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Dal Marocco all’Asia centrale: le location mozzafiato di Rambo III

Le trafficate strade di Bangkok, i sereni monasteri buddisti di Lamphun e gli affascinanti paesaggi desertici dell’Arizona sono stati luoghi testimoni di un successo. Quando si parla di film d’azione iconici degli anni ’80, Rambo III occupa un posto d’onore. Diretto da Peter MacDonald e interpretato da Sylvester Stallone nel ruolo del veterano di guerra John Rambo, il film si distingue non solo per le sue sequenze esplosive e i combattimenti spettacolari, ma anche per le sue ambientazioni mozzafiato. In questo terzo capitolo Rambo è in missione per salvare il suo ex amico e comandante, il colonnello Sam Trautman (Richard Crenna) che è stato catturato dalle forze militari sovietiche.

Sylvester Stallone raccontò al Los Angeles Times di aver valutato diverse location nel sud-ovest americano prima di decidere che l’atmosfera fosse quella giusta. “Per un po’ abbiamo parlato di girare questo film in Arizona o in Nevada” ha detto l’attore, “ma poi ho pensato: ‘Ehi, cosa faranno tutti? Giocheranno a dadi ogni sera dopo le riprese?‘”. La troupe si concentrò quindi sulle location all’estero. Secondo il Times, visitarono Italia, Marocco e Australia, costruirono e demolirono set per un valore di 5 milioni di dollari in Messico prima di partire per Israele.

Chiang Mai Thailandia

Fonte: iStock

Chiang Mai, Thailandia

Dove è stato girato

Grazie a una sapiente combinazione di location naturali, set costruiti e trucchi cinematografici, il film riesce a dare vita a un Afghanistan drammatico e cinematografico, pur restando ben lontano dai suoi confini. Crenna ha affermato che c’era una tensione autentica durante le riprese in Israele a causa delle tensioni persistenti: “Ogni giorno attraversavamo un posto di blocco militare per raggiungere il set, poi indossavamo i nostri costumi da soldato e ‘andavamo in guerra‘” ha detto. “Poi, quando i jet volavano sopra di noi, guardavamo in alto e ci chiedavamo dove stessero andando, o dove fossero stati“. Alcune parti del film sono state girate vicino a Sodoma, dove le temperature raggiungevano i 50 gradi Celsius, e il cast e la troupe, così numerosi, consumavano quasi 1600 litri d’acqua al giorno.

La posizione remota del set ha presentato anche sfide logistiche. Trasportare la pesante attrezzatura militare utilizzata nel film è stato difficile e costoso, e il cast e la troupe hanno dovuto alloggiare a quasi un’ora dal set che a sua volta distava mezz’ora dagli stabilimenti di produzione. Molte delle scene che nel film rappresentano il paesaggio afghano sono state girate in Israele, in particolare nel deserto del Negev e nella regione montuosa del Golan. Il kibbutz Eilot, vicino a Eilat, ha ospitato alcune sequenze chiave. La vasta distesa di rocce, sabbia e cielo terso si è rivelata perfetta per rappresentare la polverosa frontiera afghana. Anche la città vecchia di Jaffa e alcune zone rurali nei pressi di Tel Aviv sono state utilizzate per simulare villaggi e avamposti sovietici, dimostrando la versatilità delle location israeliane nel ricreare ambientazioni storiche e geografiche lontane.

Thailandia: il rifugio spirituale di Rambo

Il film si apre con un Rambo ritiratosi nella pace della Thailandia, dove si dedica alla vita monastica e combatte con i bastoni per sport. Queste sequenze sono state girate a Chiang Mai, nel nord della Thailandia, in particolare nei pressi di templi buddisti autentici e in paesaggi lussureggianti. Il contrasto tra la pace spirituale del tempio e l’imminente richiamo alla guerra contribuisce a rafforzare il dilemma interiore del protagonista.

