea a Santo Stefano di Sessanio

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Uno dei monumenti più iconici di Santo Stefano di Sessanio

Luoghi di Culto e Spiritualità

Le chiese di Santo Stefano Protomartire e della Madonna del Lago sono testimonianze di fede e devozione che si integrano armoniosamente con il paesaggio circostante, regalando momenti di contemplazione e serenità a chi le visita.

La cultura culinaria di Santo Stefano di Sessanio

Non è solo per la sua bellezza architettonica e il paesaggio mozzafiato che Santo Stefano di Sessanio è rinomato. Il borgo è anche famoso per le sue prelibatezze gastronomiche, tra cui spiccano le rinomate lenticchie. Le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio, coltivate con metodi biologici da generazioni, rappresentano una rarità e un’eccellenza culinaria unica. Queste piccole gemme marroni, dal sapore intenso e dalla superficie rugosa e striata, crescono solo nei terreni aridi delle alte montagne, tra i 1200 e i 1450 metri di altitudine. Celebrate in tutta Italia per il loro gusto inconfondibile, le lenticchie di Santo Stefano di Sessanio rappresentano non solo un tesoro gastronomico, ma anche un simbolo della tradizione e dell’autenticità culinaria dell’Abruzzo.

Tra i vicoli di Santo Stefano di Sessanio

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Tra le strade di Santo Stefano di Sessanio