La scena iniziale ricca d’azione di Rambo III si svolge nel cuore della vivace capitale thailandese, Bangkok. Il colonnello Sam Trautman torna indietro per reclutare John J. Rambo per la sua missione. Il film ci presenta Rambo attraverso la sequenza del combattimento in cui emerge trionfante di fronte a una folla affascinata in una struttura in rovina. Questa scena mozzafiato è stata girata vicino al tempio buddista di Wat Sangkrachai Worawihan, nel quartiere Wat Tha Phra di Bangkok. La capitale thailandese è una metropoli vivace con una miriade di templi, una vivace cultura di strada e un vasto sistema di canali alimentati dal fiume Chao Phraya, popolato di barche.

Arizona

Fonte: iStock

Arizona

La maestosa area di Rattanakosin, con il suo grande palazzo e il venerato tempio Wat Phra Kaew, è scavata nel fiume che la costeggia. Nelle vicinanze si trova il famoso tempio Wat Pho, noto per il suo enorme Buddha sdraiato. Dall’altra parte del fiume, lo straordinario tempio Wat Arun affascina con le sue ripide scalinate e la caratteristica cima in stile Khmer. Il più grande aeroporto internazionale di Bangkok, Suvarnabhumi, è il punto di atterraggio perfetto per un volo verso questa destinazione.

Arizona e Stati Uniti

Anche se in modo molto limitato, alcune brevi sequenze furono girate negli Stati Uniti, in particolare in Arizona. Gli scenari desertici dell’Arizona furono utilizzati per completare alcune riprese aggiuntive, sfruttando l’ambiente simile ma più accessibile rispetto alle location mediorientali. Rambo riesce a uccidere Zaysen lanciando un carro armato contro l’elicottero del colonnello sovietico, che inizialmente aveva cercato di danneggiare con una molotov consegnatagli da un uomo a cavallo. Sorprendentemente, Rambo sopravvive all’esplosione che ne consegue ed emerge dal carro armato.

Al termine della battaglia, Rambo e Trautman salutano i loro alleati mujaheddin e lasciano l’Afghanistan per tornare a casa. Questa sequenza culminante è stata girata a Fort Yuma, situato nello Yuma Territorial Prison State Historic Park in Arizona. Il carcere territoriale di Yuma fu inaugurato nel 1876 e da allora è stato immortalato in diversi film e serie tv. Oggi, questo sito storico è gestito e mantenuto come museo dall’Arizona State Parks.

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Ask the Sand: Vittorio Bongiorno ci racconta il suo viaggio in Arizona sulle tracce della città-utopia di Arcosanti

Immaginate un padre e un figlio in viaggio sulle tracce di una città-utopia costruita nel 1970 nel deserto dell’Arizona da un architetto italiano. Non è la trama di un road movie di fantascienza, ma un regalo di compleanno che diventa il cuore pulsante del documentario Ask the Sand – Can we change the future?, scritto e diretto da Vittorio Bongiorno. 

Presentato in anteprima mondiale al Biografilm 2023, ora questa avventura alla ricerca di Arcosanti è disponibile su NowTv. L’architetto Paolo Soleri, allievo di Frank Lloyd Wright, aveva l’idea di una città del futuro un po’ come il protagonista dell’ultimo film di Francis Ford Coppola Megalopolis interpretato da Adam Driver. Nel cuore del deserto americano sorge ancora oggi questo luogo sospeso tra ambizione e sogno che il regista ha visitato con il figlio poco prima della pandemia di Covid-19.

Viaggiando tra la polvere del deserto, i due hanno trascorso una settimana in questo luogo dimenticato, raccogliendo i racconti di professionisti e artisti che hanno conosciuto Soleri e di chi vive ancora oggi in quella città-utopia. Fin dalla sua anteprima italiana Ask the Sand non si è mai fermato ed è stato proiettato anche oltreoceano a Tucson, Dallas e nella stessa Arcosanti.

Il 20 e 21 Novembre Bongiorno è stato invitato dall’ordine degli architetti di Napoli e Brescia per presentare il documentario in due festival di architettura. Inoltre lui e suo figlio sono stati invitati alla Farm Cultural Park, un centro culturale in Sicilia a Favara, a due passi da Agrigento, dove hanno curato un padiglione di Countless Cities, la biennale delle città del futuro. Si può visitare facendo un percorso espositivo con foto, video e scritti dal loro viaggio. Tutte le informazioni sul sito http://www.countlesscities.com.

Sulle note delle musiche originali di Giulio e Vittorio Bongiorno, i Calexico, Joachim Cooder e Naim Amor & John Convertino, Ask the Sand è la testimonianza sincera e coinvolgente di un viaggio che unisce architettura, storia, arte, il fascino dell’America del sud e un rapporto padre-figlio complice e forte, ma pronto ad allentare la presa per un futuro più indipendente.

Arcosanti

Fonte: Ufficio stampa

Arcosanti vista dall’alto

Come nasce il tuo legame con l’America?

Il blues e il jazz sono stati la colonna sonora della prima parte della mia vita. Il mio bisnonno è scappato dalla Sicilia nel 1907 e ha vissuto negli Stati Uniti cambiando nome, e ha mandato alla famiglia i dischi di jazz e blues, e delle pistole da cowboy a mio padre. Ci ho scritto un romanzo ancora incompiuto, questo per dire che ho un legame con l’America da sempre. Nel 2013 sono partito sulle orme care del mio bisnonno e ho trovato qualcosa, anche se lui aveva lavorato molto per far perdere le sue tracce. Da lì in poi ho continuato a viaggiare per l’America e questo viaggio di Ask the Sand lo abbiamo fatto all’avventura, senza troppe aspettative. 

Come è nata l’idea?

Non ho voluto imporre niente a mio figlio, mi sembrava assurdo a 18 anni rovinare un’esperienza genuina. L’ho sempre lasciato libero di fare le sue scelte, lui ha il suo mondo di riferimento, ma se deve scegliere tra Bob Dylan e i Maneskin c’è poco da scegliere. All’epoca gli avevo detto che per il compleanno dei 18 anni gli avrei regalato un biglietto circolare per andare in giro per il mondo, ma lui mi ha detto che voleva andarci con me.

Quindi da questa contrattazione è nata l’idea di fare un viaggio più rischioso, piuttosto che tornare a New York dove eravamo già stati. Io amo che ci sia sempre un po’ di rischio in tutto quello che faccio, che si tratti di un libro, di un film… Mi piace che ci sia un margine di errore. Quindi gli ho proposto questo viaggio, visto che avrebbe studiato architettura, e a lui è piaciuta l’idea. Quindi ho voluto raccontare il suo punto di vista, poi il mio l’ho raccontato nel libro La Ballata del Deserto. 

Come vi siete preparati per questo viaggio?

L’itinerario che abbiamo organizzato prevedeva i primi tre giorni a Los Angeles, poi siamo andati ad Arcosanti una settimana con appuntamenti fissati con vari personaggi. Arcosanti è a 110 km da Phoenix in mezzo al deserto e non è semplicissima da trovare.

La mattina che siamo partiti da Los Angeles siamo arrivati la sera tardi, quindi siamo partiti a maniche corte e siamo arrivati lì che si gelava dal freddo. Era tutto chiuso e un’artista italiana ci ha dato le chiavi del nostro appartamento dicendoci che era giù nel canyon. Nel raggio di 100 km non c’era niente, non abbiamo nemmeno potuto mangiare qualcosa e siamo andati a dormire.

I locali sono stati felici di avervi lì o erano diffidenti?

La fondazione Cosanti ci ha accolto molto calorosamente, con Giulio si sono comportati come se fosse un nipote e ci hanno aperto questi archivi ancora quasi non catalogati, pertanto abbiamo avuto accesso a materiale straordinario. I filmati li ho comprati, ma le foto e i libroni che si vedono nel doc ce li hanno dati loro. Poi devo ringraziare Angelina Gentilini per lo stupendo lavoro di montaggio perché è riuscita ad armonizzare le varie nature del film e l’operatore Nicola Cavalazzi che ha viaggiato con noi.

Ci ha colpiti, tuttavia, il fatto che non ci hanno fatto entrare nelle loro residenze. Abbiamo percepito quasi una sorta di patto: la storia esterna di Arcosanti è quella, ma la storia personale di coloro che vivono lì non hanno nemmeno niente a che fare con Soleri, molti di loro non lo hanno mai incontrato. Noi li abbiamo provocati con la storia dell’utopia, e loro hanno risposto così. Dal 1970 a oggi questa città non si è mai fermata.

Interno Arcosanti

Fonte: Ufficio stampa

L’interno di un’abitazione ad Arcosanti

Come vivono i residenti di Arcosanti oggi?

Vendono le campane di bronzo e ceramica, fanno dei tour guidati con le scuole e dei workshop. Ricevono alcune donazioni da privati e chi passa lascia qualcosa, però vivono. Non è un centro sociale. “Io ho costruito lo strumento, ma la musica la decidono loro” diceva Soleri, una cosa molto democratica secondo me. Non volevo fare un doc sull’architettura in fondo e così è venuto fuori questo racconto.

Si dice che Arcosanti sia fonte di ispirazione per Star Wars…

Non c’è un documento vero e proprio che lo attesti, ma gli abitanti di Arcosanti dicono che George Lucas sia stato lì. Vedendo quelle forme però sembra chiaro il riferimento per Tatooine.

Cosa ti ha lasciato questa esperienza una volta tornato a casa?

Un’esperienza simile ti lascia un bottino importante, è come tornare con la sabbia in tasca. Il viaggio di ritorno è stato avvolto dal silenzio per elaborare tutto quello che avevamo visto e vissuto. Poi c’è stato il buco nero della pandemia che ha diviso le nostre strade. Quando sono tornato avevo l’80% del documentario già girato, ma poi si è fermato tutto quindi trovare anche i finanziamenti è stata dura, ci ho messo due anni. Le difficoltà sono venute dopo insomma. Tuttavia con questo progetto mi sono staccato da mio figlio facendo una cosa che rimarrà immortale ed è una specie di miracolo, perché quando ho iniziato il viaggio non pensavo una cosa simile. Possiamo vivere lontani ma rimanere uniti. 

Cosa ti affascina del deserto?

L’orizzonte sconfinato, questa linea sfocata dove tutto è possibile mi affascina. Forse anche perché sono siciliano, ma ho visitato vari deserti degli Stati Uniti. Nel Joshua Tree nel 2013, in un ranch isolato, ho incontrato Ry Cooder che suonava con suo figlio, l’ho salutato e il figlio mi ha dato le musiche per la prima parte del film ed è lo stesso che stava nel sidecar in Buona Vista Social Club. La possibilità del deserto dove puoi girare con una libertà che non ti è concessa magari a New York. New York è stata la mia prima città americana, ma da quando ho scoperto il Sud non ci torno spesso a New York.

Com’è il tuo rapporto con il cinema, vista la tua passione per l’America?

Il mio immaginario del cinema americano sono David Lynch e Wim Wenders. Paris, Texas mi ha forgiato per come costruisco le immagini. Il documentario l’ho girato come fosse un film, senza le interviste piazzate, con una voce fuoricampo. Nel 2017 ho fatto il documentario in Texas, a Austin e mi sono immerso in questa cultura bianca venendo dal blues nero. Il country di Johnny Cash è l’immaginario che mi sono tatuato nell’anima.

Capisco che può sembrare un po’ fasullo per un italiano, ma io appena posso scappo e vado là. In Italia è un immaginario travisato perché sono mondi molto diversi, ma ho vissuto a casa di meccanici, operai, guidatori di truck, gente che ha votato anche Trump, che gira armata, ma la working class se vuoi capire l’America è importante. In tre anni di pollo fritto a Detroit, ho vissuto un pezzo di America molto diversa da quelle che vediamo nei film. 

Il documentario in alcuni momenti affronta anche il tema della sostenibilità e del consumismo in modo quasi indiretto.

Lì si riscaldano con il sole e si raffreddano con l’aria. Noi abbiamo la luce, il sole e il vento. Abbiamo davvero bisogno di tenere la temperatura delle nostre case a dieci gradi d’estate? A me sembra folle e non ho il condizionatore, non per fare Captain Fantastic (un film che mi ha colpito molto), ma mi sembra folle usarlo quando poi ci lamentiamo che il mondo va a fuoco. Gli americani sono i primi, io quando sono lì gli spengo le luci, i condizionatori. 

La musica?

Ho usato le musiche di Calexico e di Joaquim Cooder. I Calexico li ascolto da trent’anni e quando li ho contattati mandandogli del girato con alcune loro canzoni gli è piaciuto molto e mi hanno aiutato anche nella contrattazione con le case discografiche. Loro sono molto attenti all’ambiente, il musicista vive a El Paso e vivono molto la frontiera. 

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The Wave: in Arizona, un gioiello naturale a cui si accede tramite una lotteria

Non c’è “solamente” il Grand Canyon, in Arizona. O l’Antelope Canyon, o la Monument Valley. In questo Stato americano famoso per i suoi parchi, i suoi canyon e le sue straordinarie formazioni geologiche, c’è una meraviglia che soli pochi conoscono, e che non tutti – pur volendolo – riescono a visitare: stiamo parlando di The Wave.

Tutto quello che c’è da sapere su questa vera e propria opera d’arte realizzata dalla mano della natura: la perfetta cartolina di viaggio da aggiungere tra le tappe dell’Arizona.

The Wave, come accedere a questo luogo spettacolare

All’interno di quell’area incredibile che è la Coyote Buttes, The Wave – come dice il nome – è una sorta di onda scavata nella roccia: la sua bellezza mozza il fiato e, scattare una foto qui, è la perfetta cartolina di un viaggio indimenticabile. Perché pochi sono i luoghi al mondo così fotogenici, e con colori così nitidi, da somigliare ad un quadro.

Ci sono due tipologie di lotteria, che è l’unico mezzo attraverso il quale tentare di ottenere il pass per entrare e ammirare questa area dell’Arizona. Una è avanzata e viene effettuata quattro mesi prima della data prescelta, giornata durante la quale si desidera visitare l’area e quindi si necessita del permesso, un’altra – invece – che viene eseguita due giorni prima di quella che dovrebbe essere la giornata scelta per visitare The Wave.

Per quest’ultima è inoltre necessario che, chi presenta la sua candidatura, lo faccia in una sorta di “recinto virtuale” dalle 6 alle 18 due giorni prima della data stabilita. È bene sapere che la lotteria si tiene ogni giorno e che i passaggi burocratici sono sostanzialmente tre: presentazione della domanda, accettazione della lotteria e ritiro. In caso di lotteria quotidiana possono ricevere i permessi un massimo di 16 persone, oppure di 4 gruppi: in base a quale delle due opzioni si verifica per prima. Per la lotteria avanzata, invece, ci si candida con qualsiasi tipologia di dispositivo (per quella quotidiana solo da mobile) e possono ricevere il permesso 48 persone, oppure 12 gruppi

Ci sono alcune cose da sapere prima di affrontare questo viaggio alla scoperta di un luogo che sembra uscito da un dipinto astratto, infatti, l’escursione è piuttosto lunga e faticosa, basti pensare che tra andata e ritorno si percorrono oltre dieci chilometri attraverso un’area selvaggia.

Lo scenario, però, sarà talmente affascinante da far dimenticare la fatica. Infatti, si tratta di un luogo davvero magico. A coloro che decidono di affrontare il percorso verranno fornite alcune cose: una spiegazione di quello che sarà il percorso da affrontare, comprensivo di mappa, una guida fotografica e le coordinate GPS.

The Wave, la formazione in Arizona vista dall'alto

Fonte: iStock

The Wave vista dall’alto

Come raggiungere The Wave e il percorso

Ma come si raggiunge The Wave? Intanto è bene sapere che chi decide di affrontare il percorso deve avere una buona forma fisica, anche perché si procede all’interno di una zona selvaggia. La strada per arrivare all’area di autorizzazione è sterrata e non sempre praticabile (ad esempio d’inverno e nella stagione delle piogge) e qui il cellulare non prende in tutti i punti.

Quindi si tratta di una vera e propria avventura da affrontare con la giusta preparazione e con un po’ di fortuna, quella necessaria a ottenere i permessi per entrare. Ma ne vale la pena, perché la formazione rocciosa è antichissima (risale al Giurassico) e il suo colore rosso e arancio, che forma delle fantastiche onde, rende questo paesaggio davvero inimitabile. Per raggiungere The Wave si viaggia sulla Highway 89, per poi girare e percorrere la House Rock Valley Road fino a raggiungere il parcheggio e poi proseguire. Fino a che gli occhi non incontreranno la meraviglia, cosa molto frequente in Arizona.

Vale la pena raggiungerla in qualsiasi orario ma ci sono dei momenti che son decisamente più speciali di altri: ad esempio fotografare questa formazione rocciosa a mezzogiorno quando non ci sono ombre. Infatti si tratta di una location molto amata dagli appassionati di escursioni e foto, ma la scelta di contingentare gli ingressi è stata presa per tutelare l’area che è fragile e va tutelata.

 

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Scottsdale, l’oasi glamour nel deserto dell’Arizona

Nel bel mezzo del deserto dell’Arizona sorge una delle città più cool e di tendenza degli Stati Uniti: Scottsdale. Lo è diventata soprattutto da quando molti sportivi e celeb (Rihanna ha comprato casa dopo avervi trascorso la luna di miele ed essersene innamorata) hanno deciso di lasciare la patinata California per trasferirsi a vivere in uno dei luoghi più rilassanti, meno affollati e con il maggior numero di giornate soleggiate (ben 330 l’anno) degli USA.

Circondata dal deserto di Sonora, con un’infinita varietà di cactus (tra cui il gigantesco saguaro, che cresce solo qui e che può raggiungere anche i 15 metri d’altezza, e il famoso “cuscino della suocera”), agave, aloe e tante altre specie autoctone, e dalle riserve indiane, Scottsdale offre tantissime opportunità di divertimento, dai numerosi campi da golf agli spa resort, ma è anche un importante centro artistico-culturale e della vita notturna.

Scottsdale, l’ex Old Wild West

La Old Town, dove resistono alcuni storici edifici di legno con le insegne in stile western, i portici di legno, la chiesa costruita dai messicani e gli ingressi dei saloon lungo la Main Street, è il quartiere più caratteristico di Scottsdale, con locali, ristoranti, negozi di artigianato che vendono manufatti realizzati dai nativi americani nel Native Art Market, di capi in pelle e boots lavorati e di souvenir. È qui che si respira ancora l’atmosfera del vecchio West dove diverse culture, quelle degli yankee, dei nativi americani e dei messicani di confine, si sono fuse per creare la modernissima città che è oggi Scottsdale. Ma è anche il quartiere dove sono sorte gallerie d’arte e atelier di arredamento e di design.

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Fonte: 123RF

Nella Old Town di Scottsdale, Arizona

Ed è proprio quest’ultimo l’aspetto che più colpisce di Scottsdale. In poco più di cent’anni, questa città è passata dalle piantagioni di cotone con il pony express che portava la posta a cavallo – e che viene ricordato ogni anno con un acclamatissimo evento, l’Hashknife Pony Express, che attraversa i territori Navajo – alle installazioni di public art (la più famosa delle quali è il Soleri Bridge) e i murales sparsi per tutta la città e ai numerosi musei tra cui quello di arte contemporanea SMoCA, ricavato in un vecchio cinema, il Museum of the West e quello dei nativi americani Heard, fondamentali da visitare per capire l’evoluzione di questa città e di tutta questa parte d’America.

Design e architettura a Scottsdale

Design e architettura fanno parte del tessuto sociale di Scottsdale da sempre. Negli Anni ’20 del 900 venne chiamato per realizzare un grande progetto uno dei più importanti architetti americani dell’epoca, Frank Lloyd Wright. Famoso per aver sviluppato la teoria dell’architettura organica, in cui gli edifici realizzati sono un tutt’uno con l’ambiente che li circonda, è stato un pioniere della moderna bioarchitettura. In Arizona trovò l’ambiente ideale in cui esprimersi tanto da restarci fino alla fine dei suoi giorni. La più rappresentativa di tutte le opere realizzate da Lloyd Wright qui è la sua casa-museo che si trova appena fuori Scottsdale, Taliesind West, iscritta nella lista dei patrimoni Unesco. Negli Anni ’30, fu un laboratorio artistico che ospitava la comunità di quello che oggi è considerato una tra le figure più influenti nella storia dell’architettura contemporanea. Tra le sue opere più celebri c’è il museo Guggenheim di New York City.

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Fonte: @Jill Richards – Experience Scottsdale

La casa museo di Frank Lloyd Wright, Taliesin West appena fuori Scottsdale

Ma di arte e design è pieno ogni angolo della città. Oltre alle numerose gallerie d’arte in centro, ci sono installazioni artistiche di public art per le strade e diversi hub che ospitano laboratori e atelier, come Cosanti Original, il laboratorio artistico fondato dall’architetto italo-americano Paolo Soleri che ancora oggi realizza le famose campane del vento fatte di ceramica e bronzo. L’edificio fatto di cemento armato, con spazi aperti e cunicoli, merita una visita. Soleri è famoso per aver fondato negli Anni ‘70, nel bel mezzo del deserto, a una settantina di chilometri da Phoenix, Arcosanti, una cittadina che è un importante esempio di “arcologia”, un sistema urbano incredibilmente all’avanguardia che unisce architettura ed ecologia dove viveva (e ancora oggi vive) una comunità. Un posto pazzesco che merita una gita in giornata da Scottsdale.

Un altro centro artistico molto interessante, che forse neppure gli abitanti di Scottsdale conoscono, è il Cattle Track Art Compound, un grosso complesso che comprende diversi edifici a cinque minuti dal centro che, fin dagli Anni ’30, ospita laboratori artistici e, talvolta, anche gli artisti stessi. Qui convivono artigiani, pittori, musicisti, attori, ballerini, scrittori, fotografi e persino fabbri. Ogni sorta di espressione artistica, insomma, e lo si può visitare dietro appuntamento, mentre sono aperte a tutti le mostre temporanee e gli eventi serali a suon di musica.

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Fonte: @Cloth & Flame Winona Grey

Cosanti, la casa museo di Paolo Soleri a Scottsdale

Divertimenti a Scottsdale

Scottsdale è stata eletta miglior destinazione dove festeggiare l’addio al nubilato. Ogni weekend, orde di ragazze si danno appuntamento negli hotel, a bordo piscina e nei saloon storici della Old Town per fare festa prima di convolare a nozze. Ma non solo: ogni anno a primavera nei tanti stadi dislocati in tutta la città si allenano le squadre di baseball nazionali per lo Spring Training, l’allenamento di primavera, che attira milioni di americani che vengono ad assistere agli incontri, spesso gratuiti o a prezzi popolari, prima dell’inizio della stagione della Major League. Ogni squadra ha il proprio stadio.

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Fonte: @Hotel Valley Ho

Scottsdale, regina dell’addio al nubilato

Per la varietà dell’offerta gastronomica, Scottsdale è la perfetta foodie destination. Ci sono steak house ovviamente ma anche tanti locali gourmet, ottimi ristoranti vegetariani, eleganti bistrot dove provare i tanti modi di servire tacos e un numero infinito di wine tasting dove provare l’ottimo vino che viene prodotto proprio in alcune zone dell’Arizona.

Non mancano opportunità per fare shopping, di capi tradizionali stile Western, dagli stivali a punta decorati ai cappelli da cowboy personalizzati con piume, perline e chi più ne ha più ne metta, ma anche negozi di stilisti locali. Gli indirizzi migliori sono sulla Fifth Avenue e su Fashion Square nella Old Town e Kierland Commons e Scottsdale Quarter a una ventina di minuti di auto dal centro.

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Fonte: 123RF

Le insegne stroriche nella Old Town di Scottsdale

Il deserto di Sonora

È uno dei deserti più estesi del Nord America (circa 311mila km quadrati) e si trova a cavallo tra l’Arizona, la California e lo Stato messicano di Sonora. È anche uno dei luoghi più caldi degli Stati Uniti, ma non per questo nel deserto non c’è nulla, al contrario. Qui crescono alcune specie endemiche come i cactus più alti, i saguaro, che possono raggiungere altezze anche oltre i dieci metri, il cosiddetto “cactus a canne d’ organo” con spine nere pericolosissime e altre specie vegetali particolarmente resistenti alle alte temperature e alla siccità.

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Fonte: @Four Seasons Resort Scottsdale

Osservare le stelle nel deserto dell’Arizona

Nel deserto di Sonora non piove quasi mai tranne due mesi all’anno – luglio e agosto – quando si può assistere a fitti acquazzoni che fanno fiorire subito tutte le piante trasformandolo in un posto meraviglioso. Qui vivono tantissime specie animali, dalla lince alla tartaruga al giaguaro per non pelare poi delle circa 350 specie di uccelli, cento di rettili e mille di insetti. da Scottsdale il punto più vicino del deserto è il Pinnacle Peak Park, più di 600mila metri quadrati di parco attraversato da sentieri dove fare trekking, andare a cavallo, in mountain bike e che culminano su una collina di circa 400 metri sulla quale ci si può anche arrampicare da cui si può ammirare gran parte di questo meraviglioso deserto dove ci si aspetta di vedere passare un cowboy a cavallo da un momento all’altro.

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Fonte: @Jake DeBruyckere

Il Desert Botanical Garden a Scottsdale

Tante le attività che vengono organizzate nel deserto, dalle escursioni alle lezioni di yoga e meditazione all’osservazione delle stelle quando cala la sera per ammirare uno dei cieli più belli che mai.

Se il deserto di Sonora è meraviglioso visto dal basso, lo è ancor più se lo si ammira dall’alto di una mongolfiera che vola a 1500 metri d’altezza. Provare l’esperienza di volare in modo lento e silenzioso godendosi la bellezza di questo luogo all’alba o al calar del sole è davvero incredibile.  Chi non ha voglia di stancarsi troppo o di indossare le scarpette da trekking, può comunque avere un assaggio della natura del deserto dell’Arizona visitando il Desert Botanical Garden, un enorme giardino nato oltre ottant’anni fa tra Scottsdale e Phoenix dove crescono 50mila specie di piante che si possono scoprire percorrendo diversi sentieri tematici.

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Fonte: @ESPN

Sul deserto di Sonora a bordo di una mongolfiera

Come arrivare e muoversi a Scottsdale

Non ci sono voli diretti per Scottsdale. Dall’Italia bisogna fare almeno uno scalo in una città degli Stati Uniti come New York, Washington o Atlanta. L’aeroporto internazionale più vicino è quello di Phoenix Sky Harbor che dista solo mezz’ora dalla città. Una volta giunti in città, si può noleggiare un’auto oppure appoggiarsi a Uber che funziona benissimo e arriva ovunque, anche in mezzo al deserto.